Per quali motivi si ingrassa dopo aver smesso di fumare? (seconda parte)

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ITALIANI FUMARE E CIG ITA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei TestaQuella che state per leggere è la seconda parte di questo articolo (che vi consiglio di leggere prima): Per quali motivi si ingrassa dopo aver smesso di fumare?

7) SI SENTONO MEGLIO GLI ODORI
Gli odori che entrano nella cavità nasale attraverso le narici, raggiungono l’epitelio olfattivo, un sottile strato di cellule collocato in un’area ristretta della cavità nasale e vengono interpretati dai recettori olfattivi. Essi vengono danneggiati dal fumo di sigaretta quindi quando si cessa di inalare il fumo le cellule tornano ad essere pienamente efficienti quindi gli odori si sentono meglio: chi riesce a resistere al buon odore di un buon cibo?

8) LA NICOTINA AUMENTA LA SECREZIONE DEGLI ACIDI GASTRICI
La nicotina esplica anche un curioso effetto a livello gastrico in sinergia con altri componenti del fumo di tabacco. A pochi minuti dall’assunzione di fumo di tabacco si verifica un incremento del 15% della secrezione di HCl (acido cloridrico) da parte della mucosa gastrica. Questa potrebbe essere la ragione per cui il desiderio di sigaretta aumenta dopo i pasti, specie se abbondanti. Quindi la nicotina favorisce la digestione a livello gastrico e ciò si traduce in una migliore gestione del peso corporeo.

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9) LA NICOTINA VELOCIZZA IL TRANSITO INTESTINALE
La nicotina nel tabacco tende ad alterare la motilità intestinale nei fumatori di sigarette. In determinate dosi può anche avere un effetto lassativo e ciò può avere effetti benefici sul peso corporeo. Venendo a mancare tale effetto lassativo, può comparire stipsi che influisce negativamente sul nostro peso. Si parla di effetto “lassativo” ma ricordate: l’abuso cronico di sigarette, però, può fare aumentare le contrazioni spastiche dell’intestino e aggravare nel tempo la situazione di stitichezza.

Esiste una correlazione tra il numero di sigarette fumate ed i chili presi
Sembra che i chili presi in più siano proporzionali al numero di sigarette fumate: secondo uno studio americano eseguito su ex fumatrici, quelle forti (25 o più sigarette al giorno) crescevano di peso almeno del doppio delle fumatrici “leggere”. La mia esperienza personale ha confermato in pieno questo dato. Nell’ultimo periodo della mia dipendenza da nicotina, fumavo circa 25 sigarette al giorno e, come già prima accennato, sono ingrassato circa 10 kg. In ogni caso, dalle ricerche è stato rilevato che la gran parte dell’ingrassamento è dovuto principalmente all’aumento di cibo ingerito: nelle donne una media giornaliera di circa 230 calorie in più.
Giorno dopo giorno, si arriva così a un aumento medio calcolato di tre-cinque chili in pochi mesi, anche se molto dipende dalla variabilità individuale e dallo stile di vita in generale. Normalmente gli effetti complessivi sul peso si fanno vedere dopo il primo anno, massimo due, da quando si è smesso di fumare. Nella mia esperienza io ho raggiunto il “picco” di peso intorno al sesto mese dopo aver smesso di fumare, per poi tornale al peso precedente (che avevo nel momento in cui ho smesso) dopo poco più di un anno.

I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco e vuole perdere peso. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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La pornografia fa male alla salute: lo dice la scienza

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Cavitazione Dietologo Roma Sessuologia Psicologia clinica Eiaculazione precoce Erezione Smettere fumare Masturbazione pornografia causa ImpotenzaLa pornografia fa male alla salute, soprattutto negli uomini. A rivelarlo alcune ricerche scientifiche che hanno mostrato gli effetti negativi della pornografia sulla vita di chi ne abusa.

La dipendenza dal porno sul web viene definita cyber-sexual addiction e fa parte di quel tipo di “disordini psichiatrici legati all’abuso del porno sul web”. La patologia è stata analizzata da moltissimi scienziati ed è stata addirittura inserita nella Diagnostic and statical Manual of Mental disorders, il testo più importante di psicologia.

Secondo alcuni studi il porno causerebbe dei danni fisici a chi ne abusa. Un’eccessiva stimolazione della dopamina (il neurotrasmettitore che si attiva grazie al piacere fisico) porta infatti ad un calo della libido. I danni sono ancora più gravi quando ad avvicinarsi alla pornografia sono gli adolescenti, come ha svelato una ricerca dell’Università di Padova. “La fruizione quotidiana di immagini forti, che richiamano esperienze anche estreme, rallenta la maturazione cerebrale della sessualità, svincolando la sfera sessuale dall’affettività – hanno spiegato i ricercatori -. Il sesso virtuale nei giovani può alterare la risposta alla sessualità reale e portare a un fenomeno clinico nuovo e preoccupante, che possiamo constatare già nell’adolescenza: l’anoressia sessuale, vale a dire la mancanza di desiderio sessuale e di contatto affettivo. La sessualità in internet è fredda e ripetitiva: questo determina assuefazione e comporta poi, nella vita reale, mancanza di desiderio”.

Alla stessa conclusione sono giunti gli andrologi, secondo cui l’uso eccessivo del porno provoca nel 25 per cento dei casi disturbi molto gravi che vanno dall’anoressia sessuale sino alla disfunzione erettile. Il problema è legato soprattutto ai diversi video pornografici che si trovano in rete e che non si limitano a mostrare un rapporto sessuale fra uomo e donna, ma anche contenuti molto più forti, come i rapporti sadomaso. Il risultato è che gli uomini si abituano alle sensazioni particolarmente intense e non trovano più piacere nel rapporto di coppia.

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L’uomo moderno non più macho: la dipendenza dalle donne

MEDICINA ONLINE COME RICONQUISTARE EX RAGAZZA RAGAZZO FIDANZATA FIDANZATO MARITO MOGLIE MATRIMONIO COPPIA DIVORZIO SEPARATI SEPARAZIONE AMORE CUORE FIDUCIA UOMO DONNA ABBRACCIO LOVE COUPA differenza di quella femminile, la dipendenza affettiva maschile è più mascherata e più drammatica. Un motivo è quello familiare e culturale: l’uomo è spinto a controllare le sue emozioni e gli affetti perché deve apparire forte. Come si esprime la dipendenza maschile? Essa si esprime attraverso tre diversi comportamenti:

  • La ricerca del potere
  • La paura di legarsi ed impegnarsi
  • La freddezza, tecnicamente “l’anaffettività”.

Il potere

L’uomo dipendente cerca di dominare e di imporsi nel rapporto di coppia. Il potere è uno strumento che utilizza per nascondere al mondo la sua fragilità e cioè il suo personale bisogno di dipendenza ed è per questo motivo che cerca partner bisognosi di cure e affetto. Finché il partner accetta di recitare la parte del “debole”, il rapporto può mantenere un equilibrio. Se questi, spontaneamente o per effetto di un cambiamento, inizia a conquistare una maggiore autonomia o ricerca la parità, l’altro cerca di respingerlo nella condizione di dipendenza attraverso la manipolazione psicologica, tentando cioè di provocare nel partner dei sensi di colpa. Se il “debole” insiste nella rivendicazione, c’è il rischio che l’uomo prima s’incattivisca, minacciando l’abbandono, e poi, di fronte ad un processo irreversibile, crolli miseramente aggrappandosi ad essa.

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La paura di legarsi

Gli uomini – in genere – si vantano di essere indipendenti e liberi, cercano la libertà e rifuggono i legami eppure è raro che non abbiano legami. I legami poi o s’interrompono precocemente in nome della libertà o sono portati avanti, ma il partner è vittima di manipolazioni psicologiche e/o deprivazione affettiva. Quest’atteggiamento porta le donne a giudicare uomini del genere “figli di p…”. L’accusa però è impropria. Primo, perché in genere gli uomini che hanno non si vogliono legare hanno avuto madri iperprotettive e gelose. Secondo, perché “non lo fanno apposta”; l’uomo è in buona fede nel momento in cui entra in relazione e sente che quella è la donna giusta. Il problema si pone se l’uomo sente che il sentimento potrebbe condurlo a “qualcosa d’importante” e la paura raffredda ogni sua passionalità ed intenzione sentimentale.

