Si può vivere senza cistifellea?

MEDICINA ONLINE ANATOMIA ORGANI INTERNI UMANI ITALIANO INGLESE MILZA STOMACO POLMONI INTESTINO CUORE COLON FEGATO PANCREAS CISTIFELLEA ADDOME TORACE SEMEIOTICA QUADRANTI SETTORI RENE.jpgE’ possibile vivere senza la colecisti? La risposta è SI. Negli esseri umani la colecistectomia (cioè l’asportazione chirurgica della colecisti) è in genere ben tollerata: anche quando la cistifellea viene eliminata, un “nuovo” percorso consentirebbe comunque alla bile di raggiungere l’intestino compiendo il suo dovere, sebbene ciò possa portare alla sindrome post-colecistectomia. A tale proposito leggi anche: Sindrome post-colecistectomia: conseguenze dell’asportazione della cistifellea

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Reddit, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Fegato ed epatociti: anatomia, funzioni e patologie in sintesi

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITOIl fegato è una ghiandola annessa all’apparato digerente dalla forma a cuneo, modellata dai suoi rapporti con gli organi e i muscoli adiacenti. È ricoperto da una capsula connettivale, detta capsula di Glisson, che lo protegge, ma non contribuisce in modo determinante alla sua forma. Pesa circa 2 kg (da 1,8 a 2,1 kg nella femmina e da 1,9 a 2,3 kg nel maschio, secondo Anatomia-Anastasi), corrispondenti al 2,5% del peso corporeo di un uomo adulto di media corporatura; nell’infante il peso del fegato, per il suo maggior sviluppo in rapporto al resto dell’organismo può arrivare a costituire il 5% del totale. Il fegato tende a raggiungere le sue maggiori dimensioni verso i 18 anni di età, dopodiché il suo peso decresce gradualmente con l’avanzare degli anni. La superficie epatica è liscia e soffice, di colore rosso-brunastro, ma nei soggetti obesi può apparire giallastra, ciò è dovuto alle diffuse infiltrazioni di tessuto adiposo nel parenchima epatico (steatosi). Un’ulteriore importante funzione del fegato è quella di detossificare le sostanze tossiche.

Leggi anche:

Rapporti

Il fegato è localizzato nella cavità addominale superiore, in essa occupa quasi la totalità dell’ipocondrio destro e dell’epigastrio, spingendosi con il lobo sinistro ad occupare anche una parte dell’ipocondrio sinistro, che può risultare più o meno cospicua a seconda del soggetto. La sua superficie superiore si colloca a livello della 6ª costa e della 10ª vertebra toracica, mentre l’apice infero-laterale si spinge fino a livello dell’11ª costa e della 2ª vertebra lombare. Superiormente la capsula di Glisson e il peritoneo (tranne che per una piccola area triangolare) lo separano dal diaframma, antero-lateralmente è in rapporto con il diaframma che lo separa dalla pleura destra, talvolta il lobo sinistro è in rapporto allo stesso modo anche con la pleura sinistra, inferiormente con il colon trasverso, l’antro dello stomaco, rene e ghiandola surrenale destri, posteriormente con la colecisti, il fondo dello stomaco, l’esofago e la vena cava inferiore.

Lobi

Faccia superiore del fegato. Si notano il lobo sinistro con il legamento triangolare sinistro e il lobo destro con il legamento triangolare destro, divisi dal legamento falciforme. Inferiormente, il lobo caudato e la vena cava inferiore.

Faccia inferiore del fegato. La morfologia della superficie è caratterizzata dai rapporti con gli organi adiacenti, si possono infatti osservare, sulla destra, l’impronta data dal colon trasverso, dal rene destro e dal duodeno, mentre il lobo sinistro è caratterizzato dall’impronta gastrica. Nel disegno è ben visibili il legamento coronale. Medialmente vi è il lobo caudato o (lobo di Spigelio) strutturato come una sporgenza e formato dal processo papillare e dal processo caudato. Sul margine inferiore vi è la colecisti, mentre su quello superiore si innesta la vena cava inferiore.

Ulteriore immagine della faccia inferiore del fegato. Qui si evidenziano la posizione della vena porta, dell’arteria epatica e del dotto biliare comune.

Alcuni disegni anatomici del fegato in cui si possono notare i principali elementi di anatomia macroscopica.

Il fegato, secondo la distinzione classica, è suddivisibile in quattro lobi: destro, sinistro, quadrato e caudato.

