Panettone e dieta: calorie, carboidrati e valori nutrizionali

MEDICINA ONLINE NATALE DOLCI NATALIZI PANDORO PANETTONE TORRONE NOCCIOLE CIOCCOLATO BIANCO SFOGLIATA LIEVITAZIONE OFFELLA INGREDIENTI ZUCCHERO VENEZIANA A VELO CALORIE RICETTE DIFFERENZE DIETA CIBO DOLCE COLOMBA PASQUAIl panettone panettone con canditi e uvetta ha circa da 330 a 360 calorie ogni 100 grammi di prodotto; per quanto riguarda i carboidrati si aggirano intorno ai 55 grammi, mentre i grassi saturi sono 6 grammi e gli acidi grassi monoinsaturi 3 grammi. Le proteine del panettone sono 6.4 grammi ed il contenuto di acqua si aggira intorno ai 26.9 grammi.

Altri valori (per 100 grammi di panettone):

  • Amido 30.30 g
  • Calcio 149.00 mg
  • Fosforo 130.00 mg
  • Ferro 3.00 mg
  • Alcol etilico  0.00 g
  • Saccarosio 22.90 g

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Differenza tra zucchero e miele: quale fa ingrassare di più?

MEDICINA ONLINE MANGIARE TIPI DI ZUCCHERO INTEGRALE CANNA FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBIl miele è prodotto dalle api che trasformano i composti zuccherini che loro stesse raccolgono dai fiori. Sono migliaia i tipi di fiori su cui le api si posano dando origine a mieli di sapore, odore, colore e consistenza diversi… e a nomi diversi (il miele millefiori e il miele di acacia sono sicuramente i più diffusi in Italia).

Che differenza c’è tra miele e zucchero? È meglio utilizzare il miele per dolcificare?

Lo zucchero che si usa comunemente è costituito da un disaccaride (saccarosio) che si forma dall’unione di una molecola di glucosio e una di fruttosio, non contiene acqua, né vitamine, né minerali. Tutto quello che mangiamo è assorbito come zucchero.
Il miele, invece, contiene circa il 20% di acqua, contiene vitamine e minerali (anche se in piccole quantità aiutano comunque a proteggere il nostro organismo), in più, essendo costituito principalmente da fruttosio (monosaccaride), ha un potere dolcificante superiore, ne serve meno per avere la stessa percezione di dolcezza!

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Calorie

Il miele è quindi più dolce dello zucchero e ciò consente di impiegarne quantità inferiori rispetto allo zucchero da cucina. Il miele ha un contenuto calorico più basso (304 Kcal per 100 grammi contro le 392 dello zucchero tradizionale e le 362 dello zucchero di canna) perché più ricco di acqua. Nonostante ciò un cucchiaino di miele fornisce più calorie e carboidrati rispetto ad un cucchiaino di zucchero, a causa del maggior peso specifico. Il miele, specie se non cristallizzato, è inoltre più difficile da dosare.
Le differenza tra questi due dolcificanti è dunque molto sottile; il miele, in virtù del suo contenuto vitaminico e minerale è sicuramente un alimento migliore dello zucchero anche se molte volte gli vengono attribuite proprietà che non possiede. Per un diabetico sostituire lo zucchero con il miele apporta qualche piccolo vantaggio, ma solo a parità di quantità consumate. L’errata convinzione che il miele sia un alimento “benefico” può condurre il diabetico a consumarne dosi eccessive, mettendo a rischio la propria salute esattamente come farebbe consumando dosi eccessive di zucchero.
E’ infine doveroso spendere due parole sulla qualità del miele, spesso alterata da processi industriali e da produttori senza scrupoli. Per questo motivo si consiglia di evitare mieli extracomunitari, specie se commercializzati a basso prezzo da ditte semisconosciute.

MIELE

  • Ricco di vitamine minerali ed altre sostanze utili per l’organismo.
  • Meno calorico a parità di volume (un cucchiaino di zucchero contiene meno carboidrati di un cucchiaino di miele).
  • Potere Dolcificante superiore.

