Digiuno intermittente e terapeutico: fa dimagrire? Fa bene o fa male alla salute?

MEDICINA ONLINE DIGIUNO INTERMITTENTE TERAPEUTICO WARRIOR DIET GUERRIERO DIETA DIMAGRIRE NOTTE COLAZIONE PRANZO MUSCOLI CALORIE PALESTRA FA BENE FA MALE SALUTE PROTEINE DIGESTIONEDigiunare significa astenersi dal consumo di alcuni o di tutti gli alimenti, delle bevande o di entrambi, per un periodo di tempo più o meno lungo che può essere determinato o indeterminato. Il digiuno assoluto è definito come la mancata assunzione di qualunque cibo solido o liquido per un certo periodo, di solito compreso tra le 24 ore ed alcuni giorni. Fin dalla preistoria, poiché il cibo non è sempre stato disponibile, il digiuno intermittente è sempre esistito e qualsiasi organismo animale è in grado di sopportarlo grazie alle scorte di grasso ed alla straordinaria capacità del nostro sistema endocrino. Per l’uomo moderno industrializzato, la carenza di cibo non è più un problema, anzi è un problema l’eccesso di cibo! A tal proposito molti individui si auto-impongono il digiuno per dimagrire. Ma serve davvero? E soprattutto: fa bene o fa male alla salute?

Per meglio comprendere questo articolo, vi consiglio di leggere prima: Differenza tra catabolismo, anabolismo, metabolismo basale e totale

Digiuno e metabolismo
La prima cosa da dire per chiarire le cose è che, entro certi limiti, un incremento dell’assunzione di calorie con l’alimentazione possa produrre un’accelerazione del metabolismo, mentre viceversa una diminuzione dell’assunzione di calorie ha il risultato opposto, ovvero un rallentamento del metabolismo. I principi che regolano questo fenomeno costituiscono un meccanismo cardine per la sopravvivenza di ogni organismo: quando la disponibilità delle risorse fornite dall’esterno inizia a diminuire, l’organismo si autoregola diminuendo gradualmente (e proporzionalmente) il suo fabbisogno energetico; allo stesso modo, quando invece le risorse disponibili aumentano, l’organismo si adatta di conseguenza e predispone le sue attività in maniera tale da consumare più energia. Per raggiungere un sano dimagrimento è quindi sbagliato il digiuno prolungato, decisamente meglio puntare su:

  • corretta alimentazione con il giusto apporto calorico (dieta ipocalorica se il soggetto è sovrappeso) e nutrienti;
  • aumento di massa magra (ottenuto con l’attività fisica) importante per innalzare il metabolismo basale;
  • adeguata attività fisica importante per innalzare il metabolismo basale.

Detto ciò, tutti i digiuni sono sbagliati? La risposta è NO. Il digiuno prolungato è sbagliato ma altre forme di digiuno – in individui selezionati, sotto stretto controllo medico e per periodi limitati – possono essere perfino utili. Il digiuno può essere benefico o nocivo in base ad alcuni fattori; ad esempio: durata, completezza dell’astensione alimentare o supporto nutrizionale, controllo medico, presupposti patologici per la sua applicazione ecc. Non tutte le forme di digiuno sono uguali; alcune risultano estremamente debilitanti ed immotivate, altre meno estenuanti e più razionali.
Il digiuno, controllato o non controllato, terapeutico oppure no, risulta comunque parecchio stressante per il corpo e la mente. Tuttavia, la sua potenziale nocività dipende soprattutto dai parametri con i quali viene programmato.
Un esempio di digiuno eticamente discutibile (ma dal punto di vista scientifico abbastanza corretta) è la “dieta del sondino“. Questa si basa su una forma di digiuno cronico, durante il quale l’organismo viene supportato esclusivamente dalla nutrizione artificiale enterale (sondino naso gastrico). Pratiche simili possono indurre:

  • debilitazione fisica e tendenza alla malnutrizione ed alla chetosi (vedi sotto);
  • limitazione delle attività motorie;
  • diseducazione alimentare.

