Differenza tra sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico: anatomia e funzioni

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SISTEMA NERVOSO AUTONOMO SIMPATICO PARASIMPATICO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie CapillariCon “sistema nervoso autonomo” (da cui l’acronimo “SNA“), conosciuto anche come “sistema nervoso vegetativo” o “sistema nervoso viscerale“, in medicina si identifica l’insieme di cellule e fibre che innervano gli organi interni e le ghiandole, controllando le “funzioni vegetative”, ossia quelle funzioni che generalmente sono al di fuori del controllo volontario: per tale modivo viene anche definito “sistema autonomo involontario“. Il SNA è parte del “sistema nervoso periferico” (SNP) ed ha la funzione di regolare l’omeostasi dell’organismo ed è un sistema neuromotorio non influenzabile dalla volontà che opera con meccanismi appunto autonomi, relativi a riflessi periferici sottoposti al controllo centrale.

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Parti che compongono il SNA

Il sistema nervoso autonomo è costituito da porzioni anatomicamente e funzionalmente distinte ma sinergiche:

  • il sistema nervoso simpatico (od “sistema nervoso ortosimpatico“);
  • il sistema nervoso parasimpatico;
  • il sistema nervoso enterico (o “sistema nervoso metasimpatico“), composto da fibre nervose che innervano i visceri.

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Sistema nervoso simpatico (ortosimpatico)

L’innervazione simpatica viene tradizionalmente descritta come una componente che svolge una funzione di attacco o fuga (fight or flight). Fa capo a reazioni opposte rispetto all’innervazione parasimpatica: broncodilatazione, vasocostrizione, tachicardia, costrizione degli sfinteri, contrazione della muscolatura delle vie spermatiche (quindi contribuisce all’eiaculazione). La componente simpatica decorre con i rami anteriori dei nervi spinali compresi fra C8 e L2 (alcuni testi riportano T1 ed L3). Attraverso un ramo comunicante bianco le fibre mieliniche pregangliari si portano ai gangli del sistema toracolombare; da qui le fibre postgangliari si portano ai territori di innervazione tramite nervi splancnici, rami comunicanti grigi che si riportano ai nervi spinali nonché rami perivascolari. L’innervazione degli organi è composita; i gangli cervicali innervano la faccia e in parte il cuore, i gangli toracici poi vanno a innervare la componente polmonare e ghiandolare. Le regioni inferiori saranno innervate da fibre che fuoriescono da tre gangli prevertebrali: il celiaco, il mesenterico superiore e il mesenterico inferiore.

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Sistema nervoso parasimpatico

Il parasimpatico è dato da quella parte del sistema nervoso autonomo che provvede a funzioni viscero-sensitive e somato-sensitive, oltre a broncocostrizione, peristalsi della muscolatura gastroenterica, eccitosecrezione di ghiandole salivari, lacrimali nonché ghiandole extramurarie annesse al tubo digerente (pancreas e fegato); interviene nell’innervazione del muscolo detrusore della vescica, la cui contrazione, accompagnata dal rilassamento del muscolo sfintere liscio della vescica, porta alla minzione. Le fibre parasimpatiche decorrono in molti nervi cranici quali: nervo oculomotore, nervo faciale, nervo glossofaringeo, nervo vago. Quest’ultimo (uno dei nervi più lunghi) concorre all’innervazione viscerale di tutto il tratto digerente fino al colon discendente, del cuore e dei polmoni, nonché della regione faringo-laringea. Le fibre parasimpatiche per l’innervazione della porzione terminale del tubo digerente e delle porzioni caudali dell’apparato urinario originano dai nervi S2, S3, S4 ed S5 (più precisamente dal nucleo autonomo del parasimpatico sacrale).

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Sistema nervoso enterico

Il sistema nervoso enterico controlla il tratto intestinale, compreso il pancreas e la cistifellea, tramite i motoneuroni enterici che vanno ad agire sulla muscolatura liscia, i vasi sanguigni e l’attività secretoria. Il SNA metasimpatico si divide in:

  • plesso mienterico (di Auerbach), presente nella tonaca muscolare;
  • plesso sottomucoso (di Meissner), nella tonaca sottomucosa.

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I neurotrasmettitori del sistema nervoso autonomo

Le fibre pregangliari sia parasimpatiche che ortosimpatiche utilizzano come unico neurotrasmettitore l’acetilcolina; i recettori per lo stesso si dividono in recettori muscarinici ed in recettori nicotinici. L’acetilcolina è usata anche dalle fibre postgangliari parasimpatiche nonché simpatiche sia a livello pregangliare per l’azione vasocostrittrice che per l’azione eccitosecretrice sulle ghiandole sudoripare e delle ghiandole surrenaliche coinvolte con la secrezione della noradrenalina da parte della frazione midollare, nella reazione di fuga/paura e stress. Il resto delle fibre postgangliari simpatiche utilizzano come neurotrasmettitore la noradrenalina che ha solo recettori alfa (vasocostrizione del Territorio Splancnico). L’adrenalina è secreta massivamente solo dalla parte midollare delle surrenali e lei sola ha i recettori alfa e beta. Questi recettori alfa e beta si suddividono in:

  • alfa 1 (vasocostrizione del territorio splancnico, midriasi, piloerezione, contrazione muscolatura della prostata)
  • alfa 2 (posti nel neurone presinaptico noradrenergico, modulano la sintesi della noradrenalina intramurale; molteplici azioni nei neuroni adrenergici postsinaptici nel SNC; nelle piastrine, aggregazione; contrazione dei muscoli lisci vasali; inibizione della lipolisi negli adipociti)
  • beta 1 (effetti cardiaci: inotropo, cronotropo, dromotropo e batmotropo positivi; aumenta il rilascio di renina nelle cellule iuxtaglomerulari)
  • beta 2 (broncodilatazione, vasodilatazione del territorio muscolare striato, vasodilatazione delle coronarie, glicolisi negli epatociti)
  • beta 3 i quali si ritrovano solo nel tessuto adiposo dove provocano un effetto lipolitico, dunque una mobilitazione dei grassi che si immettono in circolo (questi grassi rispondono alle catecolamine circolanti, cioè quelle liberate dalla midollare del surrene).

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Sistema nervoso: com’è fatto, a che serve e come funziona

MEDICINA ONLINE SISTEMA NERVOSO CENTRALE GIALLO SISTEMA NERVOSO PERIFERICO AZZURRO ANATOMIA CERVELLO ENCEFALO MIDOLLO SPINALE NERVI TRONCO CEREBRALEIl sistema nervoso negli esseri umani può essere anatomicamente suddiviso in

  • sistema nervoso centrale (SNC);
  • sistema nervoso periferico (SNP).

Il SNC è racchiuso nella scatola cranica per quanto riguarda l’encefalo, e nel canale vertebrale per quanto riguarda il midollo spinale. Il SNP è invece rappresentato da strutture nervose periferiche come i gangli, le fibre nervose dei nervi, i recettori sensoriali (termocettori, propriocettori, meccanocettori, recettori per gli odori, per il gusto) e gli organi sensoriali specializzati come l’occhio, l’apparato cocleare e vestibolare.

