Pandemia: definizione, significato e progressione da epidemia

MEDICINA ONLINE MONDO TERRA SPAZIO,Il termine “pandemia” indica un tipo particolare di epidemia la cui diffusione è talmente ampia da interessare più aree geografiche diverse del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata. E‘ il tipo di epidemia più grave esistente ed è potenzialmente catastrofica, essendo in grado – se non contenuta rapidamente e con misure drastiche ed efficaci – di causare centinaia di migliaia o addirittura milioni di vittime.

Pandemia: etimologia

Il termine “pandemia” deriva dal greco παν (sopra) e δήμος (popolo), cioè “tutto il popolo”.

Caratteristiche di una pandemia

Il termine “pandemia” si applica solo a patologie contagiose, ciò significa che molte delle patologie che colpiscono aree molto grandi o l’intero pianeta (per esempio il cancro, il diabete o l’infarto del miocardio) non sono da considerarsi pandemiche pur essendo estremamente diffuse. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le condizioni affinché si possa verificare una vera e propria pandemia sono tre:

  1. la comparsa di un nuovo agente patogeno (ad esempio un virus o un batterio sconosciuti e, proprio per questo, senza disponibilità di cure o vaccino);
  2. la capacità di tale agente di colpire gli uomini, creando gravi patologie;
  3. la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio, ad esempio per via aerea (come avviene per il coronavirus) od orofecale, oppure tramite fomite, cioè un oggetto capace di trasportare patogeni traferendoli da un individuo ad un altro per contatto (ad esempio cellule cutanee, capelli, abbigliamento, lenzuola).

In genere il patogeno che origina una pandemia determina una infezione caratterizzata da un’alta mortalità e da un valore elevato di R0. Tale infezione è in genere difficile da curare per la mancanza di vaccini e cure specifiche. Pur essendo diffuse in tutta la storia dell’uomo, le pandemie sono certamente diventate statisticamente più diffuse grazie alla maggiore disponibilità per l’uomo di mezzi di spostamento sempre più veloci e ad ampio raggio, come ad esempio gli aeroplani intercontinentali.

Pandemie nella storia dell’uomo

Nella storia dell’umanità si sono verificate numerose pandemie, fra le più recenti si ricordano l’influenza spagnola nel 1918, l’influenza asiatica nel 1957, l’influenza di Hong Kong nel 1968 e – in tempi più recenti – l’HIV (il virus che determina l’AIDS), oltre che ovviamente all’epidemia da coronavirus (COVID-19) originata in Cina nel 2019 e considerata pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo 2020.

Da epidemia a pandemia

Quando il numero di casi di una data patologia in una data popolazione eccede il numero di casi attesi, in tal caso si parla di “epidemia”, la quale a sua volta diventa “pandemia” quando non si limita ad aree ristrette ma si diffonde in ampie aree geografiche del mondo (ad esempio essendo presente in più continenti diversi).

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Breath test Helicobacter: come funziona, come si fa e valori

MEDICINA ONLINE BREATH TEST RESPIRO LATTOSIO LATTULOSIO GLUCOSIO BERE UREA HELICOBACTER PYLORI BATTERIO GASTRITE STOMACO ULCERA STOMACO DUODENO ESAME BIOPSIA DIAGNOSI CANCRO ALLO STOMACO ESPIRAZIONE ARIA.jpgCon “test del respiro” o “breath test” in medicina si indica una tipologia di esami non invasivi grazie ai quali si diagnostica la presenza del batterio Helicobacter pylori, l’agente causale più importante della Continua a leggere

Differenza tra tosse, tosse convulsa e pertosse

MEDICINA ONLINE INVASIVITA VIRUS BATTERI FUNGHI PATOGENI MICROBIOLOGIA MICROORGANISMI CLINICA BIOLOGICA BIOLOGIA MICROBI LABORATORIO ANALISI PARETE INFEZIONE ORGANISMO PATOGENESI MICROBIOLOGY WALLPAPER DNAIl termine “tosse” indica genericamente una emissione di aria singola o ripetuta, generalmente molto meno violenta dello starnuto, che ha lo scopo principale di liberare le vie aeree (naso, bocca, laringe, faringe, trachea, bronchi) da catarro, polvere, muco agenti irritanti e patogeni (virus e batteri). La tosse, al contrario dello starnuto, può essere sia una reazione spontanea dell’organismo, ma anche procurata volontariamente dal soggetto, inoltre non è legata alla chiusura automatica degli occhi. Un singolo colpo di tosse permette l’espulsione, ad oltre due metri di distanza, di migliaia di goccioline di saliva e di microrganismi, grazie alla violenta emissione di aria, che può raggiungere anche i 70 km all’ora.

