Mangiare cioccolato migliora la circolazione e ti fa correre più veloce

Se state cercando un consiglio per correre più veloci e più a lungo, potreste provare mangiando 40 grammi di cioccolato fondente al giorno. Sono ormai numerosi gli studi che esaltano le proprietà del cioccolato fondente, una recente ricerca condotta da un gruppo di esperti della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) ha allungato la lista dei benefici concludendo che il cioccolato fondente protegge la salute dai rischi associati all’irrigidimento delle arterie e migliora le prestazioni nella corsa. Una ricerca tutta italiana, pubblicata sul Journal of the American Heart Association, (Dark Chocolate Acutely Improves Walking Autonomy in Patients With Peripheral Artery Disease – doi: 10.1161/ JAHA.114.001072 – Luglio 2014)conferma ancora una volta i benefici per la salute del cioccolato fondente, ricco di polifenoli. Analizzando i dati raccolti si è constatato che il cioccolato fondente migliorava la resistenza dei pazienti di circa un 11% e la loro velocità, una certa distanza veniva infatti percorsa con un risparmio del 20% del tempo. Si è così scoperto che il cioccolato fondente aiuta a correre più veloci e più a lungo.

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Pillole “al cioccolato”: la medicina per il cuore

MEDICINA ONLINE CIOCCOLATO DOLCIPillole “al cioccolato” in sperimentazione per difendere la salute del nostro cuore cuore e dei nostri vasi sanguigni, sempre più minacciati da fumo di sigaretta, poca attività fisica, stress e cattiva alimentazione.
Lo studio in questione è coordinato da JoAnn Manson, del Brigham and Women’s Hospital di Boston, insieme a ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle: da oggi in poi decine di migliaia di americani prenderanno per i prossimi quattro anni una compressa contenente i principi attivi del cioccolato, per verificare se grazie ad essi si può ricavare un beneficio preventivo per la salute cardiovascolare

I preziosi flavonoidi

Il cioccolato – specie quello fondente – è divenuto negli ultimi anni protagonista di non pochi studi scientifici che ne attestavano le sue virtù preventive contro infarto e ipertensione arteriosa. Per questo un’istituzione prestigiosa come l’ospedale di Boston ha deciso di studiare il fenomeno con metodo scientifico, quello con cui si sperimenta l’efficacia di qualsiasi potenziale farmaco. Poiché i ricercatori sospettano che le virtù del cioccolato si annidino negli antiossidanti del cacao, chiamati flavonoidi, gli esperti hanno creato una compressa contenente dosi concentrate di queste sostanze. Gli esperti coinvolgeranno in tutto 18 mila individui di entrambi i sessi e daranno loro due pillole di cioccolata al giorno, confrontando a lungo termine l’efficacia di queste pasticche con quella di pillole placebo non contenenti alcun principio attivo. I primi risultati, dicono gli esperti, saranno disponibili da qui a tre anni. Ma lo studio sarà finanziato in buona parte da un produttore di cioccolato e, afferma Beatrice Golomb della University of California San Diego in un commento sul Boston Globe, gli studi finanziati da industrie danno con maggiore probabilità risultati favorevoli. Chissà come mai!

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Colesterolo alto: come abbassarlo con i “cibi SI”e tenerlo sotto controllo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO HAMBURGER PATATINE FRITTE PATATE PANINO FAST FOOD JUNK FOOD FRITTI DIETA DIMAGRIRE GRASSI (4)Molti sono i fattori che possono incidere sulla quantità di colesterolo nel sangue: l’età, il sesso, la mancanza di attività fisica, il fumo, lo stato di salute generale e per le donne la menopausa. Gli alimenti hanno un ruolo molto importante per mantenere sano il cuore, si parla di quelli da consumare con parsimonia, dal burro alla carne rossa, ma poco si sa degli alimenti da inserire nella dieta di tutti i giorni per prevenire l’innalzamento dei valori del colesterolo. Vediamo qui di seguito le virtù e i difetti dei principali alimenti.

I “Cibi Sì”

I legumi

Sono l’alimento vegetale più ricco di proteine, anche se il loro apporto proteico non è paragonabile a quello della carne o del pesce. Tuttavia il loro abbinamento con i cereali (grano, orzo, avena e riso…) ne valorizza e completa il quadro proteico, come dimostra la tradizione dei popoli del mondo: in oriente riso e soia o azuki, mais e fagioli rossi in Messico, pasta e fagioli in Italia.

