Sindrome di Bloom: cause, sintomi, diagnosi e terapia

SINDROME DI BLOOM CAUSE SINTOMI DIAGNOSI TERAPIA GENETICA FOTO IMMAGINI DNA MALATTIA.jpgLa sindrome di Bloom è una malattia autosomica recesssiva caratterizzata da eritema teleangiectasico del volto, fotosensibilita, nanismo ed altre anomalie.

Segni e sintomi

Le tipiche lesioni cutanee sono teleangiectasiche eritematose, appaiono in infanzia al volto, con tipico aspetto a farfalla, ma occasionalmente si riscontrano anche ai dorsi delle mani e dei piedi. Queste aree sono sensibili al sole, e peggiorano dopo l’esposizione. L’ altra caratteristica fondamentale della malattia e la bassa statura, soprattutto prenatale all’esordio, ma che persiste anche in infanzia e in eta adulta. La maggior parte degli individui rimane al di sotto dei 148 cm.
I maschi sono sterili con azospermia, mentre le femmine possono essere fertili.
Altre caratteristiche sono: macchie caffelatte, microcefalia, dolicocefalia, faccia stretta, naso e/o orecchie prominenti, la tipica tonalita alta della voce, l’ipertrigliceridemia. L’intelligenza e normale. Le infezioni sono frequenti, a causa dell’immunodeficienza, e possono essere minacciose per la vita.

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Storia naturale

La sindrome di Bloom e un disordine genetico che predispone al cancro. Infatti, quasi la meta dei pazienti sviluppano almeno una neoplasia (10% dei quali hanno piu di una neoplasia primitiva, il che e proprio tipico di questa sindrome); l’eta media di insorgenza del primo tumore e di 25 anni (range 2-49 anni).  Dopo i trent’anni si manifestano leucemie acute (ALL e ANLL) nel 15% dei casi e linfomi pure nel 15% dei casi. Carcinomi (una grande varieta di tipi) si sviluppano nel 30% dei casi, perlopiu dopo i 20 anni.
A parte le malattie neoplastiche, le complicanze maggiori dal punto di vista medico sono la malattia polmonare cronica e il diabete mellito (nel 10% dei pazienti).
L’incidenza della sindrome e di circa 2/100.000 nati tra gli Ebrei Ashkenazi e tra i Giapponesi (effetto del fondatore: le persone affette derivano da un antenato comune); per il resto e molto rara.

Eziologia

La sindrome di Bloom e trasmessa con modalita autosomica recessiva. Il gene e stato mappato: location 15q26.

Diagnosi

Fa diagnosi il riscontro (patognomonico) di un alto numero di scambi spontanei di cromatidi fratelli (90 per cellula, piu di 10 volte maggiore che nel normale); in alcuni pazienti, il riscontro di una sottopopolazione con basso numero di scambi suggerisce una ricombinazione tra alleli materni e paterni (con mutazioni differenti), che da origine ad un gene selvaggio funzionante. Gli eterozigoti, invece, non si possono investigare con studi citogenetici.

Terapia

Non esistono cure definitive. L’ormone della crescita è controindicato nelle sindromi in cui vi e un aumentato rischio di rotture cromosomiche, come appunto la sindrome di Bloom. Controlli frequenti assicurano la diagnosi precoce dei tumori associati alla sindrome di Bloom. Gli individui affetti da questa patologia devono evitare i raggi X, gli agenti chemioterapici ed altre esposizioni ambientali che possono provocare danni ai loro cromosomi particolarmente fragili.

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Meconio, transizione e svezzamento: feci diverse nel neonato

Mother interacting with baby girl at home.Spesso i neo-genitori si spaventano per qualche particolare delle feci del proprio bimbo che sembrano anomale, ma sono invece del tutto normali. Vediamo allora che caratteristiche hanno le feci del neonato, come cambiano nel tempo e quando è il caso di preoccuparsi.

Il meconio

Per i primi 2/3 giorni di vita, il neonato emette delle feci particolari, che prendono il nome di meconio. Sono di colore verde-giallastro-nerastro e di consistenza appiccicosa, tanto che a volte è difficile rimuoverle dal sederino. Il meconio è costituito da quello che c’era nell’intestino del feto durante la gravidanza, e cioè principalmente muco e liquido amniotico. È molto importante che cominci a essere emesso nelle prime 24 ore di vita del bambino: un’emissione tardiva, infatti, può essere il segnale di qualcosa che non va, per esempio la presenza di un ostacolo al transito nell’intestino, oppure un’anomalia metabolica che rallenta la peristalsi intestinale. anche una emissione precoce del meconio, ad esempio durante il parto (tipicamente nei bimbi nati post-termine), può essere problematica perché il meconio può finire nelle vie aeree del bambino, determinando una sindrome da aspirazione di meconio che può condurre a distress respiratorio e morte per insufficienza respiratoria.

