L’avocado fa bene al cuore e non fa ingrassare

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO VERDURA CIBO VEGETALI DIETA DIMAGRIRE CUCINA FRUTTA POMODORI ASPARAGI AVOCADOUno studio americano segnala la possibile efficacia preventiva esercitata dall’avocado rispetto alle patologie cardiovascolari. La ricerca dell’Università della Pennsylvania si è concentrata sulla varietà Hass ed è stata presentata nel corso dell’American Society for Nutrition Scientific Sessions and Annual Meeting at Experimental Biology.
Il dott. Li Wang, che ha coordinato lo studio, spiega: «il consumo di avocado diminuisce il numero delle particelle di colesterolo LDL piccolo e denso nei soggetti in sovrappeso e obesi».
Il colesterolo “piccolo e denso” è quello che preoccupa di più i medici perché rappresenta il principale fattore di rischio cardiovascolare. I ricercatori hanno esaminato un campione di soggetti obesi o in sovrappeso, assegnandoli in maniera casuale al consumo di un avocado della varietà Hass o a una dieta senza avocado ma in ogni caso a basso tenore di grassi. Stando ai dati resi noti da Wang e dalla coautrice della ricerca Penny Kris-Etherton, entrambe le diete avevano come risultato la diminuzione del colesterolo LDL, ma solo quella a base di avocado riusciva a ridurre in maniera significativa il numero di particelle di lipoproteine (LDL-P). Seguendo la dieta senza avocado non si registravano differenze in quest’ultimo parametro.

Continua la lettura su https://www.italiasalute.it/12387/L’avocado-fa-bene-al-cuore-e-non-fa-ingrassare.html

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

La crisi avvelena la nostra salute: a tavola sempre più alimenti scaduti e contraffatti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO SUPERMERCATO MARKET CIBO SPESA CIBO CARRELLO COMPRARE ETICHETTA ALIMENTI DIETAIn tempi di crisi economica, molte cose che ci circondano hanno una qualità più bassa. Può capitare di avere una macchina meno bella o un cellulare meno potente: ma chi se ne importa? Sono semplici oggetti! Il vero problema è quando la mancanza di soldi si riflette sul cibo che mangiamo e quindi, inevitabilmente, sulla nostra salute. La crisi economica pesa infatti molto anche sulla qualità dei cibi e per risparmiare si diffonde l’utilizzo di ingredienti ‘low cost’ che spesso nascondono frodi e adulterazioni”. E’ la denuncia della Coldiretti, secondo cui dall’inizio della crisi a oggi è aumentato del 248% il valore di cibi e bevande sequestrati dai Nas perché “adulterati, contraffatti o falsificati”. Nel 2013 in Italia sono stati sequestrati beni e prodotti per un valore di 441 milioni di euro, soprattutto prodotti base come la carne (25%), pane e pasta (15%), latte e derivati (9%), vino ed alcolici (7%); elevata la percentuale di sequestri riferiti alla ristorazione (18%).

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Assumi abbastanza vitamina D? I sintomi che indicano la sua carenza e i cibi che ne contengono in abbondanza

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO UOVA CIBO DIETA (2)La carenza di vitamina D può svilupparsi per svariate ragioni, riconducibili ad un’insufficiente apporto alimentare, ad un’inadeguata esposizione al sole (in particolare ai raggi UVB), ad un aumentato fabbisogno, ad un alterato assorbimento o a condizioni – come le malattie epatiche o renali – che compromettono la conversione della vitamina nella sua forma attiva.

Il fabbisogno alimentare aumenta con il passare degli anni, quando diminuisce l’abilità della pelle di sintetizzare vitamina D (a partire da un derivato del colesterolo) e quella dei reni di operare l’ultima trasformazione necessaria ad attivarla. Per questo motivo negli anziani viene spesso consigliata una supplementazione di vitamina D, tramite specifici integratori od oli di pesce. L’integrazione viene consigliata, unitamente a quella di calcio, anche nella prevenzione dell’osteoporosi, con lo scopo di rinforzare le ossa e diminuire la suscettibilità alle fratture. A rischio di sviluppare carenze importanti sono gli alcolisti, i pazienti che hanno subìto resezioni dell’intestino tenue e quelli colpiti da insufficienza renale, insufficienza epatica, celiachia, fibrosi cistica, pancreatite cronica o cirrosi biliare primitiva.