Al contrario, nei soggetti affetti da patologie del metabolismo, brevi periodi di stop alimentare – come, ad esempio, l’enfatizzazione del periodo di digiuno notturno (quello durante il sonno, portandolo da 8 a 12 o 14 ore) – non provocano effetti collaterali e favoriscono la remissione di certi parametri metabolici (soprattutto iperglicemia e ipetrigliceridemia) o di altri disturbi (steatosi epatica, reflusso gastro esofageo ecc). Ovviamente, l’esempio appena riportato non rappresenta un vero e proprio digiuno e questa costituisce l’unica forma di astensione alimentare potenzialmente benefica e priva di effetti collaterali.
In molti credono che il digiuno assoluto possa incidere negativamente sui flussi ormonali, nello specifico sopprimendo l’azione della ghiandola tiroide (quella che secerne gli ormoni deputati alla regolazione del metabolismo); ciò è vero solo in parte. Infatti, il digiuno prolungato riduce senza dubbio la secrezione degli ormoni tiroidei, tuttavia, in genere, questa decurtazione non si manifesta prima delle 24 o 48 ore.
Ci sono alcune prove scientifiche che dimostrano come il digiuno possa avere un ruolo importante nelle persone che ricevono la chemioterapia, ma sono necessari ulteriori studi per definirne l’efficacia reale ed un’eventuale applicazione clinica.

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Il digiuno terapeutico è veramente terapeutico?
Alcuni centri specializzati nella cura delle patologie metaboliche utilizzano il digiuno terapeutico per la riduzione del peso e per il ripristino dei parametri metabolici.
Raramente, i sistemi di digiuno terapeutico si fondano sull’astinenza irrevocabile del cibo e nessuno di questi vieta l’utilizzo dell’acqua. Al contrario, la tendenza è quella di incentivare l’assunzione di liquidi e, talvolta, di certi alimenti vegetali a porzioni determinate (soprattutto nel caso di certe malattie particolari).
Secondo l’esperienza degli operatori che propongono il digiuno terapeutico, la difficoltà maggiore consiste nell’accettazione iniziale della terapia, non nel protocollo stesso. In pochi credono di poter resistere 2 o 3 settimane senza mangiare ma, d’altro canto, sono in molti ad aver raggiunto spontaneamente anche i 30-40 giorni.

Come Funziona?
Premessa importante: questa tecnica non può essere utilizzata in caso di compromissioni epatiche, diabete mellito tipo 1 o altre malattie metaboliche. Il digiuno terapeutico si divide in tre fasi principali:

  1. Le prime 24-48 ore della terapia prevedono il digiuno completo con la sola assunzione di acqua. In questa fase (la più dura per il paziente), il corpo consuma la maggior parte dello zucchero e dei trigliceridi presenti nel sangue; ovviamente, i livelli di glucosio vengono mantenuti progressivamente stabili dal glicogeno epatico, mentre l’azione motoria (tipicizzata dal riposo assoluto) è supportata prevalentemente dalle riserve di glicogeno muscolare.
  2. L’azione metabolica “vera” (o meglio, quella ricercata dai terapisti) avviene al termine di questa prima fase, cioè quando le riserve di glicogeno sono ridotte al minimo. A questo punto, il corpo inizia a bruciare prevalentemente il tessuto adiposo, con la produzione ed il riversamento sanguigno di molecole chiamate chetoni. Talvolta, nei soggetti compromessi o che assumono certi farmaci, il digiuno terapeutico prevede l’assunzione di succhi vegetali come spremute e centrifugati per ridurre lo stato di chetoacidosi. I supplementi nutrizionali sono di natura vitaminica, salina ed amminoacidica.
  3. Il digiuno terapeutico viene interrotto in materia progressiva, iniziando con l’assunzione di succhi e centrifugati, poi di frullati e vegetali in pezzi, giungendo fino all’assunzione di cereali e legumi.

Effetti del digiuno terapeutico:

  • Digiuno e Acidosi. I chetoni, pur essendo potenzialmente tossici (se non efficacemente smaltiti dall’organismo), possono avere degli effetti positivi sulla compliance terapeutica (sopportazione della strategia).
    Infatti, agendo in maniera soppressiva nei confronti del sistema nervoso centrale, i chetoni riducono al minimo lo stimolo della fame.
    Certi sostengono addirittura che i chetoni possano provocare una sensazione di benessere generalizzato. Tuttavia, questa condizione detta “chetoacidosi” non è esente da effetti collaterali, tra i quali: tossicità epatica e renale, tendenza alla disidratazione, ipotensione ecc.
  • Digiuno e Riposo Digerente. Chi propone il digiuno terapeutico afferma che questa sensazione di benessere non è imputabile solamente alla chetoacidosi, ma anche al riposo totale del tratto gastrointestinale. Effettivamente, la digestione dei soggetti affetti da obesità è un processo sempre abbastanza impegnativo; consumando pasti molto abbondanti, poco digeribili e responsabili di picchi glicemici elevati, queste persone sono abituate a convivere con una sensazione di debolezza psico-fisica pressoché continua.
  • Digiuno e Lavaggio Cellulare. Un ulteriore effetto benefico del digiuno terapeutico, ulteriormente enfatizzato dalla somministrazione di integratori antiossidanti, è il “lavaggio cellulare”. Non tutti sanno che l’organismo possiede vari mezzi di escrezione delle molecole inutili o tossiche; tra questi, la bile, le feci, le urine, il sudore, il muco, la ventilazione polmonare, i capelli, i peli, le unghie ecc. Il digiuno terapeutico consente di sfruttare questi meccanismi senza incamerare parallelamente altri inquinanti o altri agenti tossici, tra i quali ricordiamo: mercurio, arsenico, piombo, diossina ed additivi alimentari.
  • Digiuno e Papille Gustative. Un altro grande vantaggio del digiuno terapeutico è il ripristino della funzionalità papillare gustativa della lingua, che avviene attraverso un processo definito neuroadattamento. Questo effetto di “reset” percettivo dei gusti è molto utile per la successiva riorganizzazione della dieta (fase di mantenimento), che prevede l’utilizzo esclusivo di cibi freschi e poco conditi.