Da cosa viene causata la tosse?

La tosse viene solitamente correlata a stati infiammatori/infettivi delle vie aeree superiori ed inferiori, che possono essere determinati da varie condizioni e patologie, come:

  • infezione virale o batterica (tipica di raffreddore ed influenza);
  • reazione allergica verso una o più sostanze;
  • ostruzione delle vie aeree da parte di oggetti più o meno grandi;
  • presenza di muco o catarro nelle vie aeree superiori ed inferiori;
  • passaggio di liquidi o materiali alimentari in trachea (“acqua o cibo di traverso”);
  • sindromi parainfluenzali;
  • croup (infiammazione virale acuta delle vie aeree superiori e inferiori, che colpisce prevalentemente bambini di età compresa tra 6 mesi e 3 anni);
  • irritazione delle mucose delle vie aeree causata da polveri ed altre sostanze irritanti.

Pertosse

La pertosse (anche chiamata “tosse dei 100 giorni” o “tosse convulsa”) è una malattia infettiva batterica molto contagiosa che si trasmette per via aerea attraverso le goccioline di saliva o di muco espulse con la tosse. È causata da un batterio chiamato Bordetella pertussis, il quale aderisce alle vie respiratorie e causa una serie di sintomi, il più caratteristico dei quali è la tosse.

Caratteristiche della tosse della pertosse

La tosse è generalmente violenta, si presenta ad accessi che spesso lasciano senza fiato, associandosi frequentemente a conati di vomito e vomito. I sintomi possono durare anche alcuni mesi e ripresentarsi periodicamente. Il periodo di incubazione va dai 5 ai 21 giorni, dura alcune settimane e assume aspetti differenti durante la sua evoluzione: all’inizio sembra un brutto raffreddore e si manifesta con starnuti, scolo dal naso, febbre lieve, tosse con catarro. In seguito la tosse si accentua per intensità e frequenza diventando sempre più secca e stizzosa e si manifesta, soprattutto di notte, con “raffiche” di colpi di tosse (seguite dal caratteristico “urlo“, per catturare più aria possibile), dall’emissione di catarro denso e dal vomito. La malattia termina con la fase di convalescenza, che si protrae per circa 2 settimane, durante la quale gli attacchi di tosse si attenuano. La malattia è molto contagiosa e la persona non vaccinata, o che non ha avuto la malattia naturale, che viene esposta ad un caso di malattia ha una probabilità di circa il 90 per cento di essere contagiata.

Complicazioni della pertosse

La malattia si associa spesso a complicazioni come le otiti, le bronchiti e le polmoniti; nel bambino piccolo sono più frequenti (anche se rare) le complicazioni cerebrali che possono causare danni permanenti e nei casi più gravi anche la morte. La tosse può provocare anche emorragia dal naso, mentre il vomito può causare disidratazione e difficoltà di alimentazione. Sebbene raramente la malattia sia causa di morte, almeno in Italia, essa rappresenta un rischio discreto per il lattante, perché frequentemente si complica con crisi di soffocamento e difficoltà respiratorie che costringono anche al ricovero ospedaliero.

Leggi anche:

Cura della pertosse

Trattandosi di una malattia di origine batterica, la pertosse può essere trattata con gli antibiotici. La classe dei macrolidi (un tipo di antibiotici) è quella più adatta per un uso pediatrico, visto che le altre classi di farmaci potenzialmente efficaci si rivelano o meno attive o accompagnate da maggiori effetti collaterali negativi. Va tuttavia osservato che la terapia, anche se è utile per evitare la trasmissione dell’infezione da un bambino malato a uno sano, ha relativamente poca efficacia nel modificare il decorso della malattia, per questo la terapia antibiotica riduce solo di poco il rischio delle complicanze maggiori, soprattutto di quelle encefalitiche. Ciò spiega perché da molti anni gli esperti hanno cercato di intervenire sulla pertosse con metodi preventivi, con un vaccino cioè capace di impedire lo sviluppo della malattia, eliminando in partenza ogni forma di rischio.