ZUCCHERO

  • Indice glicemico simile.
  • Meno calorico a parità di peso.
  • Più facile da dosare.

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Differenza tra vino rosso, bianco e rosato

MEDICINA ONLINE BERE COCKTAIL ALCOLICO ALCOL INGRASSARE DIMAGRIRE VINO ROSSO BIANCO BOTTIGLIA LINEA CALORIE DRINKING WINE AMICI AMICIZIA GRUPPO TAVOLA MANGIARE RISTORANTE SERATA PUB BIRRSe si vuole effettuare la classificazione del vino per tipologia, essi si possono raggruppare in vino rosso, vino bianco e vino rosato.  Per chi non è esperto di vinificazione, la differenza tra le tre tipologie può essere riassunta solo nella colorazione, evidente al primo sguardo. Eppure, in pochi sanno da cosa è dato il caratteristico colore.

Una diceria indica che l’uva bianca produrrebbe solo vino bianco, mentre la cosiddetta uva nera o uva rossa, lavorata a dovere, fa produrre alle cantine solo il vino rosso o il rosato. In realtà, la colorazione dipende dalla presenza o meno, durante la fase di macerazione, delle vinacce, e per quanto tempo rimangono in “infusione”. Le vinacce sono le parti solide del frutto, per esempio la buccia e la polpa dell’uva. Per esempio, una delle differenze significative è data dalla pigiatura: per i rossi è totale, mentre per i bianchi è parziale. Come mai questa peculiarità?

Il Vino Bianco

Il vino bianco è ottenuto in maniera principale dalla spremitura dell’uva senza la sua buccia. Per questo motivo, il prodotto finale presenta un colore che si avvicina al giallo. Di solito, per questo tipo di vino, la temperatura ottimale per la consumazione si aggira tra gli 8 e i 14 gradi: un grado in più e si rischia di ritrovarsi un vino dal retrogusto amaro. Caratteristica principale del bianco è il suo profumo floreale e fruttato: per tutte queste caratteristiche, le pietanze a cui lo si abbina sono la carne bianca, il pesce e la verdura in generale, o comunque piatti dai sapori delicati. Nella bevanda dal colore giallo chiaro trasparente, al momento della preparazione, non sono aggiunte affatto le vinacce, permettendo di ottenere un sapore più delicato rispetto al rosso, ricco di tannini. La differenza tra vino bianco e rosso sta anche nelle pigiatrici: devono essere molto delicate per pigiare l’uva in maniera molto delicata e mantenere la delicatezza anche all’interno della bottiglia. I vini bianchi più conosciuti sono la Passerina, il Vermentino e il Soave, presenti nel nostro e-store online.

Il Vino Rosso

Il vino rosso si differenzia dal vino bianco proprio per la sua composizione. Intanto, si ottiene da uve fresche impiegate con la loro buccia, messa a macerare in modo da donare al composto il caratteristico colore scuro. La temperatura di consumazione consigliata è tra i 14 e i 20 gradi. Il colore rosso della bevanda può variare dal porpora al rosso aranciato, dipende dal tempo di macerazione e maturazione: i tannini si trasferiscono in questa maniera: la tradizione vuole che un bicchiere di rosso a pasto serva per allungare la vita e dare benefici al cuore. Ovviamente dipende dal consumo e dalle varie tipologie, perché non tutti i rossi sono uguali. In generale, il vino rosso è abbinabile a piatti di carne rossa, ai formaggi e alla cacciagione, oltre a tutte le pietanze dal sapore molto deciso. Nel nostro sito si possono trovare molti vini rossi rinomati, tra cui il Barolo, il Cannonau e il Nero D’Avola.

Ovviamente, essendo il vino un alcolico, l’assunzione deve essere moderata ed in alcuni casi vietata. Non solo per le patologie; le donne in dolce attesa, ad esempio, non devono assumere vino. L’alcol, anche se in piccole concentrazioni, può danneggiare lo sviluppo del nascituro.

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Ossido nitrico: cos’è, a che serve e dove trovarlo?

