Com’è fatto il cuore, a che serve e come funziona?

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Medicina Estetica Mappatura Nei Posturale Dietologo Roma COME FUNZIONA IL CUORE ECG ONDE2 Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pressoterapia Linfodrenante DermatologiaIl cuore è un muscolo potente, all’incirca delle dimensioni di un pompelmo, di forma conica, posto leggermente a sinistra del centro del torace. E’ uno degli organi più potenti del corpo ed oggi cercherò di spiegarvi come è fatto e come funziona, nella maniera più semplice possibile! Per prima cosa partiamo dalla sua posizione nel corpo.

Dove si trova il cuore e che forma ha?

Il cuore è posto nel torace, dietro lo sterno che lo protegge, posizionato leggermente a sinistra e poggiato sul diaframma in una zona che viene chiamato mediastino anteriore. Ha la forma di un tronco di cono ad asse obliquo rispetto al piano, immaginate una specie di triangolo con una base che guarda in alto verso il vostro mento ed un apice a sinistra nel quinto spazio intercostale (lo spazio tra la quinta e la sesta costa).

Quali sono le dimensioni del cuore e quanto sangue può contenere?

Le dimensioni del cuore variano ovviamente molto da persona a persona ed in base al riempimento; per approfondire l’argomento leggi questo articolo: Quanto pesa e quanto sangue contiene un cuore?

Come è diviso il cuore al suo interno?

All’interno, è diviso in quattro cavità distinte:

  • due cavità superiori chiamate atrio destro e atrio sinistro;
  • due cavità inferiori, denominate ventricolo destro e ventricolo sinistro.

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Una spessa parete muscolare, il setto atrio-ventricolare, divide le due parti del cuore. Completano il cuore le quattro valvole cardiache, importantissime perché mettono in comunicazione atri con ventricoli, ed il cuore stesso con la circolazione esterna. Le valvole regolano il flusso unidirezionale del sangue cardiaco, impedendo che esso torni indietro creando reflussi che sono alla base di varie patologie.

Leggi anche: Valvole cardiache: cosa sono, quali sono ed a che servono

Da cosa è formato il cuore?

Il cuore è composto da tessuti sovrapposti:

  • il pericardio, una sacca sierosa che lo avvolge e protegge;
  • l’epicardio;
  • il miocardio, il “muscolo” del cuore;
  • l’endocardio, che costituisce le pareti interne del cuore.

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Il cuore è formato da tessuto muscolare striato involontario, ma a differenza degli altri muscoli del corpo umano il cuore è capace di generare da solo lo stimolo nervoso che ne assicura il movimento. Il miocardio, in particolare, è composto da fibre muscolari e da cellule cardiache chiamate miocardiociti. Queste cellule sono in grado di assicurare l’impulso nervoso necessario alla contrazione, cioè il battito cardiaco che permette la circolazione sanguigna. Il “generatore” di questo stimolo è il nodo seno atriale, posto tra vena cava superiore ed atrio destro, che trasmette l’impulso a contrarsi a tutto il cuore attraverso le fibre muscolari. Nel cuore si trovano anche fibre nervose autonome che costituiscono il plesso cardiaco, mentre il nervo vago e le fibre simpatiche connettono l’organo con il sistema simpatico, parasimpatico e sensitivo assicurando la coordinazione del cuore con gli stimoli cerebrali.

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Le valvole cardiache

Abbiamo visto che il cuore è diviso in quattro cavità: atrio destro e atrio sinistro superiormente e ventricolo destro e ventricolo sinistro inferiormente. Come già accennato prima, affinché non si verifichino “ingorghi”, ogni accesso nelle varie parti del cuore è regolato da un sistema di quattro valvole. Il sangue entra nell’atrio destro e nel sinistro, quindi, per passare nei ventricoli è necessario che si aprano la valvola tricuspide – a destra – e la valvola mitrale – a sinistra. A sua volta, per uscire dai ventricoli devono quindi essere superate la valvola polmonare (a destra) e la valvola aortica (a sinistra).

L’irrorazione sanguigna del cuore e l’infarto del miocardio

Il cuore necessita di un abbondante rifornimento di ossigeno e nutrienti che gli è fornito da un altrettanto abbondante quantità di sangue, assicurato dal sistema coronarico. Il sangue affluisce al cuore attraverso le arterie coronarie che si dipartono dall’aorta e rivestono il cuore con una fitta rete vascolare. L’arteria coronaria sinistra si divide in due rami principali; l’arteria coronaria destra decorre con un unico ramo; dai tre rami principali si dipartono numerosissime arterie di calibro progressivamente minore, in modo da raggiungere – con i rami più piccoli, i capillari –  tutte le cellule del tessuto cardiaco. Quando il miocardio non viene irrorato del tutto o non viene irrorato a sufficienza, a causa di un restringimento delle coronarie e di altri fattori concomitanti, il cuore e i suoi tessuti soffrono per la mancanza di ossigeno.Si parla in questi casi di ischemia del miocardio (cardiopatia ischemica o ischemia miocardica) che si concretizza nel temuto infarto del miocardio (o sindrome coronarica acuta). Altre patologie che possono colpire il cuore sono di origine infiammatoria, lesioni vallvolari e problemi della conduzione nervosa come l’aritmia.

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La grande efficienza del cuore

Il cuore è un organo straordinario, potente e resistente: durante l’attività fisica il cuore è in grado di pompare fino a 20-30 litri di sangue al minuto per assicurare il maggior fabbisogno di sangue da parte dei muscoli; a riposo il cuore fornisce circa 5 litri di sangue ossigenato al minuto. La pressione arteriosa considerata ottimale è compresa tra 130 (pressione sistolica o alta) e 80 (pressione diastolica o bassa) mmHg anche se tali valori variano molto in base al soggetto (età, costituzione…).

Come si muove il sangue all’interno del cuore e uscendo da esso?

Il movimento del sangue dentro al cuore è semplificato nell’immagine che segue. Per meglio capire come si muove il sangue all’interno del cuore ed all’uscita da esso, leggi questo articolo: Come si muove il sangue all’interno del cuore?

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Che significa sistole e diastole?

