Artrite reumatoide: sintomi iniziali, cause, cure e mortalità

una mano normale e una mano con artrite reumatoideL’artrite reumatoide (abbreviato “AR”; in inglese “rheumatoid arthritis”, da cui l’acronimo “RA”) è una poliartrite infiammatoria cronica, anchilosante e progressiva a patogenesi autoimmunitaria e di eziologia sconosciuta, principalmente a carico delle articolazioni sinoviali. Le articolazioni interessate diventano dolenti, tumefatte e vanno deformandosi con il tempo. Può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l’occhio, la cute e i vasi. Si differenzia dall’osteoartrosi perché interessa inizialmente la membrana sinoviale e non la cartilagine, colpisce con meno frequenza e in età più giovane rispetto all’osteoartrosi; sono più colpite le donne (rapporto 3:1). Interessa l’1-2% della popolazione e il numero dei casi aumenta con l’età, infatti è colpito il 5% delle donne oltre i 55 anni. L’esordio si osserva prevalentemente al termine della adolescenza o tra 4º e 5º decennio di vita; un secondo picco si osserva tra i 60 e 70 anni. Una variante precoce dell’AR è costituita dall’artrite reumatoide dell’infanzia.

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Che cos’è l’artrite reumatoide?

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce le articolazioni sia piccole che grandi, che diventano dolenti, tumefatte e con il tempo deformate, ma che può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l’occhio, la cute e i vasi.
Esistono due varianti particolari e rare di artrite reumatoide:

  • il morbo di Felty, caratterizzato da ingrandimento della milza, riduzione dei granulociti neutrofili all’emocromo e febbre;
  • la sindrome di Kaplan: una pneumoconiosi polmonare.

L’artrite reumatoide colpisce più frequentemente le donne, soprattutto fra i 40 e i 50 anni. La prevalenza è stimata intorno all’1% della popolazione generale adulta e possono verificarsi casi di familiarità, ma più spesso è una malattia sporadica.

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Quali sono le cause dell’artrite reumatoide?

L’Artrite Reumatoide non ha una causa unica e ben determinata: si ritiene che un fattore ambientale possa ingannare il sistema immunitario (mimetismo molecolare) o modificare alcuni antigeni che dovrebbero essere visti come propri dal sistema immunitario (self), ciò interrompe la tolleranza immunologica nei confronti di alcune proteine umane, come il collagene articolare, provocando una disregolazione dei linfociti T e dei linfociti B e conseguente produzione di citochine infiammatorie, come il TNF alpha e l’IL17. In un’alta percentuale di soggetti affetti da Artrite Reumatoide, specie in quelli portatori dell’HLA DR4 o DR1, sono presenti il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-proteine citrullinate (anti-CCP), questi ultimi sono altamente specifici di malattia.

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Quali sono i sintomi e segni dell’artrite reumatoide?

Le articolazioni vengono generalmente interessate in maniera simmetrica e aggiuntiva; a essere colpite sono in genere le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, ma qualsiasi articolazione diartrodiale (cioè dotata di membrana sinoviale) può essere coincolta. Più frequentemente l’infiammazione è poliarticolare, ossia interessa più di quattro articolazioni, e, se non trattata o non responsiva ai trattamenti, può provocare erosioni ossee e deformità. Una delle caratteristiche cliniche della malattia è la rigidità articolare prevalentemente al mattino, che può durare anche per molte ore. L’interessamento della colonna vertebrale non è tipico dell’artrite reumatoide sebbene tardivamente ci possa essere un coinvolgimento del rachide cervicale con impegno del dente dell’epistrofeo e possibile interessamento del midollo spinale. Per quanto concerne l’interessamento sistemico la malattia può causare fibrosi polmonare, sierositi, vasculiti, nodulosi cutanea e degli organi interni, episcleriti e scleriti, amiloidosi.

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Diagnosi

Le indagini per la diagnosi di malattia e per la ricerca e stadiazione dell’impegno d’organo comprendono, oltre all’esecuzione di esami ematici per la ricerca del Fattore Reumatoide e degli anticorpi anti-CCP, anche il dosaggio degli indici di infiammazione come la velocità di eritrosedimentazione (VES) e della proteina C reattiva (PCR). Inoltre:

  • per evidenziare versamento articolare, ipertrofia sinoviale, borsiti/tenosinoviti, erosioni ossee:
    • ecografia articolare;
    • radiografia articolare;
    • risonanza magnetica articolare;
  • per lo studio della densità minerale ossea:
    • mineralometria ossea computerizzata (MOC).

Per approfondire:

In caso di interessamento extra-articolare:

  • spirometria, DLCO, TC torace ad alta risoluzione per lo studio dei polmoni;
  • ecocardiogramma per lo studio del cuore.

Relativamente al fattore reumatoide ed ai test che si usano per valutarlo, ti consiglio di leggere anche:

Criteri classificativi

I criteri classificativi sono stati recentemente rivisti da un gruppo internazionale di esperti e richiedono un punteggio maggiore o uguale a 6 per fare diagnosi considerando:

  • coinvolgimento articolare:
    • coinvolgimento di una grossa articolazione (0 punti),
    • coinvolgimento da 2 a 10 grandi articolazioni (1 pt),
    • coinvolgimento da 1 a 3 piccole articolazioni (2 pt),
    • coinvolgimento da 4 a 10 piccole articolazioni (3 pt),
    • coinvolgimento di più di 10 articolazioni (5 pt),
  • fattore reumatoide e anti-CCP:
    • negatività del fattore reumatoide e degli anti-CCP (0 pt),
    • bassa positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (2 pt),
    • alta positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (3 pt,
  • indici infiammatori:
    • indici di flogosi normali (0 pt),
    • indici di flogosi alterati (1 pt),
  • durata dei sintomi:
    • durata dei sintomi inferiore a sei settimane (0 pt),
    • durata dei sintomi maggiore di sei settimane (1 pt).