MEDICINA ONLINE INTEGRATORE ALIMENTARE DIETA DIETARY SUPPLEMENT COMPLEMENT ALIMENTAIRE SUPLEMENTO DIETETICO NahrungsergänzungsmittelIl monossido di azoto (anche chiamato “ossido nitrico” o “NO”; in inglese “nitric oxide”) è un gas incolore; nel corpo umano il monossido di azoto (NO) rappresenta un importante neurotrasmettitore con effetto vasodilatante. E’ quindi un potente vaso-dilatatore, utilizzato per la terapia dell’ipertensione polmonare, in particolare nei neonati affetti da insufficienza respiratoria ipossemica. E per questa caratteristica viene indicato come un fattore di rilascio endotelio-derivato, sigla inglese EDRF. Il NO viene sintetizzato a partire da ossigeno ed arginina grazie all’azione degli enzimi NO-sintasi ed attraverso una reazione multifasica e molto complessa.

Funzioni
Il NO possiede la capacità di penetrare attraverso le membrane e le barriere di tutti i micro-organismi (batteri, virus, funghi, parassiti), e tra cui le nostre cellule, dato che fra l’altro non possiede carica elettrica e può quindi muoversi liberamente sia all’interno che all’esterno di esse. Esso va ad intervenire in diversi meccanismi:

  • sulla muscolatura liscia dei vasi sanguigni provocando vasodilatazione con conseguente aumento del flusso ematico e funzione omeostatica;
  • va ad inibire anche l’adesione e l’aggregazione piastrinica;
  • viene sintetizzato dai macrofagi durante la risposta immune e può contribuire ad un diretto effetto battericida;
  • è importante per l’erezione del pene e per contrastare la disfunzione erettile;
  • ha un ruolo nel ciclo di crescita del capello.

Meccanismo di azione
Il monossido nitrico (NO) ha come bersaglio primario un enzima detto l’enzima guanilato ciclasi. Questo enzima dal guanosin-trifosfato (Guanosin Tri Posfato) – GTP genera il Guanosin Mono Posfato Ciclico – GMPc.  Il Guanosin Mono Posfato Ciclico – GMPc attiva a valle la protein-chinasi GMPc-dipendente (PKG), la quale fosforila proteine contrattili e strutturali della cellula come la calponina, il fosfolambano e la tropomiosina rendendole sensibiliti alle azioni degli ioni calcio, i principali responsabili della contrazione delle cellule muscolari. La PKG ha anche un ‘ altra azione : fosforila i recettori dell’IP3 (Inositolo trifosfato) situati sulla superficie dell’SR (reticolo sarcoplasmatico della cellula muscolari lisce che costituiscono la parete del vaso sanguigno dette cellule endoteliali ), impedendone l’aggancio con l’IP3: ciò impedisce il rilascio del calcio dall’SR o dall’ER, inibendo la contrazione della muscolatura liscia (generalmente elevata in tale tipo di tessuto) e inducendone quindi il rilassamento.

I benefici della vasodilatazione
Con “vasodilatazione” si intende un aumento del calibro dei vasi sanguigni conseguente al rilassamento della muscolatura liscia dei vasi sanguigni, in particolare delle arterie, delle arteriole e delle vene di grande calibro. Come diretta conseguenza avremo anzitutto un aumento del lume dei vasi e, soprattutto per le arteriole,una diminuzione della pressione arteriosa. A livello sportivo la cosa è sicuramente favorevole: durante l’attività fisica assistiamo difatti ad un aumento della pressione arteriosa per via delle maggiori richieste di ossigeno e nutrienti al muscolo. I processi di vasodilatazione permettono quindi, a parità di pressione, di assicurare lo stesso quantitativo di molecole richieste. Ma questo non è l’unico aspetto benefico, difatti negli sport anaerobici lattacidi il corpo deve far fronte ad un’altra necessità, ossia quella di smaltire l’acido lattico prodotto, un aumento del lume dei vasi permette quindi di svolgere più efficacemente anche questo meccanismo. Dunque all’atto pratico possiamo riassumere i benefici della vasodilatazione in questi punti:

  • aumento della prestazione aerobica grazie al maggior apporto di ossigeno;
  • aumento della prestazione anaerobica grazie al maggior tasso di smaltimento di lattato;
  • aumento della prestazione in generale e del recupero grazie al maggior apporto di nutrienti;
  • maggiore efficacia dell’erezione del pene.