Il cuore garantisce la sua attività di pompa attraverso movimenti coordinati chiamati ciclo cardiaco. Tale ciclo si compone, di due fasi che si ripetono in media 70 volte al minuto a riposo: una fase di rilassamento (diastole) e una di contrazione (sistole). La circolazione si fonda sulla diversa pressione che il sangue esercita sulle strutture cardiache, provocandone la chiusura per evitare il flusso retrogrado.

  • Durante la fase di diastole, le valvole tra atri e ventricoli sono aperte, la muscolatura delle camere è rilassata e il sangue scorre liberamente tra camere e atri. In questa fase le valvole semilunari sono chiuse, impedendo che il sangue entri nei letti vascolari.
  • Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Medicina Estetica Mappatura Nei Posturale Dietologo Roma COME FUNZIONA IL CUORE ECG ONDE1 Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pressoterapia Linfodrenante DermatologiaDurante la sistole, atri e ventricoli si contraggono in maniera coordinata: prima gli atri (sistole atriale) e poi i ventricoli (sistole ventricolare). Nella contrazione ventricolare la pressione del sangue spinge l’alto le valvole atrio-ventricolari e ne provoca la chiusura, non permettendo che il sangue torni negli atri, e il sangue viene pompato nelle vene effluenti, vale a dire quelle attraverso il quale il sangue esce dal cuore.

La coordinazione tra sistole e diastole avviene – semplificando – grazie ad una specie di “percorso elettrico”: l’elettricità compie uno specifico schema nel cuore ed “attiva” le varie parti in maniera coordinata. Tale elettricità viene registrata da un apparecchio chiamato elettrocardiografo e determina le famose onde che vediamo nei tracciati elettrocardiografici. Per approfondire: Come si muove l’impulso elettrico cardiaco nel cuore?

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Insufficienza venosa e vene varicose: cause, prevenzione e trattamenti

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Il termine “insufficienza venosa” definisce una condizione patologica dovuta ad un difficoltoso ritorno del sangue venoso al cuore. L’insufficienza venosa degli arti inferiori innesca un aumento di pressione nei capillari, con successiva formazione di edema, ipossia generalizzata e lattacidemia (eccessiva presenza di acido lattico nel sangue).
L’insufficienza venosa richiede un intervento terapico, farmacologico e/o medico: quando non trattata o trascurata, la condizione può degenerare in una sindrome progressiva contraddistinta da dolore, gonfiore, alterazioni cutanee e, nei casi più gravi, varicoflebite (formazione di un trombo secondario insorto su varici).

Incidenza

L’insufficienza venosa costituisce una condizione patologica particolarmente diffusa nei Paesi Occidentali ed industrializzati, mentre nelle aree poco sviluppate, come i Paesi poveri di Africa ed Asia, il fenomeno si presenta in misura molto minore.
L’insufficienza venosa è una realtà attuale: in genere, le donne sono molto più colpite rispetto al sesso forte. In Italia, ad esempio, si stima che il 30% della popolazione femminile ed il 15% di quella maschile sia affetto da insufficienza venosa di entità variabile.
Da quanto riportato sulla rivista European journal of vascular and endovascular surgery si possono ricavare interessanti stime:

  • In età giovanile, l’insufficienza venosa colpisce il 10% dei maschi e il 30% delle femmine
  • Dopo i 50 anni, il fenomeno vascolare si manifesta nel 20% dei maschi e nel 50% delle donne.

Da questi dati si comprende non solo che l’insufficienza venosa colpisce prevalentemente il gentil sesso, ma anche e soprattutto che l’incidenza del disturbo aumenta proporzionalmente all’età.

Leggi anche: I 12 segni che indicano una cattiva circolazione da non sottovalutare

Cause e classificazione

In base alla causa scatenante, l’insufficienza venosa può essere classificata in due macrogruppi:

  1. INSUFFICIENZA VENOSA ORGANICA: causata da alterazioni patologiche delle vene. In questa categoria rientrano:
    • Dermatite da stasi: persistente infiammazione della cute degli arti inferiori, generata da una stasi vascolare. La dermatite da stasi è una condizione patologica tipica dei pazienti affetti da disturbi circolatori nelle vene delle gambe; il disturbo si presenta con edema cronico agli arti inferiori, prurito, escoriazioni ed essudazione.
    • Sindrome delle gambe senza riposo (RLS): alcuni pazienti affetti da questa sindrome sviluppano successivamente insufficienza venosa.
    • Trombosi venosa profonda: condizione patologica dovuta all’ostruzione di una vena a causa di un trombo (grumo di sangue). Una simile ostruzione del circolo profondo è responsabile, a sua volta, del difficoltoso ritorno venoso; si parla pertanto di insufficienza venosa profonda.
    • Varici: le vene varicose sono dilatazioni anomale e permanenti di vene ed arterie, espressione di un’alterazione dell’efficienza delle valvole venose.
  1. INSUFFICIENZA VENOSA FUNZIONALE: condizione dovuta ad un sovraccarico funzionale delle vene che, pur in piena salute, sono sottoposte ad un lavoro eccessivo rispetto alle loro possibilità.
    • Linfedema: il ristagno di linfa nei vari distretti dell’organismo, che caratterizza il linfedema, è dovuto ad una compromissione del sistema linfatico. Il linfedema richiede un superlavoro da parte delle vene, pertanto può favorire l’insufficienza venosa.
    • Ridotta mobilità degli arti (tipico dei soggetti che rimangono in posizione statica per lungo tempo → edema da immobilizzazione). Anche le anomalie posturali (piede piatto, alterazioni della morfologia del rachide ecc.) costringono le vene ad uniperlavoro, che può sfociare nell’insufficienza venosa.
Classificazione clinica dell’insufficienza venosa
Classe 0 Assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa
Classe 1 Presenza di teleangectasie o vene reticolari
Classe 2 Presenza di vene varicose
Classe 3 Presenza di edema
Classe 4 Turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite
Classe 5 Come classe 4 con ulcere cicatrizzate
Classe 6 Come classe 4 con ulcere in fase attiva

Fattori di rischio

Alcuni pazienti sono più predisposti all’insufficienza venosa rispetto ad altri.Quali sono i fattori di rischio?