Prevenzione e vaccinazione

Un grande numero di casi di pertosse e circa 350.000 decessi si verificano ogni anno nel mondo, e la malattia è ben lontana dall’essere controllata efficacemente. In Italia, dove la vaccinazione è stata scarsamente praticata negli anni passati, la malattia si presenta con cicli epidemici ogni 3-4 anni. Negli anni epidemici si registrano decine di migliaia di casi di malattia. Solo recentemente il numero di bambini vaccinati è aumentato considerevolmente, ma è ancora troppo presto per apprezzare un effetto della vaccinazione sul numero dei malati. I vaccini contro la pertosse sono stati al centro della più importante attività scientifica degli ultimi decenni per quanto riguarda i vaccini. Per lungo tempo sono stati utilizzati in Italia vaccini contro la pertosse cosiddetti “a cellule intere”, cioè preparati con germi interi uccisi. Questi vaccini, peraltro efficaci, erano frequentemente associati ad eventi come la febbre o le reazioni locali dopo la somministrazione. Alcuni studi scientifici, poi dimostratisi infondati, avevano suggerito che questo tipo di vaccino potesse essere associato in rari casi a gravi malattie del sistema nervoso. Questo dubbio è bastato a demolire la fiducia della popolazione e dei medici in questo vaccino. Alcuni paesi, come la Gran Bretagna, la Svezia ed il Giappone, che fino ad allora avevano controllato efficacemente la malattia, hanno diminuito drasticamente il numero di persone vaccinate. Come conseguenza si sono verificate in questi paesi epidemie di notevoli dimensioni con numerosi decessi, prima di ritornare ad un’adeguata strategia nella somministrazione di questi vaccini.
La ricerca scientifica, nel frattempo, ha messo a punto nuovi vaccini contro la pertosse che, invece di comprendere l’intero germe, sono costituiti solo da alcuni frammenti di esso, sufficienti a proteggere dalla malattia. Questi vaccini, detti acellulari, sono stati sperimentati negli ultimi 10 anni con ottimi risultati ed hanno rimpiazzato in molti paesi i vaccini a cellule intere. Il vantaggio principale di questi preparati è la drastica diminuzione degli effetti collaterali come febbre e reazioni locali, frequenti con i vaccini a cellule intere, a fronte di un’efficacia simile a quella osservata con questi ultimi. Il vaccino acellulare contro la pertosse può essere effettuato singolarmente oppure nella forma combinata (per esempio con difterite e tetano).
La vaccinazione contro la pertosse è altamente raccomandata; anche se il numero di bambini vaccinati contro la pertosse è stato scarso fino a qualche anno fa, recentemente è cresciuto fino a livelli discreti: circa il 90 per cento dei bambini è infatti vaccinato contro questa malattia entro i 2 anni di vita (stima sui nati nel 1996).

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Triste Natale a Roma: una bimba di 3 anni è morta per sospetta meningite

MEDICINA ONLINE AMBULANZA URGENZA EMERGENZA PRONTO SOCCORSO OSPEDALE INCIDENTE STRADALE MORTE CHIRURGIA AUTO MEDICA STRADAUna Natale davvero triste quest’anno a Roma, dove una bimba di appena tre anni di Capena (in provincia di Roma) è morta per un sospetto caso di meningite. La bambina sarebbe stata portata il 23 all’ospedale Sant’Andrea di Roma, e da lì al policlinico Gemelli, ma non c’è stato nulla da fare: è deceduta il 25 dicembre. Il Servizio di Igiene Pubblica e Prevenzione della ASL si è immediatamente attivato, sin dal primo pomeriggio del 24 dicembre, con la collaborazione dei familiari della bambina e della Responsabile della scuola frequentata. La ASL ha attuato il protocollo di profilassi previsto, dando le informazioni necessarie alle famiglie e ai soggetti interessati da un ipotetico contatto stretto.