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Ossido Nitrico (NO): in quali alimenti trovarlo?

1. Cacao in polvere
I flavonoli del cacao sono noti per migliorare il flusso di sangue andando ad attivare il sistema nitrico (nitric oxide system). Questi sono presenti anche in tè e vino rosso ma in misura ridotta, il che porta il cacao ad esserne la fonte più intelligente da usare per questo fine (questo non vuol dire ingozzarsi di cioccolata prima del workout). Altro punto, già che abbiamo citato il vino rosso, l’alcol è un vasodilatatore, ma anche qui non mi soffermo a spiegare il perché non sia una mossa intelligente bere prima di provare il massimale di panca. Il dosaggio ottimale è di 500-1000mg/die di flavoni (circa 27 gr di cioccolato fondente con alte % di cacao).

2. Spinaci e Barbabietole
Spinaci e Barbabietole ricchi di nitrati sono effettivamente un ottimo alimento da consumare nel preworkout (e, come vedremo, anche dopo). Qui tolgo subito un dubbio, i nitrati non sono dannosi di per sé, la problematica è che possono convertirsi in nitriti, e quelli si, sono da evitare. Il primo studio citato, tra l’altro, parla anche di mele ricche di flavonoli, qui si ritorna al primo punto. Per il discorso barbabietole ci sono ottime evidenze di un loro beneficio soprattutto in sport di endurance come il running. Il dosaggio consigliato di nitrati è di c.ca 6.4-12.8mg/kg (approssimativamente 500 gr di Barbabietole).

Ossido Nitrico (NO): In quali integratori trovarlo?

1. Vitamine C ed E
le vitamine C e la E, agendo come antiossidanti, intervengono attenuando il danno ossidativo cui son soggetti i NOS (ossido nitrico sintetasi) permettendo quindi, indirettamente, una loro migliore operatività. Per il dosaggio in questi casi mi atterrei ai 2 gr/die di vitamina C ripartita in piccole assunzioni durante la giornata e 15 mg (22.4IU c.ca) per la vitamina E. Non si tratta di integratori specifici per la vasodilatazione, possono dare una mano in via indiretta (e influire forse un minimo) e come tali li utilizzerei.

2. L-Citrullina
Si tratta di un metabolita intermedio del ciclo dell’urea. I NO-sintasi, abbiamo visto, sintetizzano ossido nitrico a partire da Arginina ed ossigeno, ebbene la prima viene inizialmente trasformata in Citrullina, dunque quali sono gli effetti della supplementazione di Citrullina? Non stupisce che si abbia un aumento dell’ossido nitrico, lo vediamo in diversi studi dove si utilizza sia la forma L che quella Malato. Le dosi utilizzate in questo caso sono state di 5-6 gr.

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3. Ginko Biloba
Oltre ai suoi benefici in termini di stress fisico e mentale, il Ginko Biloba comporta anche una risposta di vasodilatazione. Quest’azione è dovuta sia ad un aumento del rilascio o neuronale di fattori endogeni rilassanti , sia tramite inibizione dell’enzima COMT. In generale ha un effetto benefico sulla circolazione, nonchè proprietà antiossidanti. Il dosaggio è di 120-240mg, da prendere assieme ad un pasto (pre o postworkout per esempio).