  • Assunzione di una postura statica per lungo tempo
  • Gravidanza
  • Ipertensione
  • Obesità
  • Lavori in ortostatismo (che richiedono di rimanere in piedi e fermi per lungo tempo)
  • Predisposizione genetica
  • Fumo di tabacco
  • Pregressa storia di trombosi venosa profonda
  • Sesso femminile
  • Statura: i soggetti alti sono più a rischio di insufficienza venosa
  • Terapia ormonale estrogenica.

Leggi anche: Vene varicose: sintomi iniziali e come curarle ed eliminarle

Sintomi e segni

I sintomi e segni di insufficienza venosa sono molto variabili, tuttavia spesso sono i seguenti:

  • Ulcere cutanee
  • Vene varicose
  • Gambe gonfie e pesanti
  • Caviglie gonfie
  • Ispessimento della pelle
  • Porpora 
  • Prurito
  • Comparsa di macchie scure
  • Crampi ai polpacci
  • Dilatazione delle vene superficiali
  • Dolore in corrispondenza di una vena varicosa
  • Edema persistente 
  • Flebite
  • Formicolio alle gambe
  • Teleangectasie
  • Trombosi venosa profonda.

Leggi anche: Formicolio alle mani, piedi, braccia e gambe: cause e cure

Gravità

In base alla gravità, esistono sette classi di insufficienza venosa:

  • Classe 0 assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa
  • Classe 1 teleangectasie o vene reticolari
  • Classe 2 vene varicose
  • Classe 3 edema
  • Classe 4 turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite
  • Classe 5 Come classe 4 ulcere cicatrizzate
  • Classe 6 Come classe 4 ulcere in fase attiva.

Complicanze

L’insufficienza venosa può determinare, direttamente o indirettamente:

  • cellulite batterica;
  • distrofie cutanee;
  • ischemia e necrosi della pelle;
  • setticemia;
  • embolia polmonare;
  • ulcerazioni cutanee;
  • infezioni cutanee;
  • varicoflebite.

Diagnosi

La diagnosi di insufficienza venosa consiste inizialmente nell’anamnesi e nell’esame obiettivo. Possono poi essere necessari vari esami, come ad esempio TC, ecografie con colordoppler ed esami del sangue.

Diagnosi differenziale

L’insufficienza venosa va distinta da altre patologie per alcuni versi simili, tra cui:

  • Manifestazioni cutanee di patologie cardiache/renali
  • Teleangectasie
  • Ulcere d traumi
  • Vene varicose
  • Allergia da contatto
  • Carcinoma basocellulare
  • Cellulite batterica
  • Dermatite da stasi
  • Erisipela.

Leggi anche: Differenza tra massaggio drenante e massaggio linfodrenante

Terapie

La cura dipende dalla causa specifica che ha determinato a monte l’insufficienza venosa. In genereale è utile:

  • eliminare il fumo;
  • perdere peso se obesi;
  • praticare esercizio fisico costante e regolare (anche una semplice camminata di mezz’ora al giorno);
  • seguire una dieta sana e bilanciata;
  • bere molta acqua;
  • utilizzare calze elastiche/bende a compressione;
  • evitare di rimanere in posizioni statiche per lunghi periodi;
  • evitare di rimanere in posizione eretta per lungo tempo;
  • evitare di rimanere in ambienti caldi;
  • applicare creme o pomate ad azione capillaro-protettiva, antiedemigena e decongestionante;
  • muovere spesso le gambe;
  • rialzare il letto nella zona in corrispondenza dei piedi;
  • non indossare scarpe con tacchi alti;
  • non indossare abiti troppo aderenti;
  • evitare di assumere la pillola anticoncezionale;
  • non sporsi per lunghi periodi al sole o fare bagni molto caldi;
  • seguire corsi di rilassamento e yoga.

Sono utili gli integratori a base di:

  • Vitis vinifera
  • Ginkgo biloba
  • Ippocastano
  • Rutina
  • Amamelide
  • Diosmina
  • Luteina
  • Esperidina.

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I farmaci più indicati sono:

  • farmaci anticoagulanti ad applicazione topica;
  • scleroterapia;
  • farmaci flebotonici;
  • farmaci profibrinolitici.

Nei casi più gravi, si ricorre alla chirurgia, tramite:

  • valvuloplastica;
  • rimozione della vena interessata;
  • laserterapia;
  • ablazione con radiofrequenza.

Sia l’ablazione con radiofrequenza che la terapia laser possono creare effetti collaterali fastidiosi, anche se reversibili: piccoli ematomi, ustioni cutanee, formicolii alle gambe e lievi lesioni dei nervi. Entrambi gli interventi producono risultati eccezionali nel trattamento dell’insufficienza venosa.

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Aneurisma dell’aorta addominale: cause, sintomi, diagnosi e terapie

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Molti pazienti mi chiedono, con profondo timore ed ansia, cosa sia l’aneurisma dell’aorta addominale. Oggi facciamo un po’ di chiarezza su questa patologia. Per definizione un “aneurisma” è una dilatazione anomala e permanente della parete di un segmento di un’arteria, almeno pari al 50% (altrimenti si parla di ectasia), causata da un trauma o da una patologia che interessa il vaso sanguigno (ad esempio aterosclerosi). Un aneurisma dell’aorta addominale è una dilatazione patologica permanente che interessa la parete della più grande arteria dell’addome: l’aorta. Sebbene le cause precise siano al momento ignote, la comunità scientifica ritiene che l’insorgenza di un aneurisma addominale sia favorita da diversi fattori, tra cui ipertensione arteriosa, invecchiamento, famigliarità e fumo di sigaretta. I sintomi, quando presenti, consistono in una strana sensazione pulsante a livello dell’ombelico, accompagnata da dolore addominale persistente e dolore lombare.
Per una diagnosi precisa, oltre all’esame obiettivo, occorrono solitamente un’ecografia addominale, una TAC e/o una risonanza magnetica nucleare. La terapia prevede l’intervento chirurgico, il quale viene generalmente praticato solo in caso di aneurismi di grandi dimensioni.
Un aneurisma è una dilatazione patologica di un vaso sanguigno, generalmente un’arteria. I problemi per la salute derivano dal fatto che, una volta dilatatasi, la parete vasale si indebolisce e può rompersi con facilità; in caso di rottura, la perdita di sangue che ne consegue può essere massiva e portare anche alla morte. Inoltre, anche se non dovesse rompersi, un aneurisma di grandi dimensioni può comunque pregiudicare la corretta circolazione sanguigna e favorire la formazione di coaguli sanguigni o di trombi.