Il miglior integratore completo di tutte le vitamine ed i sali minerali di cui avete bisogno, selezionato ed usato dal nostro Staff di esperti, lo potete trovare qui: https://amzn.to/3wPTlxT

Leggi anche: A che serve la vitamina B12? L’importanza in gravidanza e allattamento

QUALI SONO LE CAUSE DELLA CARENZA DI VITAMINA D?

La carenza di vitamina D può avere molteplici cause:

  1. Mancata assunzione nel tempo dei livelli raccomandati di vitamina D. Questo può accadere nel momento in cui si segue una rigida dieta vegetariana, poiché la maggior parte delle fonti naturali di questa vitamina sono di origine animale, come pesce, olio di pesce, tuorli d’uovo, formaggio e fegato di manzo.
  2. Esposizione limitata alla luce del sole. Poiché l’organismo produce vitamina D quando la pelle è esposta alla luce solare, il rischio di carenza aumenta se si è costretti a permanere per lunghi periodi in casa, se il luogo di residenza è sito in latitudini settentrionali, se si indossano abiti lunghi o copricapi per motivi religiosi o se il lavoro impedisce in toto l’esposizione al sole.
  3. Pelle di colore scuro. Il pigmento melanina riduce la capacità della pelle di produrre vitamina D in risposta all’esposizione alla luce solare. Alcuni studi dimostrano che gli anziani con la pelle di colore scuro sono ad alto rischio di carenza di vitamina D.
  4. I reni non possono convertire la vitamina D nella sua forma attiva. Con l’avanzare dell’età i reni perdono parte della loro capacità di convertire la vitamina D nella sua forma attiva, incrementando così il rischio di carenza di vitamina D.
  5. L’apparato gastrointestinale non è in grado di assorbire adeguatamente la vitamina D. Alcune condizioni, come il morbo di Crohn, la fibrosi cistica e la celiachia, possono influenzare la capacità dell’intestino di assorbire la vitamina D assunta dagli alimenti consumati.
  6. Obesità. La vitamina D viene estratta dal sangue dalle cellule adipose, alterandone il rilascio nella circolazione sanguigna. Le persone con un indice di massa corporea pari o superiore a 30 spesso presentano bassi livelli ematici di vitamina D.

Leggi anche: Beta carotene: cos’è, a cosa serve e in quali cibi lo trovo?

QUALI ESAMI SONO NECCESSARI PER VERIFICARE LA CARENZA DI VITAMINA D?

Il modo più preciso per determinare la quantità di vitamina D presente nell’organismo è il test 25-idrossivitamina D. Nei reni, la 25-idrossivitamina D si trasforma nella forma attiva della vitamina. La forma attiva della vitamina viene misurata attraverso il sangue. La forma attiva della vitamina D contribuisce a controllare i livelli di calcio e fosfato presenti nell’organismo. I valori normali variano da 30,0 a 74,0 nanogrammi per millilitro (ng/ml). Un livello inferiore indica carenza di vitamina D ed è necessario consultare il medico.

QUALI SONO I SINTOMI DELLA CARENZA DI VITAMINA D?

Sintomi quali dolore osseo e debolezza muscolare possono essere indicatori di una possibile carenza di vitamina D. Tuttavia, per molte persone, i sintomi possono essere lievi. Eppure, anche in assenza di sintomi specifici, una quantità eccessivamente scarsa di vitamina D può comportare rischi per la salute. Bassi livelli ematici di questa vitamina sono stati associati a:

  1. aumento del rischio di decesso a causa di malattie cardiovascolari
  2. deterioramento cognitivo negli anziani
  3. asma grave nei bambini
  4. cancro

La ricerca suggerisce che la vitamina D potrebbe giocare un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento di una serie di condizioni, tra cui diabete di tipo 1 e di tipo 2, ipertensione, intolleranza al glucosio e sclerosi multipla.

