Prevenire le infezioni nel bambino: l’importanza dei vaccini

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO VACCINO BAMBINI PUNTURA INIEZIONE SPALLA (2)L’influenza è una malattia che ogni anno, soprattutto durante la stagione invernale, colpisce fino al 30% dei bambini a livello mondiale ma prevenirla si può e la vaccinazione resta il mezzo più efficace. Ciò spiega perché le autorità sanitarie di molti Paesi concordino nel raccomandarla non soltanto negli anziani e nei pazienti di ogni età con fattori di rischio ma anche in bambini sani, come avviene già negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Anche il nostro Paese sembra aver reso ufficiale questa linea di pensiero come emerge dal Calendario per la Vita 2016, attualmente al vaglio del Ministero della Salute, in cui si evidenzia da parte dei pediatri e medici di medicina generale una forte e univoca raccomandazione all’estensione della vaccinazione antinfluenzale anche ai bambini sani dell’età prescolare.

Vaccino antinfluenzale nei bambini

“I bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e tutti coloro che soffrono di malattie croniche gravi  – afferma la prof.ssa Susanna Esposito, presidente del Congresso, direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano e presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici – sono i soggetti a maggior rischio di forme particolarmente gravi che possono comportare la necessità di ricovero ospedaliero o, più raramente, condurre alla morte. L’influenza può avere un decorso particolarmente negativo soprattutto quando i virus responsabili dell’infezione sono strutturalmente diversi da quelli che avevano circolato negli anni precedenti, come si verifica nelle pandemie”. Esistono numerosi fattori per considerare il bambino, anche quello sano, come target di interesse per la vaccinazione contro l’influenza:

  • Il bambino da 0 a 5 anni si ammala d’influenza circa 10 volte più di frequente dell’anziano e circa 5 volte più dell’adulto.
  • Il bambino da 6 a 14 anni si ammala d’influenza circa 8 volte più di frequente dell’anziano e circa 4 volte più dell’adulto.
  • I bambini rappresentano i principali soggetti responsabili della trasmissione dell’influenza nella popolazione.
  • L’ospedalizzazione per influenza del bambino sotto i 2 anni avviene con proporzioni superiori a quelle del paziente anziano.

Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato lo sviluppo di vaccini quadrivalenti invece che trivalenti in considerazione del frequente fenomeno del ‘mismatch’ (mancata corrispondenza) tra ceppi di virus B circolanti e ceppi presenti nel vaccino. Da oltre 30 anni, infatti, il vaccino contro l’influenza è stato preparato con due tipi di virus del gruppo A, l’A/H1N1 e l’A/H3N2, e un virus del gruppo B, i principali responsabili dell’influenza nell’uomo. I dati epidemiologici, in effetti, hanno dimostrato la concomitante e consistente presenza di ambedue i ceppi (o lineage) B-Victoria e BYamagata spesso (come nella stagione influenzale dello scorso anno) con una predominanza o importante circolazione del ceppo non presente nel vaccino e, conseguentemente, con un maggior rischio di complicanze per la popolazione target della vaccinazione.

L’inclusione di ceppi dei due lineage di virus B (Yamagata e Victoria) è pertanto raccomandata per i vaccini antinfluenzali da utilizzare da ora in poi, e quindi i vaccini quadrivalenti andranno progressivamente a sostituire per raccomandazione gli attuali vaccini split o subunità trivalenti a partire dai 3 anni di età (in quanto attualmente sono ancora in corso studi di efficacia e sicurezza per l’approvazione anche nei primi 3 anni di vita).

Immunostimolanti e probiotici

Non solo influenza e vaccino antinfluenzale, ma anche immunostimolanti e probiotici, tra i temi ampiamente discussi al Congresso. In Italia, il 25% dei bambini nei primi anni di vita soffre di infezioni respiratorie ricorrenti (IRR) e ciò è dovuto principalmente all’immaturità del loro sistema immunitario e alla presenza di fattori ambientali che aumentano il rischio di esposizione ad agenti patogeni. Tra le strategie di prevenzione più efficaci, vi è la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori come il pidotimod e l’OM-85. A tal proposito, un nuovo studio è stato recentemente avviato dall’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano con l’obiettivo di raccogliere ulteriori dati sull’efficacia e la sicurezza dell’immunostimolante/immunomodulatore OM-85 nei bambini con una storia di infezioni respiratorie ricorrenti, analizzando anche l’impatto di OM-85 sul microbiota respiratorio e intestinale.