4. Arginina
Il principale meccanismo di azione attraverso cui la supplementazione di arginina influenza la salute dell’apparato circolatorio è il suo ruolo di substrato per i NOS per produrre Ossido Nitrico e la conseguente produzione di GMP intracellulare (il discorso vale anche per la Citrullina che anzi, si rivela una scelta migliore e più efficace in questi termini). Tuttavia gli studi sull’assuzione di L-arginina (su atleti in salute) sono discordi. In determinati casi i biomarkers del metabolismo del NO sono aumentati, in altri non vi sono state sostanziali modifiche. Il dosaggio è di 3-6 gr da 1 a 3 volte al giorno (nel caso si intenda mantenerne alti i livelli durante la giornata). Tuttavia, ripeto di nuovo, la citrullina si è dimostrata più efficace per raggiungere i risultati sopra visti e l’arginina, anche nelle forme più biodisponibili, si può considerare un supplemento tutto sommato superato e ormai poco utilizzato. Non vi sono state influenze (ed anche questo vale per la citrullina) nei confronti degli ADMA (antagonisti dei NOS), non sembra esservi quindi tale meccanismo di azione per i due supplementi.

Quando assumere questi integratori nello sport?
Da una parte gli effetti in acuto suggerirebbero un assunzione nel preworkout. In tal senso è ottima la combinazione con delle fonti di carboidrati e delle whey (insulinogeniche) che amplieranno l’effetto vasodilatatorio durante l’allenamento. Un altro momento è il postworkout, quando l’effetto “pump” tende a perdersi pian piano, si può andare ad intervenire per favorire il recupero muscolare. L’aspetto pi importante però, a mio avviso, è quello di approcciarsi a questi supplementi come un valido aiuto in termini di salute cardiocircolatoria (non si sottovaluti l’incidenza di problematiche quali TOS/sindrome dello stretto toracico superiore negli sport di sollevamento pesi). L’ideale è dunque un’assunzione in cronico, va bene allora l’integrazione nel peri-workout come abbiamo visto, però è molto più logico includere nella propria dieta alimenti come spinaci, barbabietole.

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Il cioccolato fa ingrassare o dimagrire? Quante calorie ha?

MEDICINA ONLINE CIOCCOLATO CACAO CIBO DIABETE INSULINA DOLCI DOLCE GRASSI ZUCCHERO CARBOIDRATI CUORE PANCREAS DIGESTIONESe fino ad oggi avete temuto di ingrassare mangiando qualche quadratino in più di cioccolata adesso potete stare decisamente più tranquilli. Sembra infatti che sia vero esattamente il contrario: non solo il cioccolato non fa ingrassare ma aiuta invece a dimagrire!

La buona notizia che tanti di noi aspettavano arriva dall’Università di Granada ed è stata pubblicata sulla rivista Nutrition. Si tratta di un’ulteriore conferma ad un precedente ricerca sul cioccolato portata avanti dall’University of California di San Diego, arrivata alla medesima conclusione.

Questa volta gli scienziati, che hanno analizzato i dati relativi a 1500 adolescenti di 6 diversi paesi europei, hanno notato come chi consumava più cioccolato, indipendentemente dall’attività fisica praticata e dal tipo di alimentazione che seguiva, aveva meno grasso nelle diverse parti del corpo e in particolare sulla zona addominale.

Per scoprire questa dote brucia-grassi del cioccolato si sono valutati diversi parametri tra cui misura del girovita dei ragazzi che hanno partecipato alla ricerca e indice di massa corporea (Imc). Ma come è possibile che un alimento così calorico possa essere addirittura “dimagrante”? I ricercatori attribuiscono questa potenzialità alla presenza nel cioccolato delle catechineantiossidanti particolarmente benefici per il nostro organismo e più nello specifico per il metabolismo del corpo.

Saputo questo però non fatevi prendere dai facili entusiasmi, come ci ha tenuto a sottolineare l’autrice principale dello studio, Magdalena Cuenca-García: “In quantità ridotte, il cioccolato può essere un bene. Ma, senza dubbio, un consumo eccessivo è dannoso“.

Calorie per 100 grammi di cioccolato:

  • Fondente con 50% di cacao: 546 calorie.
  • Al latte: 535 calorie.
  • Bianco: 539 calorie.