Come consumarli

Sia allo stato fresco che allo stato secco. Ovviamente i legumi freschi, rispetto a quelli secchi, hanno una percentuale di acqua molto superiore (dal 60 al 90% contro il 10-13%) e quindi a parità di peso hanno un contenuto inferiore a livello proteico, glucidico e calorico. Quando sono freschi dunque non si differenziano di molto dalle verdure fresche. Molto più interessanti per il loro valore nutrizionale si rivelano invece i legumi secchi, ricchi di proteine, carboidrati e sali minerali (calcio, fosforo) ma anche di ferro, zinco, magnesio e piccole quantità di vitamine B1,B2, PP, A, E. Oltre ad essere un alimento con molte proprietà nutrizionali, i legumi sono sempre più presi in considerazione dai nutrizionisti per le qualità extranutrizionali. Grazie alla presenza di particolari fibre (come le pectine) sono sicuramente uno dei migliori alleati naturali per diminuire i livelli di colesterolo nel sangue. Inoltre, questi preziosi semi contengono particolari sostanze come le saponine, che legano il colesterolo e ne facilitano l’eliminazione, impedendone in questo modo l’assorbimento.

Come evitare alcuni possibili inconvenienti

Come è stato già detto, è importante abituare l’intestino ai legumi gradatamente, in modo tale da far crescere i nuovi enzimi in grado di compiere il delicato lavoro di digestione. Si possono inizialmente usare legumi decorticati, come le lenticchie rosse, che non hanno la fibra esterna ricca di zuccheri indigesti. Queste si possono usare per preparare delle zuppe a base di verdure e patate che hanno una funzione addensante. Successivamente e gradatamente si possono aggiungere i legumi con il rivestimento esterno, come ceci o fagioli in una minestra oppure ad un’insalata di riso o di verdure, per poi passare a veri e propri secondi piatti.

La cottura dei legumi secchi

Regola di fondamentale importanza per ottenere un buon risultato è quella di mettere i legumi a bagno in acqua fredda per qualche ora o addirittura tutta la notte (vedi tabella) perché questi semi, oltre che di proteine, sono ricchi anche di amidi, che se non hanno assorbito acqua a sufficienza, rischiano di compromettere la buona cottura dei legumi che rimarranno duri. Durante l’ammollo è meglio cambiare spesso l’acqua perché in acqua si perdono delle sostanze che ostacolano l’assorbimento di alcuni sali minerali come il ferro. Un buon risultato è garantito oltre che da un adeguato tempo di ammollo, anche da una cottura lenta e graduale. È consigliabile poi aggiungere all’acqua fredda di cottura, erbe aromatiche come salvia, rosmarino, timo, alloro, che oltre ad apportare sostanze antiossidanti e sali minerali, aiutano a digerire meglio i legumi ed a ridurre la comparsa di fastidiosi gas intestinali. Per rendere i legumi morbidi aggiungere il sale verso la fine della cottura. Attenzione poi all’età dei legumi: se troppo vecchi non arriveranno mai a reidratarsi nel modo giusto per quanto bicarbonato si aggiunga in cottura o in ammollo.

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Gli omega-3, amici del cuore e non solo

Non tutti i grassi sono nemici della salute, quelli contenuti nel pesce ne sono un chiaro esempio. Il pesce contiene grassi di qualità superiore (omega-3) e anche in minor quantità rispetto agli altri prodotti di origine animale. Basta pensare che i grassi contenuti in 100 g di mozzarella, sono uguali a quelli di 6,50 Kg di merluzzo. Numerosi studi confermano il ruolo positivo del pesce nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, e nel controllo del livello di colesterolo e trigliceridi nel sangue. Infatti i grassi contenuti nel pesce hanno un alto potere antinfiammatorio, favoriscono la fluidificazione del sangue, abbassano il tasso dei trigliceridi nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica e sono dei buoni antiaritmici. Il pesce più ricco di omega-3 è quello azzurro, quello che vive nei paesi freddi e quello selvatico (es. alici, sarde, sgombri). Gli acidi grassi omega-3 sono presenti solo in pochi organismi vegetali: oltre che nelle alghe si trovano anche nei semi di lino, nella soia, nelle noci e in diverse erbe selvatiche. Il pesce si è rilevato, inoltre, un valido alleato per chi ha difficoltà a mantenere il peso forma: è un alimento poco calorico rispetto alle altre fonti proteiche, come evidenziato da questi esempi:

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Contrariamente a quello che si crede, il pesce (soprattutto quello di mare) ha lo stesso valore proteico della carne bovina, in quanto contiene le stesse quantità di aminoacidi essenziali, quelli che il nostro organismo non riesce a sintetizzare, ma ricava solo attraverso la dieta. Le fibre del pesce contengono più acqua e meno tessuto connettivo rispetto alla carne, rendendolo così un alimento molto digeribile, adatto a tutti, dagli anziani ai bambini.