Leggi anche: Tipi e grandezza degli aneurismi cerebrali

Cos’è l’aorta?

L’aorta è il vaso arterioso più grande e importante del corpo umano. Origina direttamente dal cuore (ventricolo sinistro) e, grazie alle sue innumerevoli ramificazioni, diffonde il sangue verso ogni distretto anatomico: testa, arti superiori, organi dell’addome e arti inferiori. A livello puramente didattico, l’aorta viene distinta in due principali segmenti: aorta toracica e aorta addominale.

Cos’è un aneurisma dell’aorta addominale?MEDICINA ONLINE aneurisma aorta addominale.jpg

Un aneurisma dell’aorta addominale, detto più semplicemente aneurisma addominale o AAA, è un rigonfiamento patologico di una porzione del tratto di aorta passante per l’addome (vedere figura).
Come per ogni altro aneurisma, la parete aortica interessata dal rigonfiamento è fragile e può rompersi con relativa facilità, provocando una grave perdita di sangue. Per dare un’idea della gravità degli aneurismi addominali, si pensi che il 70-90% dei casi di rottura spontanea si conclude con la morte del soggetto colpito. Insieme agli aneurismi cerebrali, quelli che interessano l’aorta addominale sono gli aneurismi che più mettono in pericolo la vita di un individuo.

Diametro

Diametro dell’aorta, normale e patologico:

  • In condizioni normali, nell’adulto, il diametro dell’aorta addominale misura circa 20 millimetri (cioè 2 centimetri).
  • Si parla di aneurisma addominale quando il rigonfiamento aortico raggiunge almeno i 30 millimetri (ovvero 3 centimetri) di diametro.
  • L’aneurisma è ritenuto di grandi dimensioni quando raggiunge un diametro di 55 millimetri (5,5 centimetri).

Leggi anche: Cosa si prova e cosa succede quando si rompe un aneurisma cerebrale?

Dove sono localizzati più frequentemente gli aneurismi addominali?

Gli aneurismi addominali possono insorgere in vari punti dell’aorta addominale: sotto, sopra e allo stesso livello dei reni (rispettivamente posizione sottorenale, sovrarenale e pararenale), e in prossimità della diramazione che porta alle arterie iliache. Secondo una ricerca statistica, il 90% degli aneurismi dell’aorta addominale è sottorenale. Va ricordato ai lettori che l’aorta può essere interessata da un aneurisma anche ad altri livelli dell’aorta, come ad esempio a livello toracico: in questo caso si parla di aneurisma dell’aorta toracica.

Epidemiologia

La formazione di un aneurisma addominale è assai più frequente tra gli individui di età avanzata (N.B: sopra i 65 anni, si osserva un aumento sensibile del numero di casi), tra i fumatori e tra i soggetti affetti da ipertensione arteriosa. Inoltre, si è notato che gli uomini sono più colpiti delle donne e che la razza maggiormente interessata è quella caucasica. Secondo alcuni studi statistici, gli uomini di età superiore ai 65 anni hanno dall’1 al 3% di probabilità di andare incontro alla rottura di un AAA. Come si è detto, la mortalità in caso di rottura di un aneurisma addominale è assai elevata (tra il 70 e il 90%).

Leggi anche: Rottura di aneurisma dell’aorta addominale: intervento chirurgico

Quali sono le cause dell’aneurisma dell’aorta addominale?

La causa precisa che porta alla formazione di un aneurisma dell’aorta addominale è sconosciuta.
Molti medici, tuttavia, concordano nell’attribuire un ruolo fondamentale a fattori di rischio come:

  • L’invecchiamento. La parete dei vasi sanguigni è composta da elastina e collagene. La prima assicura elasticità ai vasi; la seconda ne garantisce la forza e la resistenza alle sollecitazioni.
    E’ ormai assodato che l’invecchiamento determini una perdita progressiva sia di elastina che di collagene; ciò irrigidisce e rende più fragile la parete vasale, pertanto è anche più facilmente soggetta a dilatazioni permanenti e rotture.
  • L’aterosclerosi. Si tratta di una malattia degenerativa che interessa le arterie di medio e grosso calibro e che dipende da numerosi fattori di rischio (quali fumo, obesità, diabete, sedentarietà ecc.).
    L’aterosclerosi è caratterizzata dall’accumulo, sulla parete interna dei vasi, di depositi di grasso e di altre sostanze (i cosiddetti ateromi o placche aterosclerotiche); questi, una volta infiammati, possono rompersi e provocare sanguinamento. A tale emorragia fa seguito il normale processo di coagulazione, che, però, quando avviene all’interno dei vasi e in prossimità di ciò che rimane degli ateromi, può avere pericolose conseguenze: possono infatti formarsi trombi o coaguli sanguigni, che vanno a sommarsi alla placca aterosclerotica ostacolando il normale flusso ematico.
  • L’ipertensione. L’alta pressione arteriosa è scatenata da numerosi fattori, tra cui: il sovrappeso, l’obesità, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’invecchiamento, lo stress, una certa predisposizione genetica, l’ipercolesterolemia ecc. Di conseguenza, tutte queste situazioni sono anche fattori favorenti un aneurisma dell’aorta addominale.
  • Il fumo di sigaretta. Il fumo di sigaretta, sia attivo che passivo, oltre a danneggiare direttamente le arterie, favorisce anche la formazione di ateromi e l’innalzamento della pressione arteriosa.
  • La vasculite. È il termine medico che indica un’infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni. Può essere provocata da un’infezione, un’allergia, alcuni tipi di tumore, alcune malattie autoimmuni o certi farmaci.
  • Una determinata predisposizione genetica. Gli individui che hanno una storia familiare di aneurisma addominale sono predisposti a sviluppare tali disturbi con maggiore facilità e prima del solito (cioè prima dell’età soglia di 65 anni). Ciò ha indotto a pensare che giochi un ruolo fondamentale anche la componente genetica.

Leggi anche: Cos’è un infarto e quanti tipi di infarto conosci?