Il SNP si occupa di raccogliere informazioni dall’ambiente esterno, le traduce poi in segnali nervosi e le invia al SNC che si occupa di integrarle e di rispondere in maniera adeguata. Tramite il SNP poi, il SNC invia comandi motori alla periferia necessari per rispondere in maniera adeguata a varie condizioni o semplicemente per il movimento volontario. C’è poi da considerare il sistema nervoso autonomo che si occupa di gestire in maniera involontaria le risposte viscerali, cioè la regolazione automatica dello stato degli organi interni. Il sistema nervoso autonomo si divide in sistema simpatico e parasimpatico. Questi due sistemi sono molto spesso contrapposti, ad esempio, nell’occhio, il simpatico induce midriasi, cioè dilatazione della pupilla, mentre il parasimpatico miosi, cioè restrizione della pupilla.
Le componenti anatomiche più importanti del SNC sono:

  • il midollo spinale,
  • il cervello,
  • il tronco dell’encefalo, anche detto tronco cerebrale o tronco encefalico (formato dal bulbo – anche detto midollo allungato – dal ponte e dal mesencefalo),
  • l’ipotalamo,
  • il talamo,
  • il cervelletto,
  • i nuclei della base,
  • l’amigdala,
  • l’ippocampo,
  • la corteccia cerebrale,
  • i ventricoli cerebrali.

Per approfondire, leggi anche:

Differenze tra SNC e SNP

La principale differenza tra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico sta nell’anatomia: Il primo è formato da encefalo (cervello, tronco cerebrale e cervelletto) e midollo spinale, il secondo dai neuroni (sensitivi e motori) i cui assoni si estendono fuori dal sistema nervoso centrale per giungere a tessuti e organi. Entrambi i sistemi possiedono le cellule gliali “mielinizzanti”, tuttavia nel SNC si parlerà di Oligodendrociti, nel SNP di Cellule di Schwann. Entrambi i sistemi possiedono ammassi di corpi cellulari di neuroni, che nel SNC prendono il nome di Nuclei e nel SNP di Gangli (/ˈɡaŋɡlj/). Un’ultima grande differenza riguarda i raggruppamenti degli assoni in fasci: Nel SNC prendono il nome di Tratti, nel SNP prendono il nome di Nervi.

Per approdondire:

Fisiologia

Per sistema nervoso umano si intende l’unità morfo-funzionale caratterizzata dal tessuto altamente specializzato nell’elaborazione di segnali bioelettrici. Il sistema nervoso è la centrale di controllo e di comando dell’intero organismo perché, coordinando tutti gli altri sistemi, mantiene l’omeostasi permettendo la vita.

Cenni sullo sviluppo del sistema nervoso

Intorno al sedicesimo giorno dal concepimento si forma la placca neurale per differenziazione di cellule di natura ectodermica che, aumentando il loro spessore, diventano cellule neuro-ectodermiche; tale processo di differenziazione si verifica sotto l’azione induttiva della notocorda, che si esplica nell’azione degli antagonisti di BMP (chordin, noggin, follistatin).
Col passare dei giorni, sul piano mediano, a livello della placca neurale, compare un solco (solco neurale) delimitato lateralmente dalle pieghe neurali; le pieghe tendono a sollevarsi, causando indirettamente, l’approfondamento del solco neurale che in questa fase prenderà il nome di doccia neurale.
Verso il ventunesimo giorno, le pieghe che delimitano la doccia neurale si fondono sul piano mediano; si ottiene pertanto la chiusura della doccia neurale, che dà luogo al tubo neurale. Nei giorni successivi la parte craniale o anteriore del tubo neurale subisce delle modificazioni che comportano la formazione di tre vescicole: il prosencefalo (cervello anteriore), il mesencefalo (cervello medio) e il rombencefalo (cervello posteriore). Giunti al trentaseiesimo giorno, il prosencefalo si divide in due porzioni:

  • telencefalo (anteriormente) che ampliandosi darà luogo agli emisferi cerebrali;
  • diencefalo (posteriormente) da cui deriveranno il talamo, l’ipotalamo, la neuroipofisi e la retina.

Dal rombencefalo si formano per un processo di segmentazione, otto rombomeri, che daranno luogo al metencefalo (da cui deriveranno ponte e cervelletto) e il mielencefalo (da cui deriva il bulbo o midollo allungato).
Durante la vita intrauterina si formano circa 200.000 neuroni al minuto. Contrariamente, al momento della nascita la duplicazione neuronale si arresta (eccezione fatta per i neuroni olfattivi presenti a livello dell’area olfattiva, posta caudalmente alla lamina cribrosa dell’osso etmoide).

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Narcolessia: cause, sintomi, cure e terapia farmacologica

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma NARCOLESSIA CAUSE SINTOMI CURE FARMACI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa narcolessia (narcolepsy) è un disturbo neurologico cronico che si manifesta con ipersonnia, cioè una eccessiva sonnolenza diurna. Il paziente ipersonniaco non riesce a rimanere vigile per tutto l’arco della giornata, può infatti andare incontro a situazioni di sonno improvviso da cui non riesce ad esimersi (per esempio si può addormentare durante una conversazione, durante un pasto o addirittura mentre sta guidando), inoltre potrebbe avere parecchie difficoltà a svegliarsi al mattino. Può essere difficile per un ammalato rimanere sveglio durante gli orari di scuola o di lavoro, ciò rende difficile – se non impossibili per il narcolettico – lo svolgimento di alcune professioni dove è necessario tenere alta la concentrazione per periodi lunghi.

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Fisiopatologia
Nel soggetto sano esistono due fasi diverse di sonno: il sonno NON REM o NREM (non rapid eye movement), costituito da sonno leggero e profondo, e il sonno REM (rapid eye movement), in cui si manifestano circa l’85% dei sogni. Nel sonno REM, inoltre, si assiste ad una condizione di paralisi a carico di quasi tutti i muscoli del corpo, eccetto i muscoli oculari e il diaframma, che sostiene la respirazione. Quando ci si addormenta, il sonno inizia nelle fasi più leggere di sonno NREM per poi approfondirsi progressivamente. Ogni 90 minuti circa il sonno NREM lascia spazio al manifestarsi del sonno REM. Nel soggetto sano questa alternanza NREM e REM si ripete più volte nel corso della notte.
Nei soggetti affetti da narcolessia si assiste ad una rapida ed atipica emergenza di sonno REM, nei 15-20 minuti che intercorrono dopo l’addormentamento, e ad intrusioni di sonno REM durante il giorno. Gli attacchi di sonno diurni compaiono in genere ogni 90-120 minuti e, spesso, al risveglio da un sonnellino di 5-15 minuti, il soggetto ricorda di aver sognato e si sente discretamente riposato.