Come cucinare il pesce

Per i motivi appena spiegati, il pesce dovrebbe avere un posto di primo piano nella nostra dieta ed essere presente da due a tre pasti ogni settimana. La scarsa informazione sul valore nutrizionale e l’idea molto diffusa, a torto, che il pesce sia difficile da cucinare fanno sì che questo alimento sia poco consumato dagli italiani. Per valorizzare al meglio le proprietà dietetiche del pesce e soprattutto la sua digeribilità, è meglio utilizzare tecniche di cottura leggere e condimenti con pochi grassi. Con il caldo estivo è da preferire la cottura alla griglia, veloce, pratica e nello stesso tempo leggera. Altrettanto sane e gustose sono le cotture al cartoccio, al forno ed alla crosta di sale, che sfruttano il normale contenuto di grassi del pesce e che sono poco impegnative e rapide. La bollitura, altra tecnica di cottura usata per preparare il pesce, è da preferire per le zuppe, perché diversamente si rischia di perdere in acqua importanti nutrienti. La frittura, senza dubbio saporita, rende il pesce molto più calorico e poco digeribile, ed è consigliabile solo occasionalmente.

I Cibi “No”

Burro e Margarina

Burro e margarina sono due prodotti che spesso vengono messi sotto accusa, soprattutto quando si parla di patologie del cuore. Per mantenere il cuore sano, tutti i nutrizionisti sono d’accordo nel dire che è meglio cucinare e condire con l’olio extravergine d’oliva, piuttosto che con i grassi solidi. Bisogna essere morigerati e usarne il meno possibile, ma questo non significa rinunciare ad una fetta di dolce natalizio, ad una cena al ristorante o ancora ad un momento di festa. In piccole quantità, soprattutto a crudo, il burro può completare un piatto e renderlo molto saporito. Questo condimento, che nasce dalla panna, contiene meno calorie dell’olio a parità di peso, ma al contrario di questo è ricco di grassi animali e di colesterolo. La margarina, considerata un’alternativa al burro, può essere a base di grassi idrogenati, ottenuti da oli liquidi che con l’aggiunta di atomi di idrogeno si trasformano in sostanze solide, o non idrogenati, ottenuti separando la parte satura (più dannosa) da quella insatura (parte buona) di una sostanza grassa. È consigliabile evitare quanto più possibile gli alimenti che contengono grassi idrogenati e non idrogenati, accertandone la presenza in biscotti, dolci, merendine, prodotti da forno confezionati, gelati. Tra la margarina ed il burro, è meglio scegliere il burro, da utilizzare comunque in piccole quantità.

Grassi vegetali

Con il termine grassi si identificano quelle sostanze che a temperatura ambiente si trovano allo stato solido e che sono ricchi di acidi grassi saturi (dannosi). Questi ultimi sono anche noti come grassi animali (contenuti in carne, latte, formaggio…), purtroppo non si trovano solo in questi cibi, ma anche in prodotti da forno confezionati quali merendine, biscotti, snack salati, etc. Sulle etichette di molti prodotti si trova spesso riportata la scritta “grassi vegetali” (in genere olio di cocco e di palma). La scritta “vegetale” può trarre in inganno, perché ci fa pensare a qualcosa di leggero. Questi, soprattutto l’olio di cocco, contengono una quantità di grassi saturi superiore a qualsiasi altro grasso animale, in grado anch’essi di contribuire ad innalzare il colesterolo pur essendo d’origine vegetale. Quindi non sempre ciò che è vegetale è sano e non tutto ciò che è animale è sempre dannoso (es. pesce).

Il sale

Il consumo quotidiano consigliato si aggira intorno ai 2-3 grammi, mentre nella pratica comune si arriva a consumarne anche 6 grammi; basti pensare non solo al sale che aggiungiamo al cibo, ma anche e soprattutto a quello che si trova negli alimenti conservati, nei formaggi soprattutto se salati e negli insaccati. Oltre che alla quantità bisogna anche considerare la qualità: non tutto il sale è uguale. C’è una grande differenza tra quello che può essere il sale marino integrale rispetto al comune sale da cucina raffinato. Il sale che compare più spesso sulle nostre tavole è quello raffinato, cioè privato del magnesio, dello iodio e dei moltissimi oligoelementi necessari al nostro organismo. In questo caso ci troviamo di fronte a percentuali altissime di cloruro di sodio (anche il 96%), come il Salgemma, a cui vengono poi aggiunte sostanze contro l’umidità e la formazione di grumi. Anche il processo di essiccazione riveste la sua importanza. Per abbreviare i tempi di lavorazione molti produttori di sale marino integrale, essiccano i loro prodotti in forni speciali, dove il sale può essere sottoposto fino a temperature di 1200°C; in questo caso il cloro evapora e si crea un disequilibrio tra i vari elementi. Per garantire tutte le sue proprietà il sale dovrebbe essere essiccato per alcuni mesi in ambienti areati, dal clima caldo e secco. Un buon sale marino integrale, che presenta tutte queste caratteristiche lo si può tranquillamente trovare nei negozi di alimenti naturali. Anche se usiamo del sale di buona qualità, la regola non cambia: bisogna cercare di usarne poco, in quanto un consumo eccessivo di sale può favorire l’insorgenza di diversi disturbi come l’ipertensione arteriosa, disturbi renali, perdita di calcio (osteoporosi) e maggior rischio di tumore allo stomaco.

