In palestra stai facendo un buon lavoro se anziché contare i kg persi…

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STAI FACENDO BUON LAVORO PALESTRA KG   Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgSe quando ti pesi e vedi che sei aumentato di quasi mezzo kg nell’ultima settimana, esulti come Fabio Grosso dopo aver segnato quell’ultimo rigore nella coppa del mondo di calcio del 2006, questo articolo è dedicato proprio a te. A te che sei veramente euforico mentre i tuoi amici ti guardano come se fossi un pazzo e ti dicono:

“Ma come? Sei ingrassato e sei contento?”

E’ inutile. In un paese dove l’analfabetismo funzionale regna sovrano, dove i bambini sono i più grassi al mondo e dove l’educazione alimentare nelle scuole è un’utopia, le persone “comuni” non riusciranno mai a capirti ed a capire un fatto per te quasi banale: aumentare di peso non è (necessariamente) un male, anzi. Come il fatto che non tutte le diete servono per dimagrire, ad esempio le diete ipercaloriche. Non sapete che difficoltà ho io a spiegare certe volte ai miei pazienti che aumentare di peso non significa per forza ingrassare, come diminuire di peso non significa sempre dimagrire. Aumentare il nostro peso a volte significa che la nostra massa magra è aumentata, il che è la via migliore per avere una salute migliore, più metabolismo basale, più forza e resistenza muscolare ed un fisico più bello. Ma se stai leggendo queste righe, tu questo sicuramente già lo sai. Solo chi è veramente appassionato di sport e palestra (o quantomeno possiede una discreta cultura in campo scientifico) può capirti. La nostra è una società dove conta solo pesare il meno possibile, anche a costo di imbottirsi di diuretici, dimenticandosi spesso che essere sottopeso non è salutare e che essere in sovrappeso non è necessariamente un problema, anzi è un elisir di lunga vita a patto che la percentuale di massa magra sia elevata e che sia bassa la massa grassa. Pesare di più, a volte è un bene: basta vedere le foto contenute in questa galleria, per capirlo!

In palestra stai facendo un buon lavoro se anziché contare i kg persi, conti quelli… guadagnati!

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Smettere di fumare: quanto e per quanto tempo si ingrassa? L’esperienza mia e dei miei pazienti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KG BILANCIA (2)Uno dei motivi che di più blocca i miei pazienti dallo smettere di fumare, è la paura di ingrassare. Non vi dirò bugie. Purtroppo è Continua a leggere

Correre fa ingrassare? Gli errori da evitare

MEDICINA ONLINE TOM TOM RUNNER CARDIO CORRERE CORRIDORE CORSA APERTO TAPIS ROULANT MAGNETICO DIFFERENZE DIETA DIMAGRIRE AEROBICA GRASSO BRUCIARE MINUTI CALORIE SALITA BOSCO CITTA SMOG WALa convinzione di moltissimi appassionati di corsa, almeno di quelli meno esperti, è che correndo sia automatico per loro perdere peso: quindi è normale che poi rimangano delusi se ciò non avviene. Questo può dipendere dallo stile di corsa: se le uscite sono frequenti e di lunga durata, il runner deve prevedere variazioni di ritmo o di pendenza, intervallando corsa in piano con corsa in salita oppure variando di frequente la velocità. Non è comunque l’unico fattore che influisce sul peso corporeo del runner: molto importante è anche abbinare alla corsa un regime alimentare equilibrato e vario.

Ci sono alcuni errori che il runner deve evitare se vuole mantenere una buona linea. Per iniziare, è bene che i pasti siano distribuiti durante il giorno: mangiare tanto a cena, ad esempio, significa assicurarsi energia in eccesso, poiché il dispendio in quel particolare momento della giornata è più basso. Il rischio è quindi quello di accumulare depositi adiposi. Altrettanto sbagliato è eccedere in quantità dopo una seduta di allenamento o una competizione: se è vero che l’organismo deve essere aiutato a recuperare le energie spese, è anche vero che l’apporto calorico deve essere commisurato all’effettivo dispendio energetico.