I batteri causa di meningite

I batteri che sono più frequente causa di malattie batteriche invasive sono tre:

  • Neisseria meningitidis (meningococco) alberga nelle alte vie respiratorie (naso e gola), spesso di portatori sani e asintomatici (2-30% della popolazione).
  • Streptococcus pneumoniae (pneumococco) è l’agente più comune di malattia batterica invasiva. Come il meningococco, si trasmette per via respiratoria ma lo stato di portatore è assolutamente comune (5-70% della popolazione adulta).
  • Haemophilus influenzae b (emofilo o Hi) era fino alla fine degli anni Novanta la causa più comune di meningite nei bambini fino a 5 anni. Con l’introduzione della vaccinazione con l’uso del vaccino esavalente i casi di meningite causati da questo batterio si sono ridotti moltissimo. In passato il tipo più comune era l’Haemophilus influenza b (verso il quale è diretto il vaccino), mentre oggi sono più frequenti quelli non prevenibili con vaccinazione. In caso di meningite da Hi, è indicata la profilassi antibiotica dei contatti stretti.

I sintomi della meningite

I sintomi della meningite sono indipendenti dal germe che causa la malattia. I sintomi più tipici includono:

  • irrigidimento della parte posteriore del collo (rigidità nucale);
  • febbre alta;
  • mal di testa;
  • vomito o nausea;
  • alterazione del livello di coscienza;
  • convulsioni.

L’identificazione del microrganismo responsabile viene effettuata su un campione di liquido cerebrospinale o di sangue.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Cucinare è bello, ma attenzione ai rischi di mangiare l’impasto crudo

MEDICINA ONLINE CUCINARE DOLCI ZUCCHERO CUCINA RICETTA DIETA LIGHT IMPASTO PASTICCERIA DONNA FORNELLI INGREDIENTI FARCITURA NUTELLA BISCOTTI TORTA.jpgCucinare dolci, pasta e biscotti in casa è una bellissima passione in cui confluiscono il buon gusto e la creatività tipica degli italiani, ma attenzione alla cattiva abitudine di mangiare l’impasto crudo prima di metterlo in forno: può essere dannoso per la salute, dal momento che la farina può ospitare un tipo di batterio, l’Escherichia Coli, in agguato in ambienti umidi come la carne per hamburger e le verdure a foglia verde ma che può anche prosperare in contesti aridi, secchi, come quello di un impasto per dolci. Questo batterio vive normalmente nel nostro intestino, ma in alcuni casi si rende responsabile di malattie intestinali ed extra-intestinali, come infezioni del tratto urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite. Ad evidenziare il pericolo del cibo crudo è una ricerca diretta dal dott. Samuel J. Crowe, dei Centers for Disease Control and Prevention Usa, pubblicata il 23 novembre sul New England Journal of Medicine.

La ricerca

Gli studiosi hanno preso le mosse da un’epidemia di Escherichia Coli che tra il dicembre 2015 e l’estate 2016 ha colpito 56 persone in 24 stati americani, portando anche a un richiamo di diverse tonnellate di farina. Oltre un quarto di coloro che sono stati colpiti ha avuto bisogno di un ricovero ospedaliero, una persona è andata incontro a insufficienza renale ma per fortuna sono tutti guariti. I ricercatori hanno riscontrato che ciò era collegato all’utilizzo di alcuni brand di farina e significativamente associato alla degustazione di un impasto fatto in casa non cotto.

Il caldo uccide i batteri

Dal dott. Marguerite A. Neill, professore associato di medicina della Brown University, arriva il prezioso consiglio di lavare le mani con sapone in acqua calda dopo aver maneggiato la farina durante la preparazione di una ricetta, come dopo aver utilizzato un mattarello. Per quanto riguarda i prodotti finali, invece, nessun problema: il calore elevato della cottura uccide i microorganismi potenzialmente dannosi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

E’ allarme per il super batterio killer che resiste agli antibiotici

MEDICINA ONLINE LABORATORIO MICROSCOPIO ANATOMO PATOLOGO AGO ASPIRATO BIOPSIA CHIRURGICA CITOLOGIA ISTOLOGIA ESAME ISTOLOGICO LINFONODO LAB CHIMICA FISICA SANGUE ANALISI FECI URINA GLICEMIA AZOTEMIA DENSITA CHEMISTRYSta facendo notizia un batterio chiamato Kpc, Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi-produttrice, un super batterio considerato un vero e proprio killer che, in oltre il 50% dei casi, è ormai diventato resistente ad ogni tipo di antibiotico, compresi i più potenti. Sono sempre di più i batteri che resistono agli antibiotici, come anche la Pseudomonas aeruginosa, organismi divenuti insensibili agli antibiotici grazie a modifiche del loro patrimonio genetico.