  • Il lobo destro è il più voluminoso dell’organo, ha forma vagamente cupolare che comprende almeno in parte tutte le cinque facce del fegato.
  • Il lobo sinistro ha un volume pari a circa la metà del destro ed esso è più sottile, ha forma triangolare.
  • Il lobo quadrato si trova sulla superficie posteriore del fegato, ed appare come una sporgenza quadrangolare; è funzionalmente correlato al lobo sinistro. I suoi confini sono a destra la fossa cistica e la colecisti, superiormente l’ilo epatico, lateralmente il legamento rotondo.
  • Il lobo caudato o lobo di Spigelio è una sporgenza della superficie posteriore del fegato, formato dal processo papillare e dal processo caudato; è funzionalmente correlato anch’esso al lobo sinistro. È delimitato inferiormente dall’ilo epatico, lateralmente dal legamento venoso, superiormente dalle vene epatiche e medialmente dalla vena cava inferiore.

Leggi anche:

Facce

La superficie del fegato viene comunemente distinta in cinque facce: superiore, anteriore, destra, posteriore ed inferiore. Le facce superiore, anteriore e destra sono continue tra loro e ci si può riferire all’insieme definendolo superficie diaframmatica del fegato.

  • La faccia superiore, a livello dell’area compresa tra il margine superiore della 5ª costa e quello inferiore della 6ª, è la più ampia, possiede una forma a pera, ed è separata dalla cupola diaframmatica destra dal peritoneo, fa eccezione un’area triangolare in cui i due foglietti del legamento falciforme divergono, determinando diretto contatto tra il diaframma e quest’organo.

La Cupola epatica è localizzata a livello della linea interascellare dx.

Al centro e a livello della divergenza del legamento falciforme vi è una lieve depressione, detta impronta cardiaca. Costituisce la superficie antero-superiore dei lobi destro e sinistro.

  • La faccia anteriore è convessa ed ha forma triangolare, è a livello dell’area tra il margine inferiore della 6ª costa e quello superiore della 10ª. È anch’essa rivestita dal peritoneo fatta eccezione per l’inserzione del legamento falciforme. Parte di quest’area è in rapporto con il diaframma, che la copre anteriormente. Talvolta sono distinguibili lievi depressioni allungate, le impronte costali. Costituisce la superficie antero-inferiore del lobo destro e del lobo sinistro.
  • La faccia destra è convessa ed in rapporto con la cupola diaframmatica destra, che ne modella la forma e la separa dal polmone destro. Il diaframma la copre anteriormente dalla sesta alla nona o decima costa. Comprende la superficie laterale destra del lobo destro.
  • La faccia posteriore è ampia, convessa a destra ma con una concavità determinata dalla convessità della colonna vertebrale. Comprende la superficie posteriore del lobo destro del fegato e il lobo caudato. È unita al diaframma da tessuto connettivo lasso e costituisce un’ampia area nuda triangolare. Lateralmente all’ilo epatico presenta una fossa verticale in cui è alloggiata la vena cava inferiore. Al di sotto dell’area nuda, vi è una lieve depressione triangolare, l’impronta surrenale, lateralmente ed inferiormente ad essa una concavità ovale piuttosto profonda che costituisce invece l’impronta renale, determinata dal rene destro. Medialmente all’impronta renale vi è un’altra lieve concavità ovalare, l’impronta duodenale, determinata dalla prima porzione del duodeno. Inferiormente all’impronta renale vi è una depressione semicircolare, l’impronta colica, determinata dalla flessura epatica.
  • La faccia inferiore comprende la superficie posteriore di gran parte del lobo sinistro e della metà inferiore del lobo destro, nonché l’ilo epatico e il lobo quadrato. In una fossa poco profonda postero-medialmente alla vena cava inferiore alloggia la colecisti. Sul lobo sinistro sono presenti l’impronta gastrica e l’impronta esofagea (determinata dal tratto addominale dell’esofago), due depressioni adiacenti. L’impronta colica può talvolta trovarsi su questa faccia.

Legamenti

Il fegato possiede alcuni legamenti peritoneali che lo connettono ad altri organi, alla parete addominale anteriore e al diaframma: legamento falciforme, legamento coronario, legamento rotondo, legamento triangolare sinistro, legamento triangolare destro, legamento venoso, piccolo omento (legamento epato-gastrico).