Stadiazione, decorso e trattamenti

Lo stato della malattia può essere identificato analizzando il tipo di lesioni sul paziente; il decorso è assai vario; sono possibili vari trattamenti farmacologici: a tale proposito leggi: Artrite reumatoide: stadiazione, decorso e trattamenti

Prognosi e mortalità

La compromissione delle articolazioni comporta una limitazione della mobilità che può sfociare in invalidità e successiva morte prematura. Un caso tristemente famoso è quello della popolare attrice e scrittrice Anna Marchesini, affetta da artrite reumatoide, morta ad appena 62 anni. Il decorso della malattia varia notevolmente da caso a caso. Alcuni pazienti presentano sintomi lievi a breve termine, ma nella maggior parte di essi la malattia progredisce per tutta la vita. Circa il 20%-30% dei casi svilupperà noduli sottocutanei (noti come noduli reumatoidi).

I fattori prognostici negativi includono:

  • Sinovite persistente.
  • Malattia erosiva precoce.
  • Reperti extra-articolari (compresi noduli reumatoidi sottocutanei).
  • Risultati sierologici positivi per artrite reumatoide.
  • Positività sierologica agli anticorpi anti-CCP.
  • Storia familiare di artrite reumatoide.
  • Stato funzionale scadente.
  • Basso status socio-economico.
  • Elevata risposta della fase acuta (velocità di sedimentazione eritrocitaria, la proteina C-reattiva).
  • Aumento rapido della gravità clinica.
  • Scarsa risposta ai farmaci ed alla fisioterapia.
  • Vita sedentaria.
  • Uso di droghe, alcolismo, tabagismo.
  • Alimentazione scorretta.
  • Età avanzata.
  • Presenza di altre patologie (cardiopatie, diabete, coagulopatie, obesità…).

Uno studio del 2006, sostiene che l’artrite reumatoide riduca la durata della vita delle persone da circa 3 a 12 anni. Uno studio del 2005 della Mayo Clinic ha osservato che gli affetti da tale condizione hanno un rischio raddoppiato di incorrere in malattie cardiache indipendente da altri fattori di rischio come il diabete, l’abuso di alcol, colesterolo elevato, pressione arteriosa e un indice di massa corporea elevati. Il meccanismo attraverso il quale l’artrite reumatoide causa questo aumento del rischio rimane sconosciuto; la presenza di una infiammazione cronica è stata proposta come un fattore, almeno in parte, responsabile. Risposte positive alla terapia possono certamente indicare una prognosi migliore.

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GP Imola 1994: la tragica morte di Roland Ratzenberger

MEDICINA ONLINE GP IMOLA Roland Ratzenberger fatal crash INCIDENTE FOTO DIED DEATH PICTURES ROSSI WALLPAPER MOTO GP GRAN PREMIO PILOTE MORT PICTURES HI RES PHOTO LOVE MEMORY REST IN PEACE RIP HEART CASCO TESTA TRAUMA.jpgLa nostra storia inizia venerdi 29 aprile 1994, giorno in cui si tengono le prove libere di quel maledetto gran premio di San Marino. È una giornata particolarmente ventosa e molti piloti avvertono questo fastidio. Tra i piloti a scendere in pista c’è il non ancora ventiduenne brasiliano Rubens Barrichello. È un pilota molto promettente, alla sua seconda stagione nel circus ma già altamente competitivo. Viene da un quarto e un terzo posto nei primi due gran premi della stagione oltre che a una serie di successi ottenuti nelle formule minori. I brasiliani lo vedono quale possibile erede di Ayrton Senna e quest’ultimo fa di tutto per coccolarlo e spronarlo a migliorare.

L’incidente di Barrichello

Alle ore 13,14 circa, Barrichello si lancia in un giro veloce intenzionato a perfezionare il settaggio della sua Jordan per bissare il podio ottenuto nel gran premio del Pacifico. Sparato a una velocità prossima ai 230 km/h, il pilota di San Paolo entra troppo veloce all’ingresso della Variante Bassa, una curva che riproduce la parte inferiore di una “S”.
L’auto, complice il cedimento della sospensione posteriore sinistra probabilmente a seguito di un urto su un cordolo, allarga la traiettoria e quando Barrichello cerca di correggerla sbanda via a destra e va a montare sul cordolo esterno. Purtroppo il cordolo è leggermente rialzato rispetto all’erba e la Jordan ci salta sopra come su un trampolino.
Per nulla frenata di velocità e incapace di avvertire la pinza dei freni, l’auto decolla di lato e va a schiantarsi, a mezza altezza, sopra alla fila di gomme poste a protezione del muretto eretto al termine della via di fuga, scivola sulle gomme, atterra di muso sull’erba, si ribalta e, compiendo due giri completi, si adagia sul suo lato sinistro. Uno schianto terribile, esaltato da un replay che rende la Jordan simile a un proiettile impazzito che vola sulla pista. Barrichello perde conoscenza. Le bandiere rosse sventolano a segnalare la sospensione delle prove. Intervengono prontamente i commissari e l’ambulanza. Il pilota viene subito trasportato al pronto soccorso dell’autodromo. Si teme il peggio.
Ayrton Senna è tra i primi ad accorrere e a parlare con Barrichello che, scioccato, non ricorda nulla dell’incidente ed è costretto a rinunciare al Gran Premio: ha una costola incrinata, il naso rotto, tagli sulla bocca e una forte contusione al braccio.