Bisogna poi fare attenzione a stimare con precisione il proprio fabbisogno energetico: nel calcolarlo, si deve tenere conto non soltanto dell’attività fisica giornaliera ma anche del cosiddetto metabolismo basale, definito come il dispendio energetico di un organismo a riposo e comprende l’energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali. Quando possibile, è meglio evitare il riferimento a tabelle generiche e consultare uno specialista.
È bene poi che il runner riduca drasticamente il consumo di bevande gassate e alcoliche, che per il loro contenuto di zuccheri semplici aumentano la glicemia. È bene inoltre evitare gli snack, che non saziano e hanno un notevole apporto calorico, per via dei grassi saturi funzionali alla loro preparazione e conservazione.

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Ipotiroidismo: sintomi, diagnosi, cura farmacologica e consigli dietetici

MEDICINA ONLINE TIROIDE NODULO IPOTIROIDISMO IBSA EUTIROX ORMONI TIROIDEI METABOLISMO BASALE COLLO GOZZO SINTOMI PARATIROIDI TIROIDECTOMIA TOTALE PARZIALE CHIRURGIA OBESITA INGRASSARE PESO PONDERALE CHIRURGIA ECOGRAFIAL’ipotiroidismo è una patologia causata dalla mancata capacità della tiroide di sintetizzare una adeguata quantità di ormoni. Più raramente, può sussistere una resistenza all’azione dei suddetti ormoni a livello tissutale. L’ipotiroidismo può presentarsi sin dalla nascita (cretinismo) o comparire in età adulta, specie nelle donne ultracinquantenni. Può essere primario (congenito o acquisito), secondario o terziario. Da un punto di vista clinico-laboratoristico si possono distinguere:

  • ipotiroidismo subclinico: caratterizzato da un’elevata concentrazione sierica di TSH in presenza di normali valori di FT3 e FT4 con sfumati o assenti segni e sintomi di ipotiroidismo;
  • ipotiroidismo conclamato: caratterizzato da un’elevata concentrazione sierica di TSH in presenza di bassi livelli di FT3 e FT4 con chiari segni e sintomi di ipotiroidismo.

Leggi anche: Differenza tra Eutirox e Ibsa nella cura dell’ipotiroidismo

Epidemiologia

Si calcola che l’ipotiroidismo colpisca in media lo 0,5-1% della popolazione, con una netta prevalenza nel sesso femminile.

Cause di ipotiroidismo

Varie e numerose sono le cause in grado di determinare questo quadro morboso. L’ipotiroidismo può essere determinato – ad esempio – dall’assenza congenita della tiroide o da un suo sviluppo incompleto, per alterazioni anatomiche, per una sua asportazione chirurgica, per l’assunzione di farmaci antitiroidei o di iodio radioattivo. Come già accennato, le varie forme di ipotiroidismo vengono classificate in primarie (o primitive), secondarie e terziarie. Nel primo gruppo rientrano tutte quelle malattie dipendenti dalla ridotta funzionalità del tessuto tiroideo, mentre si parla di ipotiroidismo secondario e terziario quando le patologie sono a carico, rispettivamente, di ipofisi ed ipotalamo. Alcuni degli ormoni secreti da queste due strutture sono infatti capaci di regolare pesantemente l’attività della tiroide. Nella maggior parte dei casi, l’ipotiroidismo primario è  associato a malattie autoimmunitarie della tiroide (la più comune delle quali è la tiroidite cronica di Hashimoto), oppure a gravi carenze di iodio nella dieta o a cause iatrogene (uso – abuso di determinati farmaci).

Ipotiroidismo dovuto a bassi livelli di iodio

Lo iodio è un minerale essenziale per la normale funzionalità della tiroide; se manca lo iodio la ghiandola non può sintetizzare i suoi ormoni ed insorge ipotiroidismo. Fortunatamente l’organismo possiede buone riserve sia di iodio che di ormoni tiroidei, sufficienti per circa 60-90 giorni, ed il semplice consumo di sale iodato basta per allontanare il rischio di carenze specifiche. Esistono tuttavia alcune aree del Pianeta in cui la carenza cronica di iodio nell’alimentazione provoca ipotiroidismo. A causa delle basse concentrazioni plasmatiche di ormoni tiroidei, la sintesi dell’ormone stimolante la tiroide o TSH viene sensibilmente accelerata. Questa ipersecrezione ha lo scopo di stimolare al massimo la ghiandola che, tuttavia, non riesce a sintetizzare i suoi ormoni perché non dispone di adeguate quantità di iodio. Si entra così in un circolo vizioso in cui l’iperstimolazione determina un vistoso ingrossamento della tiroide (gozzo).