  • Il legamento falciforme è formato da due foglietti posti sulle facce anteriore e superiore del fegato e classicamente viene considerato il divisore dei suoi lobi destro e sinistro. Superiormente i due foglietti divergono e costituiscono il legamento coronario.
  • Il legamento rotondo, che è un residuo della vena ombelicale, costituisce la prosecuzione inferiore del legamento falciforme e sporge dal fegato nella cavità addominale, dividendo, sulla superficie posteriore dell’organo, il lobo sinistro dal lobo quadrato.
  • Il legamento coronario è la prosecuzione sulla superficie posteriore dei foglietti del legamento falciforme. Nel lobo sinistro il legamento coronario si fonde con il foglietto sinistro del legamento venoso dando origine al legamento triangolare sinistro, nel lobo destro si fonde con il foglietto destro del legamento venoso dando origine al legamento triangolare destro. Qui delimita anche l’area nuda triangolare del fegato a diretto contatto con il diaframma, così come una più piccola presso il lobo sinistro.
  • Il legamento triangolare sinistro è costituito da un doppio strato peritoneale che si continua anteriormente con il legamento falciforme e posteriormente con il piccolo omento. Il legamento triangolare destro è invece una continuazione del legamento coronario.
  • Il legamento venoso è il residuo dell’anastomosi venosa presente durante la vita fetale tra la vena porta e la vena epatica sinistra (dotto venoso di Aranzio). Decorre nel solco del legamento venoso, localizzato sulla superficie posteriore del fegato, opposto al legamento falciforme. Divide il lobo sinistro del fegato dal lobo caudato.
  • Il piccolo omento o piccolo epiploon o legamento epato-gastrico-duodenale, è una piega peritoneale che connette la superficie posteriore del fegato alla piccola curvatura dello stomaco (pars flaccida) e alla prima porzione del duodeno (pars tensa). La pars tensa contiene al suo interno le formazioni del peduncolo epatico. Il legamento epato-duodenale viene a delimitare il foro epiploico di Winslow. Ha una forma che viene definita ad “L”, dove la linea verticale corrisponde al legamento venoso e quella orizzontale alla prosecuzione del piccolo omento a livello dell’ilo. Esso si continua anche nel legamento coronario a destra e nel legamento triangolare sinistro.

Settori

Il fegato, tuttavia, non è più suddiviso, come si usava in base ai procedimenti anatomici superficiali macroscopici, in lobi destro e sinistro dal legamento falciforme, ma viene invece studiato in base a criteri vascolari, come proposto da Claude Couinaud nel 1957, perché più strettamente correlati alla fisiologia dell’organo.

Si distinguono perciò quattro settori (laterale destro, mediale destro, mediale sinistro, laterale sinistro), ciascuno determinato da una ramificazione della vena porta, e sei fessure (portale destra, portale principale, ombelicale, portale sinistra, venosa, di Gans), ovvero spazi intersettoriali. Ciascun settore è ulteriormente diviso in 1-4 segmenti, per un totale di nove segmenti, che vengono convenzionalmente indicati con il corrispondente numero romano. I segmenti sono suddivisi base alle ramificazioni terziarie della vena porta, dell’arteria epatica e dei condotti biliari che sono contenuti nei peduncoli glissoniani, perché avvolti dalla guaina di Glisson. Partendo dal lobo destro del fegato al sinistro e considerando la superficie anteriore del fegato si distinguono:

  • Il settore laterale destro, formato superiormente dal VII segmento e inferiormente dal VI
  • Il settore mediale destro, formato superiormente dall’VIII segmento e inferiormente dal V.
  • Il settore mediale sinistro, formato lateralmente dal I e IX segmento, medialmente ad essi dal IV e dal III (mediale al IV).
  • Il settore laterale sinistro, formato dal II segmento.

Fessure

Le fessure si distinguono in maggiori (destra, principale, sinistra), che contengono le vene epatiche e minori (ombelicale, venosa, di Gans), che non le contengono.