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Che cosa causa la narcolessia?
La narcolessia è una patologia la cui causa scatenante non è ancora conosciuta. Recenti ricerche hanno mostrato che numerosi neurotrasmettitori sono coinvolti. Il più importante di questi è l’ipocretina (anche conosciuta come orexina), che nei narcolettici si è dimostrata ridotta all’interno del liquor cefalo-rachidiano, fino alla completa scomparsa nel 90% dei soggetti affetti da narcolessia con cataplessia. È stata inoltre evidenziata una riduzione dei neuroni ipotalamici secernenti questo composto in rilievi autoptici di soggetti affetti.
Solamente 1% dei casi di narcolessia presenta familiarità. Il rischio del riscontro di narcolessia fra parenti di primo grado è del 1% – 2%, quindi 30 – 40 volte più alto della popolazione generale. Questo significa che i fattori genetici giocano un ruolo fondamentale in questa patologia.

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Caratteristiche degli attacchi di sonno:

  • possono durare dai 15 ai 60 minuti ciascuno circa;
  • possono verificarsi più volte nell’arco di una giornata;
  • di solito accadono dopo aver mangiato, ma possono verificarsi in qualsiasi momento, come ad esempio durante la guida, parlando con qualcuno, o durante altre situazioni in cui c’è poco movimento;
  • in alcuni soggetti l’intensità dell’attacco è caratterizzata da una discreta progressività temporale che gli permette di interrompere consciamente le proprie azioni ed appartarsi in un luogo adatto prima di crollare a dormire.

A volte la persona può avere allucinazioni da sogno prima di dormire o durante un attacco. Quando ci si sveglia ci si sente riposati anche dopo un breve attacco. La narcolessia può anche essere associata ad una temporanea e improvvisa debolezza muscolare chiamata cataplessia, che di solito è causata da forti emozioni. Questo può essere associato a reazioni emotive come rabbia o risate ed essere simile alle crisi epilettiche e può comportare:

  • improvvisa perdita di tono muscolare;
  • temporanea incapacità di usare i muscoli (paralisi del sonno): questa condizione si verifica immediatamente dopo il risveglio o con l’insorgenza della sonnolenza.

Sintomi della narcolessia

  • attacchi di sonno improvvisi, uno o più volte al giorno;
  • eccessiva sonnolenza diurna (il narcolettico ogni 2 ore prova un forte impulso ad addormentarsi);
  • cataplessia (perdita di forze causata da forti emozioni come il riso, l’imbarazzo, la collera fino alla caduta a terra);
  • paralisi del sonno (il narcolettico si trova completamente paralizzato prima di addormentarsi o subito dopo il risveglio, mantenendosi perfettamente cosciente);
  • allucinazioni ipnagogiche (il narcolettico sogna ad occhi aperti interagendo spesso con la realtà).

Leggi anche: Paralisi del sonno e allucinazioni ipnagogiche: cause, pericoli, rimedi

Se hai il dubbio che il tuo disturbo neurologico sia la narcolessia, la prima sintomatologia che compare è l’eccessiva sonnolenza diurna; la cataplessia la puoi manifestare entro 1-4 anni dall’inizio della sonnolenza, ma può tardare anche 40-60 anni. E’ presente una rapida ed atipica comparsa del sonno REM entro 15-20 minuti dall’addormentamento, puoi avere attacchi diurni di sonno ogni 90-120 minuti, con sonnellini di 5-15 minuti durante i quali poi ricordi di aver sognato e ti senti anche sufficientemente riposato, nel complesso hai comunque una discreta resistenza al sonno fra un episodio di riposo ed il successivo.

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Come si fa diagnosi di narcolessia?
Per una corretta diagnosi di narcolessia non è sufficiente valutare solo i sintomi clinici, è fondamentale ricorrere ad un centro del sonno per una accurata diagnosi  strumentale. Per porre diagnosi di narcolessia è necessario che il soggetto lamenti presenza d’ipersonnia diurna quasi quotidiana da almeno 3 mesi, che potrà essere associata, quando presente, a storia di cataplessia.
I rilievi anamnestici devono essere confermati tramite l’esecuzione del test delle latenze multiple (Multiple Sleep Latency Test MSLT). MSLT è un test diurno dove 4-5 volte nel corso della giornata viene chiesto al paziente di provare ad addormentarsi . Ogni sessione può durare fino a 35 minuti e viene intervallata da 2 ore di pausa. Viene considerato indicativo della patologia il riscontro in corso di MSLT di una latenza media di addormentamento inferiore a 8 minuti e la comparsa di sonno REM in almeno 2 delle sedute.
Una polisonnografia notturna, in genere eseguita la sera prima dello svolgimento del MSLT, può evidenziare una comparsa precoce di sonno REM dopo l’addormentamento.
In alternativa, il dato anamnestico può essere confermato con dosaggio dell’ipocretina-1 liquorale, che deve risultare ≤110 ng/l.

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Quante persone soffrono di narcolessia?
La narcolessia sembra non avere un fattore di familiarità, infatti solo l’1% dei casi ha una predisposizione familiare e compare tra i 15 ed i 25 anni. Il disturbo della narcolessia è probabilmente sottodiagnosticato in tutto il mondo; si riscontra in 0,2-2 casi ogni 1000 abitanti e solo il 10-15% dei narcolettici presenta tutti i sintomi, inoltre l’85-100% dei pazienti narcolettici presenta gli stessi antigeni di istocompatibilità (cioè hanno un simile assetto genetico predisponente).

E’ consigliato l’uso di farmaci per la narcolessia?
Soltanto i farmaci sintomatici sono consigliati per la narcolessia con cataplessia, si tratta comunque di sostanze che attenuano/risolvono uno o più sintomi del malessere, ma non curano ciò che scatena questo disturbo neurologico.

Terapie per la narcolessia

  1. La  terapia non farmacologica più efficace si basa sui sonnellini brevi ristoratori (pochi minuti fino al massimo di 1 ora) che consentono al fisico di resistere alcune ore, dopodiché la sonnolenza ricompare. Queste brevi fasi di sonno possono variare da 6-7 al giorno. Gli adulti possono aiutarsi con l’uso di caffeina, assolutamente da evitare nei bambini.
  2.  La terapia farmacologica prevede l’assunzione secondo i casi di uno dei seguenti farmaci:
  • Modafinil;
  • Sodio Oxybato.

Il Modafinil attiva la veglia; in soggetti adulti si assume in compresse distribuite nell’arco della mattinata per controllare la sonnolenza diurna. E’ vivamente sconsigliata l’assunzione di Modafinil nelle prime ore del pomeriggio perchè si rischia di disturbare il sonno della notte successiva. Non ci sono molti dati riguardo lo studio del Modafinil nei bambini, alcuni mostrano effetti assumendo la stessa dose degli adulti, mentre ad altri è sufficiente metà della dose. Generalmente gli effetti collaterali sono leggeri e possono essere: mal di testa, ansia,nervosismo e rinite.

Il Sodio Oxybato ha proprietà sedative ed anestetiche, sostanzialmente induce in un sonno profondo, si assume in sciroppo prima di andare a letto e deve essere assunta una seconda dose dopo circa 3 ore. Il massimo dell’efficacia per combattere la sonnolenza diurna è l’associazione del sodio oxybato di notte con il modafinil di giorno. Gli effetti collaterali del Sodio Oxybato sono:

  • nausea;
  • sonnambulismo;
  • perdita di peso;
  • confusione al risveglio;
  • enuresi;
  • ipertensione arteriosa;
  • vertigini;
  • cefalea.