COME TRATTARE LA CARENZA DI VITAMINA D?

Il trattamento della carenza di vitamina D prevede l’assunzione di maggiori quantitativi di vitamina D, tramite alimentazione, impiego di integratori e/o una maggiore esposizione alla luce solare. Sebbene non vi sia un consenso generale circa i livelli di vitamina D necessari per una salute ottimale (il dato varia a seconda dell’età e delle condizioni di salute dell’individuo), è stato comunque appurato che una concentrazione inferiore a 20 nanogrammi per millilitro è generalmente insufficiente e, in quanto tale, richiede un adeguato trattamento.

QUANTA VITAMINA D E’ NECESSARIO ASSUMERE OGNI GIORNO?

Le linee guida dell’Institute of Medicine consigliano agli individui di età compresa tra gli 1 e i 70 anni di assumere una quantità giornaliera di vitamina D pari a 600 unità internazionali (UI). Per gli adulti di età superiore ai 70 anni la dose giornaliera raccomandata è di 800 UI. Se non trascorrete molto tempo al sole o se siete particolarmente attenti a proteggere la pelle (la crema solare inibisce la produzione di vitamina D), consultate il medico e chiedete informazione circa un’eventuale assunzione di integratori di vitamina D, specie in presenza di fattori di rischio relativi alla carenza di questa vitamina

QUALI SONO I CIBI CHE CONTENGONO PIU’ VITAMINA D?

Buone fonti alimentari di vitamina D sono rappresentate da: fegato, tuorlo d’uovo, latte, burro ed oli di pesce. Una specifica integrazione di vitamina D è generalmente raccomandata durante la gravidanza e l’allattamento, ai lattanti nutriti con latte materno (quello artificiale – non per questo migliore del muliebre – è arricchito artificialmente) e talvolta ai bambini ed ai ragazzi. Nel stabilire i dosaggi raccomandati per i nuovi nati, le organizzazioni internazionali tengono conto anche della latitudine di residenza. Non dimentichiamo, comunque, che un’assunzione elevata di questa vitamina può dare fenomeni di tossicità, per cui prima di assumere integratori specifici è importante consultare il parere medico. I rischi di un sovradosaggio includono: mineralizzazione di tessuti non ossei con calcificazioni diffuse degli organi, contrazioni e spasmi muscolari accompagnati a vomito, diarrea e mal di testa.

Leggi anche: Hai voglia di un cibo in particolare? E’ il tuo corpo che ti rivela le carenze nutrizionali che hai

QUALI MALATTIE SONO CAUSATE DALLA CARENZA DI VITAMINA D?

La carenza di vitamina D compromette la mineralizzazione ossea, causando malattie come il rachitismo nei bambini e l’osteomalacia negli adulti, e favorendo l’insorgenza dell’osteoporosi. Nel rachitismo si ha un’insufficiente mineralizzazione della porzione ossea in crescita, che nel tempo cede e si deforma sotto il carico del peso corporeo e della tensione muscolare: le gambe appaiono storte, la mascella deformata, la cassa toracica incavata a livello dello sterno, il viso troppo stretto o anch’esso deforme. Il progressivo miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e la sempre maggiore diffusione della profilassi vitaminica sin dal periodo neonatale, hanno ridotto notevolmente questa malattia da carenza di vitamina D, un tempo diffusissima. Si consiglia comunque di avviare il bambino, sin dai primi giorni di vita, ad una sana vita all’aria aperta, esponendolo frequentemente e con regolarità alla luce solare senza fasciarlo completamente nei mesi invernali e proteggendolo con apposite creme in caso di esposizione prolungata. L’osteomalacia è una malattia caratterizzata dalla rarefazione macroscopica delle ossa, che risultano dolenti e più inclini alle fratture.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Dermatite atopica: giusta alimentazione e probiotici quando le cure tradizionali falliscono