  • La fessura portale principale è compresa tra l’apice della cistifellea e la linea verticale immaginaria passante per il centro della vena cava inferiore. Divide il lobo destro dal lobo sinistro, il settore mediale destro dal settore mediale sinistro. Accoglie la vena epatica media.
  • La fessura portale sinistra divide il lobo sinistro del fegato nel settore laterale sinistro e nel settore mediale sinistro. Accoglie la vena epatica sinistra e si estende tra il legamento falciforme e il legamento triangolare sinistro.
  • La fessura portale destra divide il lobo destro del fegato nei settori laterale destro e mediale destro. Accoglie la vena epatica destra.
  • La fessura ombelicale separa il III segmento dal II segmento nel lobo sinistro del fegato e contiene la vena della fessura ombelicale, una delle due ramificazioni principali della vena epatica sinistra, nonché alcune ramificazioni dell’arteria epatica sinistra. Corrisponde all’inserzione del legamento falciforme.
  • La fessura venosa è la continuazione della fessura ombelicale sulla faccia inferiore del fegato e corrisponde al solco del legamento venoso, decorre quindi tra il lobo caudato e il IV segmento.
  • La fessura di Gans si trova dietro la fossa cistica, inferiormente al lobo destro.

Segmenti

Seguono i nove segmenti del fegato in cui viene ora suddiviso.

  • Il I segmento corrisponde al lobo caudato, è rappresentato solo nella faccia posteriore del fegato. Si trova posteriormente al IV segmento. Lateralmente vi è il VII segmento, distinto dalla vena cava inferiore che decorre nel proprio solco, medialmente il II segmento, da cui è diviso dal solco del legamento venoso. Riceve rami dalla vena epatica media, dall’arteria epatica sinistra e destra, drena nella vena cava inferiore.
  • Il II segmento è l’unico compreso nel settore laterale sinistro, per cui è il più laterale di tutto il fegato. Medialmente ed inferiormente ad esso vi è il III segmento, ed è diviso dal I segmento dal legamento falciforme. Drena nella vena epatica sinistra e in rari casi direttamente nella vena cava inferiore.
  • Il III segmento costituisce la parte laterale del settore mediale sinistro, è quindi compreso tra la fessura ombelicale e la fessura portale sinistra. Lateralmente ad esso vi è il IV segmento, medialmente il II segmento. Drena nella vena epatica sinistra.
  • Il IV segmento costituisce la porzione laterale del settore mediale sinistro, è compreso tra la fessura portale principale e la fessura ombelicale. Medialmente ad esso vi è il III segmento, lateralmente il V segmento (il confine con questo segmento passa per l’asse verticale della cistifellea) e una parte del I segmento, superiormente con l’VIII segmento. Drena principalmente nella vena epatica media, ma possiede ramificazioni minori nella vena epatica sinistra.
  • Il V segmento costituisce la porzione inferiore del settore mediale destro del fegato. Confina medialmente con il IV segmento, lateralmente con il VI segmento, superiormente con l’VIII segmento. È compreso tra fessura portale destra e fessura portale principale. Drena nella vena epatica destra e nella vena epatica media.
  • Il VI segmento forma la porzione inferiore del settore laterale destro. Confina medialmente con il V segmento, superiormente con il VII segmento e per una piccola parte sulla faccia inferiore del fegato con il IX segmento.
  • Il VII segmento forma la porzione superiore del settore laterale destro. Confina medialmente con l’VIII segmento sulla faccia anteriore, mentre sulla posteriore è diviso dal I segmento dalla vena cava inferiore inferiormente con il VI segmento. Le sue vene drenano nella vena epatica destra e possono raggiungere la vena cava inferiore attraverso la vena epatica media destra.
  • L’VIII segmento è presente solo sulla superficie anteriore del fegato, costituisce la porzione superiore del settore mediale destro dell’organo. Confina lateralmente con il VII segmento, inferiormente con il V segmento, medialmente con il IV segmento. Drena nella vena epatica media e nella vena epatica destra.
  • Il IX segmento, rappresentato solo nella superficie posteriore del fegato, è una suddivisione del I segmento e ne rappresenta la parte destra, cioè quella prossima alla vena cava inferiore. Drena nelle stesse vene del I segmento. Confina inferiormente con il IV segmento, lateralmente con il VII segmento e superiormente con il I segmento.

Ilo epatico

L’ilo è costituito da una depressione posta sulla superficie inferiore del fegato, collocata posteriormente al lobo quadrato ed anteriormente al lobo caudato. Riceve il fascio neurovascolare diretto verso il fegato, è costituito principalmente dai due condotti biliari epatici, dall’arteria epatica, dalla vena porta, da alcuni vasi linfatici e nervi che costituiscono il plesso nervoso epatico. Ciascuna struttura del fascio è ricoperta dalla guaina epatobiliare di Glisson, composta da tessuto connettivo lasso, la stessa che ricopre la superficie delle facce del fegato e che accompagna ciascun vaso sino alla penetrazione in uno o più segmenti epatici.