I farmaci prima menzionati non sono una cura definitiva: curano solo i sintomi ma non il disturbo a monte. Alcuni comportamenti consigliati sembrano però ridurre l’insorgenza di attacchi di sonno:

  • mangiare frutta e verdura durante il giorno ed evitare pasti pesanti prima di importanti attività;
  • pianificazione di un breve pisolino (da 10 a 15 minuti) dopo i pasti se possibile;
  • pianificazione di un pisolino per il controllo del sonno diurno e ridurre il numero di imprevisti e improvvisi attacchi di sonno.

In presenza di questa malattia è doveroso informare gli insegnanti e le autorità di vigilanza circa la condizione di quanti sono stati colpiti da narcolessia, in modo da non punirli per essere “pigri” a scuola o al lavoro.

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Eventuali complicazioni
La narcolessia è una malattia cronica, che dura tutta la vita. Non si tratta di una malattia mortale né pericolosa in sé, ma può diventarlose gli episodi si verificano durante la guida, l’uso di macchinari o attività simili. A tal proposito è importante che la narcolessia sia controllata con la terapia del sonno, per limitare il rischio di eventuali complicazioni, che sono:

  • infortuni ed incidenti: se gli attacchi si verificano durante le attività prima descritte;
  • riduzione di affidabilità sul luogo di lavoro;
  • riduzione delle attività sociali;
  • effetti collaterali di farmaci usati per curare la malattia.

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Differenze tra attacco cataplettico ed attacco epilettico

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE ATTACCO CATAPLETTICO EPILETTICO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgL’attacco cataplettico non deve essere confuso con un attacco epilettico:

  • Attacco cataplettico: si verifica rapidamente, durante periodi di stimolazione emotiva; il soggetto mantiene inalterato il proprio stato di coscienza e recupera quasi immediatamente;
  • Crisi epilettica: occorre durante periodi di quiete e di stimolazione; la persona si riprende più lentamente e può non ricordare quanto è successo.

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Cataplessia: significato, cause e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CATAPLESSIA SIGNIFICATO CAUSE CURA DORMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa cataplessia è un disturbo neurologico raro, ma comune nei soggetti affetti da narcolessia (si verifica in circa il 70% dei casi). Può manifestarsi con una serie di cambiamenti fisici, parziali o generalizzati: dalla difficoltà nell’articolare le parole (disartria), alla debolezza delle ginocchia, fino alla completa atonia. Durante un attacco cataplettico, il soggetto perde il controllo volontario dei muscoli e può cadere a terra, ma rimane sempre cosciente e vigile. Gli episodi possono durare pochi minuti e sono spesso innescati da uno stimolo emotivo come il riso, la paura, la rabbia, la sorpresa o l’eccitazione. Il trattamento prevede l’uso di farmaci anticataplettici (sodio oxibato o antidepressivi).

Quanto dura un attacco cataplettico?
Nella maggior parte dei casi, gli attacchi sono transitori e cessano improvvisamente, dopo pochi secondi o qualche minuto. Un episodio cataplettico è considerato “tipico”, quando è di breve durata (

Quante volte si può verificare un attacco cataplettico?
La cataplessia può verificarsi occasionalmente, con uno o due episodi in un anno, o più volte al giorno.

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Cause della cataplessia
L’esatta causa della cataplessia è sconosciuta, ma la condizione è fortemente associata a stimoli emotivi. Le emozioni che possono innescare un evento cataplettico includono: risate, paura, rabbia, frustrazione, irritazione, nervosismo, imbarazzo e tristezza. Appena la stimolazione viene ridotta, la persona riprende il normale controllo muscolare. Le emozioni possono essere anche di modesta entità, mentre altre volte un attacco subentra in modo spontaneo, in assenza di una causa apparente.
La perdita di tono muscolare, che si verifica nella cataplessia, assomiglia all’interruzione dell’attività muscolare che si verifica naturalmente durante il sonno REM: l’improvvisa debolezza dei muscoli del corpo potrebbe essere causata da un’inibizione massiccia dei motoneuroni nel midollo spinale, provocata da una disfunzione del ciclo sonno-veglia. Utilizzando un modello animale, gli scienziati hanno appreso che questo stesso gruppo di neuroni risulta inattivo durante gli attacchi cataplettici.

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Ruolo dell’ipocretina nella cataplessia
La cataplessia è associata a livelli significativamente ridotti di ipocretina, un neuropeptide prodotto nell’ipotalamo, di primaria importanza nella regolazione del sonno, così come degli stati di eccitazione. Secondo alcuni ricercatori, alla base di questa deplezione esisterebbe un meccanismo autoimmune. La cataplessia può anche manifestarsi come effetto collaterale della sindrome da sospensione degli SSRI (gli “inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina” appartengono alla classe farmaceutica degli antidepressivi non triciclici).

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Narcolessia e cataplessia
La cataplessia si riscontra spesso in associazione con la narcolessia, un disturbo neurologico cronico caratterizzato da un’eccessiva sonnolenza diurna (ipersonnia) e da crisi di sonno improvvise. Quando i pazienti manifestano entrambe le condizioni si parla di sindrome di Gélineau.
Gli attacchi di cataplessia rendono la diagnosi di narcolessia più certa, soprattutto quando si presentano segni come eccessiva sonnolenza diurna (EDS), allucinazioni e altre manifestazioni indesiderate che accompagnano il sonno REM. Tuttavia, è importante ricordare che non tutti i pazienti narcolettici manifestano episodi di cataplessia.

Condizioni associate alla cataplessia
La cataplessia può essere associata ad altre condizioni patologiche. In particolare, è considerata secondaria quando è provocata da specifiche lesioni cerebrali, localizzate prevalentemente nell’ipotalamo laterale (responsabili di una deplezione dell’ipocretina). Le lesioni del tronco cerebrale possono determinare, invece, casi isolati di cataplessia; queste comprendono: tumori encefalici (ad esempio: astrocitoma, glioblastoma, glioma e subependimoma) e malformazioni artero-venose. Altre condizioni in cui la cataplessia può essere riscontrata includono: eventi ischemici, sclerosi multipla, traumi cranici, sindromi paraneoplastiche e infezioni, come l’encefalite. La cataplessia può verificarsi anche in modo transitorio o permanente per lesioni dell’ipotalamo causate da interventi chirurgici, soprattutto nel caso di resezioni tumorali particolarmente complesse.

Sintomi della cataplessia
La cataplessia è estremamente imprevedibile, sia per quanto riguarda la gravità, che la frequenza. La perdita di tono muscolare varia da un indebolimento appena percettibile dei muscoli facciali, al cedimento degli arti superiori o inferiori, fino alla completa atonia muscolare. Queste manifestazioni improvvise possono provocare il collasso posturale e la caduta del paziente. Durante gli attacchi di cataplessia, sia lievi che gravi, la persona rimane pienamente cosciente, quindi è consapevole di tutto ciò che accade attorno (da qui l’ipotesi della disfunzione del sonno-veglia: si verifica l’atonia della muscolatura come durante la fase REM, ma il soggetto è vigile). La cataplessia si manifesta più frequentemente in periodi di stress emotivo e in caso di carenza di sonno. La cataplessia è un disturbo facilmente trascurato e spesso non diagnosticato, che può influenzare le attività più elementari della vita quotidiana.