“Nonostante si tratti di infezioni generalmente lievi – sottolinea Esposito – le IRR hanno un impatto medico, familiare e socio-economico rilevante e questo spiega perché diverse strategie di prevenzione, tra cui la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori, vengano utilizzate nel tentativo di ridurre la loro incidenza. Dati recenti sebbene non ancora definitivi hanno dimostrato, poi, il ruolo primario del microbiota respiratorio e intestinale nell’aumentare il rischio di recidive respiratorie e l’impatto negativo degli antibiotici sul microbiota. Queste informazioni risultano essere di particolare interesse considerando che alcuni immunostimolanti/immunomodulatori agiscono proprio sull’immunità innata intestinale a seguito della somministrazione per via orale”.

Il microbiota intestinale e di qui l’utilizzo dei probiotici, sembra avere un ruolo importante non soltanto nelle patologie respiratorie ma anche in ambito neurologico. Nuovi studi clinici hanno dimostrato, infatti, una stretta correlazione tra intestino e cervello: un’alterazione nel microbiota, cioè il patrimonio genetico dei batteri che servono al nostro organismo per i processi vitali, determinata da infezioni batteriche o utilizzo frequente di antibiotici, potrebbe contribuire allo sviluppo dei sintomi dell’autismo.

“Il microbiota riveste nell´intestino importanti funzioni fisiologiche – sottolinea Esposito– quali la maturazione del sistema immunitario, la degradazione di macromolecole alimentari complesse, la detossicazione, la produzione e l´assorbimento di vitamine e minerali, influenzando anche il comportamento. Il sistema immunitario ha sviluppato degli strumenti per convivere con il microbiota, ma anche per tenerlo sotto controllo. Quando questo controllo viene meno, avviene la disbiosi, cioè una de-regolamentazione delle comunità batteriche che non si manifesta sempre con diarrea o stipsi, ma può portare ad altri disturbi infiammatori, in alcuni casi come chiara patologia infiammatoria gastro-intestinale ma anche come allergie, obesità o diabete e, non ultimo, l’autismo. La possibilità di interventi specifici per modificare la qualità del microbiota apre, quindi, la prospettiva ad una serie di nuovi approcci terapeutici nel trattamento dei sintomi dell’autismo, tra cui l’utilizzo dei probiotici”.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Allergia ai pollini: sintomi, diagnosi e regole per evitarla

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINO BIMBO PRATO FIORI NATURA FELICE FELICITA RELAX ALLEGRIA ALLEGO (3)I più piccoli sono i soggetti che più di altri subiscono gli effetti del passaggio dall’inverno ai mesi più tiepidi. La cosiddetta mezza stagione porta con sé intense pollinazioni (un problema per oltre un milione di bambini in tutta Italia), giornate più lunghe con sbalzi termici, repentina alternanza tra sole e pioggia e variazioni dei ritmi biologici (ora legale). Questi cambiamenti coincidono con l’aumento della frequenza degli attacchi di cefalea e soprattutto con il picco delle manifestazioni allergiche e anche con maggiore irritabilità e difficoltà di concentrazione.

Il polline, nemico invisibile

Il polline è un particolare pulviscolo giallognolo/arancione prodotto dalle piante, che in misura sempre crescente crea disturbi nella salute dei soggetti allergici, soprattutto in primavera. Primavera e stagione dei pollini è infatti un binomio sempre più stretto, sia perché il numero delle persone allergiche in Italia aumenta sempre più, sia perché i periodi di fioritura si allungano a vista d’occhio. I pollini sono trasportati dal vento e solo i pollini molto piccoli, al di sotto della ventesima parte del millimetro (circa 50 µm), provocano in soggetti predisposti la reazione allergica. Sono pericolose per il nostro organismo solamente le microspore (o granuli pollinici) non visibili.
Il momento peggiore per il bambino allergico è il “periodo di impollinazione”. Ogni pianta è caratterizzata da uno specifico periodo di impollinazione in relazione al clima e alla regione. Qui a Roma, ad esempio, le graminacee fioriscono tra marzo e luglio, la parietaria tra metà febbraio-marzo e novembre, il cipresso tra fine gennaio e aprile, l’olivo tra aprile e maggio.