Nello spazio tra un vaso e l’altro è presente del tessuto connettivo lasso di supporto. Appena prima di penetrare nel parenchima epatico, il condotto coledoco si ramifica nel condotto epatico destro e nel condotto epatico sinistro, i quali poi penetrano nell’ilo; questi condotti biliari sono i condotti più anteriori dell’ilo epatico. Posteromedialmente ai due condotti epatici, decorrono le due ramificazioni dell’arteria epatica (arteria epatica sinistra e arteria epatica destra), con l’arteria epatica destra di maggior calibro rispetto alla sinistra. Posteriormente alle due ramificazioni dell’arteria epatica entra nell’ilo la vena porta con le sue due ramificazioni (vena porta sinistra e vena porta destra), la destra di calibro maggiore della sinistra.

Tutti questi vasi entrano nell’ilo in direzione supero-laterale. Nello spazio compreso tra le due ramificazioni dell’arteria epatica e della vena porta decorrono diversi vasi linfatici di piccolo calibro, più raramente se ne riscontra qualcuno lateralmente, medialmente o anteriormente all’arteria epatica. Numerosi nervi (nervi lobari di sinistra e nervi lobari di destra) decorrono sia tra vena porta e arteria epatica che tra quest’ultima e i due condotti epatici.

Vascolarizzazione ed innervazione

Arterie

L’arteria epatica è il vaso arterioso principale che irrora il fegato. Origina dal tronco celiaco, ove viene chiamata arteria epatica comune, poi si porta anteriormente e lateralmente, passa posteriormente al foro epiploico, superiormente al duodeno ed entro il piccolo omento. Durante il suo decorso emette quali suoi rami le arterie gastriche sinistra (spesso) e destra e l’arteria gastroduodenale. A questo punto viene denominata arteria epatica propria.

In seguito curva superiormente e posteriormente davanti alla vena porta, ramificandosi in arteria epatica sinistra ed arteria epatica destra. L’arteria epatica destra ha un decorso sinuoso, passa posteriormente al condotto coledoco, poi emette subito quale sua ramificazione l’arteria cistica, che scende antero-inferiormente sulla colecisti, quindi risale superiormente dietro il condotto epatico destro. A questo punto entra nel parenchima epatico, piega orizzontalmente e si divide in due ulteriori rami, uno procede antero-superiormente ed irrora i segmenti I, V, VIII, ciascuno con un ramo, l’altro decorre lateralmente e posteriormente e fornisce rami arteriosi per il VI, VII segmento. L’arteria epatica sinistra, di minor calibro, risale superiormente, entra nel parenchima epatico e qui si divide in tre ramificazioni, una laterale per il IV segmento, una superiore per il III, una mediale per il II. Le arterie segmentali sono di tipo terminale.

Vene

Il sistema portale è costituito dalla vena porta, che origina dalla confluenza della vena lienale, mesenterica superiore e mesenterica inferiore, risale anteriormente al foro epiploico e posteriormente all’arteria gastrica e ai condotti biliari epatici. La vena porta ha il compito di convogliare al fegato il sangue proveniente dalla digestione intestinale e dalla milza, costituendo un sistema detto appunto sistema della vena porta o sistema portale. Poco prima di entrare nel parenchima epatico, la vena porta, si divide in sinistra e destra, con la destra di calibro maggiore. Il ramo sinistro ha un decorso più lungo e orizzontale del destro, appena entrato nel parenchima si fa sempre più orizzontale ed emette una piccola ramificazione posteriore per il segmento I, il resto prosegue orizzontalmente fino a biforcarsi in un ramo che scende antero-inferiormente e si divide in due peduncoli che si dirigono quello laterale al III e il mediale al IV segmento. L’altra ramificazione prosegue orizzontalmente entrando nel II segmento. La vena porta destra, più grossa e corta, si ramifica subito in due rami, uno piega antero-lateralmente e si divide in due peduncoli, quello superiore irrora l’VIII segmento, quello inferiore il V, l’altro ramo prosegue postero-lateralmente fino a biforcarsi in un ramo superiore per il VII e in uno inferiore per il VI segmento.