Porta con sé prurito e irritazioni cutanee con cui può essere difficile convivere, iniziando dall’infanzia e a volte continuando fino all’età adulta. È la fastidiosa patologia che prende il nome di dermatite atopica (anche detta eczema atopico , neurodermite). Tale malattia è un eczema cronico cioè una reazione dermica infiammatoria (dermatite) cronica, pruriginosa e non contagiosa. Spesso è difficile trovare una terapia veramente efficiente per la dermatite atopica. A volte non sono efficaci né i rimedi topici, né i farmaci da assumere per via orale. Anche in questi casi rimane, però, un barlume di speranza. Sono infatti sempre più numerosi gli studi che fanno intravedere una soluzione nella integrazione alimentare con probiotici, che rappresenta un valido aiuto per migliorare la gestione della malattia.

Continua la lettura su https://www.saperesalute.it/dermatite-atopica-che-fare-quando-le-cure-tradizionali-falliscono

Per approfondire: Dermatite atopica: cause, sintomi e terapie di una patologia della pelle molto diffusa

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Fa più ingrassare la pasta o il riso? Quale scegliere per dimagrire?

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo FA PIU INGRASSARE PASTA O RISO Dieta Chirurgia Medicina Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia Grasso Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Pancia Sessuologia Pene Laser Filler Rughe Botulino 2

Le frecce indicano il valore che risulta più elevato nel confronto

Tra pasta e riso, qual è quello con le migliori caratteristiche nutrizionali e con meno calorie? Quale scegliere per la nostra dieta, per dimagrire senza rinunciare al gusto?

La pasta ha più calorie del riso

La prima considerazione che va fatta è che la pasta ha un contenuto calorico leggermente superiore rispetto al riso, è più ricca di lipidi, proteine e fibre mentre è più povera di acqua e carboidrati, come possiamo notare osservando la tabella comparativa qui in basso. Il riso, pur avendo un contenuto proteico inferiore alla pasta, ha un indice chimico superiore che lo rende sotto questo punto di vista equivalente, se non addirittura superiore alla pasta. L’indice chimico è un valore che si ricava dal rapporto tra la quantità di un dato aminoacido in un grammo della proteina in esame e la quantità dello stesso aminoacido in un grammo della proteina di riferimento biologica (dell’uovo). Più è alto questo indice e maggiore sarà la percentuale di aminoacidi essenziali.

Leggi anche: Glicemia alta o bassa: valori normali, che patologie indica e come si controlla nei diabetici

Il riso è più digeribile della pasta

Il riso è anche più digeribile poiché l’amido di riso è composto da granuli di dimensioni inferiori ed è povero di amilosio (necessita solamente di 1 o 2 ore di attività gastrica contro le 3 o 4 ore della pasta). Il suo peso aumenta notevolmente durante la cottura, basti pensare che da 1 etto di riso crudo si ottengono circa 320 grammi di riso cotto. Per questo motivo ha un indice di sazietà superiore alla pasta.

Leggi anche: Cosa succede al tuo corpo quando smetti di mangiare pasta e pane

Usato dai celiaci

Il riso parboiled così come quello integrale, conserva intatte gran parte delle vitamine contenute nel chicco. Infine può essere utilizzato anche dai celiaci, poiché contiene poca prolammina, una sostanza che partecipa alla formazione del glutine.
Insomma, sebbene i due alimenti siano simili dal punto di vista nutrizionale, il riso vanta alcune caratteristiche che lo rendono, anche se di poco, migliore e più leggero della pasta. A me piacciono tantissimo entrambi, e voi quale preferite?

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

I 10 motivi per cui non riesci a dimagrire anche se ci provi da anni

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO DISEGNO DI DONNA GRASSA SOVRAPPESO OBESA CHE PIANGE SULLA BILANCIA TRISTE IN BAGNO PERCHE NON RIESCO A DIMAGRIRE

Raggiungere il peso ideale non è solo una questione di bellezza: perdere un po’ di peso, ma soprattutto ridurre il girovita può migliorare di molto le condizioni di salute. Il grasso addominale, infatti, è strettamente legato all’insorgenza di malattie cardiache, diabete di tipo 2, insulino-resistenza e anche alcune forme di tumore. Eppure far “calare la pancia” può risultare un’impresa ardua, nonostante dieta e attività fisica. Il motivo? A contribuire a far allargare il girovita possono contribuire l’età, gli ormoni e alcuni fattori genetici. Ecco una lista di dieci tipici motivi per cui per qualcuno tornare ad avere un ventre piatto può diventare un’impresa impossibile, nonostante anni ed anni di tentativi.