Leggi anche: Il sale iodato è importante per prevenire le malattie della tiroide: in quali alimenti trovarlo?

Sintomi e segni dell’ipotiroidismo

Le conseguenze dell’ipotiroidismo variano in base allo stadio evolutivo durante il quale insorgono. Nella vita fetale si verificano gravi ed irreversibili alterazioni dello sviluppo corporeo e cerebrale. Anche nel bambino si possono verificare permanenti alterazioni dello sviluppo somatico ed intellettivo (gli ormoni tiroidei sono essenziali per la completa espressione dell’ormone della crescita). Si osserva inoltre un ritardo nello sviluppo sessuale.
Quando insorge in età adulta, l’ipotiroidismo si manifesta attraverso alcuni sintomi caratteristici:

1) Cute secca e capelli radi, sottili, affaticamento fisico e debolezza muscolare cronica (l’ipotiroidismo determina una riduzione della sintesi proteica).

2) L’espressione del viso, caratterizzata da zone palpebrali gonfie e rime ristrette, capelli e sopracciglia scarsi, bocca semiaperta che lascia intravedere una lingua ingrossata, conferisce al volto del paziente l’aspetto inconfondibile e poco intelligente della “facies mixedematosa“; anche i tessuti sottocutanei sono caratterizzati dal cosiddetto mixedema, su cui la pressione delle dita non lascia il segno della fovea. L’ipotiroidismo determina infatti un accumulo cutaneo di mucopolisaccaridi che richiamano acqua determinando questo tipico aspetto.

3) Cute fredda e intolleranza alle basse temperature: una diminuzione degli ormoni tiroidei rallenta il metabolismo e il consumo di ossigeno; viene meno anche la loro attività termogenica.

4) Sonnolenza (letargia) che può arrivare fino al coma, depressione, rallentamento dei processi ideativi e sensazione di stanchezza; questi sintomi insorgono a causa delle alterazioni nervose indotte dall’ipotiroidismo.

5) Altri sintomi: costipazione, aumento del peso corporeo, pallore e anemia, raucedine ed abbassamento del tono della voce, diminuzione dell’udito e della memoria, diminuzione della fertilità, flussi mestruali abbondanti (menorragia), crampi, bradicardia e riduzione della forza contrattile del cuore, vasocostrizione, aumento dei livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) e trigliceridi nel siero, con conseguente e sensibile aumento del rischio di malattia coronarica.

C’è spesso ipercarotenemia, particolarmente evidente alle mani ed alle piante dei piedi, a causa del deposito di carotene negli strati epidermici ricchi di lipidi. Il deposito di sostanze proteinacee nella lingua può produrre macroglossia. La riduzione sia degli ormoni tiroidei sia della stimolazione adrenergica provoca bradicardia. Il cuore può essere ingrandito, in parte a causa di dilatazione, ma principalmente per l’accumulo di un versamento sieroso ad alto contenuto proteico nel sacco pericardico. Si possono rilevare versamenti pleurici o peritoneali. I versamenti pleurici e pericardici si sviluppano lentamente e solo raramente provocano difficoltà respiratorie o emodinamiche. I pazienti generalmente accusano stipsi, che può essere grave. Sono comuni le parestesie delle mani e dei piedi, spesso dovute alla sindrome del tunnel carpale-tarsale causata dal deposito di una sostanza amorfa proteinacea nei legamenti intorno al polso e alla caviglia, con conseguente compressione dei nervi. I riflessi possono essere di grande aiuto dal punto di vista diagnostico, a causa della vivacità di contrazione e della lentezza dei tempi di rilassamento. Le donne con ipotiroidismo manifestano spesso menorragia, in contrasto con l’ipomenorrea dell’ipertiroidismo. Si osserva frequentemente ipotermia. Spesso è presente anemia, di solito normocromica normocitica e a eziologia sconosciuta, ma essa può essere ipocromica a causa della menorragia e talvolta macrocitica a causa dell’associata anemia perniciosa o del ridotto assorbimento di acido folico. In genere, l’anemia è raramente grave (Hb > 9 g/dl). Essa recede con la correzione dello stato ipometabolico, richiedendo talvolta da 6 a 9 mesi. Quando è primitivo, dovuto cioè a malattie della tiroide, l’ipotiroidismo nell’adulto è caratterizzato da un esordio lento e molto graduale che può pertanto sfuggire a lungo agli occhi del medico e dello stesso paziente.