MEDICINA NEONATO EMETTE MECONIO DOPO PARTO GRAVIDANZA BAMBINO LATTANTE BIMBO PEDIATRIA SINDROME DA ASPIRAZIONE DI MECONIO DURANTE NASCITA DISTRESS RESPIRATORIO MORTE INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

Le feci di transizione

Dopo i primissimi giorni, il meconio viene sostituito dalle feci tipiche del bambino che sta cominciando ad alimentarsi normalmente. Come spiegato in un opuscolo del National Childbirth Trust, organizzazione no profit inglese che si occupa di gravidanza e salute dei bambini, il passaggio è graduale e segnato dalle cosiddette “feci di transizione”, che appaiono più verdastre e meno appiccicose.

“Quanta ne fa!”

A volte, i neogenitori si stupiscono di quante feci possa produrre un bambino: un neonato allattato, al seno, infatti, può scaricarsi anche dopo ogni pasto, ed è normale che sia così. Insieme all’abbondanza di urina, è proprio uno dei segni che si sta alimentando correttamente. Più raramente può farla meno spesso, anche una sola volta emissione al giorno, ma molto più abbondante.

Lo svezzamento

Quando, oltre al latte, il bambino comincia ad assumere altri cibi la sua flora batterica intestinale cambia drasticamente, e cambiano di conseguenza anche le feci, che poco a poco diventano sempre più simili a quelle dell’adulto: più dure, più scure – di colore marrone – più maleodoranti. Il cambiamento è più evidente per i bambini che fino a quel momento avevano preso solo latte materno, perché quelli alimentati con latte artificiale erano già andati incontro a modifiche della flora batterica. Un’altra caratteristica tipica delle feci dei bambini che hanno cominciato a mangiare altri cibi oltre al latte è la presenza di residui alimentari, in genere vegetali, per esempio piselli o pezzettini di carota. Niente paura, è tutto normale: si tratta di alimenti ricchi di fibre che noi non riusciamo a digerire, e che di solito vengono degradati da alcuni batteri presenti nell’intestino. Nei bambini la loro presenza dà luogo a un transito molto veloce, per cui finiscono nelle feci così come sono, ma non rappresentano in alcun modo un problema. I residui alimentari sono presenti anche nelle feci degli adulti, solo che in genere non le studiamo con la stessa attenzione che dedichiamo a quelle dei piccoli e quindi non ce ne accorgiamo. Infine, nel bambino svezzato può capitare che le feci assumano temporaneamente delle colorazioni particolari: verde, arancione, rosso. Anche in questo caso, se la consistenza è più o meno normale e il fenomeno è passeggero non c’è da preoccuparsi: dipende tutto da quello che si è mangiato, nel caso invece che il fenomeno si ripresenti spesso, è necessario consultare il pediatra.

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Sindrome di Down: cause, sintomi in gravidanza e nei neonati

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologo Nutrizionista Cellulite Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare La molecola che spegne la sindrome di DownLa sindrome di Down è un’anomalia cromosomica che si manifesta attraverso diversi sintomi congeniti: le persone affette sono caratterizzate da una copia in eccesso del cromosoma 21 e possono manifestare sintomi fisici e disabilità intellettive. Tutti i casi diagnosticati presentano un ritardo cognitivo, ma il grado di disabilità è molto variabile tra gli individui affetti, con la maggior parte che rientra nella gamma di “poco” o “moderatamente disabili”. Purtroppo i soggetti Down spesso sono affetti da altri problemi di salute, per esempio malformazioni cardiache, difetti dell’udito, intestinali, tiroidei, scheletrici e agli occhi. La gravità di questi problemi varia considerevolmente a seconda dell’individuo. La sindrome è la più comune anomalia cromosomica nell’uomo e il rischio di concepire un bimbo Down aumenta proporzionalmente all’età della madre. La diagnosi può avvenire al momento della nascita o anche prima, attraverso lo screening prenatale. Questa sindrome non può essere curata, anche se un approccio integrato impostato fin dai primi mesi di vita permette di favorire un buon sviluppo delle capacità di base, permettendo di condurre una vita serena e produttiva. Negli ultimi decenni l’aspettativa di vita è aumentata significativamente, passando dai 25 anni del 1983 ai 60 e più attuali.

Cause

La sindrome di Down è causata da un errore casuale nella divisione cellulare che si verifica durante lo sviluppo delle cellule riproduttive (gameti) e che comporta la presenza di una copia extra del cromosoma 21. L’essere umano normalmente mostra 23 coppie di cromosomi, ossia 46 in tutto, ereditati rispettivamente per metà dalla madre e per metà dal padre; in alcuni casi si verifica un problema prima della fecondazione. L’ovulo materno o lo spermatozoo paterno si possono dividere in modo non corretto, arrivando a portare un cromosoma 21 in eccesso. Quando queste cellule si uniscono con uno spermatozoo o un ovulo normale l’embrione risultante avrà quindi 47 cromosomi, anziché 46, e questo tipo di errore nella divisione cellulare è responsabile di circa il 95% dei casi di sindrome di Down (trisomia 21).

  • In circa il 90% dei casi l’errore si verifica a livello dell’ovulo materno,
  • in circa il 4% dei casi si verifica nello spermatozoo paterno,
  • mentre nel restante 6% l’errore si verifica in una fase successiva alla fecondazione.

Il risultato è, in ogni caso, che il bimbo avrà una quantità superiore di materiale genetico rispetto a quello considerato normale nell’essere umano.