IMPORTANTE
Il digiuno terapeutico va contro qualunque principio di dietetica, equilibrio nutrizionale ed educazione alimentare. E’ un intervento radicale che potrebbe trovare applicazione nel rimpiazzo della chirurgia bariatrica (quella chirurgia che viene adottata sui grandi obesi).
Bisogna ricordare che le diete chetogeniche possono anche avere un effetto deleterio sull’organismo, a partire dall’affaticamento renale fino al deperimento del tessuto muscolare, specie in alcuni soggetti. E’ importante sottolineare che si tratta di una tecnica praticabile in ogni caso SOLO SOTTO CONTROLLO MEDICO. La supervisione ed il monitoraggio osservano principalmente: pressione arteriosa, volemia, glicemia, acidosi metabolica ecc.
Il consiglio globale per chi affronta il digiuno terapeutico è quello di sospendere qualsiasi cura farmacologica, ad eccezione di quelle insostituibili (ad es ormoni tiroidei, farmaci per la pressione in caso di difetti congeniti ecc). In presenza di certe patologie (organiche o psichiatriche), di condizioni fisiologiche speciali (gravidanza, allattamento), terza età ed accrescimento, il digiuno terapeutico è TOTALMENTE SCONSIGLIATO.

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Differenza tra catabolismo, anabolismo, metabolismo basale e totale

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-catabolismo-anabolismo-metabolismo-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenzIl metabolismo è l’insieme dei processi anabolici (costruttivi) e catabolici (degradativi) svolti all’interno di un organismo. Questi processi sono caratterizzati da numerose reazioni chimiche catalizzate da enzimi e consentono agli organismi di crescere e riprodursi, mantenere le proprie strutture e rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente circostante. Nel linguaggio comune per metabolismo si intende la capacità dell’organismo di bruciare calorie. Un “metabolismo veloce” permette dunque di bruciare nell’unità di tempo una quantità maggiore di calorie rispetto ad un metabolismo lento.

Quando parliamo di metabolismo dobbiamo però fare una importante distinzione:

  • metabolismo totale (MT) o TMR (total metabolic rate): indica il dispendio energetico totale di un individuo ed è la somma del metabolismo basale più il consumo da TID (termogenesi indotta dagli alimenti) e il surplus di consumo legato all’attività dell’organismo durante la giornata. La sua unità di misura è la chilocaloria (simbolo kcal).
  • metabolismo basale (MB) o BMR (basal metabolic rate): indica il dispendio energetico di un individuo a riposo e comprendente dunque l’energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali (respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, ecc.). Rappresenta circa il 45-75% del dispendio energetico totale nella giornata (questa grande variabilità è in funzione del rapporto tra % di massa magra e grassa soggettiva) e può essere misurato con la calorimetria o con una bioimpedenziometria. La sua unità di misura è la chilocaloria (simbolo kcal). Mediamente il metabolismo basale giornaliero corrisponde a circa 25 kcal x kg di peso corporeo.

Quindi:

metabolismo basale (a riposo) + attività fisica giornaliera + termogenesi indotta dalla dieta = metabolismo totale

Per capire cos’è la termogenesi indotta dalla dieta, leggi questo articolo: Termogenesi indotta dalla dieta: scopri il segreto per dimagrire

Per approfondire, leggi anche: Metabolismo basale: cos’è, definizione, calcolo, alto, basso, totale

La velocità del metabolismo totale dipende da numerosissimi fattori concatenati tra loro, alcuni modificabili, altri non modificabili, tra cui:

  • età;
  • assunzione media giornaliera di calorie;
  • secrezione ormonale;
  • tipo di alimentazione (maggiore o minore quota di proteine);
  • integratori alimentari;
  • attività fisica;
  • patologie endocrine;
  • stile di vita;
  • ciclo mestruale;
  • condizioni di stress psicofisico;
  • farmaci;
  • idratazione;
  • percentuale di massa magra e grassa del corpo;
  • periodo dell’anno.