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L’anaffettività

L’anaffettività è tipica di quegli uomini che invece cedono al bisogno di relazione, ma poi compensano la propria paura con un atteggiamento che non dà spazio al calore, alla tenerezza, ai gesti affettuosi. Quest’atteggiamento spesso porta all’esasperazione la partner perché è come se l’uomo stesse con lei per farle un piacere, ma manifestamente “scoglionato”. L’uomo anaffettivo inoltre è facilmente riconoscibile dal fatto che svaluta la sua partner. La strategia inconscia che sottende quest’atteggiamento è rivolta a convincere la partner di non avere alcun valore e, pertanto, di essere fortunata d’avere accanto un uomo il quale, nonostante i suoi difetti, la tollera. Tale strategia è ovviamente funzionale a evitare l’abbandono. Se essa funziona, di fatto, la donna finisce con lo svalutarsi, e di solito questo comporta l’insorgenza di disturbi di vario genere, ma soprattutto alla depressione.

Se la partner non ha una personalità depressiva e si oppone ai tentativi di squalifica del partner, avanzando una serie di rabbiose contestazioni volte a evidenziare i difetti dell’altro, quest’ultimo si arrabbia, passa gran parte del tempo a dire che lui è fatto così, se non le va bene può andarsene, tanto lui non ne ha bisogno e non sa che farsene. Intanto, ovviamente, continua a “pretendere” di essere accudito e più si sente debole e minacciato più aumentano le recriminazioni. Se la donna, alla fine, non ce la fa più e si allontana, i tentativi di ricondurla al suo posto sono incessanti, ma non si associano mai alla confessione dell’affetto e del bisogno. Quando essi riescono vani, e l’uomo non ce la fa ad avviare un altro rapporto con le stesse caratteristiche del precedente o, al limite, a rifugiarsi presso la madre, si danno paurosi crolli dell’identità personale.

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L’uomo e la ricerca della seconda mamma

Se si osserva oggettivamente il comportamento di un uomo a casa, si nota come essi esprimano un bisogno di affidamento totale alla partner femminile: farsi accudire (cibo, pulizia della casa, lavaggio e stiratura degli abiti, ecc.) a richieste ingiustificabili (farsi allungare un oggetto a portata di mano, chiedere dove stanno le cose, ecc.). Comportamenti del genere sono intollerabili per alcune donne, perché essi sono letti come impositivi e prepotenti. La prepotenza di fatto è oggettiva. Il motivo alla base di questo comportamento è che l’uomo ha bisogno di sondare la disponibilità della partner da un punto di vista “pratico” nei suoi confronti e da questa disponibilità ne ricava conferme affettive, così come la donna le donne le ricava dalle attenzioni, dalle tenerezze e dalle espressioni di affetto. La natura “mammona” dei maschi italiani in particolare è un luogo comune, ma molto più concretamente occorre riconoscere che, almeno nel contesto culturale italiano, parecchi figli maschi sono curati, iperprotetti e idolatrati dalla madre.

L’iperprotezione materna condiziona i figli a dipendere da una figura femminile, e ciò esaspera le donne evolute, soprattutto se esse lavorano, si tratta di un vero e proprio handicap, che si rende evidente in due circostanze; la partner si ammala, ha dei disturbi psicosomatici che esprimono il suo bisogno di sottrarsi al ruolo di madre. In tale circostanza, l’uomo si aggira per la casa come un cane bastonato, scopre, con frustrazione e con rabbia, la sua scarsa dimestichezza coi fornelli, con la lavatrice, col ferro da stiro, ecc. Le donne masochiste alla fine si trascinano fuori dal letto e continuano a fare le mamme affrante, le donne combattive invece assumono atteggiamenti più sadici, ma rischiano di aggravare ancor più la loro condizione fisica.

La seconda circostanza si realizza quando la donna, stanca di fare da madre e da serva all’uomo, decide di separarsene. Le conseguenze di questa decisione sono varie. Alcuni uomini, che non hanno mai manifestato un attaccamento particolare alla partner, crollano, si aggrappano a lei, la scongiurano di non lasciarli soli e promettono di cambiare. Altri si appellano a parenti ed amici per indurre un ripensamento nella partner, la colpevolizzano fino al giorno della comparsa di fronte al giudice. Altri reagiscono con indifferenza e con ma questo atteggiamento dura finché essi non capiscono che è finita per sempre. Quando avviene questa presa di coscienza, il comportamento indifferente si converte in uno dei due descritti in precedenza. Il problema è che gli uomini, non meno delle donne, sono vittime di una tradizione che impone loro di controllare le emozioni e l’affettività e di vergognarsene profondamente. La vergogna, è accentuata dal comportamento iperprotettivo delle madri italiane che, nell’intento cosciente di privilegiarli, finiscono, di fatto, con il determinare nei figli un bisogno incoercibile di dipendenza da una figura femminile.

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Pornografia, masturbazione e dopamina: le droghe che distruggono il cervello

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  • la pornografia e la masturbazione compulsiva sono abitudini o vere e proprie tossicodipendenze da una sostanza chiamata dopamina?
  • se sono tossicodipendenze, il cervello viene o no modificato permanentemente dalla fruizione cronica di pornografia e dalla masturbazione compulsiva?

Questo articolo è molto lungo, ma vi consiglio di leggerlo attentamente dall’inizio alla fine, per meglio comprendere la trappola in cui molti uomini – senza accorgersene – si stanno pian piano autorelegando. E’ importante premettere che in questo articolo non si vuole demonizzare la masturbazione in sé, che – se saltuaria – è addirittura protettiva nei confronti del cancro alla prostata, ma solo avvertire il lettore dei potenziali danni che può determinare alla lunga la masturbazione se portata avanti in modo compulsivo, varie volte al giorno per lunghi periodi. E’ importante anche ricordare che, seppur l’articolo sia rivolto per praticità agli uomini eterosessuali, in realtà la masturbazione compulsiva è un problema anche riferibile agli uomini omosessuali ed alle donne, sia etero che omosessuali, quindi le stesse identiche considerazioni presenti nell’articolo sono rivolte non solo agli uomini etero ma anche agli uomini omosessuali ed alle donne.

La storia della falena zingara

Iniziamo con un’apparente digressione. Nel 1869, la falena zingara (Lymantria dispar) è stata importata in America con l’intenzione di dare vita all’industria della seta. Raramente si sono viste buone intenzioni andate a finire così male a causa dell’imprevisto appetito della falena per alberi come le querce, gli aceri, gli olmi fino a devastare le foreste per centocinquant’anni. Numerosi tentativi sono stati fatti per distruggere questa peste, ma un importante passo in avanti giunse nel 1960, quando gli scienziati hanno osservato che la falena zingara maschio seguiva la femmina tramite il suo odore per accoppiarsi. Questo profumo è chiamato feromone, ed è estremamente attraente per il maschio. Nel 1971, è stato pubblicato un articolo dalla rivista Nature in cui era descritto come i feromoni sono stati utilizzati per evitare che le tarme si accoppiassero. Gli scienziati hanno prodotto feromone in grandi quantità e ne hanno permeato l’ambiente in cui vivevano le falene. Questo profumo innaturalmente forte ha sopraffatto la naturale capacità delle femmine di attrarre i maschi, e i maschi, confusi, non sono riusciti a trovare le femmine. Un documento supplementare ha descritto come il controllo della popolazione delle falene sia stato raggiunto «impedendo alle falene zingare maschio di trovare le loro compagne». La falena zingara è stato il primo insetto ad essere controllato mediante l’uso di feromoni, i quali operano in due modi:

  • metodo della confusione: un aereo sparge un numero insignificante, dal punto di vista dell’ambiente, di palline di plastica imbevute di essenza di feromone: il maschio rimane stordito e non sa in quale direzione cercare la femmina, oppure diventa insensibile ai naturali livelli di feromone prodotti dalla femmina e non ha alcun incentivo ad accoppiarsi con essa;
  • metodo della cattura: vengono preparate trappole di feromone dalle quali le falene non possono sfuggire ed a quel punto, la falena maschio va in cerca della femmina, ma trova solo un sostituto fatale.