Come fare per usarne poco

Occorre ricordare che l’uso del sale può essere sostituito dalla presenza di spezie ed erbe aromatiche, che apportano sapore e gusto pur essendo meno pericolose per l’organismo. In commercio si possono trovare sotto diverse forme e preparati: intere: sono le migliori perché mantengono sicuramente il loro aroma per molto tempo, a patto naturalmente che vengano ben conservate; in polvere: possono essere interessanti dal punto di vista della praticità, ma purtroppo il loro aroma tende ad essere disperso più facilmente; estratti: si rischia però di trovare in questi preparati aromi di sintesi e non estratti naturali. Se tenute con cura non irrancidiscono facilmente e non perdono rapidamente né il loro aroma nè tanto meno il sapore. Questi tipi di aromi non sono da confondersi con l’uso di preparati per gli arrosti o per il pesce, in cui è stata aggiunta una certa quantità di sale nella loro composizione. Inoltre, è da ricordare che, riducendo il sale, gradatamente ci si abituerà a consumarne meno. Attenzione anche al dado da cucina, sicuramente molto pratico, ma spesso ricco di sale e grassi. Naturalmente occorre accostare ad ogni alimento la sua spezia o erba aromatica, ma in questo non esistono regole precise, perché molto dipende dal gusto personale. Qui di seguito vengono dati alcuni esempi di accostamento.

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FONTE DI QUESTO ARTICOLO: https://www.fondazioneserono.org/oncologia/consigli-alimentazione-malati-tumore/alimenti-anti-tumore/come-tenere-sotto-controllo-il-colesterolo/

I migliori prodotti per abbassare il colesterolo e dimagrire

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, che sono estremamente utili per abbassare il colesterolo e dimagrire, fattori che diminuiscono il rischio di ipertensione, ictus cerebrale ed infarto del miocardio:

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I 7 “assi salva-cuore'”: pochi italiani li possiedono tutti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO VERDURA CIBO VEGETALI DIETA DIMAGRIRE CUCINA (2)Sono sette gli “assi salva-cuore” che abbassano il rischio di ictus e infarto:

  1. non fumare;
  2. fare sport;
  3. seguire una dieta sana;
  4. avere la glicemia bassa;
  5. avere la pressione arteriosa nei limiti;
  6. avere il colesterolo nei limiti;
  7. giusto indice di massa corporea (il rapporto tra peso e altezza).

Sette “assi” che mettono al sicuro dai disturbi cardiovascolari. Purtroppo sono ancora troppo pochi gli italiani che posseggono tutti i fattori protettivi. Lo certifica uno studio dei geriatri dell’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli di Roma. In media, gli italiani presentano quattro dei sette fattori considerati dall’American heart association come “protettivi”, solamente due individui su cento li hanno tutti e sette. E una persona su dieci ne presenta meno di tre.

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Tutti in cura con i farmaci anticolesterolo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO FARMACISTA FARMACIA FARMACO PILLOLA COMPRESSA PASTICCA MEDICAMENTO INTEGRATORE ALIMENTARE PRINCIPIO ATTIVO VITAMINE (4)Per buttarla in scherzo si potrebbe dire che, a dar retta alle raccomandazioni americane, a non prendere le medicine anticolesterolo rimarranno solo i bambini. Le nuove linee guida pubblicate un paio di settimane fa dall’American college of cardiology e dall’American heart association su chi e quando dovrebbe prendere le statine hanno suscitato un putiferio. Le nuove indicazioni introducono due sostanziali novità rispetto al passato. La prima è che non c’è più un livello fisso cui mirare nell’abbassare il colesterolo cattivo: si dice solo che i medici devono valutare il rischio complessivo del paziente, se ha già avuto o no un infarto, se ha altre malattie, se è iperteso e, nel caso abbia anche il colesterolo alto, occorre prescrivergli le statine per abbassarlo.