Le tre vene epatiche (sinistra, media e destra) tributarie della vena cava inferiore, costituiscono il secondo sistema venoso del fegato. Il loro decorso nel parenchima epatico permette di dividere il fegato in settori, i loro peduncoli permettono di dividere ciascun settore in ulteriori segmenti. La vena epatica destra è la maggiore delle tre, decorre superiormente nella fessura portale destra, drenando inferiormente i segmenti V e VI con un peduncolo ciascuno, superiormente i segmenti VII e VIII, per poi proseguire supero-medialmente e sboccare nella vena cava inferiore. I settori corrispondenti sono il laterale destro e la parte laterale del mediale destro. La vena epatica media decorre nella fessura principale, drena inferiormente i segmenti V (parte mediale) e IV (parte laterale), superiormente l’VIII (parte mediale) e di nuovo il IV, per poi sboccare nella vena cava inferiore. I settori corrispondenti sono il mediale destro e il mediale sinistro. Una piccola vena, ramo della cava inferiore, drena autonomamente il I segmento. La vena epatica sinistra drena inferiormente (vena ombelicale) i segmenti IV (parte mediale) e III, mentre il II segmento è drenato dall’altro peduncolo orizzontale. Talvolta può emettere un peduncolo per il IV segmento. I settori corrispondenti sono il mediale sinistro e il laterale sinistro.

Linfa

Il fegato è dotato di un sistema composto da numerosi vasi linfatici che si dirigono verso le stazioni linfonodali sopradiaframmatiche e sottodiaframmatiche. I vasi linfatici si collocano generalmente nello spazio compreso tra la vena porta e l’arteria epatica e tra questa e i condotti biliari epatici. Sono classificati in vasi linfatici superficiali e profondi.

  • vasi linfatici superficiali (posti nel tessuto sottosieroso lasso) della faccia posteriore, del lobo caudato, della porzione posteriore della faccia inferiore del lobo destro decorrono assieme alla vena cava inferiore e drenano nei linfonodi pericavali, mentre i vasi linfatici del legamento coronario e del legamento triangolare destro confluiscono nel dotto toracico, senza passare per stazioni linfonodali. I vasi linfatici della faccia anteriore, di quella inferiore (tranne la porzione posteriore del lobo destro) e di quella superiore drenano nei linfonodi posti presso il fascio neurovascolare dell’ilo epatico. I vasi linfatici della superficie inferiore e della porzione posteriore del lobo sinistro drenano nei linfonodi paracardiaci, quelli della faccia destra e della porzione destra della faccia superiore drenano nei linfonodi celiaci, seguendo il decorso dell’arteria frenica.
  • vasi linfatici profondi, collocati nel parenchima epatico, costituiscono un sistema complesso di piccoli vasi che sboccano in altri di calibro sempre maggiore, finché questi ultimi in numero ridotto, tendono a seguire il decorso delle tre vene epatiche e quindi della vena cava inferiore, drenando nei linfonodi pericavali. Quei vasi collocati nella porzione inferiore del fegato, drenano in vasi di calibro maggiore che però si portano inferiormente e drenano nei linfonodi posti presso l’ilo epatico.

Innervazione

Il parenchima epatico è innervato dalle ramificazioni dei nervi del plesso epatico, costituiti da fibre del simpatico e del parasimpatico, che vi entrano attraverso l’ilo. Il loro decorso accompagna le ramificazioni dei condotti biliari e dell’arteria epatica, a cui forniscono fibre nervose vasomotorie, mentre gli epatociti vengono innervati direttamente. I nervi del sistema nervoso simpatico del fegato originano nella colonna intermedio-laterale del midollo spinale, i loro assoni passano attraverso i nervi comunicanti bianchi nei gangli della catena del simpatico e poi attraverso il nervo grande splancnico le fibre simpatiche pregangliari sinaptano nei gangli celiaci.

Le fibre simpatiche postgangliari innervano il fegato, la cistifellea e il dotto cistico attraverso il plesso epatico anteriore e posteriore che segue le ramificazioni dell’arteria epatica e del condotto epatico comune, mentre il condotto coledoco è innervato da nervi appartenenti al plesso gastroduodenale che segue l’arteria gastroduodenale e lo stesso condotto coledoco sino al duodeno. Queste stesse fibre postgangliari innervano anche lo sfintere dell’ampolla duodenale.