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Diagnosi di ipotiroidismo

La conferma di ipotiroidismo avviene generalmente attraverso un semplice esame del sangue, tramite il quale si andranno a valutare vari parametri tra cui i livelli ormonali del paziente. È importante distinguere l’ipotiroidismo secondario da quello primitivo; anche se l’ipotiroidismo secondario non è frequente, spesso coinvolge altri organi endocrini sotto il controllo dell’asse ipotalamo-ipofisario. In una donna con ipotiroidismo, gli indizi che orientano verso l’ipotiroidismo secondario sono una storia di amenorrea piuttosto che di menorragia e alcune differenze indicative all’esame obiettivo. Nell’ipotiroidismo secondario la cute e i capelli sono secchi, ma non altrettanto ruvidi; spesso si osserva depigmentazione cutanea; la macroglossia non è così pronunciata; le mammelle sono atrofiche; il cuore è piccolo, senza accumulo di versamenti sierosi nel sacco pericardico; la PA è bassa e spesso si rileva ipoglicemia a causa della concomitante insufficienza corticosurrenalica o del deficit di ormone della crescita.

Le indagini di laboratorio dimostrano nell’ipotiroidismo secondario la presenza di un basso livello di TSH circolante (benché il TSH sierico possa essere normale alla misurazione con tecniche immunologiche, ma abbia ridotta attività biologica), mentre nell’ipotiroidismo primario (o primitivo) manca la retroinibizione sull’ipofisi normale e i livelli sierici di TSH sono elevati. Il dosaggio del TSH sierico è l’esame più semplice e più sensibile per la diagnosi di ipotiroidismo primitivo. In quest’ultimo il colesterolo sierico è generalmente elevato, mentre lo è meno in quello secondario. Altri ormoni ipofisari e i corrispondenti ormoni dei loro tessuti bersaglio possono essere diminuiti nell’ipotiroidismo secondario.

Il test al TRH può essere utile ai fini della distinzione tra ipotiroidismo secondario a un’insufficienza ipofisaria e ipotiroidismo dovuto a insufficienza ipotalamica. In quest’ultimo, viene rilasciato TSH in risposta al TRH.

La determinazione dei livelli sierici totali di T3 nell’ipotiroidismo merita una menzione. Oltre all’ipotiroidismo primitivo e a quello secondario, altre condizioni sono caratterizzate dalla riduzione dei livelli circolanti di T3 totale; esse comprendono la riduzione della TBG sierica, gli effetti di alcuni farmaci e della euthyroid sick syndrome dovuta a patologie acute e croniche, l’inanizione e le diete povere di carboidrati. Nell’ipotiroidismo di gravità maggiore, sono diminuiti i livelli sierici sia di T3 sia di T4. Tuttavia, molti pazienti con ipotiroidismo primitivo (elevato TSH sierico, basso livello sierico di T4) possono avere normali livelli circolanti di T3, probabilmente a causa della prolungata stimolazione da parte del TSH sulla tiroide insufficiente, che determina la sintesi e la secrezione preferenziale dell’ormone biologicamente attivo T3.