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Ricomposizione corporea e rapporto tra massa grassa e magra

MEDICINA ONLINE PALESTRA MUSCOLI IPERTROFIA ALLENAMENTO FIBRE MUSCOLARI ROSSE BIANCHE POTENZIALE GENETICO PESI PESISTICA WORKOUT PRE POST INTEGRATORI PROTEINE AMINOACIDI RAMIFICATI BCAA WHEY CASEINE CREATINA CARNITINA FISICOLa ricomposizione corporea a grandi linee si presenta come una strategia dietetica e di allenamento volta al miglioramento della forma fisica. Andiamo a vedere più nel dettaglio cos’è.

Solitamente quando si affronta l’argomento “dieta” si pensa sempre ad un tot di “chili in meno” quindi ad una perdita netta di peso. Questo è il messaggio che arriva maggiormente: cominciare una dieta è l’inizio di un percorso che vede come meta un miglioramento della propria forma fisica, raggiunto principalmente attraverso la perdita di grasso in eccesso. L’errore comune a tante persone meno esperte è rappresentato dal ritenere la stessa cosa la perdita di peso sulla bilancia e il dimagrimento. Se dovesse essere sorta qualche perplessità alcuni esempi numerici ci aiuteranno a dirimerla. Un ragazzo sulla ventina entra in palestra con un peso di 65kg e una percentuale di massa grassa di circa il 15%, che riflette un fisico non grasso, ma allo stesso tempo neanche molto muscoloso. Dopo un anno di allenamento affiancato da un piano nutrizionale vede il suo peso salire a 75kg e le misurazioni antropometriche per la stima della massa grassa ora gli assegnano un 13% (di grasso corporeo), cos’è successo?

Nonostante la massa grassa espressa in chilogrammi sia rimasta alla fine la stessa dall’inizio del percorso (0.15 x 65 = 9.75 kg) e dopo un anno (0.13 x 75 = 9.75 kg), il ragazzo è dimagrito. Questo è un classico esempio di ricomposizione e se ancora qualche dubbio persiste si può far ricorso alla matematica, rifacendoci alle misure dell’esempio, per notare come la stessa quantità di grasso corporeo assoluta risulti in percentuale, sulla massa corporea totale, diminuita di due punti percentuali (da 15% a 13%). L’aumento ponderale è stato dato dall’aumento della sola massa magra.

Allo stesso modo un ragazzo sovrappeso dopo aver seguito un piano di dieta ed esercizio fisico raggiunge un peso inferiore, ma solo di poco. Una delusione?  Solo se ci si ferma alla bilancia perché il ragazzo potrebbe mostrare una percentuale di massa grassa molto inferiore al punto di partenza il che sullo stesso peso ci indicherebbe un aumento di massa muscolare che, affiancata ad un’abbondante perdita di tessuto adiposo, risulta in un dimagrimento accentuato: ecco perché al posto della bilancia, bisognerebbe effettuare una bioimpedenziometria!

Con l’aiuto della fantasia abbiamo osservato due classici esempi ricomposizione corporea. Essa pertanto si realizza con una variazione relativa e reciproca della quantità di massa grassa e massa magra (a favore di quest’ultima), che risulta funzionale al raggiungimento di un livello prestativo sportivo superiore o semplicemente ad un benessere maggiore.

Rivediamo alcuni punti chiave dell’argomentazione per un’ulteriore delucidazione. La perdita di peso si osserva quando il nostro organismo, in seguito ad opportuni input (dieta e/o allenamento), mobilita le sue scorte energetiche che una volta perse produrranno il calo ponderale. Il dimagrimento invece si manifesta quando, indipendentemente dal peso, si ha un aumento della massa magra o una diminuzione del tessuto adiposo o entrambe le cose contemporaneamente. La ricomposizione corporea significa ottenere un miglioramento della forma fisica attraverso un cambiamento delle proporzioni tra massa muscolare e tessuto adiposo.