Due errori

Cosa ha a che fare tutto ciò con la pornografia? Quest’ultimo è un “feromone visivo”, una potente droga cerebrale da cento miliardi di dollari l’anno, che sta cambiando la sessualità umana «inibendo l’orientamento» (riferito al succitato esempio del feromone) e «interrompendo la comunicazione pre-accoppiamento tra i sessi», soprattutto attraverso internet. Credo che attualmente stiamo combattendo una guerra contro la pornografia perché molte persone continuano a credere a tre cose totalmente false:

  • che la pornografia e la masturbazione compulsiva non possano diventare una droga;
  • che la pornografia e la masturbazione compulsiva non possano determinare una vera e propria dipendenza;
  • che la pornografia e la masturbazione compulsiva non possano determinare disfunzione erettile e calo della libido nei confronti delle donne “reali”.

Queste affermazioni sono totalmente false perché la pornografia e la masturbazione compulsiva conducono cronicamente alla dipendenza dalla dopamina, neurotrasmettitore prodotto dal nostro organismo quando proviamo piacere sessuale. Il masturbatore cronico ottiene talmente tanta dopamina tramite la pornografia che arriva un momento in cui non si sentirà più attratto dalle donne “reali” perché il sesso “vero” gli apparirà meno “interessante” di quello che vede nei video pornografici e gli darà meno dopamina della masturbazione.

Leggi anche: Masturbazione compulsiva e dipendenza da pornografia causano impotenza anche nei giovani: colpa dell’effetto Coolidge

«Erba adrenalina»

In primo luogo, vorrei condividere un’esperienza della nostra famiglia di qualche anno fa nel corso di un safari in Africa. Durante una corsa lungo il fiume Zambesi, il nostro ranger ci parlò dell’adrenaline grass, un’erba che cresce lungo le rive del fiume. Gli chiesi perché avesse usato la parola «adrenalina», e lui iniziò a guidare lentamente attraverso l’erba. Improvvisamente fermò il veicolo e disse: «Ecco! Lo vedi»? «Vedere cosa?», gli chiesi. Si avvicinò, e da quella posizione cambiò anche l’angolo di esposizione della luce. Poi capii. Un leone stava nascosto tra l’erba a scrutare il fiume, forse in attesa di qualche preda, oppure di bere dell’acqua. Eravamo seduti su di una Land Rover decappottabile senza porte ne finestrini. Appena ho sentito battermi forte il cuore, ho capito perché questa vegetazione viene chiamata «erba adrenalina». La mia corteccia cerebrale ha visto e definito il pericolo e lo ha registrato nella parte autonoma del mio sistema nervoso. Il cervello, che è un laboratorio farmaceutico molto efficiente, ha prodotto chimicamente l’adrenalina, inducendo il mio cuore a battere e a correre in preparazione della sopravvivenza. Ero pronto a correre, se necessario (non che avessi buone probabilità con il leone).

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Una droga è una droga: la dopamina lo può diventare

È interessante notare che l’adrenalina (chiamata anche “epinefrina“, i due termini sono sinonimi) è un farmaco che noi medici usiano in chirurgia e in situazioni di emergenza per stimolare il cuore di un paziente quando batte molto lentamente o addirittura si ferma. Quindi, ecco la questione: l’epinefrina non è considerata un farmaco se il nostro corpo la produce in modo autonomo (epinefrina endogena), ma “diventa” un farmaco se la stessa identica epinefrina viene somministrata da un medico (epinefrina esogena). A questo punto prendiamo in esame la dopamina. Questo prodotto chimico è un cugino stretto dell’adrenalina; entrambe sono neurotrasmettitori eccitatori che dicono al cervello: «Vai!». La dopamina è importante per le parti del nostro cervello che ci permettono di muoverci e quando le parti del cervello che producono dopamina vengono danneggiate il risultato è il morbo di Parkinson. Per curare il Parkinson i medici prescrivono la dopamina come farmaco ed essa aiuta il paziente a muoversi nuovamente. Quindi, la dopamina è un farmaco soltanto se il laboratorio farmaceutico la produce, e non se il cervello produce la stessa sostanza chimica per lo stesso scopo? Certamente, entrambi sono farmaci nel vero senso della parola, indipendentemente da dove vengono prodotti. A riguardo del tema trattato, possiamo affermare che ambedue questi farmaci del cervello sono molto importanti per la sessualità umana, sia per la pornografia che per la dipendenza sessuale. La dopamina, oltre al suo ruolo nel movimento, è un neurotrasmettitore integrale, ma è anche una droga cerebrale nel sistema di piacere/ricompensa del nostro cervello.

Leggi anche: Quali sono le funzioni della Dopamina?

Disturbo della dopamina

Rivediamo alcuni dei più importanti componenti del sistema di ricompensa del cervello. All’esterno vi è la corteccia cerebrale, uno strato di cellule nervose in cui risiede la coscienza, il pensiero volitivo. Nella parte anteriore, sopra gli occhi, vi sono i lobi frontali. Queste aree sono importanti per il giudizio, e se il cervello fosse una macchina, i lobi frontali sarebbero i freni. Questi lobi hanno importanti collegamenti con le vie del piacere, in modo da poterlo controllare. Al centro del cervello vi è il nucleus accumbens. Questa zona a forma di mandorla è la chiave del sistema piacere-ricompensa, e quando viene attivato dalla dopamina e da altri neurotrasmettitori, ci fà valutare e desiderare il piacere della ricompensa.

La dopamina è essenziale per gli esseri umani per desiderare e valutare un piacere appropriato per la loro vita. Senza di essa, non saremmo così incentivati a procreare, a mangiare o anche cercare di vincere una partita: tutte queste cose fanno produrre al nostro corpo la dopamina e la dopamina dice al nostro cervello che “quelle cose ci fanno stare bene”. L’uso eccessivo di questo sistema di ricompensa della dopamina, può provocare dipendenza. Quando queste vie vengono usate in modo compulsivo, si verifica una retrocessione che riduce in modo effettivo la quantità di dopamina nelle aree di piacere disponibili per l’uso, e le stesse cellule dopaminergiche iniziano ad atrofizzarsi e a ridursi. Le cellule ricompensa nel nucleus accumbens sono affamate di dopamina e vivono in uno stato di desiderio; allo stesso tempo, si verifica un declassamento dei recettori della dopamina sulle cellule del piacere.

Il ripristino del «termostato del piacere» produce una «nuova normalità». In questo stato di cose, la persona deve agire secondo la dipendenza, ossia aumentando la dose di dopamina fino a livelli sufficienti per sentirsi non in ansia, così come un eroinomane deve aumentare la dose di eroina nel tempo. Poiché avviene una desensibilizzazione dei circuiti di ricompensa, stimoli più forti e ancora più forti sono necessari per aumentare le dosi di dopamina. Nel caso di dipendenza da stupefacenti, la persona dipendente deve aumentare la quantità di droga per ottenere il medesimo picco, mentre nella dipendenza da pornografia, immagini e/o video e/o comportamenti sempre più scioccanti (o illegali!) sono necessari per avere la propria dose di dopamina e quindi di piacere.

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Danno del lobo frontale

Come una sorta di feedback, anche i lobi frontali possono atrofizzarsi o ridursi. Pensate all’esempio dell’usura delle pastiglie dei freni. Questo declino fisico e funzionale del centro del giudizio del cervello causa nella persona una compromissione della sua capacità di elaborare le mosse per poter uscire dalla dipendenza. Gli scienziati che studiano le dipendenze hanno chiamato questa condizione «ipofrontalità», e hanno notato una certa somiglianza tra il comportamento delle persone dipendenti (da sostanze, ad esempio gli eroinomani, o da comportamenti, ad esempio i giocatori d’azzardo patologici o i cleptomani) ed il comportamento dei pazienti con danno cerebrale frontale.