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Le prove, sabato 30 aprile 1994

Il giorno dopo, in seguito al forfait di Barrichello, rimangono in ventisette a contendersi i ventisei posti disponibili in griglia. A rischiare sono i piloti delle due vetture debuttanti: Bertrand Gachot e Paul Belmondo (il figlio del celebre attore Jean-Paul Belmondo) su Pacific Ilmor e David Brabham e Roland Ratzenberger su Simtek Ford. Le due auto infatti sono le peggiori del lotto e la lotta per evitare l’ultimo posto, quello che non darebbe diritto a prendere parte al gran premio, è stretta a questi quattro piloti.
Le prove sono iniziate da poco. L’austriaco Ratzenberger è nervoso. Prima di montare in auto, ai box, ripete più volte ai suoi meccanici: “Devo mantenere il controllo”. Ratzenberger è tra i debuttanti della stagione, ma è tutt’altro che un pivello. Ha quasi trentaquattro anni ed è reduce da una serie di esperienze nelle formule minori e in formule orientali, oltre a quattro partecipazioni alla 24 Ore di Le Mans.
Non si è qualificato nel gran premio che ha battezzato la stagione (prendendo un secondo e mezzo di distacco dal compagno di squadra), mentre ha ultimato il gran premio del Pacifico in ultima posizione con cinque giri di ritardo dal vincitore Michael Schumacher. Non è un pilota con uno sponsor forte alle spalle e stante i risultati tutt’altro che entusiasmanti potrebbe già rischiare il sedile.

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L’incidente mortale

Roland entra in pista e nei cinque giri che precedono quello fatale si rende protagonista di vari errori: un contatto con la Lotus di Johnny Herbert nel giro di lancio, e soprattutto, al suo quinto giro, un leggero fuori pista alla chicane delle Acque Minerali riuscendo tuttavia a riprendere il controllo del veicolo e a chiudere il giro stoppando il cronometro sul 1,27,584 che gli vale il ventiseiesimo posto davanti a Paul Belmondo ma comunque distaccato di sette decimi dal compagno Brabham che precede Bertrand Gachot. Ratzenberger sa che può far meglio, così decide di compiere un nuovo giro.
Sono passati circa venti minuti dall’inizio delle qualifiche, Ratzenberger è nel rettilineo che precede la curva Villeneuve a oltre 300 km/h, quando un’appendice aerodinamica di 20 centimetri quadri dell’alettone anteriore cede, probabilmente in conseguenza del fuoripista precedente. Per le sollecitazioni, il baffo dell’alettone si stacca dal pilone di sostegno finendo sotto le ruote anteriori. Ratzenberger cerca di sterzare, ma l’auto è ormai è ingovernabile, totalmente privata di direzionalità.
L’austriaco sta procedendo a 316 km/h, la via di fuga che si trova davanti è risibile. Solo sette metri lo separano dal muro di cinta. La Simtek va diritto contro la barriera subendo una brusca decelerazione che parte dai vertiginosi 301 km/h iniziali, quindi compie sei testacoda infine si ferma distrutta in mezzo alla pista a circa duecento metri dal punto d’urto. La cellula di sopravvivenza ha resistito piuttosto bene all’urto, tuttavia le immagini sono drammatiche. Il casco bianco e rosso del pilota è completamente abbandonato a sé stesso. Ciondola da un lato all’altro in base alle evoluzioni della macchina, poi si inclina a sinistra e resta immobile. La tragedia è nell’aria. Lo capisce Senna, sgomento ai box a guardare i monitor, lo capiscono i meccanici, i tifosi, ma soprattutto lo comprendono i soccorritori che intervengono rapidissimi. Sul posto sopraggiunge anche Senna che sale sull’auto di un commissario e si reca alla curva Villeneuve. L’incidente ed i primi soccorsi sono visibili nel seguente drammatico video:

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I soccorsi e la reazione di Senna