La differenza tra dimagrimento e ricomposizione può essere definita come segue: mentre il primo si riferisce ad un aumento relativo del tessuto muscolare, sia che il peso aumenti, sia che il peso diminuisca, la seconda si riferisce ad un aumento relativo del tessuto muscolare (che si cerca di mantenere il più possibile) tramite una riduzione in termini assoluti del tessuto adiposo (che si cerca di ridurre il più possibile).

Come procedere alla ricomposizione corporea?

Sebbene la ricomposizione corporea possa non sembrare una novità ai neofiti della palestra (per ragioni che ora non approfondiamo), la maggior parte di chi si trova ad intraprendere una dieta può trovare utopico raggiungere due obiettivi così ambiti (la perdita di grasso e l’acquisto o il risparmio di massa muscolare) nello stesso momento. Eppure è possibile. Diversi testi espongono consigli e strategie sul come procedere alla ricomposizione corporea Ottimi in tal senso sono i testi di Lyle McDonald The Ultimate Diet 2.0. Advanced Cyclical Dieting for Achieving Super Leanness e The Ketogenic Diet. A Complete Guide for the Dieter and Practitioner, in cui vengono illustrati dei protocolli ad hoc per ottenere il massimo dimagrimento con la minor perdita di tessuto muscolare possibile.

Alla base della ricomposizione corporea c’è la diversa ripartizione dei nutrienti (quindi delle calorie) nei vari distretti corporei (massa magra e massa grassa) che si realizza con un’opportuna scelta del timing di assunzione dei macronutrienti e della tipologia di allenamento. Questo approccio, insieme anche ad un piano di integrazione mirata, è volto al tentativo di modulare la risposta ormonale alla dieta e all’esercizio in modo tale da favorire la massa magra e sfavorire il tessuto adiposo per l’ottenimento della tanto agognata ricomposizione corporea.

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Differenze tra yogurt greco e normale

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Uno degli alimenti più conosciuti e consumati dalle persone, specialmente in questi ultimi anni dove ha avuto un vero e proprio boom, è lo yogurt greco. Si tratta a tutti gli effetti di uno yogurt, ma ha un sapore e una consistenza completamente diverse dallo yogurt “normale” (che, come vedremo, è tutt’altro che tradizionale) che consumiamo di solito. Ma per capire che cos’è lo yogurt greco abbiamo la necessità di capire, per prima cosa, che cosa sia lo yogurt tradizionale.

Lo yogurt tradizionale

Lo yogurt è un sottoprodotto della lavorazione del latte, latte che può essere di qualsiasi animale (capra, mucca e pecora) e anche di origine vegetale (come il latte di soia, di riso o di noci) perché deriva essenzialmente dalla fermentazione degli zuccheri. Infatti, se nel latte entrano alcuni batteri particolari, che industrialmente vengono inseriti di proposito, questi hanno una particolare attività detta fermentazione: per prima cosa scindono lo zucchero principale del latte, il lattosio, nelle due unità di base che sono il glucosio e il galattosio, poi si “mangiano” quest’ultimo formando un acido, l’acido lattico.

Questo acidifica il prodotto, rendendo la vita impossibile ad altri batteri e facendo sì che il latte possa conservarsi più a lungo. Ed è per questo motivo che lo yogurt è molto più acido rispetto al latte di partenza. E questo è lo yogurt tradizionale. Eppure lo yogurt a cui siamo abituati non è acido! Perché quello non è yogurt. Il marketing, negli anni ’80, ha fatto un così grande lavoro in Italia, facendo credere che quei barattolini ai vari gusti molto dolci che troviamo nei supermercati fossero yogurt: si tratta di uno yogurt con aggiunta di panna o zucchero per renderlo più appetibile, soprattutto ai bambini.

Quando vi capita, andate in un caseificio e chiedete dello yogurt, quello vero. Sentirete la differenza (e capirete anche perché hanno voluto renderlo più buono: è immangiabile!) ma potete dire di aver mangiato almeno una volta nella vita lo yogurt, non quello che viene spacciato per yogurt (ma che ha i fermenti quindi ai fini della legge può essere chiamato yogurt).