I neurochirurghi trattano spesso pazienti con danni al lobo frontale. In un incidente automobilistico, ad esempio, il cervello del conducente spesso decelera nel retro della sua fronte all’interno del cranio, danneggiando i lobi frontali. I pazienti con danno del lobo frontale mostrano una quantità di comportamenti che noi chiamiamo «sindrome del lobo frontale», caratterizzato dai seguenti comportamenti stereotipati:

  • in primo luogo, questi pazienti dopo l’incidente diventano impulsivi, in quanto si impegnano sconsideratamente in attività senza pensarci su, di impulso;
  • in secondo luogo, essi diventano compulsivi, cioè si fissano o si concentrano nei riguardi di determinati oggetti o comportamenti e devono averli in modo ripetitivo e “per forza”, non importa a quale prezzo;
  • in terzo luogo, questi soggetti diventano emotivamente labili ed hanno sbalzi d’umore improvvisi e imprevedibili;
  • in quarto luogo, essi dimostrano scarsa capacità di giudizio ed in questo modo si vanno a cacciare in situazioni assurde, anche pericolose o illegali, senza badare alle conseguenze.

In questo modo l’ipofrontalità corticale, o il restringimento dei lobi frontali, causa di questi quattro comportamenti, può derivare da un incidente automobilistico ma anche da una tossicodipendenza. Ad esempio uno studio sulla dipendenza da cocaina, pubblicato nel 2002, mostra una perdita di volume o restringimento in diverse aree del cervello, in particolare delle aree di controllo frontale. Un studio del 2004 mostra risultati molto simili per la metamfetamina. Ma siamo di fronte a droghe che possono danneggiare il cervello, per cui in realtà questi studi non ci sorprendono. Si consideri, tuttavia, una dipendenza naturale, come l’eccesso di cibo che porta all’obesità. Potreste essere molto sorpresi nell’apprendere che uno studio pubblicato nel 2006 ha mostrato il restringimento dei lobi frontali in una condizione di obesità molto simile a quella trovata negli studi sulla cocaina e sulla metamfetamina. E uno studio pubblicato nel 2007 in persone che mostravano una forte dipendenza sessuale ha prodotto risultati quasi identici alla metamfetamina, alla cocaina e agli studi sugli obesi. Così abbiamo quattro studi, due sui farmaci e due sulla dipendenza naturale, effettuati in differenti istituti accademici da gruppi di ricerca diversi, e pubblicato in un lasso di tempo di cinque anni in quattro diverse riviste scientifiche. E tutti e quattro gli studi dimostrano che la dipendenza da una sostanza e la dipendenza da un comportamento influenzano i lobi frontali del cervello, come un trauma che comporta danni ai lobi frontali.

Per approfondire, leggi: Pornografia e masturbazione compulsiva danneggiano il cervello: la Sindrome frontale

Dipendenza da sostanza, dipendenza da comportamento

Abbiamo visto come i sistemi della dopamina non funzionino in modo normale nelle dipendenze da sostanza o da comportamento, e che possono essere danneggiati. Questo danno – come pure i danni a carico del lobo frontale – può essere evidenziato con scansioni del cervello tramite risonanza magnetica funzionale, PET (tomografia ad emissione di positroni) e SPECT (tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli). Recenti studi, compiuti utilizzando scansioni del cervello, non solo hanno dimostrato anormalità nei casi di dipendenza da cocaina, ma anche nei casi di gioco d’azzardo patologico o di cleptomania o di eccesso di cibo che porta all’obesità. Quindi, non biasimate la scienza che ci dice che una dipendenza è tale non solo quando si dipende da una sostanza (alcol, cocaina, nicotina, eroina…) ma anche quando si dipende da un comportamento e che quel comportamento viene portato avanti a tutti i costi, spesso in modo distruttivo per la vita sociale e professionale di una persona. Come indicato nella rivista Science, «per quanto riguarda il cervello, un premio è una ricompensa, indipendentemente dal fatto che provenga dalla chimica o dall’esperienza». Cos’hanno in comune la pornografia e la dipendenza sessuale? Il Dr. Eric Nestler, responsabile della ricerca in neuroscienze al Mount Ceder Sinai di New York, e uno degli scienziati più rispettati a livello mondiale per quanto riguarda le dipendenze, ha pubblicato nel 2005 un articolo sulla rivista Nature Neuroscience intitolato Is There a Common Pathway for Addiction? («C’è un percorso comune per la dipendenza»?). In questo documento, egli afferma che i sistemi di ricompensa della dopamina mediano non soltanto la dipendenza da droghe, ma anche le dipendenze comportamentali (ossia il consumo compulsivo di ricompense naturali), come l’eccessiva assunzione patologica di cibo, il gioco d’azzardo patologico e le dipendenze sessuali. La prestigiosa Royal Society di Londra, fondata nel 1660, pubblica la rivista scientifica più longeva al mondo, la Philosophical Transactions of the Royal Society. Un recente numero ha dedicato diciassette articoli incentrati sulle dipendenze ed è interessante notare che due degli articoli sono stati espressamente dedicati alle dipendenze “naturali”, meglio definite come “dipendenze comportamentali”: al gioco d’azzardo ed all’eccessiva assunzione di cibo.

Apprendimento frenetico

I due studiosi Robert Malenka e Julie Kauer, in un articolo di riferimento pubblicato su Nature del 2007 sui meccanismi che regolano i cambiamenti fisici e chimici che avvengono nelle cellule del cervello nelle persone tossicodipendenti, hanno affermato: «La dipendenza rappresenta una forma patologica di apprendimento e di memoria». Oggi, questi cambiamenti nelle cellule cerebrali vengono definiti «potenziamento a lungo termine» e «depressione a lungo termine», e si parla di plasticità del cervello o del soggetto che cambia o si ricollega. Il Dr. Norman Doidge, neurologo presso la Columbia University, nel sul libro The Brain That Changes Itself («Il cervello che modifica sé stesso»), descrive come la pornografia «resetti» i circuiti neurali. Egli ha osservato in uno studio su alcuni uomini che consumano pornografia su internet che i soggetti sembravano «inquietanti» come i topi che spingevano le leve per ricevere la cocaina nelle famose scatole da sperimentazione di Skinner. Come quei i topi tossicodipendenti, gli uomini erano alla disperata ricerca della prossima dose, cliccando con il mouse sul nuovo e più eccitante video pornografico, proprio come i topi spingevano le leve. La dipendenza da pornografia è un apprendimento “frenetico” ed è forse per questo che molti di coloro che hanno lottato con più dipendenze riportano che questa è stata la più difficile da superare. La tossicodipendenza, seppur potente, è più passiva in una sorta di «pensiero di passaggio», mentre la pornografia visiva, specialmente quella su internet, è un processo neurologico molto più attivo. La costante ricerca e valutazione di ogni immagine o videoclip, grazie alla sua potenza ed al suo effetto, è un esercizio di apprendimento neuronale limitato soltanto dal cervello progressivamente gratificato. La curiosità è quindi fusa nella compulsione, e la necessità di un flusso più ampio di dopamina può guidare la persona in un percorso teso all’aumentare la dose di dopamina dal softcore all’hardcore, fino ad arrivare a comportamenti sessuali illegali (pedo-pornografia, atti osceni in luogo pubblico, violenza sessuale…), in un circolo vizioso distruttivo, esattamente come un eroinomane vuole sempre più dose ed è disposto a commettere anche atti illegali o che mai avrebbero voluto compiere (ad esempio rubare o prostituirsi) per ottenere la propria dose.