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Fattori di rischio

Ad oggi si ritiene che non esista alcun comportamento o fattore ambientale in grado di favorire l’errore durante la divisione cellulare. Sono invece considerati fattori di rischio:

  • Età avanzata della mamma, il cui rischio relativo aumenta in particolar modo dai 35 anni in poi, passando da 1 bimbo ogni 350, a 1 su 30 all’età di 45 anni.
  • Una donna che abbia già dato alla luce un bimbo affetto dalla sindrome di Down è associata a un aumento del rischio in caso di gravidanze successive.
  • Essere portatori della traslocazione genetica associata alla sindrome.

Sintomi

I sintomi variano considerevolmente da un soggetto all’altro, così come i i problemi che possono trovarsi ad affrontare in diverse fasi della vita. I bambini affetti da sindrome di Down manifestano tipicamente alcuni o tutti dei seguenti segni fisici:

  • occhi inclinati verso l’alto;
  • viso piatto e largo;
  • orecchie piccole e leggermente piegate sulla sommità;
  • bocca piccola, con la lingua che sembra più grande del normale;
  • naso piccolo e camuso;
  • collo corto ed eccesso di pelle alla base;
  • mani e piedi piccoli;
  • tono muscolare ridotto;
  • testa, orecchie e bocca più piccole;
  • macchie bianche su occhio e iride;
  • dita di mani e piedi più corte (brachidattilia);
  • singola piega trasversale palmare;
  • spazio eccessivo tra alluce e il secondo dito del piede;
  • obesità;
  • bassa statura, sia da piccoli sia da adulti.

Lo sviluppo fisico è in genere più lento rispetto ai coetanei, per esempio a causa del ridotto tono muscolare possono imparare a girarsi, sedersi e camminare un po’ più avanti nel tempo; nonostante queste difficoltà i bimbi affetti possono imparare comunque a partecipare alle attività fisiche svolte con altri bambini.

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Disabilità intellettiva

La gravità della disabilità intellettiva varia considerevolmente: la maggior parte delle persone down presenta una disabilità intellettiva lieve o moderata, che può manifestarsi come:

  • ridotta soglia di attenzione,
  • scarsa capacità di giudizio,
  • comportamento impulsivo,
  • apprendimento lento,
  • ritardo nello sviluppo del linguaggio.

Con opportuni interventi solo pochi pazienti arrivano a presentare una disabilità intellettiva grave. Non è possibile prevedere lo sviluppo mentale basandosi soltanto sui suoi tratti somatici.

Prognosi e patologie associate

Attualmente la prognosi per le persone affette da sindrome di Down è migliore rispetto a qualche anno fa, poichè la maggior parte dei problemi di salute connessi alla sindrome di Down può essere curata e guarita e la speranza di vita ha raggiunto i 60 anni. I pazienti corrono in ogni caso un rischio maggiore rispetto alla popolazione sana di soffrire di uno o più dei problemi seguenti.

  • Malformazioni cardiache. Circa la metà dei bambini con sindrome di Down soffre di malformazioni cardiache che possono portare allo sviluppo di pressione polmonare alta, ridotta capacità del cuore di pompare efficacemente il sangue e altri problemi. Per questo motivo è consigliabile sottoporre il bimbo a una valutazione cardiologica specializzata, che preveda anche un ecocardiogramma. In alcuni casi la diagnosi può avvenire già durante la gestazione, anche se gli esami svolti successivamente sono in genere più precisi e affidabili. Alcuni difetti possono essere gestiti attraverso i farmaci, mentre in altri casi può rendersi necessario l’intervento chirurgico.
  • Malformazioni intestinali. Il 12 per cento circa dei bambini è affetto da malformazioni intestinali congenite per le quali è necessario l’intervento chirurgico; possono essere presenti altri problemi digestivi, spesso legati a specifici alimenti.
  • Problemi di vista. Più del 60 per cento dei bambini con sindrome di Down soffre di problemi oculistici, come lo strabismo (esotropia), la miopia, la presbiopia e la cataratta. Per alleviare o risolvere queste patologie si può ricorrere agli occhiali, all’intervento chirurgico o ad altre terapie. I bambini dovrebbero essere visitati da un’oculista pediatrico entro i sei mesi di vita e dovrebbero fare visite oculistiche regolari.
  • Sordità e problemi d’udito. Una percentuale compresa tra il 70 e il 75% circa dei bambini con sindrome di Down ha problemi d’udito più o meno gravi, che rendono necessarie periodiche visite di controllo oltre a quella effettuata alla nascita. Molti difetti possono essere corretti, ma è necessario prestare grande attenzione alle infezioni (otiti) cui sono più soggetti e che possono causare danni permanenti.
  • Infezioni. Molti bambini manifestano un sistema immunitario più debole, che può favorire la comparsa di frequenti episodi di raffreddori e di infezioni alle orecchie, nonché di bronchiti e polmoniti. I bambini down dovrebbero ricevere tutte le vaccinazioni indicate per l’età pediatrica, che contribuiscono a prevenire alcune di queste infezioni.
  • Problemi della tiroide. L’1 per cento circa dei bambini affetti da sindrome di Down è affetto da ipotiroidismo congenito, cioè da una carenza di ormoni tiroidei in grado di influire negativamente sulla crescita e sullo sviluppo cerebrale. L’ipotiroidismo congenito può essere diagnosticato con gli esami di routine per i neonati e può essere curato con la somministrazione orale di ormone tiroideo. I bambini down corrono anche un rischio maggiore di soffrire di problemi della tiroide ereditari, quindi dovrebbero sottoporsi a controlli con cadenza annuale.
  • Leucemia. Meno dell’uno per cento dei bambini soffre di leucemia (tumore del sangue), ma di fatto corrono un rischio di 10-15 volte superiore rispetto ai loro coetanei. I bambini colpiti spesso possono essere curati efficacemente con la chemioterapia.
  • Altri disturbi del sangue. Si rileva un aumento dei casi di anemia sideropenica (ferro basso) e policitemia (elevata concentrazione di globuli rossi).
  • Ipotonia muscolare. Una riduzione del tono e della forza muscolare sono spesso causa di ritardo nell’apprendimento delle capacità motorie di base; in alcuni casi può essere consigliabile il ricorso ad apposite integrazioni nutrizionali per favorire lo svilippo muscolare.
  • Disturbi della memoria. Le persone affette da sindrome di Down corrono un rischio maggiore di ammalarsi di Alzheimer, una patologia caratterizzata dalla perdita progressiva della memoria, da alterazioni della personalità e da altri disturbi. Gli adulti down tendono ad ammalarsi di Alzheimer prima delle persone sane. Le ricerche indicano che circa il 25 per cento degli adulti down di età superiore ai 35 anni presenta i sintomi del morbo di Alzheimer.