Quando e dove aumenta la concentrazione di pollini?

La concentrazione di pollini cresce da marzo a luglio, soprattutto nelle giornate più calde, assolate e ventose perché i pollini sono più leggeri e meglio trasportati nell’aria. La stessa concentrazione si riduce con la pioggia ed è più elevata la sera rispetto al primo mattino.
Ovviamente ci sono più pollini in prossimità delle piante e delle erbe che li producono; ad esempio, col taglio dell’erba del prato intorno a casa, si ha una maggiore esposizione ai pollini e i disturbi nei bambini allergici possono aumentare.

Quali sono i sintomi dell’allergia ai pollini?

Nel periodo dell’impollinazione i granellini possono determinare il raffreddore, la congiuntivite, i sibili respiratori, l’asma e la sindrome orale allergica. Quest’ultima rappresenta una manifestazione di cross-reattività tra alimenti e pollini (molecola antigenica comune tra alimento e polline) e può insorgere nell’arco di pochi minuti dal contatto con l’alimento fino a 30-60 minuti dall’assunzione dello stesso. Si manifesta con prurito, bruciore e comparsa di vescicole nel cavo orale, ma in alcuni soggetti può comparire anche raffreddore, congiuntivite, asma e reazioni cutanee come l’orticaria. Il tratto digerente in genere non reagisce ma possono esserci delle eccezioni con difficoltà nella deglutizione, vomito, dolore gastrico e diarrea. Nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente in poco tempo.

Come fare diagnosi di allergia al polline?

La diagnosi di allergia al polline si basa prevalentemente su di una storia clinica accurata (la familiarità, una descrizione accurata dei sintomi con informazioni relative alla stagionalità e durata dei sintomi) e su di un altrettanto accurato esame obiettivo del bambino. Se il piccolo manifesta sintomi di sospetta allergia può essere sottoposto a prick test con l’allergene sospetto fin dalle prime settimane di vita. Il prick test rappresenta lo strumento diagnostico indispensabile per scoprire o confermare la presenza di allergie fin dalle prime settimane di vita del bambino; esso consiste nell’applicare sulla cute dell’avambraccio una goccia di estratto dell’aeroallergene, nel pungere la goccia con una lancetta e nell’osservare la reazione locale. Se vi è reazione, compare un pomfo di diametro superiore a 3 millimetri con o senza alone di arrossamento.
Nel caso di situazioni che impediscono l’esecuzione delle prove cutanee (pelle molto irritata o molto reattiva o nel caso in cui non si possa sospendere la terapia con antistaminici che interferisce con il risultato delle reazioni cutanee) può essere opportuno a completamento dell’iter diagnostico ricorrere alla ricerca nel siero di anticorpi IgE specifici per gli allergeni che si sospettano come causa dei sintomi allergici.

Le regole da seguire per evitare i pollini:

  • Evitare gite in campagna nelle ore mattutine, soprattutto nei giorni di sole con vento e clima secco.
  • Scegliere come meta delle proprie vacanze località di alta montagna o di mare. Ricordare che per altitudini medie (600-1000 metri) le stesse piante liberano i pollini circa un mese più tardi rispetto alla pianura.
  • Verificato la pulizia dei filtri di condizionamento dell’auto e della casa.
  • Non tagliare l’erba del prato e non sostare nelle vicinanze di altri spazi in cui sia stata tagliata l’erba.
  • Evitare il contatto con il fumo di tabacco, polveri e pelo di animali.

Comportamenti solitamente usati dalle famiglie con bambini allergici, ma che in realtà servono a poco:

  • Evitare i prati, i campi coltivati e i terreni incolti: i pollini diffondono dovunque, sono progettati per questo.
  • Chiudere le finestre di casa.
  • Evitare che il bambino esca di casa.
  • Abitare ai piani alti.
  • Mettere mascherine sul viso del bambino a coprire e proteggere il naso e la bocca, mettere occhiali da sole o cappelli con visiera.
  •  Fare lavaggi endonasali: le prove di efficacia sono tenui, il fastidio per il bambino è certo.