Di solito, i fattori sopradescritti agiscono di concerto, cioè insieme. Pertanto, è più facile che un individuo sviluppi un aneurisma se è contemporaneamente fumatore e affetto da ipertensione oppure se è fumatore, obeso, predisposto geneticamente al problema ecc.

Quali sono i sintomi, segni e complicazioni dell’aneurisma dell’aorta addominale?

L’aneurisma dell’aorta addominale è spesso asintomatico (cioè privo di sintomi evidenti): secondo alcune indagini statistiche, infatti, circa 7 individui affetti su 10 non manifestano alcun disturbo degno di nota. Nei rimanenti casi, in cui è invece sintomatico, l’aneurisma addominale può causare:

  • Una strana sensazione pulsante a livello dell’ombelico.
  • Un dolore profondo e costante all’interno dell’addome o su un lato soltanto (la sensazione dolorosa è dovuta alla pressione che la dilatazione, creata dall’aneurisma, esercita sulle strutture anatomiche adiacenti).
  • Un dolore alla zona lombare.

E’ importante notare che spesso la presenza o meno di sintomi è legata alla grandezza e alla velocità di crescita dell’aneurisma addominale. In genere, infatti, gli aneurismi asintomatici sono di dimensioni ridotte e a sviluppo lento, mentre gli aneurismi sintomatici sono per lo più di dimensioni notevoli e a crescita rapida.

Quando rivolgersi al medico e chi deve controllarsi con maggiore frequenza?

Qualora si avvertano uno o più dei sintomi prima elencati, è buona norma contattare il proprio medico. Inoltre, se per qualche ragione si è un soggetto fortemente a rischio, è altrettanto opportuno sottoporsi a controlli periodici; per esempio, si consiglia una visita specialistica a:

  • I grandi fumatori, aventi 65 anni o di più
  • Le persone dai 65 anni in su, di sesso maschile e affette da ipertensione
  • I fumatori con una storia familiare di aneurisma dell’aorta addominale
  • Gli uomini con una storia familiare di AAA, affetti da obesità

Leggi anche: Aorta addominale: dove si trova?

Complicazioni degli aneurismi dell’aorta addominale

Gli aneurismi dell’aorta addominale, specie se di grandi dimensioni, possono rompersi e provocare emorragie così importanti e consistenti da portare anche alla morte dell’individuo.
I sintomi e i segni solitamente provocati dalla rottura di un aneurisma addominale sono:

  • Dolore intenso e persistente a livello addominale e lombare
  • Dolore che si irradia dalla zona lombare alle gambe
  • Intensa sudorazione
  • Giramenti di testa
  • Nausea e vomito
  • Ipotensione (cioè bassa pressione arteriosa)
  • Polso veloce
  • Perdita di conoscenza
  • Difficoltà respiratorie

Un’altra seria conseguenza, che può avere luogo a seguito di un aneurisma addominale, consiste nella più facile formazione di emboli all’interno del sistema vascolare.
Gli emboli sono, quasi sempre, dei coaguli di sangue capaci di spostarsi dalla sede d’origine (in questo caso l’aneurisma) ad altre arterie contigue di diametro inferiore, situate per esempio nelle gambe, nei piedi o negli organi addominali (rene, fegato ecc); una volta raggiunto un vaso di diametro sufficientemente piccolo da impedirne l’avanzamento, l’embolo blocca come un tappo il flusso di sangue locale.

Leggi anche: Aneurisma dell’aorta addominale: cos’è e quando diventa pericoloso

Dimensione della dilatazione e probabilità di rottura dell’aneurisma

Esiste una correlazione tra possibilità di rottura e grandezza della dilatazione:

  • 40 mm – 55 mm: la probabilità di rottura è pari a un 1%
  • 55 mm – 60 mm: la probabilità di rottura è pari a un 10%
  • 60 mm – 69 mm: la probabilità di rottura è pari a un 15%
  • 70 mm – 79 mm: la probabilità di rottura è pari a un 35%
  • 80 mm o di più: la probabilità di rottura è pari a un 50%

Diagnosi di aneurisma dell’aorta addominale

Un medico può accorgersi della presenza di un aneurisma addominale anche con un semplice esame obiettivo, in quanto, al fonendoscopio, può avvertire un rumore particolare e del tutto caratteristico. Tuttavia, per poter delineare le precise caratteristiche dell’aneurisma (dimensioni, posizione, gravità ecc) occorrono diverse procedure diagnostiche, assai più precise, come l’ecografia addominale, la TAC e la risonanza magnetica nucleare. Attenzione: l’esame obiettivo è attendibile nella maggior parte dei casi; tuttavia, se l’aneurisma dell’aorta addominale è piccolo, il medico potrebbe non percepire alcun rumore indicativo. Pertanto, senza ulteriori indagini, il problema rimane inosservato.

Ecografia addominale

L’ecografia addominale è un esame strumentale sufficientemente esauriente e privo di pericolosità. L’indagine prevede l’uso di una sonda a ultrasuoni, la quale, una volta appoggiata sulla cute del paziente, è in grado di proiettare su un monitor gli organi interni di quest’ultimo. Nel punto in cui appoggia la sonda, il medico spalma del gel, che serve soltanto a migliorare la qualità delle immagini. In caso di aneurisma addominale, l’ecografia permette non solo di localizzare il punto esatto della dilatazione, ma anche di misurarne il diametro.

TAC

La TAC (tomografia assiale computerizzata) fornisce delle immagini chiare degli organi interni, mostrando minuziosamente l’aspetto dell’aorta e degli altri vasi arteriosi che da essa dipartono.

Risonanza magnetica

Grazie alla creazione di campi magnetici, la risonanza magnetica nucleare fornisce un’immagine precisa degli organi contenuti nell’addome, compresi l’aorta e le sue prime ramificazioni. Non è invasiva e non prevede l’utilizzo di radiazioni nocive per l’uomo.