Il dott. Matteo Bassetti, dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine e vicepresidente della Sita: “Il Kpc è un batterio che tipicamente causa infezioni di vario tipo, da quelle urinarie a quelle polmonari a quelle dell’addome o del sangue, che è diventato resistente all’ultima classe di farmaci che sono i più potenti: esprime questo meccanismo che si chiama Kpc. Contro questo microrganismo gli antibiotici che usiamo normalmente, non funzionano più e oggi per trattarlo dobbiamo mettere insieme più antibiotici, un cocktail che possa funzionare. Oltre il 50% delle persone infettate da questo batterio muore“.

Continua Bassetti: ” Quello dell’antibiotico-resistenza, causata dall’utilizzo eccessivo e inappropriato di questi farmaci, è diventato tema globale tanto da essere inserito tra le priorità al centro del G7 dei ministri della Salute che si è svolto di recente a Milano. La missione della Sita è quella di invitare attraverso lo studio di linee guida medici e pazienti a prescrivere e ad assumere gli antibiotici in modo appropriato, oltre a chiedere alle istituzioni meno vincoli nell’uso delle nuove molecole”.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Empiema pleurico, subdurale, della colecisti: cause e cure

MEDICINA ONLINE POLMONI LUNGS APPARATO RESPIRATORIO SISTEMA DIFFERENZA DRENAGGIO TORACE GABBIA TRACHEA VIE AEREE SUPERIORI INFERIORI TRACHEA BRONCHI BRONCHILI TERMINALI ALVEOLI POLMONARIPer empiema in campo medico, si intende una raccolta di pus in una qualunque cavità corporea già presente nell’organismo. Esistono varie forme di empiema a seconda del luogo dove si manifesta la raccolta di pus, fra le più studiate in letteratura ritroviamo:

  • Empiema pleurico, la forma più diffusa, infiammazione dello spazio pleurico
  • Empiema subdurale, infiammazione delle meningi
  • Empiema colecistico, raccolta di pus nella colecisti

Cause
Gli agenti batterici che comportano tale infiammazione sono diversi, tra i più importanti ritroviamo lo Staphilococcus Aureus.

Terapia
Il trattamento solitamente è chirurgico, ma accompagnato da farmaci per contrastare l’infiammazione.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra antigene, aptene allergene ed epitopo

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORI

La struttura di un anticorpo

Un allergene è una sostanza solitamente innocua per la maggior parte delle persone, ma che in taluni individui (i soggetti atopici) è in grado di produrre manifestazioni allergiche di varia natura (asma, orticaria, etc.).

Un aptene è una molecola a basso peso molecolare che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Un epitopo è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

Un antigene è qualsiasi molecola in grado di legarsi a specifici componenti del sistema immunitario, quali anticorpi o cellule immunocompetenti, comprendendo sia sostanze esogene che endogene (come nel caso di patologia autoimmuni). Più precisamente qualunque sostanza in grado di suscitare una risposta immune viene definita immunogenica e viene chiamata IMMUNOGENO. Un antigene viene chiamato APTENE (molecola a basso peso molecolare, di norma inferiore a 4 kD) quando riesce a stimolare la produzione di anticorpi solo  se si lega ad una  molecola (detta CARRIER) che lo rende in tal modo immunogeno.

Quindi IMMUNOGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di indurre una risposta immunitaria; ANTIGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di reagire con componenti del sistema immunitario.

EPITOPO o DETERMINANTE ANTIGENICO: come già prima accennato rappresenta una porzione di un antigene che entra in contatto con il sito di legame di un Anticorpo o con il recettore per l’Antigene delle cellule T (lo vedremo più avanti), pertanto è la parte più importante dell’antigene, ijn quano capace di indurre la risposta immunitaria.

Un antigene in genere possiede più di un epitopo, pertanto la risposta indotta viene detta POLICLONALE in quanto attiverà più cloni cellulari (linfociti).

Vi sono tuttavia alcune molecole antigeniche che possiedono uno o pochi epitopi immunodominanti e quindi in grado di indurre una risposta monoclonale (se attivato un solo clone) od oligoclonale(quando sono attivasti pochi cloni).

Pertanto in una molecola antigenica possiamo avere una maggiore o minore attivazione preferenziale di alcuni cloni rispetto ad altri e questa viene detta IMMUNODOMINANZA DEGLI EPITOPI.