Sono inoltre più frequenti casi di:

  • disturbi del sonno e episodi di sindrome delle apnee notturne,
  • problemi orali (denti e gengive),
  • epilessia,
  • celiachia.

Alcune persone down probabilmente soffrono di diversi di questi problemi, mentre altre probabilmente non ne hanno nessuno. La gravità dei disturbi varia considerevolmente da persona a persona.

Quali capacità hanno i bambini con sindrome di Down?

I bambini di norma riescono a fare la maggior parte delle cose che i loro coetanei sono in grado di fare: camminano, parlano, si vestono da soli e imparano ad andare in bagno da soli. Tuttavia, generalmente, iniziano a imparare con un po’ di ritardo rispetto agli altri bambini. L’età esatta in cui i bambini raggiungeranno questi traguardi di autonomia non può essere prevista con esattezza, ma con un intervento precoce e mirato che inizi già dalla prima infanzia potranno diventare autonomi prima.

I bambini con sindrome di Down possono andare a scuola?

Esistono programmi speciali che, già in età prescolare, aiutano i bambini a sviluppare le loro abilità nella maniera più completa possibile. Oltre a trarre benefici da questi interventi e dall’educazione differenziata, molti bambini con sindrome di Down vanno a scuola insieme ai loro coetanei sani. Molti bambini imparano a leggere e a scrivere: alcuni frequentano la scuola superiore e proseguono con l’università. Molti sono perfettamente integrati nelle varie attività scolastiche ed extrascolastiche. Gli adulti con sindrome di Down sono in grado di lavorare, sia seguendo un programma lavorativo speciale, sia facendo un lavoro “normale”. Un numero sempre maggiore di adulti con sindrome di Down vive in modo semindipendente all’interno di strutture residenziali: riesce a prendersi cura di sè, sbriga le faccende domestiche, stringe amicizie, partecipa ad attività nel tempo libero e lavora nella comunità.

Le persone con sindrome di Down possono avere figli?

  • Tranne rare eccezioni gli uomini con sindrome di Down non possono diventare padri.
  • Le donne con sindrome di Down, invece, hanno una probabilità del 50 per cento di mettere al mondo un figlio a sua volta affetto dalla sindrome, ma in molti casi si verifica un aborto spontaneo.

Leggi anche: Sindrome di Down: sintomi, caratteristiche fisiche, aspettativa di vita

Diagnosi

La diagnosi può avvenire prima della nascita o al momento del parto. Durante la gestazione è possibile giungere alla diagnosi di sindrome di Down attraverso due possibili test.

Screening prenatale

Sono disponibili diversi esami, come il bi-test, in grado di calcolare una stima del rischio che il bimbo/a sia affetto da sindrome di Down, ma senza fornire la certezza della diagnosi. Lo screening può consistere in un esame del sangue della madre, eseguito nel primo trimestre (tra l’undicesima e la tredicesima settimana) e in una speciale ecografia che misura lo spessore della nuca del bambino (translucenza nucale). Nel caso in cui emerga un aumento significativo del rischio la paziente potrà decidere di sottoporsi a un vero e proprio test diagnostico.

Diagnosi prenatale

Alle donne che presentano risultati anomali negli esami sopraelencati viene proposto un esame diagnostico, come l’amniocentesi o il prelievo dei villi coriali (CVS): questi esami sono molto efficaci per diagnosticare (o, più probabilmente, per escludere) la sindrome di Down. In Italia l’amniocentesi viene consigliata a tutte le donne di età uguale o superiore ai 35 anni.