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Trattamento della cataplessia
La cataplessia si riscontra raramente durante una visita ambulatoriale e la diagnosi può essere formulata da uno specialista che abbia familiarità con la condizione. La misurazione dei livelli di ipocretina nel liquido cerebrospinale può confermare la diagnosi.
La cataplessia è trattata farmacologicamente. Il primo prodotto approvato dalla FDA per il trattamento della cataplessia, in relazione con la narcolessia è lo Xyrem ® (sodio oxibato). I sintomi possono essere repressi con l’aiuto di antidepressivi triciclici e inibitori della ricaptazione della serotonina. Nonostante la sua relazione con la narcolessia, nella maggioranza dei casi, la cataplessia deve essere trattata in modo separato.

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Cataplessia

Cos’è la Cataplessia?

La cataplessia è un’improvvisa e transitoria perdita del tono muscolare, provocata da una forte emozione o da una crisi di riso. Il soggetto colpito collassa improvvisamente a terra senza perdere conoscenza.

CataplessiaLa cataplessia è un disturbo neurologico raro, ma comune nei soggetti affetti da narcolessia (si verifica in circa il 70% dei casi). Può manifestarsi con una serie di cambiamenti fisici, parziali o generalizzati: dalla difficoltà nell’articolare le parole (disartria), alla debolezza delle ginocchia, fino alla completa atonia. Durante un attacco cataplettico, il soggetto perde il controllo volontario dei muscoli e può cadere a terra, ma rimane sempre cosciente e vigile. Gli episodi possono durare pochi minuti e sono spesso innescati da uno stimolo emotivo come il riso, la paura, la rabbia, la sorpresa o l’eccitazione. Il trattamento prevede l’uso di farmaci anticataplettici (sodio oxibato o antidepressivi).

Cause

L’esatta causa della cataplessia è sconosciuta, ma la condizione è fortemente associata a stimoli emotivi. Le emozioni che possono innescare un evento cataplettico includono: risate, paura, rabbia, frustrazione, irritazione, nervosismo, imbarazzo e tristezza. Appena la stimolazione viene ridotta, la persona riprende il normale controllo muscolare. Le emozioni possono essere anche di modesta entità, mentre altre volte un attacco subentra in modo spontaneo, in assenza di una causa apparente.
La perdita di tono muscolare, che si verifica nella cataplessia, assomiglia all’interruzione dell’attività muscolare che si verifica naturalmente durante il sonno REM: l’improvvisa debolezza dei muscoli del corpo potrebbe essere causata da un’inibizione massiccia dei motoneuroni nel midollo spinale, provocata da una disfunzione del ciclo sonno-veglia. Utilizzando un modello animale, gli scienziati hanno appreso che questo stesso gruppo di neuroni risulta inattivo durante gli attacchi cataplettici.

Ruolo dell’ipocretina

La cataplessia è associata a livelli significativamente ridotti di ipocretina, un neuropeptide prodotto nell’ipotalamo, di primaria importanza nella regolazione del sonno, così come degli stati di eccitazione. Secondo alcuni ricercatori, alla base di questa deplezione esisterebbe un meccanismo autoimmune

Altre considerazioni

La cataplessia può anche manifestarsi come effetto collaterale della sindrome da sospensione degli SSRI (gli “inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina” appartengono alla classe farmaceutica degli antidepressivi non triciclici).

Narcolessia e Cataplessia

La cataplessia si riscontra spesso in associazione con la narcolessia, un disturbo neurologico cronico caratterizzato da un’eccessiva sonnolenza diurna(ipersonnia) e da crisi di sonno improvvise. Quando i pazienti manifestano entrambe le condizioni si parla di sindrome di Gélineau.

Gli attacchi di cataplessia rendono la diagnosi di narcolessia più certa, soprattutto quando si presentano segni come eccessiva sonnolenza diurna (EDS), allucinazioni e altre manifestazioni indesiderate che accompagnano il sonno REM. Tuttavia, è importante ricordare che non tutti i pazienti narcolettici manifestano episodi di cataplessia.

Condizioni associate

La cataplessia può essere associata ad altre condizioni patologiche. In particolare, è considerata secondaria quando è provocata da specifiche lesioni cerebrali, localizzate prevalentemente nell’ipotalamo laterale (responsabili di una deplezione dell’ipocretina). Le lesioni del tronco cerebrale possono determinare, invece, casi isolati di cataplessia; queste comprendono: tumoriencefalici (ad esempio: astrocitoma, glioblastoma, glioma e subependimoma) e malformazioni artero-venose. Altre condizioni in cui la cataplessia può essere riscontrata includono: eventi ischemici, sclerosi multipla, traumi cranici, sindromi paraneoplastiche e infezioni, come l’encefalite. La cataplessia può verificarsi anche in modo transitorio o permanente per lesioni dell’ipotalamo causate da interventi chirurgici, soprattutto nel caso di resezioni tumorali particolarmente complesse.

Sintomi

La cataplessia è estremamente imprevedibile, sia per quanto riguarda la gravità, che la frequenza. La perdita di tono muscolare varia da un indebolimento appena percettibile dei muscoli facciali, al cedimento degli arti superiori o inferiori, fino alla completa atonia muscolare. Queste manifestazioni improvvise possono provocare il collasso posturale e la caduta del paziente. Durante gli attacchi di cataplessia, sia lievi che gravi, la persona rimane pienamente cosciente, quindi è consapevole di tutto ciò che accade attorno (da qui l’ipotesi della disfunzione del sonno-veglia: si verifica l’atonia della muscolatura come durante la fase REM, ma il soggetto è vigile). La cataplessia si manifesta più frequentemente in periodi di stress emotivo e in caso di carenza di sonno.

La cataplessia è un disturbo facilmente trascurato e spesso non diagnosticato, che può influenzare le attività più elementari della vita quotidiana.