Sessualità disumanizzata ed ego straniero

Oltre all’ipofrontalità corticale e al declassamento dei sistemi dopaminergico e mesolimbico, un terzo elemento sembra essere importante per la pornografia e la dipendenza sessuale. L’ossitocina e la vasopressina sono importanti ormoni nel cervello in riferimento alla sessualità. Gli studi dimostrano che l’ossitocina è anche importante nell’aumentare la fiducia negli esseri umani, nel legame emotivo tra partner sessuali, e nel legame con i genitori. È una buona cosa quando questo legame si verifica all’interno di un rapporto con altri esseri umani, ma c’è un lato oscuro: quando la gratificazione sessuale si verifica cronicamente ed abbondantemente nel contesto della masturbazione compulsiva durante la fruizione di materiale pornografico, può portare ad una sorta di «amante virtuale», che si arriva ad amare ben più di qualsiasi amante reale. Il Dr. Victor Cline, nel suo saggio Pornography’s Effects on Adult and Child («Gli effetti della pornografia su adulti e bambini»), descrive questo processo con le seguenti parole: «Nella mia esperienza di terapeuta sessuale, ho appurato che qualsiasi persona che si masturba regolarmente con l’ausilio di pornografia rischia di diventare, nel tempo, un tossicodipendente sessuale, condizionando sé stesso ad assumere una devianza sessuale e/o a turbare un rapporto consolidato con il coniuge o con la fidanzata. Un effetto collaterale frequente è che si riduce drasticamente la loro capacità di amare (ad esempio, ne risulta una dissociazione del sesso dall’amicizia, dall’affetto, dalla cura e da altre emozioni sane e caratteristiche che aiutano i rapporti coniugali). Il loro lato sessuale diventa in un certo senso disumanizzato. Molti di loro sviluppano “un ego straniero” (o lato oscuro), il cui nucleo è una lussuria antisociale priva della maggior parte dei valori. Nel frattempo, l’aumento di masturbazione ottenuto mediante il consumo di pornografia diventa più invadente nelle relazioni della vita reale. Il processo di condizionamento masturbatorio è inesorabile e non regredisce spontaneamente, anzi tende a peggiorare, come tutte le dipendenze, almeno finché il circolo vizioso non viene ad essere spezzato. Il decorso di questa malattia può essere lento ed è quasi sempre nascosto alla vista degli altri. Di solito, è una parte segreta della vita dell’uomo, e come un cancro continua a crescere e a diffondersi. Raramente è reversibile, ed è anche molto difficile da trattare e guarire. La negazione da parte del tossicodipendente di sesso maschile ed il rifiuto di affrontare il problema sono tipici e prevedibili, e questo quasi sempre porta alla disarmonia di coppia e coniugale, a volte il divorzio e – nei casi più gravi – a comportamenti illegali».

Preferire la masturbazione ad un vero partner

Chi vende pornografia, promette un piacere sano ed una liberazione dalla tensione sessuale, ma quello che in realtà spesso offre è la dipendenza e – cronicamente – un calo del piacere con partner reale; come chi vende alcol, nicotina ed eroina promette piacere ma in realtà vende dipendenza e calo dei piaceri ricavabili dalla vita vera. Nel libro Pornified («Pornificato»), Pamela Paul fornisce numerosi esempi di questo atteggiamento, e descrive una persona che ha deciso di limitare il suo uso di pornografia non per questioni morali o religiosi o ancora per il senso di colpa, ma per rivivere il piacere di reali rapporti fisici con le donne. “L’impotenza da porno” nella quale l’uomo sperimenta sessualmente la preferenza del porno piuttosto che di una donna è un fenomeno reale ed in fortissima crescita: l’uomo – con masturbazione e pornografia – ha scariche di dopamina enormi e sempre maggiori, tanto che nessuna donna (moglie o fidanzata) può “competere con essa”. Il sesso con la propria partner appare, al masturbatore compulsivo, una sorta di “minestra riscaldata”, molto meno eccitante delle decine e decine di partner virtuali che può trovare ogni giorno sul proprio smartphone o sul pc. Quando la pulsione sessuale dell’uomo viene deviata in questa direzione, rispetto alla preferenza della sua partner, il Dr. Cline scrive che la moglie può sentirsi molto sola e rifiutata. Un articolo pubblicato sul Journal of Sex and Marital Therapy, ha descritto uno studio che mostra come molte donne vedano le attività pornografiche del loro partner come «una forma di infedeltà»: il tema che attraversa le loro lettere è che l’uomo ha preso l’aspetto più intimo della relazione, la sessualità, che dovrebbe esprimere il legame d’amore tra la coppia ed essere limitata esclusivamente alla relazione, condividendolo invece con innumerevoli donne di fantasia dei video porno. La stragrande maggioranza delle donne in questo studio ha utilizzato la parola «tradimento» per descrivere ciò che il loro partner provava nei confronti della pornografia.

Un triplice amo che porta nel circolo vizioso

La pornografia è un triplice gancio, al pari di un amo usato nella pesca, composto dalla ipofrontalità corticale, dalla retrocessione dopaminergica e dal coinvolgimento dell’ossitocina e della vasopressina. Ognuno di questi ami è potente, ed agisce in modo sinergico con gli altri due, innestandosi nella vita del soggetto, che spesso è scarsa di soddisfazioni personali, sia professionali che sessuali. La pornografia piazza i suoi ami molto rapidamente e profondamente, e mano a mano che la dipendenza progredisce, si stringe rapidamente il nodo della dopamina finché non esiste più via di fuga. La persona è sempre più stretta nel circolo vizioso di ansia -> masturbazione compulsiva -> visione di filmati pornografici sempre più estremi -> maggiore dopamina -> maggiore ansia. Il dipendente sessuale dipende dalla reazione orgasmica che gli procura la dopamina ma, una volta finito l’effetto di quest’ultima, il soggetto ricade nell’ansia che riesce a “curare” solo con una nuova masturbazione.

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Disastro demografico

Perché è così essenziale comprendere la natura della pornografia come qualcosa che può dare dipendenza? Il motivo è che se la consideriamo semplicemente come una cattiva abitudine (esattamente come una volta il fumare sigarette era considerata solo una brutta abitudine e non una dipendenza dalla nicotina) e non troviamo il pieno supporto necessario per superare ogni vera dipendenza, continueremo ad essere in balia del circolo vizioso, sia come individui che come società. La pornografia è il tessuto utilizzato per tessere un arazzo di permissivismo sessuale, che mina le fondamenta stesse della società. Biologicamente parlando, essa distrugge la capacità di una popolazione di sostenersi. Si tratta di una vera e propria catastrofe demografica. Lo scrittore Tom Wolfe su questo tema ha affermato: «Più la pornografia diventa grande, minore è il tasso di natalità». Questa affermazione ha una una validità? Nel 1950, ogni Paese dell’attuale Unione Europea aveva un tasso di fecondità superiore al 2.1, necessario a sostenere una popolazione. Ai nostri giorni, nessuno di questi Paesi arriva a questo tasso, e molti di essi sono in prossimità dell’1.3, definito «il più basso tasso di fertilità», dal quale è virtualmente impossibile risollevarsi. È stato alla fine degli anni ’60 ed ai primi ’70 che questo declino è iniziato, e questo periodo corrisponde proprio all’avvento della rivoluzione sessuale ed alla pornografia su larga scala. Esiste una correlazione diretta tra il crescente dominio culturale della rivoluzione sessuale ed il tasso di natalità in diminuzione, e mentre un nesso di casualità non può essere provato, si può fortemente temere che ciò sia stato – almeno in parte – indotto dall’effetto “feromonico” della pornografia. Naturalmente, il declino demografico è multi-fattoriale e non dipende solo dall’aumento di pornografia e masturbazione compulsiva: l’urbanizzazione, la crisi economica, le donne sul posto di lavoro, l’adattamento del ruolo e le aspettative di vita sempre maggiori sono fattori importanti nell’inversione della piramide della popolazione degli ultimi anni. Ma i fattori primordiali o biologici della sessualità umana e la stabilità della famiglia sono primari e, a mio parere, non sono stati adeguatamente ponderati. Nel 1934, l’antropologo di Cambridge J. D. Unwin pubblicò il libro Sex and Culture («Sesso e Cultura»). In esso, Unwin ha esaminato ottantasei culture abbracciando 5.000 anni per quanto riguarda gli effetti della promiscuità sessuale e della selettività sessuale. La sua prospettiva è rigorosamente laica, e le sue conclusioni non risiedono certo nel dogma moralistico o nella religione. Egli ha dimostrato, senza eccezioni, che le culture che hanno praticato una monogamia stretta in vincoli coniugali hanno saputo tirar fuori quelle che lui chiama le «energie creative sociali», e hanno raggiunto lo zenit della produttività. Al contrario, le culture che non avevano alcun sistema di controllo sulla sessualità, sono state, senza eccezione, deteriorate dalla mediocrità e dal caos. In Houposia, The Sexual and Economic Foundation of a New Society, pubblicato postumo, Unwin sintetizza il suo pensiero in queste parole: «Nella storia umana, non c’è un solo esempio di società che abbia conservato le sue energie dopo una generazione completamente nuova che ha ereditato la tradizione di non insistere nella continenza pre e post-nuziale […]. La prova è che in passato una classe sociale che aveva raggiunto una posizione di predominio politico a causa della sua grande energia e che, nel periodo della sua crescita, aveva regole sessuali molto severe. Mantenendo la sua energia, essa ha dominato la società nella misura in cui ha mantenuto la continenza pre e post-matrimoniale». Non conosco eccezioni a queste regole.