Diagnosi post-natale

La diagnosi effettuata al momento del parto si basa sulla valutazione dei segni fisici caratteristici della sindrome, anche se la conferma può avvenire attraverso un esame del sangue.

Cura e terapia

Per la sindrome di Down non esiste nessuna cura risolutiva trattandosi di un problema genetico, quindi viene intrapreso un approccio integrato e personalizzato in base alle necessità del singolo bimbo, che ha esigenze e punti di forza unici e diversi da quelli di qualsiasi altro bimbo. Il supporto medico più importante è probabilmente quello legato ai possibili rischi di salute connessi alla sindrome (difetti congeniti cardiaci, inclinazione allo sviluppo di infezioni, problemi di udito, …), che in alcuni casi richiedono un approccio chirurgico molto precoce. Un intervento precoce attraverso attente e adeguate terapie riabilitative fisiche e mentali permette di aumentare significativamente la possibilità di un soddisfacente inserimento sociale, scolastico e lavorativo, con la possibilità di sviluppare una qualità di vita elevata. Gli interventi possono consistere in:

  • Terapia fisica, in grado di favorire un buon sviluppo fisico e motorio, aumentanto anche tono e forza muscolare, postura ed equilibrio. Questo supporto è particolarmente importante in età pediatrica.
  • Terapia logopedica, che può aiutare il bimbo affetto dalla sindrome a migliorare la propria capacità comunicativa, utilizzando il linguaggio in modo più efficace.
  • Terapia occupazionale, che mira a sviluppare e mantenere le competenze necessaria nella vita quotidiana, scolastica e lavorativa.
  • Terapia comportamentale, per aiutare a prevenire emozioni negative come la frustrazione dovuta all’incapacità di comunicare adeguatamente; questo approccio permette loro di imparere a gestire l’impulsività e i comportamenti compulsivi, favorendo al contempo lo sviluppo di qualità e capacità proprie di ogni soggetto.

Prevenzione

L’unico modo realmente efficace di prevenire tale sindrome è abbassare l’età di gravidanza. Il rischio di concepire un bambino con sindrome di Down aumenta infatti all’aumentare dell’età della madre:

  • a 25 anni, il rischio di mettere al mondo un bambino con sindrome di Down è di 1 su 1.250;
  • a 30 anni, è di 1 su 1.000;
  • a 35 anni è di 1 su 400;
  • a 40 anni è di 1 su 100;
  • a 45 anni è di 1 su 30.

Anche se il rischio cresce proporzionalmente all’aumentare dell’età della madre, l’80 per cento circa dei bambini down nasce da donne di età inferiore ai 35 anni, perché le donne più giovani hanno più figli rispetto a quelle più anziane. Un apporto insufficiente di acido folico nella madre sembrerebbe essere legato a un aumento del rischio di concepire un figlio con sindrome di Down, per questo motivo alle donne di età pari o superiore ai 35 anni viene spesso consigliato di assumere dosi superiori ai classici 400 mcg al giorno. Nel caso di precedente figlio con sindrome di Down viene in genere consigliata una consulenza genetica, per valutare se possa esserci un aumento del rischio in grado di nuovo concepimento (si procede alla determinazione del cariotipo, per evidenziare l’eventuale presenza di traslocazione robertsoniana).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Il mio bambino può mangiare il parmigiano? A che età iniziare?

MEDICINA ONLINE NEONATO BAMBINO BIMBO FECI VOMITO BOCCA VOMITO FECALOIDE CAUSE COLORE VERDE GIALLO ROSSO MARRONE BILIARE CAFFEANO CIBO ALIMENTARE DIGESTIONE NAUSEA STOMACO MAL DI PANCIA ACQUA NON DIGERITO PEZZI COLITE COLONTogliamoci subito ogni dubbio. Il Parmigiano Reggiano è un toccasana per la dieta quotidiana. Non solo per quella di adulti e anziani, ma pure per quella di bambini e adolescenti, che hanno bisogno del giusto apporto di calcio per crescere sani e forti.

Leggiamo dal sito del Consorzio del Parmigiano Reggiano:

[Il] prof. Sergio Bernasconi dell’Università di Parma […] ha indicato in questo formaggio una straordinaria fonte di calcio altamente biodisponibile (e quindi assimilabile), molto utile per bambini ed adolescenti (“che mangiano molto e male”, ha detto il clinico) e la cui dieta è carente, come risulta da statistiche sia europee che statunitensi […]

Ma da che età è preferibile iniziare a consumare il Parmigiano Reggiano? Molti pediatri consigliano di evitare il formaggio nelle pappe fino al compimento del primo anno d’età – per approfondire questo punto, ti consigliamo di leggere questo articolo: I pediatri italiani dicono “no” al Parmigiano nelle pappe.

Quanto ne dovrebbe mangiare?

L’importante, come per ogni altro cibo, è non abusarne. Un bambino piccolo, di pochi anni d’età, non dovrebbe mangiare formaggio più di tre o quattro volte a settimana. Mangiare formaggio non vuol dire divorarne etti ed etti: bastano pochi grammi di Parmigiano Reggiano, una o due scaglie, per soddisfare, per esempio, il fabbisogno giornaliero di calcio. Facciamo qualche numero. Un bambino di età compresa fra uno e sei anni ha bisogno di circa 800 mg di calcio al giorno. Considera che una porzione di soli 50 g di Parmigiano Reggiano assicura un apporto di 580 mg di calcio. Insomma, a conti fatti, un etto di Parmigiano sarebbe già assai più che sufficiente.