Ratzenberger è morto sul colpo a causa della secca decelerazione. Perde sangue dalla bocca e dal naso, ha la spina dorsale spezzata e una frattura alla base cranica, ma si cerca comunque di rianimarlo evitando di dichiararne la morte. Se si dichiarasse morto sul posto si renderebbe necessaria la sospensione del gran premio con il sequestro probatorio della pista e conseguenziale annullamento della prova.
Ratzenberger viene allora condotto sull’elicottero e trasportato d’urgenza all’ospedale di Bologna. Qui viene dichiarato deceduto solo dopo sette minuti dall’arrivo e lo spettacolo può così continuare, ma paradossalmente su Imola si scatenerà una maledizione senza precedenti.
Senna si chiude in un composto silenzio stampa, promettendo di parlare solo dopo la conclusione del week-end (non avrà tempo per farlo). Visibilmente scosso, viene visto piangere nell’ospedale di Bologna. Frank Williams, il proprietario della scuderia per la quale corre il pilota brasiliano, comincia a pensare che il suo pupillo non prenderà parte alla gara.
Un giornalista amico di Senna chiede a quest’ultimo se occorra davvero proseguire la carriera e se non sia opportuno godersi la vita, ma Senna gli risponde: “Non posso farlo”. Per il brasiliano “la competizione è nel suo sangue, fa parte della sua vita” e non riesce a farne a meno.
Rientrato in albergo, la mattina seguente, Senna prende la Bibbia e chiede a Dio di parlargli. È un fatto notorio che il pilota brasiliano dicesse di vedere Dio accanto a sé negli schieramenti di partenza e dunque la sua reazione non deve stupire. Apre così a caso il testo sacro e si sofferma su un passo in cui c’è scritto che quel giorno Dio gli farà il dono più grande di tutti e cioè Dio stesso.

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Che cosa succede e che fare se il nostro ascensore precipita?

MEDICINA ONLINE ELEVATOR ASCENSORE MORTE IMPATTO CAVI ROTTURA PRECIPITA TERRORE TERROR FEAR FOBIA SCALE SALIRE SCENDERECavi che si spezzano, cabina in caduta libera, schianto finale: è una sequenza tipica dei film catastrofici e uno dei peggiori incubi di tanti, specie di chi ha la fobia dell’ascensore. Nella realtà è, però, un’ipotesi remota. Per nostra fortuna, gli ascensori sono dotati di molti sistemi di sicurezza: l’ascensore è infatti uno dei mezzi di trasporto più sicuri al mondo (21 volte più delle scale mobili) e ha dotazioni di sicurezza (per esempio, da 6 a 12 cavi di sollevamento di acciaio) tali da prevenire cadute fatali. Ma se per cause imprevedibili (come un terremoto o un attentato terroristico) l’incubo si materializzasse e noi stessimo precipitando, cosa fare?

Accovacciarsi o saltare?

Nessuno dei due. Secondo l’esperto Eliot H. Frank del Centro di Ingegneria Biomedica del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, il gesto più istintivo, cioè accovacciarsi a terra, è sconsigliabile: rischia di provocare gravi lesioni alle ginocchia e alla colonna vertebrale. Altrettanto da scartare è il tentativo di saltare in alto prima dell’impatto per compensare la velocità di caduta: ammesso di avere un perfetto tempismo ed essere abbastanza lucidi ed atletici per riuscirci, cose quasi impossibili, l’unico risultato sarebbe sbattere la testa al soffitto e procurarsi lesioni alla testa.

Sdraiarsi

La migliore strategia scientifica di sopravvivenza è quella sicuramente meno istintiva: è sdraiarsi sul pavimento dell’ascensore a pancia in su, coprendosi la testa per proteggersi dai detriti e aderendo al suolo con la massima superficie possibile. In questo modo la forza dell’impatto (proporzionale alla massa e alla velocità) sarebbe distribuita sull’intero corpo, diminuendo così i rischi di fratture e di lesioni interne, anche se difficilmente ci lascerebbe scampo se la caduta avvenisse da decine di piani di altezza. Meglio farsela a piedi?

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I 12 batteri più pericolosi per l’uomo

MEDICINA ONLINE INVASIVITA VIRUS BATTERI FUNGHI PATOGENI MICROBIOLOGIA MICROORGANISMI CLINICA BIOLOGICA BIOLOGIA MICROBI LABORATORIO ANALISI PARETE INFEZIONE ORGANISMO PATOGENESI MICROBIOLOGY WALLPAPER DNA.jpgL’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha stilato per la prima volta nella sua storia la classifica dei batteri più pericolosi al mondo. Sono 12 e sono divisi in tre categorie: fortemente critici, critici e medi. La priorità è stata definita in base alla loro resistenza agli antibiotici, al numero di morti che causano, alla frequenza delle infezioni dentro e fuori dagli ospedali.

I più pericolosi sono:

  • l’Acinetobacter baumanni,
  • lo Pseudomonas aeruginosa,
  • l’Enterobacteriaceae.

Sono tutti resistenti agli antibiotici della classe dei carbapenemi. Come riporta il Corriere della Sera l’Acinetobacter baumanni in particolare negli ospedali può resistere nell’ambiente per lunghi periodi. È pericoloso in quanto può provocare infezioni in soggetti debilitati attaccando l’apparato respiratorio o i cateteri intravascolari.
Lo Pseudomonas aeruginosa può causare infezioni polmonari, setticemie, otiti, infezioni urinarie e oculari, endocarditi e infezioni delle ustioni.
Mentre l’Enterobacteriaceae è responsabile di infezioni sistemiche; infezioni intestinali ed extraintestinali (principalmente urinarie).

I critici sono:

  • l’Enterococcus faecium res resistente alla Vancomicina,
  • lo Staphylococcus aureus resistente alla Vancomicina e alla Meticillina,
  • l’Helicobacter pylori resistente alla Claritromicina,
  • il Campylobacter resistente al Fluorochinolone,
  • la Salmonella anche lei resistente al Fluorochinolone,
  • la Neisseria gonorrhoeae resistente al Fluorochinolone e alle Cefalosporine.