Questo primo cambiamento è stato accolto con favore dalla comunità medica. «Si è riconosciuto che non ci sono prove convincenti che ad abbassare il colesterolo cattivo oltre una certa soglia, il che fra l’altro significa dare al paziente un alto dosaggio di farmaci, si salvino vite» osserva Cesare Sirtori, direttore del Centro dislipidemie dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Si torna a considerare più importante il paziente specifico piuttosto che il dato del colesterolo, come già facciamo in Italia con le carte del rischio sviluppate con il Progetto cuore» aggiunge Aldo Maggioni, direttore del centro studi dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri.

Ma proprio qui nasce il problema. Le linee guida americane raccomandano un nuovo sistema per il calcolo del rischio in base al quale, di fatto, una persona sana con le analisi a posto, che non fuma e non ha altre malattie, più o meno allo scoccare dei 60 anni (58 per un uomo, 63 per una donna) deve iniziare a prendere le statine. Invecchiando si diventa in automatico consumatori di farmaci anticolesterolo? Il buon senso dice che c’è qualcosa che non funziona. Diversi esperti hanno già preso posizione dicendo che il rischio così calcolato è fasullo. Alcuni hanno parlato di «calculator-gate» a proposito del pasticcio di questa storia. Oltretutto contraddittoria: nelle nuove linee guida prima si riconosce che ridurre a ogni costo il colesterolo non è così importante. Ci si aspetta di conseguenza che i medici vengano invitati a prescrivere meno farmaci. E invece alla fine viene fuori un sistema che sicuramente allarga (a dismisura secondo alcuni) la quantità di persone in cura con le statine.

Questi farmaci hanno avuto uno spettacolare successo commerciale negli ultimi trent’anni. In Italia sono al primo posto di spesa fra le medicine per il cuore (12,40 euro a testa l’anno). Eppure, il successo in farmacia non coincide con la loro attuale reputazione. I loro effetti collaterali sembravano irrilevanti vent’anni fa. «Oggi» dice Sirtori «uno su quattro dei miei pazienti ha problemi muscolari o di altro tipo con le statine e mi chiede di smettere di prenderle. Oltre i 70 anni, poi, il colesterolo un po’ alto è un fattore di rischio inferiore a tanti altri. Se poi il colesterolo “buono” ha valori elevati, le statine potrebbero addirittura essere controindicate». In Italia è improbabile che si arrivi a eccessi come quelli americani, dove una persona su quattro oltre i 40 anni prende le statine. Le carte del rischio italiane sono più prudenti. E da noi, più che affidarsi agli algoritmi, il medico di solito visita il paziente, indaga sulle sue abitudini e sulle malattie presenti in famiglia. La ricetta è solo l’ultimo passo, quando i benefici della pillola superano i rischi.

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Vuoi guadagnare 150 euro al mese senza fare nulla per il resto della tua vita? Ecco come fare

In periodi di crisi come quello che stiamo vivendo, il titolo che avete letto qui sopra credo faccia parecchio effetto. Ora che ho attirato la vostra attenzione mi accingo a spiegarvi il sistema che vi permetterà di guadagnare circa 150 euro al mese (ma anche di più!), senza pagare neanche un centesimo di tasse e senza fare evasione fiscale. In tutto sono circa 1800 euro all’anno, davvero una bella cifra, soprattutto se pensate che potrete guadagnarla per tutto il resto della vostra vita, senza fare assolutamente nulla! Questo guadagno non comporta alcun investimento iniziale, alcun rischio ed in più determina sul medio/lungo periodo la certezza di una serie di fantastici “guadagni accessori” di cui vi parlerò dopo. I 150 euro al mese sono assicurati: prima di proporlo a voi l’ho effettuato io stesso con grande successo! Anche alcuni miei amici, seguendo questo mio piccolo trucco, stanno guadagnando una marea di soldi e prevedono di guadagnare, fino alla loro vecchiaia, circa 80 mila euro, senza fare assolutamente nulla.

Purtroppo però non tutti possono usufruire di questo meraviglioso trucco, mi dispiace. E’ riservato soltanto ad una certa categoria di persone. Ed è solo a loro a cui, da ora in poi, parlerò: i fumatori.

Tutti i non fumatori possono tranquillamente tornare a lavorare per guadagnare qualche soldo.