Per i bambini allergici alle proteine del latte

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi è allergico alla caseina, la proteina principale del latte, può mangiare il Parmigiano Reggiano, purché sia un Parmigiano di lunga stagionatura.

Una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale PLoS One ha svelato che:

due bimbi su tre (sotto i dieci anni) con gravi allergie al lattosio, che hanno assunto un cucchiaio di parmigiano reggiano, equivalente a un bicchiere di latte, non hanno presentato problemi e conseguenze negative.

L’importante, come già scritto, è che il Parmigiano sia ben stagionato, almeno 30 mesi. Più l’invecchiamento del formaggio è lungo e più gli enzimi proteolitici presenti nel latte e nel siero innesto “predigeriscono” la caseina, fino a ridurla in aminoacidi liberi, più facili da assorbire per l’organismo.

Ricorda infine che il Parmigiano Reggiano non garantisce solo un ottimo apporto di calcio. Questo formaggio è ricco di tante altre sostanze nutritive, come le vitamine A e B, oltre che di ferro e di zinco. Per esempio, il Beta-Carotene e le vitamine A, B2, B6, B12 assicurano un’ottima azione protettiva e antitossica: favoriscono la formazione degli anticorpi e ci difendono dagli inquinanti presenti nell’aria che respiriamo ogni giorno. Insomma, mangiare il Parmigiano fa bene. Basta solo non esagerare con le dosi.

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Differenze tra latte materno e latte artificiale

MEDICINA ONLINE NEONATO BIMBO BAMBINO PIANTO CONGENITO LATTE ALLATTAMENTO SEN MADRE FIGLIO GENITORE BIMBI LATTANTE MATERNO ARTIFICIALE DIFFERENZA PICCOLO PARTO CESAREO NATURALE PIANGERELatte materno e latte artificiale: quali differenze?

Il latte materno: una fonte preziosa

Tutte le associazioni di pediatria e di ginecologia sono concordi nell’affermare che il latte materno è l’alimento più adeguato per garantire una crescita sana del neonato. Il latte prodotto dalla ghiandola mammaria è ricco di proteine, lipidi, vitamine, minerali e carboidrati: protegge il neonato dalle malattie a breve e a lungo termine, perché rinforza le difese immunitarie dell’organismo. Il latte materno contiene sostanze fondamentali per lo sviluppo del neonati, come gli enzimi digestivi, ovvero i regolatori della digestione, che alleviano le coliche e gli spasmi dello stomaco dei neonati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’allattamento al seno almeno per almeno i primi 6 mesi di vita. Le associazioni di pediatria e di ginecologia sostengono che, tra i tanti punti fondamentali che differenziano il latte materno da quello artificiale, ci siano la disponibilità e il costo: il latte della mamma è sempre pronto, alla giusta temperatura e soprattutto è gratis.

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Il latte artificiale: quando diventa una scelta obbligata

Per quanto il latte materno sia un alimento insostituibile nella dieta del neonato, spesso non è sufficiente. Quando non è possibile allattare i neonati al seno, le associazioni di pediatria e di ginecologia consigliano di ricorrere al latte artificiale, liquido o in polvere, che grazie alla completezza e alla sicurezza dei suoi ingredienti garantisce al neonato sano e nato a termine uno sviluppo normale. La composizione del latte artificiale per neonati, sia liquido che in polvere, contiene tutti i nutrienti essenziali per una crescita sana, e ricalca la composizione del latte materno. Il latte artificiale è un derivato del latte vaccino e viene modificato per offrire proprietà nutritive analoghe a quelle del latte materno. Tutto il latte artificiale per neonati in vendita in Italia, che sia in polvere o liquido, è conforme ad una ristretta normativa CEE che ne definisce gli ingredienti e la composizione.

Il latte artificiale per neonati: la composizione rispetto al latte materno

Il latte artificiale deriva dal latte vaccino: per assomigliare al latte materno, viene addizionato di vari elementi. Esistono comunque delle differenze: vediamo quali. Il latte materno contiene i nucleotidi (citosina, adenina, uridina, inosina e guanosina), sostanze che consentono una ripresa veloce e ottimale del peso del neonato in caso di gastroenterite infettiva. Il latte vaccino ha una scarsa concentrazione di nucleotidi, quindi è necessario aggiungerli alla formulazione del latte artificiale. La carnitina serica è invece una sostanza che trasforma i grassi in energia, ed è presente in minore concentrazione nei neonati allattati con il latte artificiale. Nel latte delle mamme, inoltre ci sono diversi ormoni di natura proteica come la prolattina, i peptidi e gli ormoni tiroidei, che sembra siano in grado di proteggere i neonati ipotiroidei. Diversi studi hanno accertato che la risposta endocrina è diversa per i neonati allattati al seno piuttosto che con il latte artificiale. Il latte materno è anche molto ricco di prostaglandine, componenti fondamentali per l’integrità e il corretto funzionamento dell’intestino del neonato: si pensa che la differenza riscontrata nelle feci dei neonati alimentati con latte materno e con latte artificiale possa essere attribuita almeno in modo parziale alla mancanza di questa sostanza nel latte artificiale. In conclusione, tutte le sostanze presenti nel latte materno legate ad un aumento della resistenza alle infezioni, ad una migliore prontezza visiva ed ad un miglior sviluppo neurologico del neonato, come i nucleotidi, gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena, i probiotici e i prebiotici, sono riprodotti nella composizione del latte artificiale presente sul mercato italiano.