Secondo quanto scrive il Corriere della Sera l’Enterococcus faecium res si trova nelle feci umane. Comporta infezioni nosocomiali del tratto urinario, setticemie, endocarditi, diverticoliti, meningiti, soprattutto negli individui immunocompromessi. Queste si possono trasmettere da uomo a uomo o attraverso strumenti contaminati.
Lo Staphylococcus aureus può attaccare la pelle ma anche causare infezioni più gravi. È diffuso soprattutto in ambito ospedaliero.
L’Helicobacter pylori può provocare gastrite e ulcere a livello dello stomaco o del primo tratto dell’intestino. Aumenta il rischio di tumori allo stomaco.
Il Campylobacter causa i disturbi gastrointestinali più diffusi al mondo. Si trasmette principalmente attraverso la carne di pollame durante il processo di manipolazione sia del produttore che del consumatore.
La Salmonella è tra le principali cause di malattie nell’uomo provocate da cibo contaminato o da acqua non potabile.
La Neisseria gonorrhoeae viene trasmessa per via sessuale e causa la gonorrea. Nelle forme più gravi può portare a batteriemie e sterilità.

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I medi sono:

  • lo Streptococco Pneumoniae resistente alla Penicillina,
  • l’Haemophilus influenzae resistente all’Ampicillina,
  • la Shigella resistente al Fluorochinolone.

Stando a quanto scrive il Corsera lo Streptococco Pneumoniae è il principale responsabile della polmonite negli adulti. Può provocare malattie non invasive come otite media acuta, bronchite, congiuntivite, sinusite, ma causare anche patologie gravi come sepsi, meningite, endocardite, batteriemia, artrite, osteomielite e peritonite.
L’Haemophilus influenzae colpisce il tratto respiratorio e meningi. Ne esistono di vari tipi, il B è il più diffuso tra i neonati e i bambini al di sotto dei due anni. A volte le infezioni possono assumere forme gravi come meningite, epiglottite, polmonite, artrite e cellulite infettiva.
La Shigella può provocare una malattia intestinale nota come shigellosi o dissenteria bacillare, caratterizzata da diarrea, dolori addominali e disidratazione intensa. Spesso l’infezione è provocata dalla contaminazione fecale di cibo e acqua e dalla mancata pulizia delle mani specie dopo essere andati in bagno.

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Criptofasia ed una morte misteriosa: la strana storia delle gemelle Gibbons

MEDICINA ONLINE JUNE JENNIFER GIBBONS GEMELLE SILENZIOSE SILENT TWINS MORTE CRIPTOFASIA.jpgSappiamo che le affinità fra gemelli omozigoti sono molte: condividono in fondo lo stesso identico patrimonio genetico, e se crescono assieme spesso si influenzano vicendevolmente per quanto riguarda il comportamento. In alcuni casi hanno dei gusti marcatamente differenti; quasi sempre però mostrano una comprensione reciproca che, vista dall’esterno, può apparire straordinaria. Ma la storia delle gemelle Gibbons contiene un elemento più viscerale, inspiegabile, come se questa sintonia fosse arrivata ad un livello superiore e ancora oggi impossibile da spiegare.

June e Jennifer Gibbons erano nate nell’isola Barbados l’11 aprile del 1963. I genitori si trasferirono ad Haverfordwest, nel Galles (il padre era luogotenente nella RAF) poco dopo la nascita delle gemelline. Si trattava dell’unica famiglia di colore della città, e certamente il problema dell’integrazione deve aver pesato sullo sviluppo delle piccole gemelle. Divenne presto evidente che le bambine avevano alcune difficoltà di linguaggio, tanto che soltanto la mamma Gloria era in grado di capire quello che farfugliavano, e in alcuni casi nemmeno lei. A causa di questi disordini linguistici, June e Jennifer crebbero senza legare con gli altri bambini, sempre sole e chiuse nel loro mondo.

La scuola, come è comprensibile, fu per loro un trauma severo: rifiutavano di parlare, scrivere o leggere, e gli insegnanti cominciarono a mandarle a casa prima della fine dell’orario per dare loro qualche minuto di vantaggio sui bulli che le molestavano in continuazione. Fu in quel periodo che cominciarono ad essere chiamate the silent twins (gemelle silenziose).

Se avevano eretto un muro impenetrabile per il mondo, all’interno del loro “spazio protetto” vivevano però una realtà differente.
Le gemelle avevano sviluppato un loro linguaggio, incomprensibile agli estranei (criptofasia), e dei giochi segreti particolari e complicati. Giocavano a “specchiarsi” l’una nell’altra, imitando a vicenda le azioni compiute; la sera decidevano chi delle due, al risveglio mattutino, avrebbe respirato per prima, e finché questo respiro non veniva avvertito l’altra sorella doveva giacere immobile, come morta. Mentre in classe non c’era verso di costringerle a leggere, nella serenità della loro cameretta erano avide divoratrici di libri, e riempivano i loro quaderni di racconti, disegni e romanzi scritti a quattro mani. Le pagine erano riempite di caratteri minuscoli, tanto che fra una riga blu e l’altra dei fogli dei loro diari trovavano spazio quattro righe di testo.