Curiosità: Se la tua vita è sedentaria, un piccolo trucco per aumentare il metabolismo è quello di contrarre attivamente la muscolatura durante la giornata. Appiattisci la pancia, stringi i pugni, muovi le gambe, contrai i quadricipiti. Queste contrazioni spontanee, a cui spesso non facciamo molto caso contribuiscono in maniera significativa ad accelerare il metabolismo, tanto che sono tipiche dei soggetti magri ed ipereattivi, mentre si osservano assai più di rado negli obesi. Potete farlo anche a scuola o al lavoro!

Leggi anche: Digiuno intermittente e terapeutico: fa dimagrire? Fa bene o fa male alla salute?

Anabolismo
L’anabolismo è quella parte del metabolismo che riguarda i processi di accrescimento e sintesi. Nel corpo umano ci sono alcune parti e tessuti che crescono di continuo per tutta la durata del ciclo vitale, mentre altre in condizioni normali cessano il loro accrescimento al termine del periodo di sviluppo, ovvero intorno al sedicesimo – diciottesimo anno di vita. L’accrescimento corporeo è dovuto essenzialmente alla secrezione di somatotropina, nota anche come ormone somatotropo, ormone della crescita, STH, oppure SH o GH (growth hormone), il quale abbonda durante il suddetto periodo dello sviluppo. Quando la secrezione naturale del GH si arresta, è possibile comunque indurne la produzione endogena. Sostanzialmente ciò avviene solamente quando vengono fatti scattare dei meccanismi di supercompensazione, e solamente in condizioni di ipernutrizione. In pratica l’anabolismo indotto è possibile solamente se l’organismo ha a disposizione risorse energetiche e nutrizionali molto superiori a quelle che gli sarebbero strettamente indispensabili per svolgere le normali attività fisiologiche. Nel body building questo si traduce nell’applicazione dei principi per la crescita delle masse muscolari, i quali sono infatti basati su allenamenti in grado di suscitare reazioni di adattamento molto accentuate, e su regimi alimentari iperproteici ed ipercalorici, che pongono l’organismo in una condizione ottimale per l’anabolismo cellulare.

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Catabolismo
Il catabolismo è quella parte del metabolismo che riguarda i processi di degradazione e scissione cellulare. Esso si verifica normalmente in tutti i tessuti le cui cellule sono sottoposte ad un continuo ricambio, tuttavia esso compare anche quando si verificano condizioni in cui all’organismo occorre energia e non ci sono risorse energetiche immediatamente disponibili. In tali condizioni l’organismo si procura le risorse energetiche che gli occorrono andando a intaccare porzioni di tessuto adiposo o muscolare, il quale viene dunque trasformato in energia. Sia il grasso corporeo che le proteine muscolari costituiscono una fonte energetica di ottima qualità, in quanto contenenti una energia chimica specifica (per unità di massa) superiore a quella dei carboidrati. Tuttavia, come è facilmente comprensibile, mentre l’utilizzo dei grassi è positivo perché provoca la riduzione del grasso corporeo, l’utilizzo delle proteine muscolari come fonte energetica è un processo negativo, e va assolutamente evitato soprattutto ovviamente nell’ambito del body building.

Evitare il catabolismo
Per evitare che l’organismo si procuri energia consumando massa muscolare, è indispensabile mantenere sempre positivo il bilancio azotato nel sangue. Ciò significa che nell’arco della giornata bisogna assumere con gli alimenti proteine in quantità e con frequenza tali da impedire l’abbassamento drastico dell’azotemia nel sangue. In generale, il bilancio azotato si può mantenere sufficientemente alto se si fanno dei pasti con una frequenza di massimo tre ore, ed includendo in ogni pasto almeno 20 o 30 grammi di proteine (la quantità è variabile in base al soggetto).