1) L’invecchiamento

Col passare degli anni il corpo modifica il proprio metabolismo basale e con esso le calorie in grado di bruciare normalmente. Per le donne, poi, bisogna tenere conto dall’arrivo della menopausa, che fa diminuire la produzione di estrogeni e progesterone, e contemporaneamente fa diminuire il metabolismo e aumentare la pancia. In parole semplici: se quando avevate 20 anni diminuire la percentuale di grasso corporeo era relativamente facile, se ora avete 40 o 50 anni dimagrire è fisiologicamente più difficile, anche perché – anno dopo anno – allenarsi adeguatamente risulta progressivamente più difficile, soprattutto se si pensa che iscriversi in palestra a 60 anni, dopo una vita di sedentarietà, sia una sorta di bacchetta magica. Per approfondire: Menopausa: quali cambiamenti aspettarsi e come gestirli

2) Dimenticarsi di potenziare i muscoli

Va bene la corsa, va bene l’aerobica, va bene fare zumba, va bene fare step, ma se volete perdere peso in modo efficace in palestra dovete affiancare i pesi: aumentare i muscoli, oltre a farvi apparire più tonici, i muscoli in più aumentano il vostro metabolismo basale e quindi il fabbisogno calorico giornaliero, migliorando le possibilità di eliminare il grasso in eccesso. Per approfondire: Metabolismo basale: cos’è, definizione, calcolo, alto, basso, totale

3) Pensare di dimagrire in una settimana

Dimagrire in modo corretto e senza l’aiuto di liposuzione, richiede tempo: se pensi di poter far calare macroscopicamente la pancia con una semplice corsetta o una seduta di spin purtroppo si sbaglia. Se pensi di poter dimagrire in modo visibile facendo una settimana di dieta, sbagli ugualmente. Per perdere kg di grasso corporeo serve costanza: l’impegno di fare attività fisica e di osservare una dieta ipocalorica, deve essere mantenuto per tempi adeguati.

Leggi anche: Quanto peso perdiamo ogni volta che andiamo in bagno?

4) Dieta sbagliata

Chi non riesce a dimagrire da anni, probabilmente si alimenta in modo errato, con diete ipercaloriche e ricche di grassi e carboidrati. Consumare troppi carboidrati raffinati (come pane bianco, cracker e patatine), assumere troppi zuccheri sotto forma di dolci o bevande zuccherate, è distruttivo non solo sul nostro peso corporeo, ma anche sulla salute. Meglio prediligere frutta, verdura e cereali integrali, che sono ricchi di fibre – ottime contro la stitichezza – e di antiossidanti naturali. Meglio assumere la giusta quantità di proteine (almeno 1 grammo di proteine per ogni kg corpoereo al giorno), possibilmente ad alto valore biologico (uova, latte, carni bianche e pesce). Molte persone che non riescono a dimagrire, ignorano inoltre il fatto che i grassi non sono tutti uguali. Esistono grassi “buoni” e grassi “meno buoni”. Rientrano in quest’ultima categoria, ad esempio, quelli saturi come latticini e carne rossa, che andrebbero ridotti. Via libera invece ai grassi monoinsaturi (come olio d’oliva e quelli contenuti nell’avocado) o alcuni tipi di polinsaturi (come quelli di noci, semi di girasole o gli omega-3 del pesce, anche se più grasso come il salmone). In caso di dubbi, decisamente meglio consultare un medico dietologo.