Per approfondire i vari strumenti usati nella diagnosi, leggi anche:

Terapie

La terapia dell’ipotiroidismo si basa sul recupero e sul mantenimento della funzionalità tiroidea, che avviene tramite la somministrazione sostitutiva di tiroxina (T4) per via orale. E’ inoltre necessaria una modificazione dietetica per evitare la costipazione. In caso di accertato ipotiroidismo è buona regola seguire un immediato percorso terapeutico; anche nell’evenienza di patologia presunta, è consigliabile richiedere un consulto medico, per evitare che i sintomi peggiorino nel tempo. L’ipotiroidismo, rispetto alla patologia opposta (l’ipertiroidismo) è assai più semplice da curare e controllare, grazie all’ausilio di farmaci di sintesi appropriati, la cui posologia dev’essere sempre stabilita dal medico, ed eventualmente modulata durante il corso della malattia.
Utile è trattare anche i sintomi secondari derivati dall’ipotiroidismo, come ad esempio l’anemia. La correzione delle abitudini alimentari non solo è utile per affrontare meglio la terapia, ma è necessaria per evitare stipsi, che spesso accompagna chi è affetto da ipotiroidismo.
Nell’evenienza di ipotiroidismo neonatale, è doveroso intervenire prontamente per indurre uno sviluppo fisiologico; sembra determinante la somministrazione di ormoni T3 e T4 già dai primissimi stadi di sviluppo dell’embrione. Il futuro bambino dovrà assumere per tutta la vita ormoni tiroidei, prestando particolare attenzione anche agli alimenti. Da qui di comprende come sia imprescindibile la terapia sostitutiva nelle donne in gravidanza affette da ipotiroidismo.

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Farmaci per trattare l’ipotiroidismo

Levotiroxina sodica (es. Eutirox, Syntroxine, Tiracrin, Tirosint): questo farmaco è largamente impiegato in terapia per l’ipotiroidismo, oltre a rappresentare il farmaco d’elezione per la cura della tiroidite di Hashimoto. La posologia, sempre accuratamente stabilita dal medico curante, può essere modificata da paziente a paziente, in base ai livelli di ormoni tiroidei nel sangue, al livello di TSH e alla risposta del paziente alla terapia. Indicativamente, il farmaco dev’essere somministrato per bocca alla posologia di 12,5-50 mcg/dì. È possibile incrementare la dose fino a 12,5-50 mcg al dì, ogni 1-2 settimane, nel pieno rispetto delle indicazioni stabilite dal medico. Nei bambini e negli anziani, la dose viene generalmente modificata dopo un intervallo di tempo maggiore (ogni 3-6 settimane). Non superare i 200 mcg. Qualora fosse necessaria un’assunzione parenterale (diversa dalla via orale), la dose del farmaco scende del 50-75% rispetto alla somministrazione del farmaco per os. Alcuni farmaci/alimenti possono incidere pesantemente sull’assorbimento di tale sostanza: sucralfato, integratori di calcio (es. Calcio Carbonato), integratori di ferro, CCColestiramina (es. Questran), idrossido di alluminio.

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Liotironina sodica (es. Liotir, Titre): si tratta di un farmaco molto simile al precedente, dal punto di vista terapeutico, ma la molecola tende ad essere metabolizzata più velocemente dall’organismo: l’effetto terapeutico, pertanto, si manifesta dopo alcune ore ma svanisce entro 1-2 gg dal termine del trattamento. Si raccomanda di iniziare la somministrazione del farmaco alla posologia di 25 mcg, da assumere per via orale una volta ogni 24 ore. La dose può essere aumentata di 25 mcg ogni 7-14 gg, sotto la supervisione del medico. La dose di mantenimento generalmente varia da 25 a 75 mcg al dì. Non interrompere la terapia, anche in assenza dei tipici sintomi dell’ipotiroidismo.