Debolezza al braccio: cause gravi, complicanze e quando chiamare il medico

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO DEBOLEZZA AL BRACCIO O ALLE BRACCIA QUALI CAUSE SINTOMI ASSOCIATI BICIPITE TRICIPITE ATROFIA MUSCOLO FRATTURA LEGAMENTO TENDINE OSSA COSA FARE ICTUS INFARTO DOLORECon “debolezza ad un braccio” o “debolezza alle braccia” ci si riferisce alla astenia (cioè alla perdita di forza muscolare) che può interessare uno o ambedue gli arti superiori (le braccia). La mancanza di forza può verificarsi da sola o può accompagnare una debolezza che interessa altre parti del corpo e può insorgere in concomitanza con altri sintomi e segni (dolore al braccio incluso). In presenza di debolezza al braccio, il soggetto può avere difficoltà a muovere il braccio interessato o a svolgere le attività quotidiane. In alcuni casi, la terapia fisica può contribuire a migliorare la forza del braccio. Nel caso la debolezza sia accompagnata da dolore, gli antidolorifici possono essere di aiuto nella risoluzione di ambedue i sintomi. Il trattamento comunque dipende dalla causa sottostante della debolezza e non esiste una unica terapia che risolva tutti i casi.
Le cause che a monte possono determinare debolezza al braccio, sono molte e di varia natura: ortopediche, neurologiche, endocrinologiche. La possibile eziologia include lesioni o infezioni a carico del braccio, atrofia muscolare (conseguente per esempio ad alcuni disturbi muscolari o alla mancanza d’uso dell’arto, ad esempio qualora fosse stato ingessato), malattie neurodegenerative, anemie, microfratture, danni a carico dei nervi e/o dei muscoli o compressione della colonna vertebrale oppure alcune condizioni ereditarie e malattie immunitarie o immunologicheo perfino alcune patologie di interesse psichiatrico. L’ictus cerebrale è una causa grave e potenzialmente fatale di una improvvisa debolezza al braccio che interessa un solo lato del corpo. Altra causa grave di debolezza è l’infarto del miocardio, in cui la debolezza al braccio sinistro si associa ad un forte dolore. Una debolezza temporanea alle braccia può essere causata anche da semplici raffreddori o influenze. La malnutrizione per difetto, ad esempio una dieta povera di vitamine, sali minerali e proteine ad alto valore biologico, può favorire l’astenia alle braccia.

Sebbene la debolezza al braccio non sia in genere grave, se compare improvvisamente e si associa a debolezza ad un solo lato del corpo e mal di testa, essa può essere un segno di ictus cerebrale: in questo caso si consiglia di non andare oltre nella lettura di questo articolo e contattare immediatamente il Numero Unico per le Emergenze 112. Si consiglia di chiamare i soccorsi anche qualora la mancanza di forza si associa a perdita di coscienza, confusione, vertigini, improvviso intorpidimento, perdita di sensibilità della zona, amnesia, paralisi, alterazioni della vista o difficoltà a parlare. Anche in assenza di tali sintomi, nel caso la debolezza al braccio sia persistente o rappresenti motivo di preoccupazione o di impediamento sul lavoro, vi consiglio comunque di parlarne col vostro medico di Medicina Generale (il medico “di famiglia”) evitando di sottovalutere il problema.

Leggi anche: Pubalgia del podista: cause, diagnosi e rimedi

Sintomi e segni

La debolezza al braccio o alle braccia è di per sé un sintomo. Ad essa possono sovrapporsi altri sintomi e/o segni, che variano a seconda della condizione, della patologia o del disturbo sottostanti. Altri eventuali sintomi e segni sono molto importanti per il medico, perché – poiché le possibili cause di debolezza sono molto varie – permettono al medico di restringere il campo delle ipotesi diagnostiche ed inviare il paziente al giusto professionista (ad esempio un ortopedico, un neurologo o un fisiatra, oppure ad un fisioterapista). Dividiamo ora i possibili sintomi e segni associati alla debolezza al braccio, in base a tipo e “settore” medico.

Sintomi e segni generali

Sintomi e segni generali potenzialmente associati all’astenia al braccio, sono:

  • malessere generale;
  • stanchezza;
  • febbre;
  • prurito;
  • difficoltà respiratoria;
  • letargia.

Leggi anche: Prurito alla pelle: cos’è e come fare per alleviarlo?

Sintomi e segni infiammatori

Sintomi e segni che suggeriscono una causa infiammatoria dell’astenia al braccio, sono:

  • arrossamento del braccio;
  • calore avvertito al braccio;
  • dolore al braccio;
  • gonfiore del braccio.

Per approfondire: I cinque segni cardinali dell’infiammazione

Sintomi e segni ortopedici

Sintomi e segni che suggeriscono una causa ortopedica dell’astenia al braccio, sono:

  • gonfiore al braccio;
  • dolore muscolare;
  • mobilità ridotta (range di movimento delle articolazioni del braccio ridotto);
  • impossibilità ad eseguire un dato movimento;
  • crampi al braccio e/o ad altre parti del corpo;
  • dolore alla spalla, al braccio, all’avambraccio, alla mano o alle dita della mano;
  • gonfiore a carico delle articolazioni.

Leggi anche: Perché vengono i crampi? Cosa sono, come prevenirli e come farli passare?

Sintomi e segni neurologici

Sintomi e segni che suggeriscono una causa neurologica dell’astenia al braccio, sono:

  • paralisi del braccio e/o di altra parte del corpo (gamba, volto…);
  • perdita della sensibilità del braccio e/o di altra parte del corpo;
  • confusione mentale;
  • amnesia;
  • svenimento;
  • difficoltà a masticare o deglutire;
  • difficoltà a parlare o a capire quello che gli altri dicono;
  • improvvisa cecità e/o sordità;
  • spasmi muscolari;
  • formicolio;
  • coma.

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Sintomi e segni endocrinologici

Sintomi e segni che suggeriscono una causa endocrinologica dell’astenia al braccio (con probabile interessamento della tiroide, che potrebbe essere ipofunzionante, come avviene nel paziente ipotiroideo):

  • debolezza generale del corpo;
  • facile affaticabilità;
  • aumento di peso;
  • sonno eccessivo;
  • eccessiva sensibilità al freddo;
  • costipazione;
  • secchezza e pallore della pelle;
  • gonfiore al volto e alle palpebre;
  • voce rauca;
  • depressione;
  • dificoltà nella memoria;
  • problemi di memoria;
  • eloquio lento;
  • mixedema (accumulo di liquidi sottocutaneo);
  • frequenti e crampi muscolari;
  • mestruazioni irregolari o abbondanti;
  • capelli sottili e fragili.

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Sintomi e segni psichiatrici

Sintomi e segni che suggeriscono una causa psichiatrica dell’astenia al braccio, sono:

  • anoressia (perdita dell’appetito);
  • perdita di peso;
  • sintomi depressivi;
  • ideazioni suicidarie;
  • allucinazioni uditive o visive.

Sintomi e segni che potrebbero indicare la presenza di una condizione grave o fatale

In alcuni casi, la debolezza al braccio può essere un sintomo di una condizione grave (come un ictus cerebrale o una grave infezione) che necessita di una valutazione medica immediata. Si consiglia di chiamare il 112 in presenza di uno qualsiasi dei seguenti sintomi, soprattutto se più di uno sono presenti contemporaneamente:

  • alterazione del livello di coscienza;
  • parlare in modo confuso, sbagliando le parole o dicendo frasi senza senso;
  • non capire quello che gli altri dicono;
  • febbre alta;
  • paralisi di una o più parti del corpo (gamba, viso…);
  • paralisi di un solo lato del corpo;
  • formicolio a carico di un solo lato del corpo;
  • alterazioni o perdita della vista e/o dell’udito;
  • perdita della sensibilità;
  • gravi vertigini;
  • forte mal di testa;
  • dolore intenso alla testa (come un “colpo di pugnale”).