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La pornografia come un lanciafiamme

L’antropologo J. D. Unwin ha anche descritto ciò che può essere chiamato la «distrazione dopaminergica», nella quale domina la ricerca del piacere e la produttività viene diminuita. Will Durant (1885-1981), in The Lessons of History («Le lezioni di Storia»), ha scritto che «il sesso è un fiume di fuoco che dev’essere deviato e raffreddato da un centinaio di restrizioni, altrimenti porta al caos sia l’individuo che il gruppo». Se «il sesso è un fiume di fuoco», la dopamina e le altre droghe sono il carburante del cervello. Come degli astronauti siamo in grado di cavalcare questa energia fino ai cieli, oppure esserne consumati fino all’esaurimento, a seconda che siamo sopra i motori nel modulo di comando o sotto di essi, essendo esposti al calore.

Il dr. Henry A. Bowman ha affermato: «Nessuna persona davvero intelligente brucerà una cattedrale per friggere un uovo, anche solo per soddisfare un appetito vorace». Eppure, oggi il lanciafiamme della pornografia sta incendiando molte cattedrali d’amore coniugale e familiare. Plaudo gli sforzi in corso per rafforzare le leggi, ma nel nostro ambiente giuridico e sociale non possiamo dipendere dal governo della moderazione. Dobbiamo affrontare la realtà secondo cui in un modo o nell’altra la pornografia finirà per colpire praticamente ogni famiglia o rapporto. Il dr. Jason Carroll e i suoi colleghi hanno pubblicato un documento ampiamente citato nel Journal of Adolescent Research che mette in luce la portata di questo problema. Secondo questo documento, che ha esaminato i dati provenienti da cinque Università, l’87% dei maschi e il 31% delle femmine consuma pornografia. Questo dato supera tutte le barriere religiose, educative e sociali.

Per la maggior parte della nuova generazione, la pornografia è diventata il normale punto di riferimento per l’educazione sessuale, come un negozio di caramelle in internet, che insegna che il sesso è fisicamente ed emotivamente innocuo, privo di conseguenze negative. Uomini e donne sono soltanto droghe visive da utilizzare e gettare, e il sesso solo un piacere personale: basta un pc o uno smartphone per chiudersi in camera per giorni e masturbarsi con un numero illimitato di donne/uomini e video porno. La verità, naturalmente, è che coloro che effettivamente recitano nella pornografia vengono spremuti e buttati dagli stessi pornografi, sono la «gente usa e getta», come li ha definiti il dr. Charles Everett Koop.

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Aiuto per la guarigione

La descrizione del dr. John Mark Chaney riguardante la dipendenza da pornografia, mette l’accento sulla difficoltà di cura: «A volte perfino i professionisti della salute  come psichiatri e psicoterapeuti non riescono a capire il potere della compulsione che la gioventù si trova a dover affrontare, e non è raro che la scuola, la religione o i professionisti del settore privato sostengano un semplice piano di trattamento basato unicamente sulla forza di volontà o sul carattere morale. Dal momento che la pornografia e la masturbazione compulsiva possono essere considerate una dipendenza comportamentale, certi approcci come “basta dire no” o – per i religiosi “Dio non vuole che tu ti masturbi”, rischiano di creare soltanto più frustrazione e una controproducente immaginazione […]. Le modalità di intervento e il trattamento devono riconoscere il problema come una dipendenza completa, e trattarlo con le stesse considerazioni riservate alle sostanze chimiche come alcol, cocaina ed eroina». Per quanto riguarda la guarigione, il dr. Victor Cline sostiene: «Ho scoperto che ci sono quattro fattori principali che devono essere presi in considerazione per il successo nel recupero. In primo luogo, l’individuo deve essere personalmente motivato ad essere liberato dalla sua dipendenza e possedere una certa volontà per fare tutto il necessario per raggiungere il successo. Non si può mai costringere una persona a guarire se essa non lo vuole […]. In secondo luogo, è necessario creare un ambiente sicuro, che riduca drasticamente l’accesso alla pornografia o ad altro materiale connesso ad essa […]. In terzo luogo, egli dovrebbe affiliarsi ad un gruppo di supporto delle dodici tappe […]. In quarto luogo, l’individuo deve necessariamente contattare un consulente/terapeuta che ha avuto una formazione specifica e di successo nel trattamento della dipendenza sessuale». E’ importante, per l’intera società, cercare di mostrare comprensione per quelli già «catturati», che vivono nella vergogna e nel segreto: svergognarli non li guarirà mai. Jeffrey R. Holland, quando era presidente della Brigham Young University, ha affermato: «Quando un malconcio nuotatore tenta coraggiosamente di tornare a riva, dopo aver combattuto forti venti e onde altissime che non ha mai affrontato prima, quelli che di noi avrebbero maggior giudizio, o forse maggior fortuna, non dovrebbero certo andare verso di lui, percuoterlo con i remi e spingere la sua testa sott’acqua». Allo stesso modo un dipendente comportamentale sessuale andrebbe capito ed aiutato e non certo deriso o allontanato.

La masturbazione compulsiva e l’abuso di materiale pornografico sono droghe che producono una trappola neurochimica di dipendenza comportamentale, imprigionando la persona in un circolo vizioso difficile da spezzare da soli. Se credi di avere un problema di dipendenza da porno online e masturbazione compulsiva, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, riuscirai a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenze tra diabete mellito ed insipido: glicemia, vasopressina, poliuria e polidipsia

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Obesità Cancro EmorroidiIl diabete insipido (DIN) è una malattia rara che – a causa del nome – viene spesso confusa con il diabete “più famoso”, cioè il diabete mellito. Il diabete mellito (di tipo 1 e 2) ed il diabete insipido, hanno effettivamente dei tratti in comune; entrambi sono caratterizzati da:

  • Poliuria: cioè urinare molto; la diuresi è maggiore di 2500-3000 ml nelle 24 ore e si associa nicturia (necessità, anche molto frequente, di eliminazione dell’urina durante il riposo notturno);
  • polidipsia: cioè una sete insaziabile.

Fatta eccezione per questi sintomi, il diabete insipido è molto diverso dal più diffuso diabete mellito e non esiste nessun tipo di correlazione accertata tra i due, che portano ai prima citati sintomi corrispondenti, tramite due meccanismi eziologici completamente diversi.

La glicemia nel diabete insipido è normale
Nel diabete insipido non si riscontrano alterazioni nella concentrazione di glucosio nel sangue e nelle urine, che dagli esami risultano quindi nella norma, al contrario di quello che accade nel mellito. Nel caso del diabete insipido, infatti, l’eccessiva quantità di urina non è la conseguenza di valori troppo alti di glucosio nel sangue dovuti ad un mancato o cattivo funzionamento dell’insulina, bensì è causata da un’alterazione della produzione, della secrezione o dei meccanismi di funzionamento dell’ormone vasopressina (l’ormone antidiuretico) da parte dell’ipotalamo e dell’ipofisi posteriore, o dalla sua mancata attività a livello renale.

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Ormone antidiuretico
Nel caso di mancata produzione di vasopressina si tratta di diabete insipido centrale, ADH-sensibile o neurogenico, nel secondo caso di diabete insipido nefrogenico o ADH-insensibile (perché non si può correggere con la somministrazione di vasopressina). Il diabete insipido può essere completo o parziale, permanente o temporaneo. La vasopressina agisce a livello renale stimolando il riassorbimento di acqua ed opponendosi alla diuresi, per questo il sintomo principale del diabete insipido è la produzione di grandi quantità di urine diluite associate a sete intensa.