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Fenomeno di Raynaud: cause, sintomi e trattamento

MEDICINA ONLINE Raynaud's Syndrome SINDROME FENOMENO DI RAYNAUD MANI DITA GELONI FREDDO MALATTIA AUTOIMMUNITARIA ARTRITE  OSSA ARTICOLAZIONE PELLE CIANOTICA.jpgIl fenomeno di Raynaud (in inglese Raynaud’s phenomenon) è caratterizzato da uno spasmo eccessivo dei vasi sanguigni della periferia che provoca una riduzione del flusso di sangue alle regioni coinvolte. La reazione può essere innescata dal freddo e/o dallo stress emotivo (emozioni intense, spavento) e/o dal rapido passaggio da ambienti caldi a freddi o da altri fattori, alcuni dei quali ancora non del tutto chiari. La riduzione del flusso sanguigno determina da insensibilità alle mani seguita da cianosi, pallore, dolore, formicolio e bruciore. Nella metà dei casi il fenomeno può essere secondario ad altre patologie; nel caso sia idiopatico (cioè non si conosca il motivo che lo ha determinato) prende il nome di sindrome di Raynaud (in inglese Raynaud syndrome), e talvolta è soprannominato ipersensibilità o “allergia” al freddo. Il fenomeno di Raynaud si manifesta soprattutto nelle dita delle mani e dei piedi, ma può coinvolgere anche altre zone del corpo, come la punta del naso, i lobi delle orecchie e la lingua.

Eponimo

Il fenomeno di Raynaud deve il suo nome al medico francese Maurice Raynaud (1834-1881).

Cause e fattori di rischio

A volte si associa dolore. Il fenomeno di Raynaud è denominato:

  • primario o primitivo: il fenomeno si presenta da solo, senza una malattia a monte che lo determini;
  • secondario: il fenomeno è il segno di una patologia;
  • idiopatico: se non si conosce la causa a monte che lo ha determinato.

Il fenomeno di Raynaud primario è più frequente della forma secondaria. Il primario in genere esordisce sotto i 25 anni di età e colpisce soprattutto le donne che riportano una intolleranza al freddo che risale all’infanzia. I pazienti con Raynaud secondario presentano invece spesso i sintomi di una condizione associata (tipicamente artrite, lupus, sclerodermia…), come dolori alle articolazioni, eruzioni cutanee e debolezza.

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Fenomeno di Raynaud primitivo o idiopatico

Il fenomeno di Raynaud è considerato primitivo o idiopatico se si manifesta da solo e non si associa ad altre malattie. In questa forma tende a manifestarsi spesso nelle giovani donne e in particolare durante l’adolescenza e nei primi anni dell’età adulta. Si ritiene che il Raynaud idiopatico sia almeno in parte ereditario, sebbene non siano stati ancora identificati geni specifici. Il fumo di sigaretta è un fattore in grado di aumentare la frequenza e l’intensità degli attacchi; secondo alcuni autori sembra giocare un ruolo anche una componente ormonale. Caffeina, estrogeni e beta-bloccanti non selettivi sono spesso elencati come fattori aggravanti, ma le evidenze che dovrebbero essere evitati non appaiono solide. Il freddo, lo stress psico-fisico e le emozioni intense aumentano il rischio che si verifichi il fenomeno.

Fenomeno di Raynaud secondario

Il fenomeno di Raynaud, o Raynaud secondario, si associa a un’ampia varietà di altre condizioni e malattie:

  • Malattie del tessuto connettivo
    • Sclerodermia
    • Lupus eritematoso sistemico
    • Artrite reumatoide
    • Sindrome di Sjögren
    • Dermatomiosite
    • Polimiosite
    • Sindrome cronica da agglutinine a frigore
    • Sindrome di Ehlers-Danlos
  • Farmaci
    • Betabloccanti
    • Farmaci citotossici – in particolare chemioterapici e specialmente bleomicina
    • Ciclosporina
    • Bromocriptina
    • Ergotamina
    • Sulfasalazina
    • Farmaci stimolanti il sistema nervoso centrale, come ad esempio amfetamine e metilfenidato
    • Farmaci da banco, ad esempio pseudoefedrina
  • Occupazionali
    • Esposizione prolungata delle mani a composti chimici o plastici, esempio cloruro di vinile, mercurio o PVC
  • Manifestazione paraneoplastica