Lo yogurt greco

Ma in questo articolo parliamo di yogurt greco, che in realtà non è greco ma bulgaro (ma se lo avessero chiamato yogurt bulgaro non avrebbe avuto il suo appeal) e viene prodotto soprattutto negli Stati Uniti. Quante verità ci vengono rivelate, vero? In realtà, se avete modo di assaggiare lo yogurt tradizionale (quello vero) e lo yogurt greco, scoprirete che a livello di gusto la differenza non è tantissima. Lo sentite diverso, per prima cosa, perché quello che pensate sia yogurt tradizionale non lo è, come abbiamo appena visto.

La differenza tra la produzione dello yogurt tradizionale e lo yogurt greco è infatti minima: si parte dallo stesso latte, con gli stessi fermenti, ma un certo punto si arriva al filtraggio dello yogurt, perché, come il formaggio, la parte liquida è separata da quella solida. Nello yogurt tradizionale le operazioni di filtrazione sono due, mentre nello yogurt greco sono tre. Potrebbe sembrare una differenza di poco conto, ma la terza filtrazione è lentissima, perché più si va avanti e più è difficile estrarre il liquido, e questo porta ad una serie di differenze. Essenzialmente nel liquido che viene filtrato e buttato vi è contenuto quasi tutto il sodio (quindi lo yogurt greco è adatto a chi segue diete iposodiche) e il lattosio che i batteri non hanno fermentato (il ché rende lo yogurt greco adatto anche agli intolleranti). Nella massa, di conseguenza, rimane un quantitativo maggiore di proteine, per cui è più nutriente e più grasso di quello tradizionale. Va però ricordato che un processo di raffinazione industriale in più ha permesso di creare un ‘mostro’, lo yogurt greco light, con solo il 3% di grassi! Rispetto allo yogurt tradizionale, e non a quello dolcificato a cui siamo abituati, lo yogurt greco ha un contenuto in zucchero più basso e chiaramente è anche meno dolce, per lo stesso motivo.

Calorie

Lo yogurt “normale” contiene mediamente 59 calorie per 100 grammi e circa 3,6 grammi di carboidrati; lo yogurt greco contiene invece mediamente 115 calorie per 100 grammi e circa 2,5 grammi di carboidrati.

Differenze con lo yogurt tradizionale

Quali sono i benefici della salute dello yogurt greco? E’ più indicato per il maggior quantitativo di nutrienti, proteine, e per la minor presenza di zuccheri e per una percentuale di sodio minore rispetto allo yogurt tradizionale. I benefici quindi non sono tantissimi, ma stiamo parlando a tutti gli effetti di due prodotti molto simili. La differenza è invece maggiore in cucina, dove i sapori sono diversi per cui lo yogurt greco si può impiegare anche nella cucina soprattutto salata, laddove impiegare quello tradizionale dolce è molto più difficile, per cui si tende a consumarlo tal quale o al massimo come ingrediente nei dolci.

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Il diabetico può mangiare i carciofi? Quanti carboidrati e calorie hanno?

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La parte che si mangia del carciofo ha anche effetti di modulazione dei picchi glicemici. Si tratta sicuramente di un effetto diretto della fibra contenuta nel carciofo nella riduzione del picco glicemico. D’altra parte, anche solo l’estratto, senza fibra, della testa del carciofo, produce l’effetto descritto. Significa che il carciofo diventa davvero interessante per chi stia cercando un miglioramento dei propri livelli glicemici e, più in generale la propria salute e infiammazione generale. Gli effetti di una non buona modulazione degli zuccheri del sangue sono tra le maggiori cause di patologia metabolica e non solo, rappresentando, la resistenza insulinica un fattore di rischio importante per quasi qualsiasi patologia e malattia.

Il carciofo può essere quindi assunto dal paziente diabetico, soprattutto quando è proposto dal periodo stagionale che consente di sfruttare a pieno anche il potenziale antiossidante della pianta.

Il carciofo possiede 47 calorie ed 11 grammi di carboidrati per 100 grammi. Chiedete al vostro medico le quantità di carciofo che potete assumere giornalmente.

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