Terapia dell’aneurisma dell’aorta addominale

Il solo modo per poter curare un aneurisma dell’aorta addominale è intervenire con un’operazione chirurgica ad hoc, tuttavia bisogna specificare che la chirurgia è riservata soltanto ai pazienti con aneurismi di diametro superiore ai 55 millimetri (5,5 centimetri). Infatti, quando la dilatazione aortica è di dimensioni ridotte, è preferibile limitarsi al principio del “guardare e aspettare” (o principio della “sorveglianza”). Perché non operare gli aneurismi più piccoli? L’operazione chirurgica per la risoluzione di un aneurisma addominale è molto delicata e il rischio che il paziente muoia durante la sua esecuzione è concreto. Pertanto, viene praticata solo quando il rischio di morte per rottura dell’aneurisma è superiore al rischio di morte per le complicazioni legate all’intervento chirurgico. In altre parole, i medici decidono di operare solo se la presenza dell’aneurisma è considerata più insidiosa della pratica operatoria. Come anticipato, gli aneurismi addominali più pericolosi sono quelli di grandi dimensioni. Cosa significa il principio del “guardare ed aspettare”? Il principio del “guardare e aspettare” consiste nel sottoporre il paziente a un’ecografia addominale ogni 6-12 mesi. Secondo i medici, questo è un ottimo modo per monitorare la situazione e accorgersi per tempo di un’eventuale ingrandimento della dilatazione. Quali sono i trattamenti chirurgici attualmente disponibili?
Per riparare l’aorta addominale colpita da aneurisma, attualmente esistono due principali opzioni chirurgiche: la procedura tradizionale e la procedura endovascolare.

Procedura tradizionale

La procedura tradizionale, o “a cielo aperto”, consiste nel rimuovere la sezione di aorta interessata dall’aneurisma, per poi sostituirla con una struttura di forma analoga ma di materiale sintetico. In altre parole, il chirurgo esegue una sorta di trapianto. Tale approccio è molto invasivo, perché prevede l’incisione dell’addome e di un vaso arterioso importante come l’aorta. Il recupero post-operatorio può richiedere anche più di 30 giorni.

Procedura endovascolare

Consiste nel rinforzare le pareti dell’aneurisma inserendo, internamente alla dilatazione, una protesi metallica di forma circolare e simile a una rete (detta stent). Il posizionamento della protesi avviene tramite un catetere infilato in un’arteria della gamba e condotto fino all’aorta. Una volta posizionato, lo stent è fissato con delle clip metalliche, in modo tale che non si muova dalla sua posizione. Il vantaggio di questa procedura consiste nella bassa invasività e nei tempi di recupero più brevi rispetto alla tecnica tradizionale. Lo svantaggio è che lo stent potrebbe staccarsi, rendendo così necessario un altro intervento per la sua sistemazione. Per assicurarsi che lo stent si mantenga in posizione corretta, è consigliabile svolgere un’ecografia addominale ogni 6-12 mesi. Secondo uno studio statistico, le due procedure, se vanno a buon fine, garantiscono risultati simili: il tasso di sopravvivenza a lungo termine è infatti sovrapponibile. Da quali parametri dipende, allora, la scelta della procedura chirurgica? Per scegliere quale procedura è meglio adottare, il medico valuta l’età del paziente, il suo stato di salute generale (funzione renale ecc.) e la sede dell’aneurisma.

Leggi anche: Stenosi carotidea, placche, ictus cerebrale ed attacco ischemico transitorio (TIA)

Rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale

Quando un aneurisma dell’aorta addominale va incontro a rottura, bisogna intervenire immediatamente, nel giro di pochi minuti; una simile situazione è infatti molto grave e può portare in modo alquanto repentino alla morte.

Consigli per prevenire un ulteriore peggioramento delle condizioni

In presenza di un aneurisma addominale il medico raccomanda al paziente di:

  • Non fumare
  • Praticare regolarmente attività fisica
  • Mangiare sano e in maniera equilibrata, quindi limitare le dosi di cibo, gli alimenti grassi e il sale
  • Perdere peso, in caso di sovrappeso e obesità
  • Non bere alcolici
  • Se si soffre di diabete, ipercolesterolemia, ipertensione ecc, curarsi secondo le indicazioni del medico

Queste stesse indicazioni valgono anche a livello di prevenzione. Tuttavia, bisogna ricordare che se esiste una predisposizione genetica alla formazione di aneurismi, anche l’adozione delle corrette misure preventive potrebbe non essere sufficiente ad impedirne la comparsa.

Prognosi

Molto spesso, l’individuo che sviluppa un aneurisma addominale è anche a rischio delle altre malattie cardiovascolari ad esso associate (coronaropatie, ictus, arteriopatie degli arti inferiori ecc.). Non a caso, la maggior parte di questi pazienti muore per un attacco di cuore o per un ictus, mentre ben più rari sono i decessi per rottura dell’aneurisma.

Mortalità post-intervento

La mortalità, dopo un intervento (riuscito) di correzione di un AAA, è diminuita negli ultimi decenni; al momento (2014), nel mondo Occidentale il suo valore è pari all’1,6%. Risulta invece nettamente superiore la mortalità dopo un intervento per rimediare alla rottura spontanea di un aneurisma addominale; essa è infatti pari a circa il 40%.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Cos’è un infarto e quanti tipi di infarto conosci?

MEDICINA ONLINE INFARTO DEL MIOCARDIO POLMONARE RENALE CEREBRALE CORONARIE ARTERIE TROMBO EMBOLO OSTRUZIONE DIFFERENZA ICTUS EMORRAGICO EMORRAGIA ISCHEMICO ISCHEMIA NECROSI MORTE PERICOLO SANGUE CIRCOLAZIONE.jpgMi capita spesso che i pazienti mi chiedano lumi riguardo la parola “infarto”. Tutti sanno cosa sia, ma quando gli chiedi cosa significa esattamente, non tutti… sanno cosa sia! Cerchiamo oggi di fare un po’ di chiarezza. Inizio col dire che quando comunemente si usa la parola “infarto”, nella maggior parte dei contesti è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Ma in realtà tale parola può riferirsi a diverse patologie.

Ma quindi esistono diversi tipi di infarto, non solo quello “del cuore”?