Leggi anche: Valore biologico: significato, alimenti con proteine ad alto e basso valore biologico

5) Hai appena smesso di fumare

Hai smesso di fumare e sei ingrassato? Purtroppo non è una leggenda: fumare sigarette, aumenta il metabolismo. Quando si smette di fumare, il metabolismo cala, rendendo molto più difficile il rimanere dello stesso peso. Per approfondire: Ho smesso di fumare e sono ingrassato: perché succede e come rimettersi in forma?

6) Troppo stress

Ritmi di vita frenetici, impegni lavorativi e familiari, litigi, crisi amorose ed altre situazioni che generano ansia, possono rendere stremamente più difficile perdere i chili di troppo, perché per affrontare le situazioni di stress si tende a mangiare alimenti più calorici. I cibi calorici, ricchi di carboidrati e grassi (come biscotti, merendine, dolci…) fanno infatti aumentare i livelli del neurotrasmettitore dopamina, che è un vero e proprio antidepressivo endogeno, prodotto dal nostro stesso corpo. Quando siamo tristi e nervosi, se non affrontiamo a monte il problema, rischiamo di attaccarci al cibo per sentirci meglio e non avvertire i sintomi negativi. Ciò può portare, sul lungo periodo, ad una dipendenza comportamentale, la dipendenza da cibo, che rende molto più difficile dimagrire, a meno che non si risolvano i problemi a monte che determinano stress e depressione. Per approfondire: Dipendenze comportamentali: sintomi e caratteristiche

7) Poco sonno

Il 30% degli americani dorme meno di sei ore a notte: troppo poco secondo The National Institutes of Health, che suggeriscono per gli adulti almeno sette-otto ore a notte. Dormire poco è nemico della salute, del dimagrimento, della bellezza e della crescita muscolare. Nonostante molti pensino, sbagliando, che dormire poco faccia dimagrire, in realtà è vero il contrario. Dormire la giusta quantità di ore ed aumentare l’igiene del sonno, è uno dei fattori che può aiutarvi a dimagrire. Per approfondire: Dormire poco fa ingrassare o dimagrire?

8) A forma di mela

Se il tuo corpo ha una forma detta “a mela” (tecnicamente denominata “obesità androide”), per distinguerla da quella “a pera” (denominata “obesità ginoide”), e tendi ad accumulare chili intorno al girovita invece che su fianchi e cosce, significa che mediamente avrai una difficoltà maggiore a perdere grasso. L’obesità di tipo androide è un fenotipo tipicamente maschile, ma può interessare anche le donne, caratterizzato da una maggiore distribuzione di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale e cerviconucale. L’obesità androide si associa statisticamente un maggior rischio di patologie cardiovascolari e metaboliche: infarto del miocardio, ictus cerebrale, diabete, ipercolesterolemia, iperuricemia, ipertensione e ridotta tolleranza ai carboidrati. Per approfondire: Differenza tra obesità androide e ginoide ed i rispettivi rischi per la salute

9) Tiroide che funziona poco

Soffrire di ipotiroidismo, cioè una malattia della tiroide che porta ad un deficit della produzione di ormoni tiroidei, potrebbe determinare un calo nel metabolismo ed una maggior difficoltà a perdere peso. In questi casi un bravo endocrinologo vi somministrerà la giusta dose del farmaco Eutirox e non avrete più scuse per non dimagrire! Per approfondire: Ipotiroidismo: sintomi, diagnosi, cura farmacologica e consigli dietetici

10) La motivazione

Per poter ridurre il grasso addominale, oltre che curare qualsiasi malattia psichiatrica o endocrinologica o altra patologia che aumenti il rischio di soffrire di obesità o si opponga al dimagrimento, bisogna essenzialmente assumere meno calorie e bruciare più calorie. Questo significa combinare una dieta ipocalorica con allenamenti mirati ad elevata intensità che prevedano anche il potenziamento dei muscoli attraverso la pesistica. Tutto ciò potrebbe risultare difficile da seguire, se non si ha la giusta motivazione. La motivazione è quindi la prima cosa che vi serve se volete dimagrire. Senza motivazione, nessuno dei miei pazienti è riuscito a dimagrire in modo soddisfacente. Lavorare su questo aspetto, migliorerà le vostre possibilità di raggiungere il vostro peso forma.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