Dedicato ai fumatori che passano la giornata a dire “non ho i soldi per arrivare a fine mese”

Ogni giorno della vostra vita per compravi un pacchetto di sigarette  spendete circa 5 euro al giorno, che magari vi sembrano anche pochi o comunque ragionevoli. Ma la vita è fatta di calcoli e quindi rispolveriamo la tabellina del 5 e scopriamo che per le “bionde” voi tirate fuori dal portafoglio circa 35 euro a settimana, cioè ben 150 euro ogni mese (cioè circa 300 mila lire, se siete abbastanza grandi da ricordarvi il vecchio conio). Da qui in poi le cose si fanno serie: ogni anno spendete quasi 2000 euro in sigarette. Moltiplicate 2000 euro per tutti gli anni che vi rimangono da vivere (l’aspettativa di vita in Italia è 82 anni, anche se per essere precisi voi fumatori vivete mediamente 11 anni in meno) ed avrete la cifra che guadagnereste smettendo di fumare in questo preciso momento. Sono sicuro che la cifra che vi è uscita dal calcolo è impressionante. Se ad esempio avete 32 anni, significa che, da oggi in poi, nel resto della vostra vita brucerete circa 100 MILA EURO in sigarette (per i nostalgici: circa 200 MILIONI DI LIRE).

“Da quanto tempo fumi?”
“Da trent’anni”, risponde il fumatore.
“Trent’ anni! Ma lo sai quanti soldi hai buttato? Se tu non avessi fumato ora potresti comprati una Ferrari!”.
“Scusa, ma tu fumi?”
“No”
“Allora, dov’è la tua Ferrari?

Guadagnare o risparmiare sono cose diverse

Barzellette a parte, qualcuno potrebbe obiettare che non sono soldi “guadagnati“, ma “risparmiati” e ciò non è la stessa cosa. Ma ne siete davvero sicuri? Immaginate di mettere faticosamente da parte 60 mila euro per la vostra vecchiaia, poi tra 30 anni arriva un ladro e vi ruba tutti i soldi: sono sicuro che vorreste acchiappare quel ladro e prenderlo a bastonate. Ebbene la sigaretta che state fumando in questo momento è esattamente quel ladro, e sta rubando i vostri soldi letteralmente sotto il vostro naso. Lentamente ma inesorabilmente.  Volete prendere il ladro a bastonate? Basta smettere di fumare! Altra scena. Immaginatevi tra 20 anni con 40 mila euro IN PIU’ in tasca. Vi sembra poco? Cosa vi potreste comprare con quella cifra? Materializzateli nel vostro conto in banca: 40 MILA EURO. Li potrete avere se oggi smettete di fumare, altrimenti non li avrete. Siete ancora davvero sicuri che “guadagnare” e “risparmiare” siano cose davvero così diverse? In economia non spendere equivale a guadagnare quando il ricavato dallo spendere (cioè il fantomatico “vantaggio del fumare”) non solo non esiste, ma anzi è controproducente.

La sigaretta in famiglia

Oltre voi, vostro marito/moglie/partner fuma? E vostro figlio? I famosi 40 mila euro gratis in più tra 20 anni potrebbero essere molti di più! Ma ci rendiamo tutti conto che in una famiglia in cui si fuma in 4 si spendono circa 80 MILA EURO ogni 10 anni solo in sigarette? Quella stessa famiglia che magari si lamenta del fatto che “non si riesce ad arrivare a fine mese”. E non si dica che fumare è una spesa necessaria perché è impossibile smettere: io ho fumato per 15 anni, fumavo più di un pacchetto al giorno, ho smesso e sono ancora vivo, più felice che mai. Ricorda:

Il fumo NON E’ MAI INDISPENSABILE, anzi, per vivere bene E’ INDISPENSABILE NON FUMARE!

I guadagni “accessori”

I guadagni “accessori” di cui parlavo all’inizio sono i migliori. Smettendo di fumare in questo momento non solo guadagnerete decine di migliaia di euro che altrimenti spendereste in infiniti pacchetti di sigarette, ma in più risparmierete anche migliaia di euro in farmaci, visite dallo pneumologo e – purtroppo – dall’oncologo ed infine dal chirurgo. E’ inutile che “tocchiate ferro o… altro“, non voglio certo portarvi sfortuna: il fatto è che inalare per anni sostanze radioattive e cancerogene (come il polonio 210 contenuto nella sigaretta che state fumando) statisticamente condurrà alcuni di voi nella nostra sala operatoria ed altri – ancora meno fortunati – a riposare per sempre 11 anni prima rispetto ai non fumatori. Non è un’opinione: è statistica, una materia che ci insegnano già al primo anno della facoltà di Medicina: chi fuma vive realmente 11 anni in meno rispetto ai non fumatori. Potete nascondere la verità a voi stessi, potete “fare corna“, potete trovare una scusa assurda sul tipo “tanto di qualcosa si dovrà pur morire“, potete pregare il dio della vostra religione, oppure potete affrontare il problema da persona intelligente e responsabile, smettere ORA e guadagnare una migliore qualità della vita e soprattutto la cosa più importante:

11 anni di vita in più da vivere coi vostri cari

Condividete questo articolo sulla bacheca di qualche vostro amico fumatore che volete che smetta di fumare, condividetelo con qualcuno a cui volete veramente bene.