All’età di 14 anni, avevano ormai escluso dalla loro vita praticamente chiunque: compagni, conoscenti, mamma, papà, e i due fratelli. Soltanto alla piccola Rosie, la sorella minore, era consentito entrare sporadicamente nel loro universo. Ormai il silenzio era divenuto un voto vero e proprio, e il linguaggio segreto utilizzato fra di loro era sempre più impenetrabile. Si muovevano con gesti lenti, all’unisono, senza dubbio rispettando le regole di un oscuro gioco. I diversi psicologi e terapeuti non riuscirono a fare nulla per renderle più sociali, e le ragazze sprofondarono inesorabilmente nel loro rapporto esclusivo.

Le gemelle, a onor del vero, provarono ad uscire dall’isolamento attraverso la scrittura. Due dei loro romanzi, Pepsi-Cola Addict e Discomania, firmati rispettivamente da June e Jennifer, vennero pubblicati a loro spese, senza però attrarre l’attenzione sperata. Qualche breve flirt con dei ragazzi americani non portò ugualmente a nulla di importante. Il problema vero sorse quando le due cominciarono ad avere dei comportamenti delinquenziali: piccoli crimini, che culminarono però in due episodi di incendi dolosi, appiccati dalle gemelle alle scuole speciali che frequentavano. Il loro rapporto di amore si mischiava inoltre ad accessi di odio violento, visto che un giorno Jennifer aveva tentato di strangolare June con un cavo della radio, e una settimana dopo June aveva spinto Jennifer giù da un ponte nel fiume sottostante.

La risposta del sistema giudiziario fu particolarmente dura: reputate pericolose, le due ragazze vennero rinchiuse nel Broadmoor Hospital, un ospedale di massima sicurezza per malati mentali. Lì, insieme a maniaci, psicopatici e schizofrenici, passarono 14 anni della loro vita, incontrandosi soltanto in orari precisi.

Le gemelle avevano fin dall’inizio pattuito che se una di loro fosse morta, l’altra avrebbe rotto il patto del silenzio, avrebbe cominciato a parlare, e vissuto una vita normale. Nel corso degli anni di reclusione forzata, erano arrivate alla drammatica conclusione che fosse necessario che una delle due morisse: non sarebbero mai state libere, se non tramite il sacrificio.
La loro biografa ed amica, Marjorie Wallace, raccontò il momento in cui le rivelarono il loro piano:

Portai mia figlia – credo avesse circa otto anni – a prendere il tè con le gemelle. Dovevamo passare per tutte queste porte chiuse a chiave, fino alla grande sala. Jennifer e June erano là, sempre piuttosto allegre, e ci portavano il tè su un vassoio con piccoli biscotti. Ci sedemmo e cominciammo a chiacchierare. Di colpo, nel bel mezzo della conversazione, Jennifer disse: ” Marjorie-Marjorie-Marjorie, io morirò”. Io dissi: “Non essere stupida, Jennifer. Sei in buona salute”. Mi guardò e mi disse: “Abbiamo deciso, io morirò”. […] Poi June disse: “Sì, abbiamo deciso”. Mi passarono dei biglietti, e c’era scritto che la decisione era che Jennifer sarebbe dovuta morire per liberare June. June era nata per prima, June aveva più talento, June era più estroversa. Aveva il diritto di vivere. June poteva vivere per entrambe, e Jennifer no.

Il 9 marzo 1993 le due sorelle (che allora avevano 29 anni) vennero spostate da Broadmoor alla Caswell Clinic a Bridgend, dove sarebbero state sottoposte finalmente a un regime più libero. Nel minibus che le trasportava, però, Jennifer di colpo poggiò la testa sulla spalla della sorella. June dichiarerà in seguito: “Pensavo fosse stanca. Sembrava che dormisse, ma i suoi occhi erano aperti e sbarrati”. Quando il bus arrivò alla clinica, non si riuscì a svegliare Jennifer. Portata all’ospedale, vi morì poche ore dopo.

L’autopsia rivelò che Jennifer era morta di miocardite acuta, un’infiammazione del muscolo cardiaco. Secondo gli anatomopatologi, potevano esserci circa 40 motivi diversi per una tale infiammazione; eppure il Dr. Knight, patologo, disse di non avere mai visto un cuore così severamente infiammato senza alcuna ragione evidente.

Rimasta sola, June fu effettivamente in grado di conquistarsi una vita più comune, senza farmaci o cliniche. Ancora oggi rifugge dai riflettori dei media; conduce una vita serena e anonima aiutando di tanto in tanto i vecchi genitori, accettata finalmente dalla comunità, senza grossi problemi, e tenta di lasciarsi il passato dietro le spalle.

La morte di Jennifer resta un mistero per la medicina.

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Il bilanciere gli cade sul collo in palestra: muore a 15 anni

MEDICINA ONLINE BEN SHAW PINE CENTRAL HOLY SPIRIT HORNETS BILANCERE PALESTRA MORTE DEAD DEATH GYM PESI SOLO 2017.jpgSi stava allenando da solo in palestra quando un bilanciere gli è caduto sul collo, lasciandolo privo di sensi: qualche minuto dopo un uomo lo ha trovato e gli ha subito prestato soccorso, ma dopo il trasporto d’urgenza in ospedale un 15enne è morto dopo tre giorni di agonia.

Un’intera comunità è in lutto e sotto choc per la morte di Ben Shaw: il ragazzo, rugbista delle giovanili dei Pine Central Holy Spirit Hornets, era amato da tutti nel quartiere di Brisbane, in Australia, dove abitava con la famiglia.