Diverse cause
Il diabete mellito è causato principalmente da patologie genetiche, l’insulinoresistenza di tipo A, il leprecaunismo, la Sindrome di Rabson-Mendenhall, le sindromi lipodistrofiche, il sovrappeso e l’obesità, la pancreatite, la fibrosi cistica, l’emocromatosi e il tumore del pancreas.
Il diabete insipido riconosce invece come cause altre patologie, come tumori ipofisari o per metastasi, traumatismi, operazioni neurochirurgiche, encefalite, meningite, patologie ereditarie o genetiche (alterazione dei recettori di tipo 2 della vasopressina, o deficit di acquaporina 2 a livello dei tubuli collettori renali).

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Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale del diabete insipido si effettua escludendo la polidipsia psicogena, il diabete mellito e l’abuso di diuretici. La determinazione dell’osmolarità urinaria dopo prova di assetamento o dopo amministrazione di arginina-vasopressina è diagnostica.

  • Prova di assetamento. In un soggetto sano comporta un aumento dell’osmolarità. Nel diabete insipido questa resta <300mOsm/L, mentre l’osmolarità plasmatica è superiore a 295. Non bere per lungo tempo può provocare una disidratazione ipertonica senza perdita di elettroliti.
  • Test secondo Hickey-Hare. Se si sospetta un’assunzione di liquidi durante la prova di assetamento, si somministrano soluzioni ipertoniche che procurano risultati fisiologici e patologici identici alla prova da assetamento.
  • Test alla desmopressina. Controindicata in caso di insufficienza coronarica per i suoi effetti vasospastici. Dopo questa somministrazione l’osmolarità urinaria aumenta in caso di diabete insipido centrale, ma non nel nefrogenico.

La determinazione dell’ADH è raramente necessaria. In caso di polidipsia psicogena sia l’ADH che l’osmolarità urinaria si elevano. Occorre escludere un tumore ipofisario o ipotalamico mediante tomografia computerizzata o imaging a risonanza magnetica.

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Diabete gestazionale: cos’è e quali sono i rischi per il feto e la madre

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA DIABETE GESTAZIONALE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA VERDURA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DIGESTIONE STOMACO CALORIE METABOLISMOPer diabete gestazionale si intende un aumento dei livelli di glucosio che si manifesta o viene rilevato per la prima volta nel periodo della gravidanza.
Questa condizione si verifica nel 8% nelle donne incinte. Generalmente, il diabete gestazionale tende a scomparire al termine della gravidanza, tuttavia, le donne che ne hanno sofferto presentano un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2 in età avanzata. Esistono dei fattori di rischio come l’obesità e la familiarità con un paziente diabetico che possono accrescere sensibilmente la probabilità di andare incontro a questa forma di diabete.

Sintomi del diabete gestazionale
Il diabete gestazionale si manifesta con sintomi poco evidenti e passa spesso inosservato alle donne. Tuttavia attraverso un’attenta analisi delle condizioni della gestante è possibile intuirne la presenza.
I sintomi da controllare sono: l’aumento ingiustificato della sete, il frequente bisogno di urinare, la perdita di peso corporeo, i disturbi della vista e le infezioni frequenti, come cistiti e candidosi.

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Terapia del diabete gestazionale
La cura del diabete durante la gravidanza avviene fondamentalmente attraverso una dieta finalizzata a garantire il giusto apporto calorico necessario alla crescita del feto, a preparare l’organismo materno al parto e all’allattamento, oltre che ad evitare episodi di ipoglicemia o iperglicemia per l’organismo della madre. Non può comunque prescindere dalla pratica dell’attività fisica.
La terapia con insulina si rende necessaria solo quando, nonostante il rispetto dell’alimentazione prescritta dal diabetologo o dal dietologo, i valori della glicemia risultano superiori ai valori ritenuti normali per la gravidanza.
Nel caso del diabete gestazionale, l’autocontrollo della glicemia è fondamentale per tenere sotto controllo l’evolversi della malattie e valutare l’efficacia della terapia.

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Rischi per la madre e per il feto nel diabete gestazionale
Pur essendo una condizione transitoria, se non viene diagnosticato ed adeguatamente curato, può portare a delle conseguenze, sia per la madre che per il feto. In presenza di diabete gestazionale non esiste alcun rischio per la vita del bambino, ma è comunque importante controllare al meglio i valori glicemici per evitare complicanze.
Tra queste, la più conosciuta e diffusa è chiamata macrosomia, ovvero un eccessivo sviluppo del feto rispetto alla sua età gestazionale, con peso alla nascita superiore ai 4-4,5 kg.
Il motivo di questo eccesso ponderale va ricercato nella grande disponibilità di glucosio (zucchero) legata all’iperglicemia materna. Per le notevoli dimensioni, il feto può incontrare importanti difficoltà durante il passaggio nel canale del parto, richiedendo in molti casi il ricorso al parto cesareo (anche se in tal senso, il diabete gestazionale non rappresenta un indicazione assoluta). In caso di parto naturale, quindi, per la madre aumentano i rischi di lacerazione vaginale (fino all’interessamento dello sfintere anale) ed emorragie post-partum, mentre il nascituro corre un maggior rischio di frattura e distocia di spalla. Al momento del parto, inoltre, il nascituro può subire una crisi ipoglicemica, dal momento che – essendo abituato a vivere in un ambiente iperglicemico – può risentire della brusca diminuzione degli zuccheri al momento del distacco del cordone ombelicale.

Altre complicanze del diabete gestazionale
Altre possibili complicanze alla nascita sono rappresentate dall’iperbilirubinemia, dall’ipocalcemia e dalla sindrome da distress respiratorio.
Un cattivo controllo metaboilico del diabete gestazionale può dare origine a complicazioni ipertensive e facilitare l’insorgenza di diabete materno nel post-partum. Le donne affette da GDM costituiscono infatti una popolazione ad elevato rischio per lo sviluppo del diabete mellito tipo 2 negli anni successivi: per entrambe queste due forme di diabete sono infatti simili i più importanti fattori di rischio, quali obesità, distribuzione viscerale del tessuto adiposo e familiarità per diabete.
La macrosomia, al pari della condizione opposta, sembra aumentare il rischio di obesità e sue complicanze tardive (diabete di tipo II, aterosclerosi, ipertensione) nell’infanzia e nelle successive fasce di età .
Come anticipato nella parte introduttiva, il diabete gestazionale non comporta normalmente abortività o malformazioni, comunque possibili nel caso in cui l’iperglicemia cronica sia già presente al momento del concepimento ma ancora all’oscuro della gestante e dello staff medico. Tutto ciò contribuisce a sottolineare l’importanza di una visita pre-concepimento nel momento in cui la gravidanza è ancora ricercata. Sia chiaro che anche una donna diabetica può portare a termine una gravidanza con serenità e senza alcuna complicanza, ma è fondamentale che il concepimento sia preceduto da un preventivo consulto medico e da un controllo ottimale del diabete prima, durante e dopo la gravidanza. Il concepimento e le primissime settimane di gestazione, in particolare, devono avvenire in una situazione di perfetto controllo glicemico.

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Differenze tra il diabete di tipo 1 e 2 (insulino dipendente e resistente)

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE DIABETE TIPO 1 2 INSULINO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, una volta rispettivamente chiamati “insulino dipendente” ed “insulino resistente”, sono due patologie che vengono spesso confuse, anche perché in effetti portano entrambe ad una alterazione dei livelli glicemici nel sangue, tuttavia sono patologie profondamente diverse per eziologia, diffusione, sintomi e terapie. Vediamo quali sono queste differenze.

Diabete mellito di tipo 1 (insulino dipendente)
Il diabete mellito di tipo 1 (DM1), anche detto diabete insulino dipendente (o anche diabete giovanile, perché la sua insorgenza è abitualmente più precoce) si manifesta quando il pancreas non è in grado di produrre adeguata insulina: non potendo contare sulla propria produzione di questo ormone, chi ha questa forma di diabete è costretto a somministrarsi insulina per mantenere sotto controllo la glicemia. La terapia per il diabete di tipo 1 è quindi di tipo insulinico, con il paziente che deve somministrarsela tramite iniezione, in genere almeno 4 volte al giorno, o attraverso microinfusori. In genere, ha un esordio rapido, brusco, con variazioni stagionali e differenze geografiche. Diverse evidenze indicano che si tratti di una malattia autoimmunitaria (l’organismo distrugge parte delle sue stesse cellule). I fattori di rischio non sono conosciuti con certezza. Alcuni esperti hanno ipotizzato un coinvolgimento di infezioni virali intrauterine, predisposizione genetica ed altri.