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Distribuzione del grasso nell’uomo e nella donna: androide, ginoide e di tipo misto

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO DISTRIBUZIONE CORPO OBESITA MASCHILE FEMMINILE ANDROIDE GINOIDE MISTA VISCERALE SOTTOCUTANEA ADDOME GLUTEI SOVRAPPESO ADIPE DIFFERENZEIl prof. Jean Vague, docente all’Università di Marsiglia, nei primi anni ’50 del secolo scorso, studiando la distribuzione del tessuto adiposo, introdusse la distinzione tra obesità androide ed obesità ginoide, osservando che alla prima si associava un maggior rischio di ipercolesterolemia, iperuricemia, ipertensione e ridotta tolleranza ai carboidrati, ed era quindi più pericolosa di quella ginoide. Oltre che dal punto di vista quantitativo (eccesso di massa grassa) le obesità vanno dunque indagate anche sotto l’aspetto qualitativo. Già in condizioni fisiologiche e di peso corporeo normale, maschio e femmina nella maggioranza dei casi si distinguono per una diversa distribuzione della massa adiposa: le forme corporee sono infatti legate al rapporto tra ormoni sessuali maschili (androgeni) e femminili (estrogeni), che porta appunto l’adipe a distribuirsi in modo leggermente diverso. Tale fenomeno diventa evidente nel periodo postmenopausale, nel quale, a causa del calo dei livelli estrogenici, si assiste ad una redistribuzione del grasso corporeo. In condizioni patologiche e di forte sovrappeso od obesità, tali differenze possono acuirsi e diventare molto visibili, dando luogo a tre principali tipi di fenotipo: obesità androide, obesità ginoide e obesità mista.

Obesità androide

L’obesità androide, detta anche “obesità centrale”, “obesità viscerale”, “obesità tronculare” od “obesità a mela”, è un fenotipo di distribuzione dell’adipe tipicamente (ma non esclusivamente) maschile, che si associa ad una maggiore distribuzione di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale e cerviconucale. L’obesità androide viene detta anche “viscerale” perché si associa ad un’elevata deposizione di adipe in sede intraviscerale (addominale o interna).

Obesità ginoide

L’obesità ginoide, detta anche “obesità periferica“, “obesità sottocutanea” od “obesità a pera“, è un fenotipo di distribuzione adiposa tipicamente (ma non esclusivamente) femminile, che si caratterizza per una distribuzione delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nelle regioni glutee ed in quelle femorali. L’obesità ginoide viene anche detta “sottocutanea” perché il grasso è presente soprattutto nel compartimento sottocutaneo, con conseguente elevato rapporto tra grasso superficiale e profondo.

Obesità mista

L’obesità mista, detta anche “obesità di tipo misto“, “obesità di tipo intermedio” od “obesità intermedia”, è un fenotipo di distribuzione adiposa, che si caratterizza per una distribuzione omogenea delle masse adipose in tutte le parti del corpo, rappresentando quindi una “unione” tra l’obesità androide e quella ginoide. E’ meno diffusa rispetto alle altre due forme di obesità.

Distribuzione del grasso e sesso

Il termine “androide” deriva dal greco ἀνδρός (andrós), che significa “uomo”, mentre “ginoide” deriva dal greco γυνή (guné), che significa “donna”. Ciò potrebbe far pensare che l’obesità androide sia possibile solo nei maschi, mentre quella ginoide si verifichi esclusivamente nelle femmine: ciò è sbagliato. L’obesità androide, pur essendo più frequente negli uomini, può essere riscontrata anche nelle donne, mentre quella ginoide, pur più frequente nelle donne, può comparire anche negli uomini.

Qual è l’obesità più pericolosa?

Il lettore più attento dovrebbe avere già la risposta, almeno se ha letto l’introduzione di questo articolo. Tra quella androide e quella ginoide, l’obesità più pericolosa, per quanto riguarda le complicanze cardiovascolari e metaboliche, è quella androide, sia che si instauri nell’uomo sia che compaia nella donna. Questo ovviamente non significa che l’obesità ginoide sia salutare: ricordo infatti che l’obesità – in qualsiasi sua forma e soprattutto se di grado elevato – non è solo un fattore di rischio per numerose malattie, come quelle cardiovascolari ed il diabete, ma è anche essa stessa considerata dall’OMS una malattia.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Percentuale di grasso corporeo normale per uomo e donna

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PERCENTUALE DI GRASSO CORPOREO UOMO DONNA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgIl range di normalità per la percentuale di grasso corporeo considerata adeguata per una vita in salute è mediamente il seguente:

Uomini: tra il 10% ed il 18%

Donne: tra il 18% ed il 26-28%

Rispetto alla popolazione generale, le percentuali di grasso corporeo desiderabili per i soggetti fisicamente attivi, e ancor più per gli atleti professionisti, sono ovviamente inferiori, come vedremo in seguito. Una domanda che ci si può porre è: perché uomo e donna hanno percentuali di grasso corporeo normale così diverse? La ragione di questa profonda differenza tra uomo e donna è determinata dalla maggior quantità di grasso primario o essenziale della donna (12% contro il 3-5% dell’uomo) e dal diverso corredo ormonale (che favorisce un maggior accumulo di massa magra nell’uomo piuttosto che nella donna). Ciò riflette – non me ne vogliano le femministe – i compiti che la natura ha inizialmente ritagliato per i due sessi fin dalla preistoria: l’uomo cacciatore doveva portare “a casa” il cibo, la donna aveva invece il compito di gestire la gravidanza. Masse magre e grasse diverse adeguate per svolgere compiti diversi.