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Cause e fattori di rischio

La debolezza al braccio può insorgere a seguito di una serie di eventi o disturbi che colpiscono muscoli, ossa, articolazioni, sistema nervoso o metabolismo. Può essere accompagnata da una debolezza più generalizzata, come in caso di alcuni disturbi ereditari, oppure essere conseguente ad una lesione specifica a carico del braccio.

Cause muscolo-scheletriche

Possibili cause muscolo-scheletriche della debolezza al braccio, sono:

  • lesione al braccio;
  • cisti (sacca benigna contenente liquido, aria o altri materiali);
  • frattura ossea;
  • infezione dei tessuti molli del braccio;
  • distrofia muscolare;
  • sarcopenia;
  • miopatie;
  • tendinite (infiammazione di un tendine);
  • lesione del legamento di una articolazione;
  • postura sbagliata;
  • atrofia del muscolo a causa del mancato uso (ad esempio se il braccio è stato a lungo ingessato, è normale sentirlo debole quando il gesso viene tolto).

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Cause neurologiche

Possibili cause neurologiche della debolezza al braccio, sono:

  • ictus cerebrale ischemio od emorragico;
  • tia (attacco ischemico transitorio);
  • sclerosi multipla;
  • sclerosi laterale amiotrofica (SLA);
  • atrofia muscolare progressiva;
  • sindrome del tunnel carpale;
  • paralisi cerebrale;
  • nervo reciso (ad esempio a causa di un trauma);
  • miastenia gravis;
  • intrappolamento o compressione di un nervo, come per esempio del nervo ulnare;
  • patologie del cervelletto;
  • radicolopatia (compressione di un nervo nella colonna vertebrale).

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Cause endocrinologiche

Possibili cause muscolo-scheletriche della debolezza al braccio, sono:

  • patologie tiroidee (ad esempio ipotiroidismo).

Per approfondire: Ipotiroidismo: sintomi, diagnosi, cura farmacologica e consigli dietetici

Cause psichiatriche

Possibili cause psichiatriche della debolezza al braccio, sono:

  • depressione;
  • anoressia nervosa;
  • sindrome di Münchhausen.

Per approfondire:

Cause reumatologiche

Possibili cause reumatologiche della debolezza al braccio, sono:

  • artrite;
  • artrosi;
  • artrite reumatoide;
  • osteoporosi;
  • lupus eritematoso sistemico.

Per approfondire:

Altre possibili cause

Altre possibili cause della debolezza al braccio, sono:

  • malnutrizione per difetto;
  • anemia;
  • squilibrio elettrolitico;
  • presenza di parassiti (ad esempio una tenia);
  • fibromialgia (condizione cronica che causa dolore, rigidità e dolorabilità);
  • avvelenamento da metalli pesanti (come l’avvelenamento da piombo);
  • ingestione di sostanze tossiche (come piante, funghi o sostanze velenose).

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Cause gravi o fatali

Cause gravi o potenzialmente fatali o che comunque sono in grado di determinare o favorire dei danni permanenti ed invalidanti, che richiedono una immediata valutazione medica, possono essere:

  • attacco ischemico transitorio (TIA);
  • ictus cerebrale emorragico od ischemico;
  • infarto del miocardio;
  • tumore cerebrale;
  • infezione grave e sistemica, accompagnata da febbre alta.

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Potenziali complicanze

La debolezza al braccio in sé di solito non è una condizione grave. Una lieve debolezza può essere temporanea e risolversi spontaneamente. Tuttavia, poiché può essere causata da patologie gravi, un mancato trattamento in alcuni casi potrebbe comportare l’insorgere di gravi complicazioni e danni permanenti, tra cui:

  • paralisi di una o più parti del corpo;
  • incapacità permanente di parlare e/o comprendere un dialogo;
  • perdita permanente della coordinazione muscolare;
  • perdita permanente della sensibilità di una o più parti del corpo;
  • diffusione metastatica di un eventuale tumore maligno cerebrale;
  • sepsi (diffusione sistemica dell’infezione).

Diagnosi

In caso di astenia al braccio, per diagnosticare il problema che ha determinato il sintomo, il medico si può servire di vari strumenti. Per prima cosa l’anamnesi, in cui il paziente descrive i suoi sintomi, eventuali altre patologie, il tipo di lavoro che svolge ed altre informazioni utili. Il medico può fare delle domande come ad esempio se la debolezza è comparsa all’improvviso o gradatamente oppure se è insorta in seguito ad uno specifico evento o se il paziente si alimenta in modo corretto. Successivamente è necessario un esame obiettivo, in cui il medico andrà a ricercare sul corpo del paziente eventuali segni, come gonfiore, arrossamenti e perdita della sensibilità. A questo punto il medico, avendo teoricamente già sospettato il tipo di causa, indirizzerà il paziente ad alcuni specifici esami di laboratorio e/o di diagnostica per immagini e/o specialistici. Ad esempio il paziente potrebbe essere sottoposto ad esame del sangue oppure a radiografie, ecografie articolari, TC del cranio, risonanza magnetica, elettrocardiogramma, ecocolordoppler cardiaco, spirometria, elettroencefalogramma o elettromiografia.

Terapia

Come abbiamo visto in questo articolo, sono davvero moltissime le cause di una debolezza ad uno o entrambe le braccia: proprio per questo motivo non esiste una unica terapia che risolva il problema in tutti i casi. Il trattamento specifico dipende dalla causa a monte che ha determinato l’astenia e può includere un variegato gruppo di trattamenti farmacologici, chirurgici, fisioterapici e/o psicoterapici. Parlando in modo generale, alcuni consigli per ridurre la debolezza al braccio “idiopatica” (cioè di cui non si conosce la causa), possono essere:

  • alimentarsi in modo corretto;
  • assumere ogni giorno un integratore multivitaminico multiminerale completo, come questo: https://amzn.to/3IlmND4
  • smettere di fumare;
  • non assumere alcolici;
  • perdere peso se obesi o in sovrappeso;
  • aumentare di peso se sottopeso;
  • evitare la vita sedentaria;
  • irrobustire il muscolo bicipite ed il tricipite con un semplice manubrio dal peso adeguato al proprio stato di forma, come questo: https://amzn.to/3Cb2ggK

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Spasmi muscolari e mioclonie: cause, diagnosi e cura delle contrazioni involontarie

Tanti pazienti vengono da me allarmati da una sorta di contrazione involontaria ripetuta, che avvertono spesso nell’ultimo periodo. Nella maggioranza dei casi, questi pazienti si riferiscono al mioclono: di cosa si tratta?

Cosa si intende per “mioclono” e “mioclonia”?

La mioclonia è una condizione caratterizzata da uno o più spasmi di uno o più muscoli (mioclono), ovvero la contrazione o il rilassamento involontari di una o più masse muscolari. Lo spasmo muscolare tipico del mioclono può essere una contrazione (ed allora si parla di mioclono positivo) o un rilassamento ossia una perdita di contrazione (ed allora si parla di mioclono negativo) o anche di asterissi o ancora di flapping tremors.

Leggi anche: Perché vengono i crampi? Cosa sono, come prevenirli e come farli passare?