Coma mixedematoso: sintomi, diagnosi e trattamento

Il coma mixedematoso è una complicanza dell’ipotiroidismo potenzialmente letale. Le sue caratteristiche comprendono un ipotiroidismo di fondo di lunga durata, uno stato di coma con ipotermia estrema (temperature da 24 a 32,2°C [da 75,2 a 90°F]), areflessia, convulsioni, ritenzione di CO2 e depressione respiratoria. L’ipotermia grave può non essere riconosciuta, a meno che non vengano impiegati termometri speciali con scala di lettura per le basse temperature. È imperativo porre la diagnosi rapidamente basandosi sul giudizio clinico, sull’anamnesi e sull’esame obiettivo, perché c’è la probabilità di un decesso precoce. I fattori precipitanti comprendono l’esposizione al freddo, le malattie, le infezioni, i traumi e i farmaci che deprimono il SNC. Il coma mixedematoso viene trattato con un’alta dose iniziale di T4 (da 200 a 500 mg EV) o di T3 (40 mg EV). La dose di mantenimento per la T4 va da 50 a 100 mg/die EV, e per la T3 da 10 a 20 mg/ die EV, fino a quando non si può somministrare T4 per via orale. Vengono somministrati anche corticosteroidi, perché inizialmente non può essere esclusa la possibilità di un ipotiroidismo di natura centrale. Il paziente non deve essere riscaldato rapidamente, per evitare il pericolo di aritmie cardiache. L’ipossiemia è comune, perciò all’inizio del trattamento deve essere misurata la Pao2. Se la ventilazione alveolare è compromessa, è necessaria l’assistenza ventilatoria meccanica immediata. La malattia precipitante deve essere prontamente e appropriatamente trattata, e la reintegrazione idrica condotta con prudenza, perché i pazienti ipotiroidei non eliminano l’acqua in maniera adeguata. Infine, tutti i farmaci devono essere somministrati con cautela poiché, vengono metabolizzati più lentamente di quanto avviene nelle persone normali.

Consigli dietetici

Ecco alcuni consigli per il paziente ipotiroideo:

  • preferire cibi ricchi di iodio: pesce marino, molluschi, alghe brune, latte vaccino, uova;
  • insaporire gli alimenti con sale iodato;
  • seguire una dieta equilibrata in fibre, utile per contrastare la stipsi che spesso accompagna l’ipotiroidismo;
  • l’assunzione di broccoli, cavolfiori, semi di lino, rape e ravanelli sembra incrementare il fabbisogno di iodio, pertanto il consumo di questi alimenti, nel contesto di ipotiroidismo accertato o presunto, dev’essere moderato.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Credo di essermi appesantito un pochino!

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma CREDO DI ESSERMI APPESANTITO Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Luce Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nei Dietologo Dermatologia Pene HDDopo le feste – si sa – la bilancia è impietosa e ci ricorda che pandoro e torrone non sono decisamente cibi ipocalorici. Comunque niente di grave, l’importante è rimettersi subito in carreggiata, magari aiutandovi leggendo questo articolo che è dell’anno scorso ma è decisamente attuale: Dieta disintossicante dopo il periodo natalizio: le sei regole per recuperare il peso forma dopo le abbuffate delle feste.

E buona Epifania a tutti!

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Vivi vicino ad un fast food? Sei più grasso

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO HAMBURGER PATATINE FRITTE PATATE PANINO FAST FOOD JUNK FOOD FRITTI DIETA DIMAGRIRE GRASSI (5)Si può parlare per ore di corretto stile di vita, con campagne informative e buoni esempi, ma la verità è che l’ambiente in cui viviamo incide molto di più sui nostri comportamenti di quanto ci piacerebbe ammettere. Lo sostiene uno studio inglese, pubblicato sul British Medical Journal, secondo cui la presenza di fast food vicino a casa, o all’ufficio o sulla strada tra una e l’altro aumenta la probabilità di consumare più cibo spazzatura e anche quella di essere obesi. Gli autori notano che nell’ultimo decennio il consumo di pasti fuori casa in Gran Bretagna è aumentato del 29% e il numero di negozi e ristoranti che offrono alimenti da asporto ha avuto un’impennata. Proprio la maggiore offerta di cibi pronti ipercalorici potrebbe essere responsabile dell’aumento dell’incidenza di sovrappeso e obesità nella popolazione.