Cos’è il grasso primario o essenziale?

Il grasso primario o essenziale rappresenta la quota di adipe contenuta nel sistema nervoso centrale, nel midollo osseo, nelle ghiandole mammarie, nei reni, nella milza ed in altri tessuti. Considerata la particolare localizzazione anatomica, il grasso essenziale possiede un ruolo fisiologico di primaria importanza, al punto da essere considerato la minima percentuale di massa grassa compatibile con uno stato di buona salute. Il grasso di deposito – che sommato a quello primario ci dà l’entità del grasso corporeo totale – è concentrato a livello sottocutaneo, toracico – addominale (viscerale), intramuscolare ed intermuscolare, con profonde differenze di localizzazione tra uomo e donna che sono assenti nell’infanzia ma che iniziano a manifestarsi dopo la pubertà:

  • Disposizione androide dell’adipe: (anche detta centrale, viscerale, tronculare o “a mela”): tipicamente maschile, si associa ad una maggiore distribuzione di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale e cerviconucale.
  • Disposizione ginoide dell’adipe (detta anche periferica, sottocutanea o “a pera”): tipicamente femminile, si caratterizza per una distribuzione delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nelle regioni glutee ed in quelle femorali.

E’ interessante notare infine che in età adulta il tessuto adiposo viscerale risulta maggiore nell’uomo rispetto alla donna, mentre il tessuto adiposo sottocutaneo è maggiore nella donna piuttosto che nell’uomo.

Leggi anche: Il ciclo influenza le prestazioni in palestra: il periodo migliore per allenarsi e gli esercizi da fare durante le mestruazioni

Quando il grasso è troppo poco

Quando la percentuale di grasso corporeo scende fino a ridursi alla sola quota di grasso essenziale o poco più, l’organismo ne risente; si registra, ad esempio, una maggiore suscettibilità alle infezioni nell’uomo ed amenorrea, spesso accompagnata ad osteopenia, nella donna. A tale proposito leggi anche: Mancanza di ciclo mestruale da eccessivo allenamento: cause e cure

Percentuale di grasso corporeo totale per le diverse categorie di soggetti

Ovviamente la quantità di grasso considerata “normale” per un giovane atleta professionista, non è la medesima per un individuo “comune” o avanti con gli anni.

Maschi Femmine
Atleti 5.0 – 13.0 12.0 – 22.0
Persone attive 12.0 – 18.0 16.0 – 25.0
Leggero soprappeso 19.0 – 24.0 26.0 – 31.0
Obesi > 24.0 > 31.0

Per misurare la percentuale di grasso corporeo sono state sviluppate diverse metodiche, come la plicometria e la bioimpedenziometria. A tale proposito leggi anche: La dieta ti sta facendo perdere massa magra o massa grassa? Scoprilo con la bioimpedenziometria

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Sindrome dell’intestino irritabile: cause, sintomi e diagnosi

MEDICINA ONLINE Medico Chirurgo Roma SINDROME INTESTINO IRRITABILE CAUSE SINTOMI DIAGNOSI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie AnoLa sindrome dell’intestino irritabile (da cui l’acronimo “IBS”) rappresenta una parte di un più vasto gruppo di malattie funzionali gastroenteriche, caratterizzata prevalentemente da dolore addominale e disturbi della defecazione. Questo disturbo è molto frequente e può essere associato con alterazioni della sfera psichica, riduzione della qualità della vita, disabilita sociale ed elevati costi socio-sanitari. In Italia ne soffre circa il 30% della popolazione, ad essere colpite sono soprattutto le donne, tra i 30 ed i 50 anni.

Cause e fattori di rischio della Sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile ha varie cause e fattori di rischio, tra cui:

1) Cause fisiopatologiche: queste includono:

  • Alterazioni della motilità intestinale;
  • ipercontrattilità del sigma di tipo non propulsivo che si accentua dopo il pasto;
  • ipersensitività viscerale (distensione anche minima delle pareti del colon, provocano dolore);
  • infiammazione: da allergie/intolleranze alimentari, infezioni intestinali o modificazioni della flora batterica intestinale;
  • patologie di interesse psichiatrico: in uno studio di Drosmann del 1988 si è visto che nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile, erano più frequenti disturbi come la depressione, l’ipocondria, e la paranoia.