Altre cause e fattori di rischio:

  • arteriopatia;
  • disturbi nervosi;
  • arto colpito da un ictus;
  • sclerosi multipla;
  • poliomielite;
  • uso professionale di strumenti vibranti, come martelli pneumatici, decespugliatori o motoseghe;
  • sindrome del tunnel carpale;
  • sindrome dello stretto toracico superiore;
  • patologia tiroidea;
  • fumo;
  • freddo;
  • lesioni a mani o piedi (fratture, interventi chirurgici o congelamento).

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Sintomi e segni

Il fenomeno di Raynaud si verifica soprattutto in quei distretti a maggior dispersione calorica e minore richiesta metabolica (più sacrificabili) cioè le dita (soprattutto quelle delle mani). In alcuni casi si associa fastidio o dolore della parte interessata. È caratterizzato da tre fasi che in tutto possono durare da meno di un minuto a diverse ore.:

  • Fase ischemica (o “del pallore”): l’afflusso di sangue si riduce e la zona diventa pallida, fredda, insensibile e a volte dolorante;
  • Fase della stasi venosa (o “della cianosi”): l’area colpita inizia a diventare bluastra e si può avvertire formicolio e fastidio;
  • Fase dell’iperemia reattiva (o “dell’arrossamento”): il sangue torna ad irrorare la zona copiosamente e la zona appare rossastra ed è calda. Si possono verificare formicolio, intorpidimento e dolore. Il normale flusso in genere si ripristina in un quarto d’ora.

Nella maggior parte dei casi, il fenomeno può interferire con le attività quotidiane dei pazienti (specie quelle che richiedono l’uso delle mani o dei piedi), ma non causa alcun danno a lungo termine per le estremità.

Leggi anche: Malattie reumatiche: cosa sono, come si curano, sono pericolose?

Diagnosi

La diagnosi è essenzialmente clinica: l’esame obiettivo permette di inquadrare il fenomeno, spesso senza necessità di ricorrere a test di stimolazione al freddo. La videocapillaroscopia è l’esame di prima scelta per distinguere il fenomeno di Raynaud idiopatico da quello secondario a malattie dello scleroderma spectrum (sclerodermia, polidermatomiosite, connettivite mista). La videocapillaroscopia in questi pazienti presenta alterazioni tipiche: anse capillari ridotte in numero, zone avascolari, anse capillari giganti dette megacapillari, microemorragie. Il test di stimolazione al freddo prevede l’immersione della mano del paziente in acqua ghiacciata, per provocare un episodio. Si può anche praticare una manovra compressiva effettuata dal paziente spingendo i palmi l’uno contro l’altro con le mani giunte a preghiera (segni evocabili in maniera più sfumata rispetto al test di stimolazione al freddo).

Leggi anche: Proteggere la pelle di viso, mani e corpo dal freddo: rimedi e consigli

Complicanze

Le complicanze sono rare. Si possono verificare:

  • ulcere della pelle;
  • cicatrici;
  • cancrena;
  • dita sottili e affusolate, con la pelle liscia e lucida;
  • unghie fragili e che crescono lentamente.

Terapia

Nei pazienti che soffrono di fenomeno di Raynaud è importante evitare l’esposizione al freddo, utilizzando guanti e calze pesanti in modo da mantenere calde le estremità. Dal punto di vista farmacologico, nelle persone refrattarie al trattamento conservativo, molto efficaci sono i calcio antagonisti, che riducono il numero e la durata degli episodi di vasospasmo inducendo vasodilatazione delle arteriole periferiche. Nei casi più gravi si può ricorrere alla simpatectomia (simpatectomia toracica endoscopica), una controversa procedura chirurgica.