Leggi anche:

FATTORI CHE INFLUENZANO L’IMMUNOGENICITA’

Normalmente il sistema immunitario discrimina tra ciò che è suo (self) e ciò che non è suo (non-self): pertanto sono immunogeniche le molecole ESTRANEE al self.

In generale più grande è la molecola, più evidenzia di essere immunogena, anche se nella realtà non esiste una grandezza oltre la quale una sostanza diviene immunogena.

La natura chimica dell’immunogeno è importante.

Le PROTEINE rappresentano di gran lunga la maggioranza degli immunogeni. Possono essere proteine pure, oppure glicoproteine o lipoproteine. Nelle proteine si deve tener conto della loro struttura, assai importante come vedremo successivamente parlando degli epitopi.

Le proteine sono polimeri i cui monomeri sono costituiti dai 20 diversi tipi di amminoacidi presenti in natura. Gli amminoacidi sono composti che contengono nella loro molecola sia il gruppo carbossilico –COOH sia il gruppo amminico –NH2 , basico. Entrambi questi gruppi funzionali sono legati a un carbonio, chiamato carbonio-α. A questo carbonio, sono legati, inoltre, un atomo di idrogeno e un gruppo denominato genericamente R che, essendo diverso nei 20 amminoacidi, ci consente di differenziarli. Durante la sintesi delle proteine, un amminoacido lega il suo gruppo carbossilico con quello amminico di un altro amminoacido, formando il legame peptidico con eliminazione di acqua come si può vedere in figura.

Nonostante gli amminoacidi siano solo 20, la varietà di proteine è elevatissima, in quanto gli amminoacidi si combinano tra loro in sequenze e quantità diverse.  Le proteine rappresentano una classe di composti assai versatile e di grande interesse biologico: concorrono a formare l’impalcatura del corpo:  ad es. il collagene è il principale componente fibroso delle ossa, dei tendini, della pelle, delle cartilagini, dei denti; i capelli e le unghie sono costituiti da α-cheratina; svolgono funzione catalitica: gli enzimi, infatti, indispensabili catalizzatori biologici sono costituiti da proteine; agiscono come mezzo di trasporto di altre molecole: nel sangue, ad esempio, l’ossigeno viene trasportato dall’emoglobina; provocano il movimento: ad esempio la contrazione muscolare è resa possibile da due proteine ovvero dall’actina e dalla miosina; hanno funzioni protettive: gli anticorpi, come le immunoglobuline che sono i più importanti mezzi di difesa dell’organismo sono costituiti da proteine; fanno parte del sistema endocrino: vari ormoni, tra cui l’insulina sono costituiti da proteine; rappresentano un sistema di controllo del pH del sangue perché limitano le eccessive variazioni di ioni H+ dovute al metabolismo cellulare, ecc.

Le proteine esplicano le loro specifiche funzioni grazie alla loro forma che dipende dalla successione di amminoacidi, dai ripiegamenti della catena proteica e dalla sua organizzazione nello spazio.

Possiamo pertanto individuare successivi livelli di organizzazione denominati: struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La pura e semplice successione degli amminoacidi costituisce la struttura primaria della proteina. La struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona la configurazione spaziale e la forma globale della molecola, dalle quali dipendono le proprietà biologiche.

L’avvolgimento a spirale, o la disposizione regolare di tratti più o meno lunghi della catena proteica costituiscono la struttura secondaria della proteina. Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse. Due tipi di struttura secondaria delle proteine sono l’α-elica e il β-foglietto.

Nella struttura ad α-elica la proteina è avvolta a spirale: tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante ( che si trova a distanza di quattro amminoacidi lungo la catena) si instaura un legame a idrogeno. L’effetto stabilizzante dei molti legami a idrogeno che sono presenti nella proteina è la causa principale dell’esistenza di tale tipo di struttura. Tuttavia se gli amminoacidi che si succedono lungo un tratto di catena proteica hanno gruppi R voluminosi, come avviene nella prolina, o gruppi R dotati della stessa carica elettrica, come avviene negli amminoacidi lisina e arginina, l’α-elica non può formarsi, a causa delle forze di repulsione che si generano tra i gruppi R.