2) Fattori genetici: esistono studi sui gemelli monozigoti che dimostrano una certa prevalenza di gemelli affetti da IBS. Si ritiene che non solo l’ambiente familiare ma proprio meccanismi genetici siano responsabili di una predisposizione a sviluppare IBS. In uno studio pubblicato da Levy nel 2001 si osserva che la prevalenza di IBS nei gemelli monozigoti è doppia rispetto a quella nei gemelli di zigoti, che hanno una prevalenza simile a quella dei pazienti con IBS non geneticamente trasmessa.

3) Fattori psicologici: alla base della sindrome dell’intestino irritabile, possono esserci periodi di forte stress psicologico, determinati ad esempio da lutti, forte stress lavorativo, mobbing, bullismo, licenziamento.

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Diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile

La diagnosi si serve di vari strumenti, tra cui l’anamnesi (raccolta dei dati e dei sintomi del paziente), l’esame obiettivo (raccolta dei segni), diagnostica per immagini (radiografie, ecografie, TC…) ed esami di laboratorio (esame del sangue, esame delle feci…).

Anamnesi ed esame obiettivo

All’anamnesi il paziente riferisce in genere un dolore addominale prsente insieme ad almeno due dei seguenti punti:

  • il dolore è attenuato dalla evacuazione;
  • esistono variazioni nella frequenza delle evacuazioni;
  • esistono variazioni nella consistenza delle feci.

Questi sintomi devono essere presenti per almeno 12 settimane (non necessariamente consecutive) negli ultimi 12 mesi. Altri sintomi sono:

  • presenza di muco;
  • gonfiore o tensione addominale;
  • alterata consistenza delle feci).

Essi possono essere presenti ma non sono elementi sintomatologici fondamentali.
Pertanto questi criteri rappresentano l’elemento diagnostico fondamentale su cui ci dobbiamo basare per porre diagnosi di IBS. Ma è importante che la valutazione di questi criteri sia completata dalla esclusione di altri quadri clinici, che abbiano la presenza di sintomi uguali, e che includono patologie organiche o altre patologie funzionali.
Quando non vi siano segni di “allarme” come la perdita di peso, la diarrea refrattaria e viene esclusa un’anamnesi familiare di Cancro del Colon, la specificità dei Criteri di Roma supera il 98% ed il rischio di misconoscere una patologia organica è molto basso.

Oltre ad un’attenta anamnesi completata da un esame obiettivo accurato (che miri ad escludere una epatomegalia, masse addominali o segni di occlusione intestinale), può essere opportuno completare l’esame obiettivo con una esplorazione rettale, soprattutto quando viene descritta la presenza di sangue nelle feci o sintomi di incontinenza.

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Diagnostica per immagini ed esami di laboratorio

Oltre ad anamnesi ed esame obiettivo, laboratorio ed immagini sono componenti importanti per la diagnosi e la diagnosi differenziale. Utili un esame completo ematologico ed una ricerca del sangue occulto fecale. Tra gli esami consigliati troviamo la VES, la biochimica clinica, il TSH e la ricerca di parassiti fecali e delle uova. Nei soggetti giovani che presentano diarrea può essere utile dosare gli anticorpi antigliadina (aga) ed antiendomisio (ema) per la diagnosi della celiachia.
Per pazienti che abbiano superato i 50 anni e vi siano elementi che possono far sospettare patologie gravi (come il cancro al colon-retto) si raccomanda una colonscopia, mentre nei soggetti più giovani tale esame va effettuato solo con un fondato sospetto di malattia organica (prevalentemente nella diagnosi differenziale con le IBD). Se il trattamento iniziale fallisce il quadro clinico va approfondito con altre indagini strumentali come la manometria rettale, il Breath-Test al glucosio o al Lattosio per lo studio del transito e per lo studio della Intestinal Bacterial Overgrowth. In alcuni casi – in cui si sopettano malattie più gravi – può essere opportuno ottenere biopsie del colon per escludere un tumore maligno, una collagenopatia o una colite linfocitica.

I migliori prodotti per la salute dell’apparato digerente

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere del vostro apparato digerente, in grado di combattere stipsi, fecalomi, meteorismo, gonfiore addominale, acidità di stomaco, reflusso, cattiva digestione ed alitosi:

Per approfondire: Sindrome dell’intestino irritabile: sintomi, dieta e cibi da evitare

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Inverno: scatta l’emergenza sovrappeso

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KG BILANCIA JEANS PANTALONIL’autunno/inverno è il periodo in cui si è a maggior rischio di obesità, almeno stando a quanto rivela uno studio della Cornell University di Ithaca, pubblicato sul New England Journal of Medicine. In particolare il periodo più critico sarebbe quello che parte dal 10 ottobre ed arriva fino all’anno nuovo. Il professor Brian Wansink, co-autore dello studio, ha analizzato il peso di circa 3000 persone (1.781 statunitensi, 760 tedeschi e 383 giapponesi). Tutti i partecipanti avevano facevano uso di uno specifico dispositivo chiamato “smart scales” in grado di monitorare il peso di ogni soggetto nell’arco di un anno. Ecco che, nei mesi più freddi (specie dopo le festività natalizie) i partecipanti erano aumentati di peso. In particolare, di almeno lo 0,4% gli americani, lo 0,6% i tedeschi e lo 0,3% i giapponesi.