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Dermatite atopica: cause, sintomi, conseguenze, congligli e terapie topiche e sistemiche

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO DERMATITE ATOPICA PRURITO GRATTAMENTO PELLE ARROSSATA GRATTARSI DERMATOLOGIA ALLERGIA

La dermatite atopica (in inglese “atopic dermatitis“) è una patologia cronica della pelle, non contagiosa, caratterizzata dalla comparsa di infiammazione e lesioni eritematose. Presenta spesso andamento tipico con momenti di esacerbazione intervallati da periodi di remissione. Chi soffre di dermatite atopica in genere è affetto anche da Continua a leggere

Starnuti natalizi? Forse sei allergico all’albero di Natale

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DOLCI DI NATALE BISCOTTI TORTA CALORIE GRASSI ZUCCHERO NATALIZI (6)Occhi che lacrimano, raffreddore, starnuti, difficoltà a respirare bene. Se vi capita di avere questi sintomi nelle prossime due settimane potrebbe non essere colpa di un’influenza che state covando, ma dell’albero di Natale che avete in casa. A suggerirlo una ricerca della Upstate Medical University, negli Usa, pubblicata sulla rivista Annals of Allergy, Asthma and Immunology.

Continua la lettura su https://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/salute/2013/12/14/Starnuti-tosse-Potrebbe-essere-colpa-albero-Natale_9778830.html

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Il tuo profumo può causarti allergia anche se garantito innocuo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PROFUMO OLIO BELLEZZA DEODORANTE COSMETICONonostante le leggi europee garantiscano che i cosmetici profumati non contengono allergeni, se non in quantità infinitesimali, inferiori a 100 ppm (parti per milione) per quelli che si risciacquano e inferiori a 10 ppm per gli altri, le allergie potrebbero comunque svilupparsi perché alcune parti delle fragranze sono sensibili all’aria. Alcune sostanze dei profumi, esposte all’aria, si trasformerebbero quindi in allergeni, una volta aperte le boccette e spruzzate sul corpo. Lo sostiene Johanna Rudback del dipartimento di chimica e biologia molecolare dell’università di Gothenburg, che ha messo a punto un nuovo metodo per scovare i composti responsabili di tali fastidi e di saggiarne la reattività. La scoperta è stata recentemente pubblicata sul Journal of separation science. Il metodo si basa su una particolare ed innovativa tecnica di spettrofotometria di massa. “Per la prima volta – sottolinea la ricercatrice – si può identificare quali composti delle fragranze, in particolare gli oli essenziali, diventano potenziali allergeni anche in piccolissima quantità, appena aperte le bottigliette di profumo e a contatto con l’aria”.

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La musica rinforza il tuo sistema immunitario e diminuisce lo stress di una operazione chirurgica

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DENTI BOCCA BAMBINI CARIE LABBRA SORRISO FELICITA ALLEGRIAAscoltare musica fa davvero bene alla nostra salute mentale e fisica e il professor Daniel J. Levitin del Dipartimento di Psicologia della McGill University di Montreal, è Continua a leggere

Quali sono le differenze tra allergia alimentare ed intolleranza alimentare?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PANE INTEGRALE FARINA GRANO CEREALI FIBRE ALIMENTARI DIETA CIBO CARBOIDRATI PANINOMoltissimi – quasi tutti a dir la verità – miei pazienti fanno estrema confusione tra allergia alimentare ed intolleranza alimentare, anche perché alcuni sintomi sono effettivamente comuni ad entrambe queste condizioni. Cerchiamo quindi di spiegare la differenza in maniera semplice, magari troppo semplicistica per gli addetti ai lavori, ma estremamente chiara per la maggior parte delle persone che poi è l’obbiettivo che mi sono prefissato con questo sito!

L’allergia alimentare è una forma specifica di intolleranza a componenti alimentari che attiva il sistema immunitario, in che modo? Una proteina (detta allergene) contenuta nell’alimento a rischio, innesca una catena di reazioni del sistema immunitario tra cui la produzione di anticorpi. Tale allergene nella maggior parte delle persone è del tutto innocuo e non determina sintomi mentre nella persona ad esso allergica determina i fastidiosi sintomi. Gli anticorpi, stimolati dall’allergene, scatenano il rilascio di potenti sostanze organiche, come l’istamina, che provocano vari sintomi: naso che cola, tosse, affanno, l’orticaria (prurito e ponfi come punture di zanzara), talora con gonfiore delle palpebre, delle labbra o della lingua, l’asma, il raffreddore allergico, la diarrea e in casi gravi importanti e improvvisi cali della pressione arteriosa. Le allergie agli alimenti o ai componenti alimentari sono spesso ereditarie e vengono in genere diagnosticate nei primi anni di vita.