Nella struttura  β-foglietto si ha una disposizione di catene proteiche l’una accanto all’altra. Ciascuna delle catene è totalmente estesa e presenta una conformazione a zig-zag, dovuta alla geometria dei legami attorno a ciascun atomo di carbonio e di azoto nella catena. In questo caso, i legami a idrogeno si formano tra gli amminoacidi di due catene adiacenti. Le proteine dotate di questa struttura non possono essere allungate ulteriormente, senza che si rompano i legami covalenti della loro catena. Esistono proteine la cui molecola ha una forma globulare che è il risultato di ulteriori ripiegamenti della catena proteica, compresi tratti di catena che già possiedono una loro struttura secondaria. Questo terzo livello di organizzazione è la struttura terziaria della proteina.

La struttura terziaria di una proteina è la conseguenza di interazioni attrattive tra i gruppi R di amminoacidi anche molto distanti tra loro nella sequenza della struttura primaria della proteina. A stabilizzare la struttura terziaria della proteina possono concorrere quattro tipi di forze:

  1. Interazioni idrofobe o idrofile: nell’ambiente acquoso della cellula, i gruppi R non polari, idrofobi, della molecola proteica tendono a raggrupparsi all’interno della proteina, in modo da ridurre al minimo i contatti con le molecole d’acqua che la circondano. Invece, i gruppi polari, idrofili, tendono a disporsi verso l’esterno della proteina a contatto con l’acqua.
  2. Attrazioni ioniche: si instaurano in genere tra due gruppi, come –NH3+ e –COO-, l’uno carico positivamente e l’altro negativamente, dei gruppi R di due diversi amminoacidi.
  3. Legami idrogeno: derivano dall’attrazione tra gruppi R o si instaurano tra gruppi peptidici come nel caso delle strutture α e β.
  4. Ponti disolfuro: si formano tra gruppi –SH di due molecole dell’amminoacido cisteina; in seguito a una reazione di ossidazione, i due gruppi –SH perdono i rispettivi atomi di idrogeno e si legano tra loro mediante un legame covalente –S-S-  come si può vedere in figura:

Alcune proteine sono formate da più di una catena di amminoacidi. Le catene possono essere uguali fra loro, o anche diverse. La disposizione reciproca delle varie catene che compongono una proteina di questo tipo costituisce la struttura quaternaria della proteina.  Le interazioni possono essere legami deboli  come legami idrogeno  e forze di Van der Waals, oppure forti ossia ionico  o covalente. Ad esempio una proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina: essa è costituita da quattro catene proteiche, a due a due uguali, denotate rispettivamente dalle lettere α e β come si può vedere in figura :

Ognuna di queste catene contiene un gruppo eme, cioè una struttura ciclica, chiamata anello porfirinico, con al centro uno ione Fe2+; a questo ione si lega una molecola di ossigeno, che viene trasportata dai polmoni alle cellule del corpo.

  • Anche i polisaccaridi puri e i lipopolisaccaridi sono buoni immunogeni.
  • Gli acidi nucleici di solito sono poco immunogeni. Lo possono diventare quando si complessano con proteine.
  • I lipidi in generale non sono immunogeni, ma possono essere apteni.
  • Gli antigeni particolati in genere sono più immunogenici di quelli solubili e gli antigeni denaturatisono più immunogenici di quelli  in forma nativa.
  • Gli antigeni che sono più facilmente fagocitati sono in generale più immunogeni, in quanto per la maggior parte degli antigeni (antigeni T-dipendenti, vedi oltre)  lo sviluppo di una risposta immune richiede che gli antigeni siano fagocitati, processati e presentati alle cellule T helper attraverso l’azione delle “cellule che presentano l’antigene”, in sigla APC .
  • Anche la genetica ha importanza: alcune sostanze sono immunogene in un individuo ma non in altri (vengono gli uni e gli altri chiamati rispettivamente responders e non responders). Alcuni individui possono non avere o avere alterati dei geni che codificano per i recettori dell’antigene sulle cellule B o sulle cellule T oppure possono non avere quegli appropriati geni necessari per le “cellule che presentano l’antigene” di presentare l’antigene alle cellule T helper.
  • Anche l’ETA’ può influire sulla immunogenicità. Infatti di solito  individui molto giovani o molto vecchi hanno una diminuita capacità di indurre risposte immuni a stimoli immunogeni.
  • La DOSE stessa dell’immunogeno somministrato può influenzare l’immunogenicità; vi è una dose di antigene al di  sopra o al di sotto della quale la risposta immune non risulta ottimale,
  • La VIA DI SOMMINISTRAZIONE è importante : di solito la via sottocutanea è migliore rispetto a quella endovenosa o intragastrica. La via di somministrazione antigenica può talora alterare la natura della riposta.
  • Vi sono poi delle sostanze chiamate ADIUVANTI che hanno la proprietà di aumentare la risposta immune verso un immunogeno. L’uso degli adiuvanti tuttavia è spesso ostacolato da effetti collaterali indesiderati quali febbre e infiammazione.