Cominciamo con lo spiegare che la parola “infarto” significa necrosi tissutale (cioè morte delle cellule che compongono un dato tessuto) causata da ischemia (cioè diminuzione o assenza del flusso di sangue in quel tessuto). La diminuzione o assenza del flusso sanguigno è a sua volta causata da vari fattori, molto spesso da aterosclerosi  (cioè ostruzione del vaso sanguigno da parte di placche lipidiche) o da trombosi o da un embolo. Ricapitolando: l’ostruzione di un vaso sanguigno provoca il mancato afflusso di sangue ad un tessuto (ischemia) ed esso, se non viene ripristinato al più presto il flusso, andrà incontro a necrosi – cioè morirà – dal momento che le cellule che lo compongono sono rimaste senza sangue (e quindi senza ossigeno e nutrimento) troppo a lungo. Questo evento prende il nome di infarto. Dire “infarto” e dire “infarto del miocardio”, pur se usati spesso come sinonimi, non sono però la stessa cosa: è necessario chiarire che l’infarto del miocardio è una data tipologia di infarto, in cui l’ischemia, quasi sempre determinata da ostruzione delle arterie coronarie, colpisce il cuore.

Ischemia ed infarto sono sinonimi?

No, non lo sono. “Ischemia” indica diminuzione della perfusione ematica, mentre “infarto” indica la morte del tessuto provocata da una prolungata ischemia. E’ importante ricordare che non tutte le ischemie determinano necessariamente un infarto: se il flusso di sangue viene ripristinato molto rapidamente, il tessuto potrebbe non subire alcun danno permanente; se invece il flusso ematico NON viene ripristinato rapidamente o non viene ripristinato affatto, il danno tissutale sarà probabilmente permanente e, spesso, determinerà il decesso del paziente. Il tempo in cui il danno necrotico si instaura, dipende non solo dalla causa della mancata perfusione (ostruttiva o non ostruttiva, acuta o cronica) ma anche dal metabolismo soggettivo di ogni tessuto: più un organo ha bisogno di sangue per sopravvivere, più velocemente andrà in necrosi in caso di ischemia.

Vari tipi di infarto

A seconda del tessuto che rimane privo del necessario afflusso sanguigno, l’infarto prende un nome diverso. Se ad esempio è il tessuto intestinale ad andare incontro a necrosi, allora si parla di infarto intestinale; se invece vi è necrosi di tessuto cerebrale, si parlerà di infarto cerebrale (o ictus cerebrale). Quando ad essere ostruiti sono uno o più rami dell’arteria polmonare, si parlerà di infarto polmonare. Se l’interruzione del flusso arterioso avviene a livello dell’arteria renale, a rimanere senza nutrimento è il rene con conseguente ischemia renale ed infarto renale. Questi tipi di infarto sono tra i più diffusi (tranne quello renale, più raro), ma abbiamo dimenticato il più diffuso, cioè…

L’infarto del miocardio

Si parla di infarto del miocardio quando il tessuto interessato da necrosi è il miocardio. Cos’è il miocardio? E’ il muscolo cardiaco che in questo momento permette al vostro sangue di circolare nel vostro corpo. Il cuore è un muscolo, ricordiamocelo!
All’inizio dell’articolo dicevo che quando comunemente si usa la parola “infarto”, è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Perché ciò avviene? Semplice: l’infarto del miocardio è l’infarto più diffuso, quindi ormai, nell’uso comune, “infarto” ed “infarto del miocardio” sono praticamente dei sinonimi.

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I 5 comportamenti che rendono il fumatore simile ad un eroinomane. Il fumo NON è un vizio né un’abitudine: è una tossicodipendenza

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Medicina Estetica Roma FUMO NON E VIZIO ABITUDINE TOSSICODIPENDENTE Sigaretta H Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Luce Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Dietologo DermatologiaMolti miei pazienti e molti miei amici, quando fanno riferimento alla sigaretta, continuano a parlare di “vizio del fumo” oppure di Continua a leggere

Presenza di sangue nello sperma: cause e terapie dell’ematospermia

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma EMATOSPERMIA SANGUE SPERMA CAUSE TERAPIE Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Luce Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Dietologo DermatologiaCon ematospermia (anche detta “emospermia“, i due termini sono sinonimi) in medicina si indica la presenza di sangue nello sperma. La maggior parte dei pazienti affetti descrive il problema lamentando evidenti chiazze o striature di sangue color rosso acceso all’interno del liquido seminale; alcuni soggetti affermano che le macchie si presentano addirittura con un colore nero, paragonandole alle tonalità del caffè. Pur rappresentando un segno clinico fortemente allarmante per il paziente affetto, nella stragrande maggioranza dei casi, il sangue nello sperma, clinicamente, non desta preoccupazioni particolari: l’ematospermia viene infatti considerata una condizione benigna ed autolimitata nella maggior parte dei casi. Ad ogni modo, visto che in alcuni casi può essere spia di patologie anche molto gravi, il parere del medico risulta fondamentale, al fine di escludere eventuali patologie nascoste e chiarire ogni dubbio.

Leggi anche: Cancro del testicolo: prevenzione, diagnosi, stadiazione, cure

Incidenza dell’ematospermia

Molti sono i pazienti che, almeno una volta nel corso della vita, hanno osservato tracce di sangue nello sperma: il più delle volte, il target della condizione apparentemente patologica sono i giovani, in particolare quelli con una vita sessualmente attiva e promiscua. Per contro, altre fonti riportano che anche l’astinenza sessuale prolungata potrebbe rappresentare un fattore di rischio per l’ematospermia.
Solo di rado, gli adulti e gli anziani lamentano episodi di ematospermia legata ad un’intensità e ad una certa frequenza dei rapporti sessuali: in simili frangenti, spesso, la causa del sangue nello sperma risiede in problematiche più gravi, che saranno esaminate nel prossimo paragrafo. Chiaramente, l’occasionalità della condizione non deve preoccupare esageratamente; quando invece l’ematospermia diviene un fenomeno frequente è assolutamente inevitabile la visita medica. Si osserva che l’ematospermia è una situazione ricorrente all’incirca nel 2% delle problematiche di tipo urologico.

Cosa causa l’ematospermia?

Sono molte le possibili cause di ematospermia. A tal proposito è doveroso distinguere due grandi classi di ematospermia:

  1. sangue nello sperma da cause non patologiche;
  2. sangue nello sperma secondario a patologie.