Nell’intolleranza alimentare l’attore principale non è il sistema immunitario, ma il metabolismo. Un tipico esempio è l’intolleranza al lattosio: le persone che ne sono affette hanno una carenza di lattasi, l’enzima digestivo che scompone lo zucchero del latte. L’intolleranza può provocare sintomi simili all’allergia (tra cui nausea, diarrea e crampi allo stomaco), ma la reazione non coinvolge nello stesso modo il sistema immunitario. L’intolleranza alimentare si manifesta quando il corpo non riesce a digerire correttamente un alimento o un componente alimentare.

La dose è importante

Mentre i soggetti allergici devono in genere eliminare del tutto il cibo incriminato (perché basta l’introduzione dell’allergene a far sviluppare i sintomi, a prescindere dalla quantità dell’alimento ingurgitato), le persone che hanno un’intolleranza possono invece quasi sempre sopportare piccole quantità dell’alimento o del componente in questione senza sviluppare sintomi. Per questo motivo si dice che l’intolleranza è dose dipendente mentre l’allergia non lo è. Fanno eccezione gli individui sensibili al glutine e al solfito.

Differenti terapie

In caso di allergia una volta identificati gli alimenti, l’unico modo per prevenire la reazione allergica nei soggetti sensibili è eliminare tali alimenti dalla dieta o dall’ambiente. In caso di intolleranza alimentare, invece, il solo fatto di ridurre le porzioni può essere sufficiente ad evitare i sintomi. Di solito è il paziente stesso che, grazie alla propria esperienza, capisce da se quale sia la “dose soglia” che non deve superare per non incorrere nei sintomi.  Tuttavia spesso questo non è sufficiente, pertanto si provvede all’esclusione dell’alimento intollerato e delle sue forme nascoste (es. siero di latte nel prosciutto cotto) per un certo periodo di tempo (2-3 mesi) avendo comunque cura di seguire un’alimentazione bilanciata. In questo modo si consente all’organismo di “disintossicarsi” dai cibi intollerati concedendogli un periodo di “riposo” oltre il quale è possibile poi reintrodurre gradualmente gli alimenti senza che si manifestino disturbi. In realtà il metodo che prediligo per trattare le intolleranze non è la dieta di eliminazione, che è comunque una possibilità da tenere in considerazione, bensì l’applicazione di uno schema di rotazione dei cibi appositamente studiato sul paziente.

Leggere le etichette

In qualsiasi caso il concetto importante che cerco di far entrare nella testa del paziente è che è sempre necessario leggere attentamente le etichette dei prodotti che si mangiano, anche quelli insospettabili e all’apparenza innocui, per valutare l’eventuale presenza di sostanze a cui si è allergici o intolleranti. Tante volte il paziente viene da me con i classici sintomi, mi dice che non ha assunto l’alimento incriminato e poi andiamo invece a scoprire che parte di tale alimento era presente, magari in quantità minima, nel contorno che ha mangiato a pranzo! Che poi leggere le etichette dei cibi è una buona abitudine che anche chi non ha problemi di allergia o intolleranza dovrebbe osservare: la vera dieta comincia dalle etichette dei cibi, impara a decifrarle per mangiare bene.

Test per le allergie

1) Test cutanei (prick test): sulla base dell’anamnesi dietetica, gli alimenti sospettati di provocare reazioni allergiche sono inseriti nella serie utilizzata per i test cutanei.
I test consistono nell’inserimento sottocutaneo di estratti di un determinato alimento, mediante iniezione o sfregamento, per verificare l’eventuale comparsa di una reazione di prurito o di gonfiore.

2) Diete ad esclusione: il principio della dieta ad esclusione si basa sull’eliminazione di un alimento o di una combinazione di alimenti sospetti per un periodo di circa 2 settimane prima di effettuare una prova di verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente fino a raggiungere la dose normale. Una volta verificati tutti i cibi sospetti, è possibile evitare quelli che causano problemi.

3) Test RAST (radioallergoassorbimento): in questo tipo di test si mescolano in una provetta piccoli campioni di sangue del paziente con estratti di alimenti. In una vera allergia, il sangue produce anticorpi per combattere la proteina estranea che può così essere rilevata. Il test può essere usato soltanto come indicatore di un’allergia ma non determina l’entità della sensibilità all’alimento nocivo.