CARATTERISTICHE DEGLI EPITOPI

I determinanti antigenici devono essere accessibili agli anticorpi. Già nel 1960 Sela e Arnon studiarono la immunogenicità di varie catene laterali legate ad uno scheletro polilisinico, ricordando come il sistema immunitario non reagisce contro polimeri di molecole identiche ripetute. Dimostrarono come se il determinate antigenico delle catene (rappresentato da residui di acido glutammico o di tirosina legati a polialanina) risulta inaccessibile agli anticorpi non si aveva risposta immunitaria, risposta invece che compariva a seguito dello smascheramento degli epitopi, aumentando ad es, la distanza tra le catene.

I determinanti antigenici possono essere continui o discontinui. Sempre negli anni ’60 A.Tassi fece degli studi sulla mioglobina di balena e trovò che in questa molecola di 153 aminoacidi erano presenti 5 regioni in grado di provocare una risposta  anche dopo la frammentazione della molecola e che queste regioni risultavano trovarsi su zone esposte e flessibili.  Questi tipi di determinanti antigenici sono detti continui o lineari, in quanto rappresentati da aminoacidi disposti in modo lineare, cioè uno dopo l’altro nella sequenza primaria della proteina. Esistono altri tipi di determinanti che sono stati dimostrati successivamente, utilizzando molecole di lisozima, e che sono detti discontinui o conformazionali, formati da aminoacidi che erano discontinui nella struttura primaria (quindi non erano uno accanto all’altro nella disposizione lineare) ma che diventano contigui nella struttura terziaria perché indotti ad unirsi grazie al ripiegamento tridimensionale della proteina come ad es. 2 regioni legate da ponti disolfuro.

Gli epitopi lineari, in particolare, sono riconosciuti sia dai linfociti T che dai linfociti B; mentre  quelli conformazionali solo dai linfociti B.

I determinanti antigenici che possiedono alcuni residui più importanti di altri vengono chiamati epitopi dominanti verso i quali gli anticorpi dimostrano una maggiore affinità e  che si trovano prevalentemente su porzioni idrofiliche degli antigeni e quindi più facilmente raggiungibili dagli anticorpi. La mobilità del sito antigenico: l’antigene è dotato di una certa mobilità strutturale in modo da consentire all’anticorpo di “incastrarsi” correttamente.

TIPI DI ANTIGENI

ANTIGENI T-INDIPENDENTI

Gli antigeni T-indipendenti sono quelli che possono direttamente stimolare le B cellule a produrre anticorpi senza aver bisogno dell’aiuto delle T cellule. In generale i polisaccaridi sono antigeni T-indipendenti. Le risposte verso questi antigeni sono diverse dalle risposte  verso altri antigeni. Hanno una struttura polimerica, cioè caratterizzati dallo stesso determinante antigenico ripetuto più volte. Molti di questi antigeni sono in grado di attivare cloni di  B linfociti specifici per altri antigeni (= attivazione policlonale). Questi antigeni T-indipendenti possono quindi essere suddivisi i tipo 1 e tipo 2  sulla base della loro capacità di attivare cellule B policlonali. Gli antigeni T-indipendenti di tipo 1 sono attivatori policlonali; quelli di tipo 2 no. Gli antigeni T-indipendenti sono in generale più resistenti alla degradazione e pertanto possono persistere per un tempo più lungo continuando a stimolare il sistema immunitario. Esempi  di questi sono il polisaccaride e il liposaccaride del  pneumococco,  i flagelli dei microorganismi.

ANTIGENI T-DIPENDENTI

Gli antigeni T-dipendenti sono quelli che non  sono in grado di stimolare direttamente la produzione di anticorpi, ma hanno bisogno dell’aiuto dei T linfociti.

Le proteine sono antigeni T-dipendenti.

Dal punto di vista strutturale questi antigeni sono caratterizzati dall’avere poche copie di molti differenti determinati antigenici. Esempi di questi antigeni sono le proteine microbiche, le proteine non self o le self-proteine alterate.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!