NOTA BENE: ricordo che il sottoscritto ha fumato per 15 anni di vita, per poi smettere l’anno scorso e vivere benissimo da ex fumatore.

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Sindrome del cuore infranto: il falso infarto di chi ha il “cuore spezzato”

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAGAZZA TRISTE DONNA DEPRESSIONE STANCA PAURA FOBIA PENSIERI SUICIDIO FIUMA PONTECerte malattie sembrano essere quasi “romantiche”, almeno nel nome: è il caso di una patologia poco conosciuta, la cosiddetta “Sindrome del cuore infranto” anche chiamata Sindrome tako-tsubo ed anche conosciuta come cardiomiopatia da stress, che si manifesta con sintomi simili a quelli dell’infarto (questa patologia è appunto conosciuta come “falso infarto“), ma senza che vi siano ostruzioni a livello delle coronarie.

Quanto è frequente?

La sindrome tako-tsubo è un evento abbastanza raro: l’incidenza nella popolazione generale è di 1:36.000. Su 100 pazienti che, in seguito a un dolore toracico, vengono sottoposti a coronarografia, solo uno o due sono riconosciuti affetti. La tipologia più frequente di paziente è una donna in post-menopausa, senza significativi fattori di rischio cardiovascolare. Il rapporto maschi/femmine è di circa 1:3. La frequente associazione della sindrome con il calo degli estrogeni fa ipotizzare che alla sua base vi sia un danno dell’endotelio, soprattutto dei vasi subepicardici.

Leggi anche: Morte psicogena, l’apatia che può farti morire: come uscirne

Cause e fattori di rischio della Sindrome del cuore infranto

La sindrome oggetto dell’articolo si presenta tipicamente in seguito a eventi emozionanti (separazioni, lutti, licenziamenti…) o periodi fortemente stressanti (super-lavoro, problemi in famiglia, malattie croniche…) e colpisce, come detto precedentemente, soprattutto le donne in post-menopausa. Fattori di rischio importanti sono sicuramente l’ipertensione arteriosa e la presenza di patologie particolarmente invalidanti del sistema nervoso centrale, quali ictus ischemico, emorragia cerebrale ed epilessia: esse sembrerebbero in grado di scatenare la cardiopatia da stress in pazienti predisposti.

Un caso a cui ho assistito personalmente

La Sindrome del cuore infranto è un evento molto raro, tuttavia quando facevo l’internato per l’abilitazione al Policlinico Umberto I, nel reparto di geriatria, ho assistito proprio al verificarsi di questa sindrome. Un paziente anziano, ma globalmente in salute, è arrivato in reparto per una improvvisa insufficienza respiratoria. In serata era parò stabile, respirava bene, mi raccontava di quanto fosse addolorato per la morte di sua moglie avvenuta neanche una settimana prima. Il giorno dopo venni a sapere che il paziente era deceduto nella notte, probabilmente a causa della Sindrome del cuore infranto.

I meccanismi della sindrome del cuore infranto

Le cause di questa sindrome non sono ancora chiare. Tuttavia molti medici concordano sui possibili meccanismi attraverso cui alcune alterazioni ormonali e certe patologie neurologiche sarebbero in grado di scatenare tale sindrome. In particolare, il danno di specifiche aree cerebrali indurrebbe un’eccessiva attivazione del sistema simpatico. Attivazione che, a sua volta, causerebbe un aumento della produzione dei neurotrasmettitori catecolamine, che sarebbe in grado di alterare la normale funzione cardiaca e di determinare i sintomi tipici della cardiomiopatia da stress. Ciò suggerisce che in pazienti con gravi disturbi neurologici sarebbe opportuno attuare misure preventive volte a limitare le conseguenze sul piano cardiologico sia del danno neurologico sia delle terapie di supporto spesso utilizzate in questa tipologia di pazienti. Ridurre il rischio di cardiomiopatia da stress contribuirebbe a migliorare gli outcome riabilitativi e la qualità di vita in pazienti con importanti malattie neurologiche.