Per approfondire le cause che possono determinare ematospermia, argomento importante perché vi permetterà di comprendere appieno le sue possibile cure, vi consiglio di leggere questo articolo: Cause patologiche e non patologiche dell’ematospermia

Leggi anche: Ipoposia: quando lo sperma è troppo poco. Cause e terapie per aumentare la quantità di eiaculato

Classificazione delle ematospermie

Sulla base della caratteristiche cliniche del sangue nello sperma, è opportuno effettuare una precisa classificazione: a tal proposito, si distingue il sangue prettamente rosso vivo, dal sangue più scuro (marrone o nero) all’interno del liquido seminale.
Nella maggior parte del soggetti diagnosticati, il sangue nello sperma si presenta di un colore rosso acceso: quando la condizione si manifesta frequentemente, è assai probabile che sia in atto una flogosi a carico dell’uretra, della prostata o delle vescicole seminali. Ciò è spiegato dalla rottura – o comunque da microlesioni dei vasi ematici – verificatasi durante l’eiaculazione: infatti, le inevitabili contrazioni della muscolatura liscia generate dall’atto eiaculatorio sottopongono le pareti dei capillari, già lese precedentemente, ad una sforzo eccessivo, che si traduce nella fuoriuscita di sangue mescolato allo sperma. Quando l’ematospermia diviene una problematica particolarmente ricorrente, il sangue emesso insieme allo sperma, durante l’eiaculazione, tende a divenire più scuro, variando tonalità dal marrone al nero. Nella quasi totalità dei casi, i pazienti che lamentano episodi di sangue marrone nello sperma hanno assistito precedentemente anche ad emissioni di sangue rosso vivo nel liquido seminale. Il sangue marrone o nero è la conseguenza di residui di sangue accumulato in precedenza nella prostata o nella vescica seminale: a causa di processi ossidativi, il colore del sangue varia dal rosso acceso al bordeaux – marrone.

Diagnosi delle ematospermie

Lo spermiogramma rappresenta sicuramente l’esame diagnostico più indicato per il riconoscimento di eventuali patogeni nello sperma. La spermiocoltura, invece, completa lo spermiogramma e dà un’idea sulla tipologia e sulla quantità di microorganismi presenti all’interno del liquido seminale.
Quando il paziente, dopo i 50 anni, lamenta episodi di sangue nello sperma sarebbe opportuno un approfondito test della prostata: i rigonfiamenti anomali ed eventuali ascessi potrebbero essere i responsabili del sanguinamento in esame. Quando la palpazione medica ano-rettale non risulta sufficiente, il paziente dovrà sottoporsi ad un’ecografia trans-rettale, sicuramente più precisa rispetto al controllo manuale: quest’ultima evidenzia altre ipotizzabili patologie, quali calcolosi, cisti della prostata, dei dotti eiaculatori o calcificazioni prostatiche.
L’esame PSA (Antigene Prostatico Specifico) è un test diagnostico di screening utile ad escludere la possibile eventualità di carcinoma prostatico. A tale proposito, leggi anche: PSA totale e free alto: capire i risultati dell’esame e rischio di tumore alla prostata
È opportuno il monitoraggio periodico della pressione arteriosa, soprattutto in quei pazienti avanti con l’età: abbiamo visto, infatti, che l’ipertensione potrebbe rappresentare un fattore di rischio per l’ematospermia.
Ancora, al fine di accertare se il sanguinamento nello sperma deriva da una condizione morbosa prostatica od uretrale, sono consigliate, rispettivamente, la cistoscopia e l’uretroscopia.
In caso di sospetta infezione sessualmente trasmessa, sono opportuni i relativi test diagnostici.

Terapie: cura dell’ematospermia

La terapia dell’ematospermia varia notevolmente in base alla causa che l’ha determinata, a tale proposito leggi: Cure dell’ematospermia: dilatatori uretrali, farmaci e chirurgia

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Marito e moglie da dieci anni e con una figlia, scoprono di essere fratello e sorella

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma MARITO MOGLIE DIECI FIGLIA FRATELLO E SORELLA Radiofrequenza Rughe Cavitazione Grasso Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Pancia Filler BotulinoStanno insieme da dieci anni, oggi scoprono di essere fratello e sorella. La sconvolgente storia viene dal Brasile e l’ha svelata una trasmissione di Radio Globo, «The Time Is Now». Leandro ed Adriana, rispettivamente 39 e 37 anni, entrambi brasiliani ed entrambi orfani, si conoscono anni fa, si innamorano e quindi coronano il sogno di andare a vivere insieme come marito e moglie. Hanno anche una figlia di sei anni. Una vita felice la loro con un unico grande buco nero: non sapere chi è la madre che ha abbandonato sia uno sia l’altro più o meno dalla nascita. E’ soprattutto Adriana, la moglie, che insegue ostinatamente il suo passato e vuole arrivare alla verità. Sa soltanto che sua madre si chiama Maria, come quella di suo marito Leandro: sembra solo una casualità. Le ricerche negli anni vanno tutte a vuoto, così Maria decide di tentare l’ultima carta, quella dell’appello sull’emittente Radio Globo che va in onda con una trasmissione dal titolo «The Time Is Now», che è un po’ come il nostro «Chi l’ha visto?», fatto apposta per trovare le persone scomparse.

La rivelazione choc

Radio Globo riesce a rintracciare la donna che aveva lasciato più di trenta anni fa la piccola Adriana e suo padre da soli. Il colpo di scena arriva però quando le due donne si parlano telefonicamente in diretta, durante il programma. La signora Maria svela alla figlia ritrovata che ha un altro figlio il cui nome è Leandro e che ha abbandonato quando era molto piccolo. In pochi minuti si capisce che quel Leandro è lo stesso uomo con il quale Adriana convive. «Non posso credere a quello che mi stai dicendo. Leandro è mio marito – esclama Adriana tra le lacrime – ho paura che ora non mi vorrà più». In studio è gelo per la verità appena svelata. Il seguito si svolge in casa della coppia. All’inizio, entrambi sotto choc per aver saputo di essere fratello e sorella, vivono giorni difficili ma poi decidono che l’amore è grande e continueranno a stare insieme. Dicono a Radio Globo: «Sarebbe stato diverso se avessimo saputo tutto questo prima, ma non lo sapevamo e ci siamo innamorati. Ora solo la morte può separarci». Un’unione che anzi si rafforzerà perché Adriana e Leandro hanno annunciato che diventeranno legalmente marito e moglie.

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Siamo fatti delle stesse cellule, dello stesso sangue, delle stesse emozioni

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