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A ricordarlo è proprio la pagina ufficiale della squadra di rugby: «Vogliamo mandare le nostre condoglianze più sentite alla famiglia Shaw. Ieri hanno perso il loro bellissimo Ben e hanno voluto lasciare un’eredità donando i suoi organi e i tessuti per salvare delle vite. Il nostro club cercherà di vedere il mondo attraverso gli occhi di Ben e assicurare che il suo ricordo rimanga sempre in costante supporto per i genitori e la famiglia».

Il tragico incidente è avvenuto nel tardo pomeriggio del 27 settembre 2017. Come riportano media locali ed esteri, ora andrà chiarita la dinamica del fatto: da stabilire, infatti, se il ragazzo ha avuto un malore durante l’allenamento o se semplicemente non ha retto l’eccessivo sforzo nell’alzare un bilanciere che, insieme ai dischi, aveva un peso di 98 kg.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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La morte di Ayrton Senna, campione di Formula 1 mai dimenticato

MEDICINA ONLINE AYRTON SENNA FORMULA 1 F1 GP GRAN PREMIO IMOLA MORTE DEAD DEATH AUTO INCIDENTE AUTOMOBILISTICO VIDEO SAD BRASILE ITALIA RETTILINEO CASCO ROTTURA SOSPENSIONE WALLPAPER  PICS PHOTO PICTUREE’ la domenica primo maggio del 1994 e sono le ore 14.17: il mondo dell’automobilismo e dello sport sta per cambiare per sempre. La Williams di Ayrton Senna colpisce il muro di cemento all’esterno della curva del Tamburello con un angolo di impatto di circa 22 gradi e una velocità compresa tra i 213 (stima dei periti dell’accusa al processo) ed i 186 km/h (ipotizzati dalla Sagis, ente che gestisce l’autodromo di Imola). Nel violento urto il lato destro della vettura è devastato, le due ruote, i triangoli delle sospensioni e le ali volano in aria mentre la vettura rimbalza verso la pista, esaurisce la sua energia strisciando e impuntandosi nella fascia d’erba fino a fermarsi, a pochi metri dall’asfalto. L’elicottero riprende impietoso, sotto il sole battente il casco giallo è reclinato a destra, immobile. Poi, per due volte, si muove, come per raddrizzarsi. E’ un lampo di speranza per tutti, ma dura pochissimo per i primi uomini del servizio di soccorso che raggiungono di corsa la monoposto. Il pilota non è cosciente, anzi, il casco è letteralmente pieno di sangue. Senna viene estratto dall’auto e disteso sul cemento a fianco, il suo cuore batte ancora e i medici operano velocemente una tracheotomia per liberare le vie respiratorie, sotto di lui si espande una macchia rossa inequivocabile. L’elicottero del servizio medico di emergenza atterra in pista sul rettilineo dopo il tamburello, per accelerare il trasferimento all’ospedale di Bologna. Il mondo spera. Ayrton va ripetutamente in arresto cardiaco, i medici riescono a mantenere in attività il cuore fino al ricovero,  ma è tutto completamente inutile. Il primo bollettino diramato dall’ospedale è inappellabile, l’encefalogramma del pilota è completamente piatto, solo le macchine tengono il suo cuore in attività. Alle ore 18:40 Ayrton Senna viene ufficialmente dichiarato morto.

La sospensione anteriore destra

L’autopsia chiarisce la dinamica dei fatti. A causare la morte sono state le gravissime ferite riportate alla testa, non originate dalla semplice decelerazione, come nel caso di Ratzenberger, ma da una circostanza incredibilmente sfortunata: nell’urto un oggetto acuminato, probabilmente un pezzo della sospensione anteriore destra rimasto attaccato alla ruota, è stato scaraventato violentemente verso l’abitacolo perforando la parte superiore della visiera del casco e il cranio del pilota, come una lunga e letale lama. Il contraccolpo ha inoltre causato estese fratture alla base cranica. Il danno è stato tale da arrestare sul colpo ogni funzione cerebrale provocando inoltre una estesissima emorragia; l’ora della morte cerebrale è stata ufficialmente fissata alle 14.17 cioè il momento dell’impatto.
Il telaio in carbonio ha protetto molto bene il corpo del pilota, che non ha riportato lesioni degne di nota, quindi pochi centimetri di diversità nella direzione di rimbalzo di una ruota avrebbero potuto cambiare il destino di Ayrton e farlo uscire sostanzialmente incolume dal pauroso incidente. Ma così non è stato. Quella giornata già non era iniziata bene, per via del dramma di Ratzenberger.

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Roland Ratzenberger

Senna appariva sorridente in quasi tutte le foto. Ma in quel primo maggio 1994, in tutte le immagini dell’epoca, era sempre ritratto con un’espressione particolarmente triste. Era per via del dramma vissuto poche ore prima, a causa della morte di Roland Ratzenberger, deceduto in un incidente alla curva Villenueve durante le qualifiche di quello stesso GP di San Marino. Senna era stato l’unico pilota a recarsi sul punto dell’incidente. Voleva capire. Forse voleva anche pregare lui, che era intimamente religioso, tanto da tenere sempre una bibbia sul comodino dell’hotel. Sappiamo che Senna era rimasto talmente scosso dalla tragedia di Ratzenberger da aver collocato nell’abitacolo della sua Williams il giorno della gara una bandiera austriaca: l’avrebbe sventolata nel giro d’onore, in omaggio al pilota austriaco, qualora avesse vinto il GP. Perché Ayrton era sicuro di vincerlo. Aveva fatto modificare durante la notte dai suoi meccanici il piantone dello sterzo della sua Williams, così che gli risultasse più facile guidare senza tenere i polsi troppo piegati come era stato costretto a subire nelle prime tre gare dell’anno per via di un abitacolo scomodo. Purtroppo Ayrton non avrebbe sventolato mai quella bandiera austriaca. Di quell’incidente, nel corso di tanti anni, abbiamo saputo tutto, o quasi. Dal piantone dello sterzo che si è rotto, all’impatto devastante contro il muro di cemento del Tamburello calcolato dalla telemetria di bordo a 211 km orari, fino alla incredibile e drammatica causa reale della morte di Ayrton.