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Quante calorie ha il pane? Bianco o integrale: per dimagrire quale scegliere?

Quante calorie hanno il pane bianco e quello integrale? Quale dei due è meno calorico?

Il pane integrale è meno calorico di quello bianco: conta infatti 225 kcal all’etto mentre una uguale quantità di pane prodotto con la farina 0 ne fornisce 275 e 100 g di pane prodotto con farina 00 ne contengono 289.

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Meglio il pane bianco o quello integrale?

Il pane è un alimento costituito da carboidrati complessi, proteine e fibre e i carboidrati presenti nel pane sono ad alto contenuto glicemico per cui sarebbe meglio consumare pane integrale e comunque in quantità limitata per non rischiare di alzare il livello della glicemia, specie se siete diabetici. Il pane “raffinato” è impoverito di minerali, di fibra e di benefiche molecole bioattive ad essa legate, come i lignani.

Diversa quantità di fibre

Il pane integrale fornisce 6,5 g di fibre ogni 100 g di pane, quello di tipo 0 ne contiene 3,8 g per 100 g e quello di tipo 00 ne apporta 3,2 g per 100 grammi.

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Quanto pane assumere al giorno?

Sulla quantità giornaliera di pane da assumere non è possibile stabilire una quantità che valga per tutti in quanto questo dato dipende dal fabbisogno energetico giornaliero che è soggettivo. Può comunque venirvi in aiuto questa classificazione generale che comprende tre fasce:

  • Prima fascia: 1.700 calorie al giorno per i bambini oltre i sei anni, donne anziane, di piccola statura e sedentarie; tre porzioni di pane da 50 grammi l’una.
  • Seconda fascia: 2.100 calorie al giorno per adolescenti femmine, donne e uomini adulti con lavoro sedentario; quattro o cinque porzioni da 50 grammi.
  • Terza fascia: 2.600 calorie al giorno per adolescenti maschi e uomini adulti con lavoro non sedentario o che praticano una moderata attività fisica; fino a sette porzioni di pane da 50 grammi l’una.

Ovviamente, il rapporto cambia, ovvero diminuisce, se durante la giornata vengono consumate anche pizza, pasta e patate.

I consigli per scegliere il pane

Quando si acquista del pane, è bene tenere a mente questi consigli:

  • preferite sempre il pane bianco a quello integrale, per via del minore indice glicemico ed il maggior contenuto di fibre, utile per combattere problemi di stitichezza;
  • preferite forni e supermercati di comprovata fama e qualità;
  • per essere sicuri della bontà del pane che acquistate, chiedete sempre la composizione al panettiere: ci sono infatti pani ottenuti con farine provenienti dalla macinazione di tutto il chicco o altri ottenuti con farine raffinate e aggiunta di crusca, sempre ricchi di fibre;
  • fate molta attenzione alla crosta: contendo meno acqua, a parità di peso contiene più calorie della mollica.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Arriva la pillola che brucia i grassi senza bisogno di fare sport

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KG BILANCIA (2)Chi mi conosce sa che sono molto riluttante a credere nelle “pillole miracolose bruciagrassi”, tuttavia questa volta i risultati dei test di laboratorio sono abbastanza incoraggianti. La soluzione per bruciare i grassi in eccesso sembrerebbe arrivare da un team di ricerca della Deakin University di Melbourne, in Australia. Si tratta di una pillola che agisce sui muscoli e permette al corpo di bruciare i grassi senza dover fare sport: sarebbe capace di produrre effetti sui muscoli equivalenti a quelli di un vero allenamento.

L’equipe ha scoperto che il meccanismo nei muscoli dei topi che attiva il metabolismo in grado di bruciare i grassi è controllato da una sola proteina; il gruppo ha così modificato geneticamente questa proteina in modo da poterla ‘accendere e spegnere’ a comando, scoprendo che anche senza movimento fisico i muscoli dei topi si trasformavano come se avessero svolto attività sportiva, con conseguente attività metabolica nel consumo delle riserve di grassi. Questa scoperta ha permesso di realizzare una medicina che inducesse una sorta di stato di “fitness attivo”.

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