I trucchi per dimezzare le calorie del tuo panino, senza perdere il suo buon sapore

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO MANGIARE PANINO DIETA CUCINARE DIMAGRIREQuante calorie contiene mediamente un panino con prosciutto crudo e un filo di manionese? Circa 350! Oggi cerchiamo di capire come fare a mangiare un panino che sia altrettanto buono ma che abbia la metà delle calorie. Continuate la lettura! Spesso non è una scelta, ma l’unico modo possibile per risolvere la pausa pranzo quando si è a lavoro o si va di corsa: il panino. Prima di tutto, lo si trova con facilità e ovunque, è veloce da consumare e si può anche preparare a casa da portare in ufficio. Insomma, il panino è un vero jolly per chi lavora, a patto di “comporlo” nel modo corretto. Vediamo allora come evitare ogni rischio, per avere un panino che sia il meno possibile calorico ma il più possibile gustoso! La prima cosa da fare è scegliere il pane giusto: ovviamente, quelli che hanno meno calorie non contengono grassi, e sono il cosiddetto pane comune, le michette (o rosette), la baguette, il francesino e la ciabatta, che apportano tra le 260 e 290 calorie l’etto. Meglio ancora sarebbe optare per il pane integrale: è più ricco di fibre e meno calorico. È anche più saporito, e questo aiuta a non esagerare con gli ingredienti e i grassi del ripieno. Alcune persone però hanno una spiccata preferenza per i panini più morbidi: quelli all’olio, ad esempio, apportano circa 300 calorie per etto, e lo stesso vale per il pane al latte. E quello in cassetta? Due fette di questo pane, per nulla saziante, ammontano a circa 250-260 calorie, a fronte di un ridotto indice di sazietà.

Continua la lettura su https://www.riza.it/dieta-e-salute/dimagrire/3371/dimezza-le-calorie-del-tuo-sandwich.html

Leggi anche:

Lo Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

La giusta alimentazione in gravidanza riduce il rischio di parti prematuri e aiuta lo sviluppo del feto

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO GRAVIDANZA MATERNITA FIGLIO MAMMA MADRE GENITORI CONCEPIMENTO PARTO FETO EMBRIONE (4)Alimentarci con i cibi giusti è importantissimo per tutti noi fin dal momento in cui veniamo al mondo, anzi addirittura prima di venire al mondo. Ovviamente, nel nostro periodo di residenza nel pancione della nostra cara mamma, il nostro nutrimento deriva passivamente da quello che mangia nostra madre e la sua dieta influenza enormemente il nostro destino: diversi studi scientifici, infatti, hanno dimostrato che la crescita del feto, l’esito della gravidanza stessa, e la salute del bambino nel lungo termine sono strettamente correlati al cibo di cui la madre si nutre. Un’ulteriore conferma di ciò ci arriva da un recente studio pubblicato sul Bmj, da un gruppo di esperti svedesi, norvegesi e islandesi che conferma l’esistenza di una forte associazione tra dieta materna e parto pretermine. «Lo studio ha dimostrato come le donne che seguono un certo tipo di alimentazione durante la gravidanza siano a minor rischio di parto pretermine rispetto alle altre» scrivono gli autori. «I nostri risultati mostrano come seguire un’alimentazione corretta, si sia rivelato anche più importante di eliminare completamente singoli cibi considerati insani». Il parto prematuro (anche detto “pretermine”) è un parto il cui travaglio ha luogo tra la 22ª settimana e la 37ª settimana di gestazione, mentre invece normalmente dovrebbe avvenire intorno alla 40ª settimana, ed entro le 42. Il parto prematuro purtroppo comporta una elevata quantità di problemi per il bambino. È associato infatti a diverse patologie che possono verificarsi a breve o lungo termine – come malattie polmonari dovute all’incompleto sviluppo dei polmoni e del sistema immunitario, disabilità di natura fisica o neurologica – e circa il 75% delle morti neonatali sono dovute ad esso.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!