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Diabete mellito di tipo 2 (insulino resistente)
Il diabete di tipo 2 (DM2), anche detto diabete insulino resistente, molto diffuso tra pazienti obesi, è la forma di diabete più frequente che si sviluppa in età adulta, oltre ad essere la forma di diabete più diffusa in assoluto nella popolazione ed in forte crescita negli ultimi anni. Si manifesta quando il pancreas produce una corretta quantità di insulina che però non riesce a svolgere la sua funzione a causa della resistenza delle cellule bersaglio, ciò porta nelle fasi iniziali della patologia ad una iperproduzione compensatoria di insulina da parte del pancreas (al contrario del diabete di tipo 1) che però cronicamente tende a diminuire nelle fasi successive della malattia. Il diabete di tipo 2 è legato a uno stile di vita scorretto, caratterizzato da un’alimentazione non equilibrata e da una scarsa attività fisica. Questa forma ha anche una forte caratterizzazione genetica, per cui tende a essere ereditario: chi ha genitori o parenti diabetici ha maggiore probabilità di sviluppare la patologia. Derivando molto spesso da abitudini non equilibrate, la correzione dello stile di vita è il primo presidio terapeutico per questa forma di diabete. Nel caso ciò non fosse sufficiente a tenere sotto controllo la glicemia – ed in molte persone accade anche se lo stile di vita è perfetto – occorre intervenire con i farmaci.

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Le differenze tra i due tipi di diabete appaiono chiare guardando la seguente tabella:

                                               Diabete di tipo 1                          Diabete di tipo 2

  • Insulina:                       Scarsa o mancante                     Normale/eccessiva
  • Sintomi:                        Evidenti                                       Assenti nelle fasi iniziali
  • Insulinodipendenza:  Si                                                   No nelle fasi iniziali
  • Peso:                              Generalmente normale            Sovrappeso, obesità
  • Cause:                            Forse autoimmunitarie            Stile di vita, ereditarietà
  • Esordio:                         Brusco                                         Graduale
  • Età:                                 Prima dei 35 anni                      Dopo i 35 anni
  • Complicazioni:            Molti anni dopo                          Evidenti alla diagnosi
  • Terapia iniziale:          Insulina                                        Dieta, esercizio, farmaci

Uno stile di vita sano è fondamentale in entrambi i tipi di diabete mellito: il paziente deve seguire una dieta libera ma equilibrata e mantenersi in forma con l’attività fisica.

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Sindrome da abbandono: terapie e consigli per affrontarla e guarire

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Come superare la sindrome da abbandono?

I trattamenti della sindrome da abbandono includono principalmente psicoterapia e terapia farmacologica, ma nei casi meno gravi anche dei semplici consigli possono migliorare di molto la situazione. Cominciamo da quest’ultimi.

Cinque consigli per affrontare la sindrome da abbandono

Di seguito riporto i cinque migliori consigli che mi sento di dare a chi soffre di sindrome dell’abbandono, fermo restando che, nei casi più complessi, sarà necessario l’intervento di un professionista della salute che aiuti il paziente a gestire e superare questa situazione.

1) Avere consapevolezza

Come per molti altri comportamenti disfunzionali, la parola chiave è consapevolezza. Ammettere a noi stessi di avere paura dell’abbandono è il primo passo verso la trasformazione. Immagina questa tua paura come un mostro tenuto chiuso nell’armadio del tuo inconscio: col tempo il mostro diventerà sempre più pauroso ed ingestibile. Il tuo obiettivo è farlo uscire da li, da solo o con un aiuto esterno: solo così potrai analizzarlo, affrontarlo, ridimensionarlo, svuotarlo del potere che ha su di te.

2) Dai importanza alla tua Identità

Quando siamo innamorati, sopravvalutiamo l’altro, che ci sembra perfetto così com’è. In realtà, stiamo trasferendo all’altro tutte le qualità che vorremmo avere noi. Quando poi la relazione finisce, ci sentiamo persi, come se non valessimo niente senza l’altro a fianco. Piuttosto che cercare nell’altro le qualità che non abbiamo e che vorremo avere, cerchiamo di costruircele dentro di noi.

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3) Il bicchiere è mezzo pieno, sempre

Spesso il distacco porta con sé anche degli aspetti positivi, anche se non riusciamo a notarli per via del trasporto emotivo. Tutto accade per una ragione: se una relazione – di qualsiasi tipo – arriva al capolinea è perché non è più adatta a noi. Quando lasciamo passare un po’ di tempo e ci guardiamo indietro, ci accorgiamo di come il distacco sia stato un’importante fonte di riflessione, una ricchezza che ci ha fatto crescere, ci ha fatto vedere il mondo da un altro punto di vista e ci ha offerto più opportunità. Quello che stai affrontando ora è uno stimolo verso situazioni nuove e migliori per noi. Non c’è nulla di cui avere paura, c’è invece tutto da imparare.

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4) Godi  delle relazioni che hai ora

Il qui ed ora è l’unico momento che esiste, l’unica certezza che hai. Preoccuparsi delle cose prima che accadano è assolutamente inutile. Nulla è per sempre, siano essi momenti belli o brutti. Godi delle relazioni che hai ora, esattamente nel luogo in cui ti trovi con le persone di fianco a te. Non pensare a eventi negativi che in futuro potrebbero portarti via la persona amata, ma cerca di godere del dono che ti è stato fatto.

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5) Smettila di generalizzare

Generalizzare ci porta a distorcere la realtà e a cancellare i dettagli che invece fanno la differenza. Così finiamo per non vedere le vie di mezzo, e pensiamo in termini di tutto o niente, bianco o nero. Il fatto che un uomo o una donna ci abbia lasciato non significa che tutti gli uomini e tutte le donne siano uguali e si comportino allo stesso modo. Generalizzare ci allontana dalla fiducia, che invece è il pilastro su cui si dovrebbero fondare le nostre relazioni.

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Trattamento psicoterapico della sindrome da abbandono

Qualsiasi sia la manifestazione di questa sindrome e l’età di chi la subisce è sempre utile una psicoterapia comportamentale e/o psicodinamica per prendere consapevolezza del proprio vissuto emotivo, far emergere emozioni, sentimenti, pensieri così da imparare a conoscerli e a gestirli. Grazie ad un corretto approccio psicoterapeutico si possono creare le basi per una maggiore autostima, per l’acquisizione di una consapevolezza del fatto che il paziente deve essere il primo a prendersi cura di sé stesso, superando il timore della perdita. La possibilità di poter contare su sé stessi diventerà inversamente proporzionale alla paura di essere abbandonati e quindi alla dipendenza dall’altro. Inoltre si arriverà ad avere la consapevolezza che vivere una relazione sana significa dare alla propria identità la possibilità di manifestarsi e non annullarsi in toto nei confronti dell’altro per paura di perderlo e per esserne accuditi.

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Trattamento farmacologico della sindrome da abbandono

Riguardo al trattamento della sindrome da abbandono, oltre alla psicoterapia, in alcuni casi più gravi, in cui la sindrome arriva a compromettere il funzionamento sociale, relazionale e/o professionale del paziente, può essere utile anche un parallelo approccio farmacologico, ovviamente sotto stretto controllo medico. Le categorie di farmaci più usati per curare i sintomi della sindrome sono: ansiolitici (come il Buspirone, utilizzato per la cura dell’ansia CRONICA di media e grave entità), benzodiazepine (come il Diazepam e l’Alprazolam) ed antidepressivi (come il Prozac ed il Citalopram).

Se credi di soffrire di sindrome da abbandono ed hai bisogno di supporto, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati e – se necessario – ad una terapia farmacologica mirata, ti aiuterò ad affrontare e superare questo momento difficile.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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