Lo studio inglese

Basandosi sui dati di uno studio epidemiologico che nel 2011 ha coinvolto oltre 5.000 partecipanti tra i 29 e i 62 anni, gli studiosi dell’Università di Cambridge hanno verificato la presenza di fast food nelle vicinanze di casa e ufficio e nel tragitto percorso ogni giorno da ciascuno. Grazie alla compilazione di questionari sulle abitudini alimentari, i ricercatori hanno stimato i grammi di assunzione giornaliera di pizza, hamburger, cibo fritto. Inoltre hanno esaminato l’indice medio di massa corporea dei partecipanti, verificandone anche le abitudini in fatto di fumo e di attività fisica (grazie a un accelerometro che ne registrava i movimenti).

I risultati

Hanno scoperto che le persone erano molto più esposte ai punti vendita con cibi poco sani vicino al lavoro che vicino a casa (48%) e che l’esposizione media tra casa, ufficio e il percorso tra i due era di 32 punti vendita: un vero supplizio di Tantalo. Quello che è emerso è che le persone del gruppo più esposto a queste cattive tentazioni alimentari avevano un indice di massa corporea mediamente più alto di 1,21 punti rispetto al gruppo dei meno esposti e quasi il doppio delle probabilità di essere obese. Dati impressionanti che, seppure non sufficienti per stabilire un rapporto causa-effetto, come avverto gli stessi autori, possono far riflettere sul contributo che l’ambiente intorno a noi può dare alle nostre scelte alimentari, soprattutto in questo caso a quelle che si rivelano dannose per la salute.

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Quante calorie ha la pasta cruda e cotta? I 15 consigli per mangiarla senza ingrassare

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PASTA DIETA MEDITERRANEA CUCINARE CIBO DIETA DIMAGRIRE CUCINA (4)

Cosa contiene la pasta?

Le definizioni  “pasta di semola di grano duro e pasta di semolato di grano duro” sono contenute nel DPR 187/01. Clicca questo link per consultarlo: DPR187_01

Il DPR 187/01, all’articolo 6, recita:

Sono denominati “pasta di semola di grano duro” e “pasta di semolato di grano duro” i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente:

  • a) con semola di grano duro ed acqua;
  • b) con semolato di grano duro ed acqua.

Gli unici ingredienti ammessi per legge la produzione della pasta di semola e di semolati di grano duro in Italia sono quindi la semola o i semolati e l’acqua, con l’eccezione per le paste speciali come ad esempio la pasta all’uovo o la pasta con ripieno. E’ consentita l’aggiunta di sale (cloruro di sodio) fino ad un massimo del 4% sul prodotto secco.

Quante calorie contiene?

Dal momento che esistono regole così rigide, anche prendendo marche diverse le calorie di questo tipo di pasta sono praticamente sempre uguali e corrispondono a circa 353 kcal per 100 grammi (1476 kj). Ovviamente a queste calorie serve aggiungere quelle del condimento: la stessa pasta cotta con un filo d’olio e parmigiano contiene ad esempio molte meno calorie di un’amatriciana.

Pasta cruda

100 grammi di pasta di semola semola di grano duro (cruda) contengono:

  • 353 kcal
  • 11 g di acqua
  • 11 g di proteine
  • 1,4 g di lipidi
  • 79 g di carboidrati
  • 68 g di amido
  • 4 g di zuccheri
  • 2,7 g di fibre
  • 4 mg di sodio.

Le 353 kcal per 100 grammi di pasta di semola di grano duro, sono così “composte”:

  • da carboidrati 296,80 kcal (84,08%)
  • da grassi 12,60 Kcal (3,57%)
  • da proteine 43,60 Kcal (12,35%).

I 100 grammi di pasta, contengono quindi:

  • 84 grammi di carboidrati;
  • 3 grammi di grassi;
  • 12 grammi di proteine (di basso valore biologico, quindi non certo paragonabili per esempio a 12 grammi di proteine ottenuti dalla carne).

Pasta cotta

È importante infine ricordare che la pasta raddoppia il proprio peso in cottura: 100 grammi di pasta di semola di grano duro cruda diventano 200 grammi da cotta. La densità calorica viene dimezzata: la pasta passa infatti da 353 kcal per 100 grammi (cruda) a 353 kcal per 200 grammi (cotta), quindi 176 kcal per 100 grammi di pasta di semola di grano duro cotta. Ricapitolando:

  • pasta cruda: 353 kcal per 100 grammi;
  • pasta cotta: 176 kcal per 100 grammi.