4) Test in doppio cieco con controllo di placebo (DBPCF): in questo test allergologico, l’allergene sospetto (per es. latte, pesce, soia) viene inserito in una capsula o nascosto in un alimento somministrato al paziente sotto stretto controllo medico. Questi test permettono agli allergologi di individuare i più comuni alimenti e componenti alimentari che provocano effetti negativi.

Test per le intolleranze

1) Test sul sangue: vengono effettuati su un campione di sangue. I tipi di test utilizzati sono il Citotest e la metodica Elisa.
Il primo si effettua ponendo il plasma sanguigno a contatto con estratti di Alimenti (cereali, verdure, frutta, ecc.) e, dopo un certo tempo di incubazione, venga valutato al microscopio da un tecnico se i Neutrofili (una categoria di Globuli Bianchi) hanno subito delle modificazioni in seguito al contatto con gli Alimenti esaminati. Il limite del test, oltre all’esperienza del tecnico, risiede nella parzialità della risposta. Infatti, per quanto appartenenti all’organismo preso in esame, le cellule Neutrofile non sono l’organismo e non sono più al suo interno, inoltre necessita di tempi lunghi se si vogliono valutare molti alimenti.
I test basati sulla metodica Elisa sono di tipo immunoenzimatico, cioè valutano la presenza di anticorpi IgG che si producono contro gli antigeni alimentari: più è elevata la quantità di anticorpi più è probabile l’intolleranza nei confronti dell’alimento

2) Test Kinesiologico: si avvale della misurazione della tensione muscolare prendendo in esame la muscolatura della mano (O Ring) oppure delle braccia e/o delle gambe. Quando assumiamo, ma anche solo quando teniamo in mano, un Alimento od una sostanza che ci disturba, la nostra forza muscolare diminuisce, talvolta in modo così importante che le persone provano un senso di spossatezza dopo averne assunto. Lo svantaggio di questo test sta nel possibile affaticamento del soggetto da testare se si vogliono valutare un numero elevato di alimenti che può portare a falsi positivi

3) Test DRIA: utilizza lo stesso principio del al metodo Kinesiologico ma le rilevazioni sono fatte tramite un sistema computerizzato. Questi 2 test sono validi perché prendono in considerazione tutto l’organismo. Il loro limite risiede nella manualità dell’operatore per quanto riguarda il Test Kinesiologico, e nell’estrema lunghezza del test DRIA (devono essere messe in bocca fialette con diversi Alimenti e sostanze chimiche per un totale di circa due ore di test).

4) TEAV (Elettro Agopuntura di Voll) e VEGA TEST: con appositi apparecchi può essere misurata, lungo i meridiani classici dell’agopuntura cinese od altri canali studiati successivamente, una microcorrente elettrica che attraversa la persona, ed all’uscita permette di derivare informazione su incidenti trovati lungo il percorso oppure sull’impatto che producono piccole quantità di Alimenti interposti tra la persona e l’apparecchio. Non possono essere effettuati dai portatori di Pace Maker.

5) Test sul Capello: si basa sul principio della Biorisonanza che deriva dalla fisica quantistica. Questa scienza afferma che tutto ciò che esiste nell’universo è sì materia, ma anche energia. Gli oggetti, gli animali, l’uomo e tutti gli esseri viventi sono costituiti da cellule, molecole, atomi e come tali sono un insieme di materia ma anche di energia. Tutti gli atomi hanno la capacità di emettere particolari frequenze, tipiche dell’atomo stesso; allo stesso modo anche le molecole (che sono insiemi di atomi), le cellule (che sono formate da molecole) e di conseguenza gli esseri viventi (costituiti da cellule) emettono frequenze tipiche che dipendono dall’insieme di elementi di cui sono costituiti. Quindi ogni essere emette frequenze uniche e tipiche di quell’organismo. Il capello, essendo una parte dell’organismo, emette anch’esso la frequenza specifica dell’individuo a cui appartiene. Ponendo il capello a contatto con le frequenze tipiche di alimenti, farmaci, minerali ecc. è possibile valutare se queste due frequenze sono tra loro compatibili oppure no.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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