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Piede piatto: cos’è e perché può diventare pericoloso per la salute

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PIEDE PIATTO IN BAMBINO COSE PERICOLOSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon “piede piatto” viene indicata una particolare conformazione del piede caratterizzata dall’appiattimento della volta plantare (la parte della superficie plantare del piede che, in situazioni fisiologiche, non tocca il terreno quando si è in posizione eretta) e dalla valgo-pronazione del calcagno. E’ quindi un paramorfismo in cui risultano alterati i rapporti anatomici del piede.

Piede piatto nei bambini

Dai 10 mesi di vita fino ai 3-4 anni di età questa situazione è del tutto fisiologica e rientra nella normale crescita del piede (piede piatto fisiologico), ed è generalmente portata a correggersi spontaneamente entro i 6-7 anni di età.

Perché il piede piatto può diventare pericoloso?

Anche quando la presenza dei piedi piatti permane senza regredire autonomamente dopo i 7 anni di vita, la condizione è – la maggior parte delle volte – indolore, tuttavia questo paramorfismo può contribuire all’insorgenza di problemi a caviglie e ginocchia perché la presenza di questa condizione può alterare l’allineamento delle gambe.

Quali sono le cause del piede piatto?

La presenza del piede piatto nei bambini è del tutto normale e in alcune persone questa conformazione del piede tipica dell’infanzia non regredisce, permanendo anche in età adulta. Nonostante la presenza di piattismo generalmente non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo: il trattamento di questa condizione è dunque preventivo. Alcuni fattori possono influire sulla possibilità di sviluppare il piede piatto anche in età adulta: obesità, lesioni traumatiche al piede o alla caviglia; artrite reumatoide; invecchiamento.

Quali sono i sintomi del piede piatto?

La maggior parte delle persone non ha alcun sintomo associato alla presenza del piede piatto. In alcuni casi, soprattutto nei soggetti con valgo-pronazione del calcagno, possono esservi dolore in particolare nella zona del tallone o della volta plantare e gonfiore nella parte interna della caviglia.

Come prevenire il piede piatto?

Per prevenire la formazione del piede piatto in età adulta è bene evitare le condizioni che possano predisporre al suo sviluppo. Se nulla si può fare riguardo alcuni fattori di rischio – come l’artrite reumatoide e l’invecchiamento – è possibile invece attuare delle strategie preventive per evitare l’insorgenza di condizioni come il sovrappeso e l’obesità e le lesioni traumatiche al piede o alla caviglia che favoriscono la comparsa di questo disturbo.

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi è necessario un esame obiettivo e durante la visita al paziente si chiederà di effettuare dei movimenti (come mettersi sulle punte dei piedi) per esaminare la meccanica dei piedi.
Nel caso il paziente lamenti dolore, può essere richiesta la sottoposizione e diversi esami di imaging:

  • Radiografia: per visualizzare le ossa e le articolazioni dei piedi.
  • TAC: in grado di visualizzare le ossa e l’articolazione del piede da diverse angolazioni, fornendo maggiori dettagli rispetto a una normale radiografia.
  • Ecografia: questo esame, in grado di fornire immagini dei tessuti molli, può essere effettuato nel caso in cui il medico sospetti la presenza di una lesione tendinea.
  • Risonanza magnetica: in grado di fornire immagini dettagliate sia dei tessuti duri (come le ossa) sia dei tessuti molli (come tendini e vasi sanguigni).

Trattamenti

Nonostante la presenza di piattismo generalmente non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo: il trattamento di questa condizione è dunque preventivo.
In presenza di un accentuato piattismo dei piedi, già a partire dai 3 o 4 anni di età è bene mettere in atto una serie di provvedimenti – del tutto non invasivi – mirati a favorire la maturazione della volta plantare. Tra questi:

  • l’uso di un plantare;
  • il rinforzo muscolare mediante esercizi e sport adatti.

In entrambi i casi è bene farsi consigliare dal medico, evitando soluzioni “fai da te”.

Quando è necessaria la chirurgia?

Se entro gli 8-9 anni non si raggiunge un miglioramento della volta plantare possono essere consigliati, nei casi di piattismo più importanti, interventi chirurgici correttivi da eseguire tra i 9 e i 14 anni. Diverse sono le procedure chirurgiche utilizzate a questo scopo: le più diffuse sono l’endortesi e il calcagno-stop, entrambe mirate a correggere la pronazione del calcagno e a far risalire la volta plantare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Sindrome di Noonan: cause, sintomi nel neonato, aspettative di vita

MEDICINA ONLINE SINDROME DI NOONAN CAUSE SINTOMI NEONATO ASPETTATIVE DI VITA PROGNOSI MORTE BAMBINO TERAPIA CURA.jpgLa sindrome di Noonan è una malattia genetica dalle caratteristiche cliniche particolarmente variabili, con un’incidenza stimata di un caso ogni 1000-2500 nati. Le manifestazioni più frequenti includono cardiopatie congenite (nel 70% dei pazienti), bassa statura, un aspetto caratteristico del volto (abbassamento delle palpebre, occhi distanziati, orecchie grandi e ruotate posteriormente), malformazioni del torace, deficit cognitivi variabili, tendenza al sanguinamento e criptorchidismo (mancata discesa dei testicoli nello scroto).