Nelle diete, generalmente, la quantità di pasta è indicata a crudo. Se sono indicati 80 grammi di pasta, voi dovrete pesare 80 grammi di pasta cruda, che diventeranno circa 160 grammi da cotta.

Consigli per mangiare pasta senza ingrassare

La pasta non va assolutamente da una dieta ipocalorica, ma bisogna comunque tenere a mente alcune regole:

  1. non eccedere mai con le quantità;
  2. non eccedere mai con condimenti ipercalorici;
  3. preferirei una pasta di qualità;
  4. preferire la qualità alla quantità;
  5. evitare l’uso di condimenti ricchi di grassi animali saturi (sughi alla panna, alla besciamella…);
  6. preferire i grassi vegetali insaturi (usare olio extravergine di oliva di qualità aggiunto a freddo, senza comunque esagerare);
  7. abbinare la pasta a grandi quantità di verdure di stagione;
  8. abbinare la pasta ai legumi;
  9. abbinare la pasta al pesce;
  10. abbinare la pasta a spezie molto saporite;
  11. evitare la “spolverata” di formaggio;
  12. preferire la pasta integrale, che ha un più basso indice glicemico, previene il diabete e la stipsi;
  13. preferire una cottura al dente;
  14. abbinare un secondo leggero;
  15. evitare di assumere la frutta a fine pasto.

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Mangiare di più nel week end, fa ingrassare?

MEDICINA ONLINE DIETA UOMO PANCIA GRASSO DIMAGRANTE GRASSI CALORIE ATTIVITA FISICA SPORT DIMAGRIRE PERDERE PESOTutti noi lo sappiamo con certezza: è nei giorni del week end che si tende a mangiare di più, perchè si esce con gli amici, si fa l’aperitivo, poi una cena in ristorante ed in uuscendo con gli amici o restando in famiglia. Ma non sono gli eccessi del weekend a decretare il successo o il fallimento di una dieta, bensì il comportamento alimentare tenuto negli altri cinque giorni della settimana. Lo sostiene uno studio condotto da un team della Cornell University, in collaborazione con l’Università di Tecnologia di Tampere in Finlandia, che ha analizzato i ritmi dell’aumento e della perdita di peso di 80 adulti tra i 55 e i 62 anni. Divisi in tre categorie a seconda se perdevano peso, lo acquistavano o lo mantenevano stabile nel corso dell’osservazione, i partecipanti dovevano pesarsi ogni giorno prima di colazione. Solo le pesate effettuate per almeno 7 giorni consecutivi venivano tenute in considerazione ai fini della ricerca, e il tempo di follow-up è andato da un minimo di 15 giorni a un massimo di 330. Gli studiosi hanno potuto analizzare l’andamento del peso nel corso della settimana per capire quali errori commettevano coloro che tendevano a mettere su chili rispetto a chi invece li perdeva o restava di peso costante.

I risultati

L’andamento generale indica che le persone tendono a prendere peso nel weekend (i valori più alti si registrano infatti di domenica e di lunedì), e a perderlo nel corso della settimana lavorativa. Ma in queste fluttuazioni gli autori hanno notato una sostanziale differenza tra chi ingrassa e chi dimagrisce. Mentre questi ultimi mostrano una forte tendenza a compensare gli eccessi del weekend, cominciando a perdere peso già a inizio settimana per toccare il massimo del dimagrimento il venerdì, gli altri non presentano un andamento altrettanto costante. Questo spinge Brian Wansink, economista comportamentale della Cornell, tra gli autori dello studio pubblicato su Obesity Facts, a sostenere che le “variazioni di peso tra giorni feriali e fine settimana dovrebbero essere considerate normali, non come il sintomo di un aumento di peso. La grande differenza tra coloro che prendono peso nel tempo e chi lo perde o lo mantiene è direttamente correlata al modo in cui mangiano da lunedì a venerdì. Concedersi qualche caloria in più durante i weekend non fa male, ma per il successo della dieta è importante notare questi ritmi e prendere provvedimenti per invertire la tendenza al rialzo dopo il fine settimana”.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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