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Tributo a Senna

Fu il braccetto della sospensione anteriore destra che, spezzandosi, si ripiegò su se stesso colpendo il casco, a provocare la ferita mortale. Fu un’incredibile e irripetibile dinamica. Di quelle che capitano una volta su un milione di casi. Purtroppo capitò quel giorno al Migliore di tutti. L’impatto contro il muro ha divelto l’anello dell’uniball di fissaggio al telaio del braccetto della sospensione. L’energia ha slabbrato l’anello trasformando il braccetto da un innocuo pezzo di metallo in una specie di lancia con una punta metallica acuminata; come già accennato all’inizio dell’articolo, questa è penetrata nel casco proprio dove era più vulnerabile, ferendo mortalmente Senna alla testa. Fosse passato un paio di centimetri più in alto, la curvatura della calotta avrebbe deviato il braccetto dall’obiettivo. Sfortuna ha voluto che il braccetto, trasformato in lama, sia entrato appena più sotto, dove c’erano la visiera e la guarnizione di gomma e non c’è la fibra del casco ad opporre resistenza. La lama ha penetrato la testa di Ayrton all’altezza della tempia provocando le mortali lesioni al cervello che l’hanno ucciso praticamente sul colpo. Con i caschi F1 di oggi  non sarebbe finita in quel tragico modo: dopo l’incidente di Massa del 2009 sono obbligatoriamente dotati di una striscia protettiva in carbonio più rigido proprio per sigilliare e proteggere lo spazio fra calotta e visiera. Purtroppo le corse sono piene di episodi in cui il senno di poi e le tecnologie più moderne avrebbero fatto cambiare la storia. Si può solo pensare che all’inequivocabilità del destino.

Il pilota che nessuno dimenticherà mai

Di quell’incidente e dei drammatici istanti trasmessi in diretta TV ci ricorderemo per sempre l’immagine di quell’ultimo sussulto di Senna ferito nella monoposto ferma e distrutta in pista. Quel sussulto che molti, frettolosamente, hanno scambiato per un segno positivo: l’impressione che Senna stesse riscuotendosi dall’intontimento dopo la violenta botta. E che invece il dottor Sid Watkins, il medico della Fia responsabile del soccorso medico, definì con azzeccate parole più tardi come “il momento in cui lo spirito di Ayrton ha lasciato il suo corpo terreno”. Il corpo del miglior pilota di F1 di tutti i tempi, che nessuno di noi potrà mai dimenticare.

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Sciamano si getta in fiume con coccodrilli “tranquilli ho i poteri”: ucciso

MEDICINA ONLINE sciamano ucciso coccodrilli ho i poteri mortePrima di entrare nel fiume aveva tranquillizzato tutti i presenti: con i suoi poteri sovrannaturali sarebbe riuscito a controllare la mente dei coccodrilli e li avrebbe resi inoffensivi. Ovviamente questi fantomatici poteri nulla hanno potuto contro la ferocia di uno dei rettili che ha sancito la condanna a morte di Suprianto, un famoso sciamano indonesiano di 46 anni, che millantava poteri non di questa terra.

Come riferisce l’Independent, l’incidente è avvenuto domenica 17 settembre, quando Suprianto si è diretto all’estuario del Muara Jawa nel Kutai Kartanegara, in Indonesia, per recuperare il corpo di Arjuna, un ragazzo di 16 anni che era stato ucciso poche ore prima da un coccodrillo. Secondo il racconto di alcuni testimoni, lo sciamano era così convinto di poter condizionare le menti degli animali e di renderli mansueti che si è gettato tranquillamente in acqua ed ha iniziato a nuotare. Qualcuno ha anche scattato video e foto del “miracoloso” (psichiatrico) gesto.

Pochissime bracciate dopo però lo sciamano è stato attaccato da un coccodrillo che lo ha trascinato sott’acqua. Suprianto non è più riemerso. Il capo della polizia di Kutai Kartanegara, Fadillah Zulkarnaen, ha riferito che entrambi i cadaveri sono stati poi ritrovati intorno alle 21.40 di domenica: «Probabilmente, dopo che Suprianto è stato trascinato dal coccodrillo sotto l’acqua, ha esaurito l’ossigeno ed è morto soffocato».

Hellen Kurniati, una ricercatrice dell’Indonesian Institute of Sciences (LIPI), in una intervista al sito indonesiano Coconuts ha riferito che questo è il periodo dell’accoppiamento per i coccodrilli, ciò li rende più protettivi per il loro territorio e determina un aumento degli attacchi a chiunque interferisca con la loro vita. Anche se ha i superpoteri, aggiungo io.

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