Come si trasmette la sindrome di Noonan?

La sindrome può essere sporadica (il difetto genetico responsabile insorge in modo spontaneo) oppure  ereditata dai genitori. In questo caso la trasmissione avviene con modalità autosomica dominante: è sufficiente cioè una copia alterata del gene per sviluppare la malattia. In circa il 50% dei casi, la sindrome è causata da mutazioni del gene PTPN11, mentre in una piccola percentuale di pazienti sono state identificate mutazioni nei geni KRAS, NRAS, RAF1, BRAF e SOS1. Nel complesso, le mutazioni nei geni identificati si riscontrano in circa il 75% dei pazienti con diagnosi clinica della malattia. Mutazioni nei geni SHOC2 e CBL sono state riscontrate in soggetti con caratteristiche cliniche parzialmente sovrapponibili alla sindrome di Noonan.

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Come avviene la diagnosi della sindrome di Noonan?

La diagnosi avviene in base alle caratteristiche cliniche ed eventualmente all’analisi della storia familiare e può essere confermata con un’indagine genetica (ricerca di mutazioni nei geni PTPN11, RAF1, KRAS, SOS1, NRAS e BRAF). Va comunque ricordato che, per molti pazienti, la causa genetica della malattia non è ancora stata identificata. Inoltre, vista la variabilità clinica della malattia, l’analisi molecolare di altri geni implicati in malattie correlate (HRAS, MEK1, MEK2, CBL e SHOC2) può indirizzare verso una più corretta valutazione clinica. Se una mutazione responsabile è già stata identificata in un componente della famiglia, si può effettuare una diagnosi prenatale con l’indagine genetica del feto attraverso villocentesi o amniocentesi. L’età media alla diagnosi è di nove anni.

Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la sindrome di Noonan?

Non esiste una terapia specifica, anche se studi preclinici su modelli animali sono in corso per valutare l’efficacia di alcuni farmaci che inibiscono in maniera specifica l’attività degli enzimi “mutati” responsabili  della malattia. Alcune lesioni cardiache devono essere corrette per via chirurgica, mentre in alcuni casi è consigliata l’assunzione di ormone della crescita. In generale, i bambini affetti dalla sindrome vanno tenuti sotto controllo per quanto riguarda la funzionalità cardiaca, la crescita, lo sviluppo motorio, la coagulazione del sangue. Se seguita in modo adeguato, la maggior parte dei bambini colpiti cresce normalmente e raggiunge senza problemi l’età adulta.

Aspettative di vita

La speranza di vita è generalmente normale (paragonabile al resto della popolazione) se sono assenti difetti cardiaci congeniti importanti. L’aspettativa di vita diminuisce all’aumentare della gravità delle patologie cardiache.

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Differenza tra feci del neonato allattato al seno o con latte artificiale

MEDICINA ONLINE NEONATO BIMBO BAMBINO PIANTO CONGENITO LATTE ALLATTAMENTO SEN MADRE FIGLIO GENITORE BIMBI LATTANTE MATERNO ARTIFICIALE DIFFERENZA PICCOLO PARTO CESAREO NATURALE PIANGERE SINGHIOZZO PANNOLINO FECI URINA PENEL’alimentazione del bebè – se con latte materno o con latte artificiale – condiziona in modo molto marcato l’aspetto delle sue feci. Una variazione che dipende dalle diverse caratteristiche della flora batterica intestinale del bambino. Che a sua volta è legata appunto al tipo di alimentazione.

Se il neonato prende il latte materno, le sue feci hanno un colore giallo vivo – ocra o becco d’oca – e una consistenza cremosa o tendente al liquido. L’odore non è cattivo e tendenzialmente acidulo. A volte possono essere presenti dei granuli biancastri: non è niente di preoccupante, sono semplicemente granelli di caseina, una proteina del latte che, se presente in eccesso, può venire eliminata con le feci. Questo aspetto caratteristico rimane costante per tutto il periodo dell’allattamento esclusivo al seno: Al massimo con il passare delle settimane le feci possono diventare un pochino più compatte, e verso il terzo/quarto mese può esserci un rallentamento nel ritmo dell’evacuazione: invece che emettere feci più volte al giorno, magari il bambino comincia a farla una o due volte al giorno o anche una volta ogni 2/3 giorni.

Se l’alimentazione del neonato prevede latte artificiale, le sue feci saranno diverse: più pastose e compatte, con un colorito che raramente è giallo ocra, ma quasi sempre o giallo chiaro o tendente al marroncino. Anche la frequenza delle evacuazioni sarà diversa: più rara.

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