Caratteristiche

Le caratteristiche essenziali che identificano le mioclonie sono:

  1. involontarietà, breve durata, insorgenza rapida ed inaspettata, aritmicità;
  2. possono costituire un episodio singolo o più spesso ripetersi intervallate da tempi irregolari in maniera da costituire una serie (anche 10/50 contrazioni in un minuto);
  3. possono interessare uno o anche più muscoli che non necessariamente sono coinvolti nello stesso movimento ed in alcuni casi l’intero corpo.

Notiamo che il mioclono non è in se una malattia e neppure un sintomo, che è una alterazione avvertita dal paziente della normale sensazione del proprio corpo, ma è invece un segno, ossia un riscontro di una malattia che il medico constata durante la visita del paziente. Ricordo ai lettori che il sintomo è una sensazione soggettiva e riferita dal paziente (per esempio il dolore) mentre il segno è un reperto oggettivo riconosciuto dal medico all’esame obiettivo del paziente stesso.

Le mioclonie sono disturbi del movimento

Gli spasmi mioclonici o mioclonie appartengono alla più ampia categoria dei disturbi del movimento. Dove i disturbi del movimento costituiscono tutte quelle condizioni caratterizzate da un cattivo funzionamento della muscolatura volontaria ossia dei muscoli che si muovono azionati dalla nostra volontà. I disturbi del movimento si distinguono in:

  • Mioclonie.
  • Tremori. Dondolio periodico di alcune parti del corpo (ad esempio le mani).
  • Bradicinesia. Difficoltà e rallentamento nell’intraprendere un movimento.
  • Coreoateosi. Movimenti involontari di parti del corpo: rapidi, a scatto e di ampiezza notevole (interessano principalmente collo e volto).
  • Tics. Movimenti, involontari ed immutabili.
  • Distonie. Posture involontarie mantenute nel tempo.
  • Sincinesie. Movimenti involontari di un arto contemporanei al movimento volontario dell’altro arto simmetrico.
  • Abasia. Compromissione della deambulazione per mancanza di coordinazione dei movimenti.

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Cause degli spasmi muscolari: fisiologiche, patologiche e iatrogene

Le mioclonie possono avere numerosissime cause e queste per di più risultano anche estremamente eterogenee tra loro. Per comodità è possibile suddividerle in tre grosse categorie e precisamente in: cause fisiologiche, patologiche e iatrogene. Per approfondire leggi: Spasmi muscolari e mioclonie: da cosa sono causati?

I meccanismi fisiologici che inducono il mioclono

I meccanismi che sono alla base delle mioclonie non sono, allo stato attuale delle cose, noti del tutto. Affermazione avvalorata dalla constatazione che medesime tipologie di mioclonie non rispondono in maniera egualmente positiva alla stessa terapia. Tale situazione già di per se complessa, per la scarsa conoscenza dei processi, è resa ancora più intricata dal fatto che non tutti i tipi di mioclonie sono retti dai medesimi processi fisiopatologici. Le ipotesi che si fanno in merito sono svariate. Ne accenniamo una delle più attendibili che è stata formulata per le mioclonie che vengono scatenate stimoli esterni ( luci, rumori, etc.). Essa ipotizza che tali mioclonie si scatenino perchè le aree del cervello (corteccia e reticolo mediale ) e midollo spinale che sono deputate al controllo dei muscoli volontari risultano, in determinate condizioni, ipereccitabili. Un ruolo essenziale nel determinare questa condizione di ipereccitabilità si suppone sia svolto da alcuni neurotrasmettitori, ossia da quelle sostanze chimiche che fungono da messaggeri tra una cellula nervosa ed una altra. Potrebbe infatti accadere che squilibri o carenze di alcuni neurotrasmettitori rendano più sensibili alcune cellule innescando così il fenomeno delle mioclonie. In particolare si ipotizza che i neurotrasmettitori che possono essere coinvolti in questi meccanismi siano: serotonina e acido gamma amminobutirrico. Entrambi infatti hanno un effetto inibitorio e coadiuvano il cervello nell’azione di controllo dei muscoli.

Leggi anche: Sistema nervoso: com’è fatto, a che serve e come funziona

Tipi di mioclonie: dove e come si presentano gli spasmi

La classificazione degli spasmi involontari può essere fatta secondo diversi criteri, oltre quello delle cause che, come visto sopra, le distingue in fisiologiche e secondarie, è possibile classificarle in base alla zona del corpo che colpiscono ed al tipo di movimento che inducono. In particolare:

  1. Mioclonie focali. Quando interessano la muscolatura di una sola regione del corpo.
  2. Mioclonie segmentali. Quando interessano i muscoli di più regioni corporee che però risultano contigue.
  3. Mioclonie multifocali o massive. Se colpiscono l’itero corpo.
  4. Mioclonie idiopatiche. Si presentano in soggetti in cui non si riesce a diagnosticare alcuna causa scatenante ed in assenza di altri sintomi.
  5. Mioclonie d’azione. Le configurano spasmi muscolari che vengono scatenati da movimenti precisi che presuppongono coordinazione muscolare. In casi limite può risultare sufficiente la sola intenzione di compiere il movimento scatenante per la comparsa degli spasmi. Le cause che sono alla loro base sono danni cerebrali causati da ipossia ossia mancanza di ossigeno durante la respirazione o temporanea mancanza di flusso ematico al cervello per compromissione cardiaca.
  6. Mioclonie epilettiche. Questa tipologia di spasmi muscolari fa parte di un quadro epilettico più generale. Ricordiamo che l’epilessia è una malattia neurologica ossia del sistema nervoso centrale che raccoglie svariate forme con una sintomatologia molto varia ma tutte accomunate dalle convulsioni e spasmi muscolari e quindi mioclonie.

Diagnosi delle mioclonie

Per diagnosticare le mioclonie e la loro causa, è importante la diagnostica per immagini. A tal proposito leggi: Spasmi muscolari e mioclonie: come si fa la diagnosi?

Trattamento delle mioclonie: la cura dei sintomi

A tale proposito, leggi questo articolo: Spasmi muscolari e mioclonie: cura, trattamento e rimedi

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Alzheimer: diagnosi precoce sempre più vicina

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OSPEDALE ANAMNESI ESAME OBIETTIVO SEMEIOTICA FONENDOSCOPIO ESAMESembra che a breve sarà possibile diagnosticare l’Alzheimer grazie ad un’analisi del sangue specifica che misura il tasso di peptide amiloide il cui livello nel sangue, secondo alcuni ricercatori spagnoli (agenzia spagnola di Araclon), è direttamente proporzionale alla possibilità di sviluppare la malattia. La spagnola Araclon ha sviluppato e brevettato un kit che consente di trovare 40-42 peptidi di beta amiloide nel sangue (ABtest) e stanno procedendo con degli studi su un campione di 400 persone per riuscire a dimostrare che l’ABtest è uno strumento in grado di diagnosticare l’Alzheimer. Il test potrebbe infatti distinguere i soggetti completamenti sani da quelli che presentano già un deficit cognitivo precursore della malattia.

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