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Sintomi della sindrome del cuore infranto

Come dicevo all’inizio dell’articolo, i sintomi della cardiomiopatia da stress sono molto simili a quelli dell’infarto: non è raro che bravi cardiologi o internisti la scambino proprio per un infarto del miocardio. La sindrome si manifesta con un tipico dolore anginoso, spesso prolungato, che può insorgere durante uno sforzo o, nel 40% dei casi, anche a riposo. L’elettrocardiogramma mostra un sopraslivellamento del tratto ST in numerose derivazioni, mentre la coronarografia non evidenzia stenosi significative. Gli esami di laboratorio rivelano un’alterazione degli indici di necrosi miocardica, ma i valori non raggiungono mai livelli molto elevati. Quello che fa sospettare la sindrome è la discrepanza tra il grado severo di disfunzione del ventricolo sinistro e i modesti livelli sierici degli enzimi.

Differenze tra sindrome del cuore infranto ed infarto del miocardio

Come abbiamo visto i sintomi del falso infarto e dell’infarto del miocardio, sono molto simili. Le differenze sono soprattutto a livello eziologico. Nell’infarto del miocardio si verifica una ostruzione parziale o totale (da aterosclerosi, trombi, emboli) di una o più arterie coronarie, le quali hanno il compito di rifornire d’ossigeno il muscolo cardiaco. La mancanza d’ossigeno conduce alla necrosi (cioè morte) il miocardio interessato e, con la morte di parte del muscolo cardiaco, si ha una riduzione delle capacità contrattili del cuore. Nella Sindrome del cuore infranto invece non c’è ostruzione delle coronarie. Il danno si verifica probabilmente a causa di una alterazione quantitativa di adrenalina e noradrenalina. La variazione di questi ormoni legati allo stress sembra modificare anatomia e funzionalità del tessuto muscolare che costituisce il ventricolo sinistro. Quindi, pur portando a simili sintomi, gli effetti della cardiomiopatia di tako-tsubo non sono legati a restringimenti interni delle arterie coronarie, né tanto meno a processi di necrosi del miocardio. Del resto, possono essere interessate anche persone del tutto sane dal punto di vista cardiaco.

Diagnosi della Sindrome del cuore infranto

La diagnosi di sindrome tako-tsubo viene fatta in pratica per esclusione, solo dopo aver eliminato il dubbio della presenza di tutte le altre patologie che causano sintomi simili, tra queste ricordiamo: infarto miocardico acuto, miocardite, pericardite, dissezione aortica, miocardiopatia secondaria a emorragia subaracnoidea. Gli strumenti usati per la diagnosi differenziale sono principalmente le indagini di laboratorio (CK-MB, CK totali, GOT, LDH…) l’elettrocardiogramma, l’ecocolordoppler, l’RX Torace, la tomografia computerizzata con mezzo di contrasto. In alcuni casi si possono documentare rallentamenti del flusso coronarico a livello epicardico. La scintigrafia miocardica con 99mTc può mostrare una diminuita captazione del radionuclide a livello del ventricolo sinistro.

Trattamento e prognosi

Un’attenzione particolare deve essere posta nel rassicurare il paziente sulla prognosi sostanzialmente favorevole della sindrome, questo perché le alterazioni della morfologia del ventricolo non si accompagnano a occlusioni coronariche. La sopravvivenza a 7 anni dall’episodio è del 98% circa. Il trattamento consiste nel riposo e nella terapia di supporto, che deve basarsi sulla somministrazione di beta-bloccanti, ACE-inibitori, acido acetilsalicilico e diuretici. Il recupero è solitamente spontaneo e la normale funzione miocardica si ripristina nel giro di alcune settimane.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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L’sms che ti salva dall’infarto, ma solo se vivi in Svezia

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO SMARTPHONE SOCIAL TECNOLOGIA TABLET CELLULARE TELEFONINO TELEFONO (2)In Svezia, paese tecnologicamente avanzatissimo che l’Italia – a parer mio – dovrebbe prendere a modello in moltissimi campi, esiste un programma semplice e geniale allo stesso tempo chiamato SMSlivräddare (che in italiano credo si possa tradurre con “SMSsalvavita” ma se c’è qualche svedese in ascolto liberissimo di correggermi!) che davvero può salvarti la vita. Tale programma fa una cosa semplice, una volta che il numero d’emergenza riceve una chiamata per un caso d’arresto cardiocircolatorio, il sistema invia automaticamente un SMS a tutte le persone abilitate al soccorso per questo particolare tipo di crisi che si trovano nel raggio di 500 metri dalla vittima. La tempestività dei soccorsi in questo caso è fondamentale, si calcola infatti che ogni minuto di ritardo comporti un calo del 10% delle possibilità di sopravvivenza nei casi d’arresto cardiaco.

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