Le fibre parasimpatiche decorrono all’interno del nervo vago anteriore e posteriore, da esso originano nervi a componente parasimpatica che entrano nei plessi epatici anteriore e posteriore innervando il fegato, il condotto epatico comune, il condotto cistico e la cistifellea, mentre attraverso il plesso gastroduodenale innervano il condotto coledoco e lo sfintere dell’ampolla duodenale. La capsula di Glisson è innervata superiormente da sottili ramificazioni dei nervi intercostali. Le fibre sensitive del fegato attraversano i suoi plessi anteriore e posteriore, così come quello gastroduodenale, penetrano nei nervi grandi splancnici e sinaptano nei gangli delle radici dorsali dei mielomeri T7-T10.

Anatomia microscopica

Struttura generale

Il fegato è rivestito (tranne che per un’area nuda triangolare sulla faccia superiore) dal peritoneo viscerale, costituito dal mesotelio, un unico strato di cellule superficiali e da tessuto extraperitoneale sottostante. È inoltre completamente avvolto dal tessuto connettivo lasso componente la capsula del Glisson, che ricopre anche il fascio neurovascolare a livello dell’ilo. Da essa si dipartono setti e trabecole connettivali che penetrano nel parenchima epatico, dividendolo negli spazi portali. All’interno di ciascuno spazio portale (spazio di Kiernan) è presente una ramificazione della vena porta, una dell’arteria epatica, un condotto biliare (la triade portale) e spesso anche piccoli vasi linfatici e ramificazioni nervose. Il parenchima epatico è invece costituito da lamine dalla struttura tridimensionale complessa e composte da un singolo strato di cellule, ovvero gli epatociti, le cellule principali del fegato e quelle che svolgono la quasi totalità delle sue funzioni metaboliche. Ciascuna lamina di epatociti è separata dall’altra da un sinusoide venoso, derivante dalla ramificazione della vena porta che decorre nello spazio portale. Esso si porta dallo spazio portale sino alla vena centrolobulare.

Gli epatociti non aderiscono ai sinusoidi venosi, ma ne sono separati da un piccolo spazio intercellulare dilatabile in condizioni patologiche (0,2-0,5 µm), detto spazio di Disse. Nello spazio di Disse sono contenute prevalentemente fibre di collagene di tipo I, III e IV e vi si aggettano i microvilli dell’epatocita, nonché le terminazioni nervose. Vi è notevole possibilità di scambio tra gli epatociti e i sinusoidi venosi, sia grazie alla maggiore superficie di assorbimento garantita ai primi dai microvilli, che alle fenestrazioni presenti nei sinusoidi venosi. Tra un’epatocita e l’altro (su ciascun lato della cellula) sono presenti piccole docce dette canalicoli biliari, così che ciascun epatocita ne è pressoché circondato. I canalicoli biliari drenano in dotti di calibro maggiore, i canali di Hering (chiamati anche colangioli), questi a loro volta ai condotti biliari della triade portale, quindi questi drenano nei condotti biliari epatici e quindi nel coledoco. Le ramificazioni dell’arteria epatica si dividono ulteriormente in capillari che poi convogliano il sangue nei sinusoidi venosi, oppure le stesse ramificazioni arteriose convergono nei sinusoidi, così che gli epatociti gestiscono un sangue misto di arterie e vene.

Le vene centrolobulari si uniscono in vene di calibro maggiore, le interlobulari (poste tra i lobuli epatici), le quali a loro volta drenano nelle vene epatiche e queste nella vena cava inferiore. Una delle unità funzionali del fegato, la più grande in scala, è il lobulo epatico. Si tratta di una struttura dalla forma pseudo-esagonale (tende ad essere più regolare in altri animali che non nell’uomo) il cui scheletro è rappresentato da lamine di epatociti separate dai sinusoidi venosi derivanti dalla ramificazione venosa portale. Le lamine non si limitano ad espandersi a raggiera da una vena centrolobulare tributaria delle vene epatiche, ma si dispongono tridimensionalmente in strutture ramificate e difficilmente schematizzabili. Ciascun lobulo è delimitato da sottili setti connettivali, e ad ogni suo “angolo” si apre una triade portale. Un’unità funzionale più piccola del lobulo epatico è l’acino epatico. Un acino epatico è una sezione di forma ovalare di parenchima, il cui asse maggiore congiunge due vene centrolobulari e il minore approssimativamente un lato dell’esagono costituito dal lobulo epatico.

Ciascun acino è divisibile da un punto di vista funzionale in tre zone. La zona 1 è definita periportale, ed è quella più vicina alla ramificazione della vena porta e dei rami terminali dei vasi afferenti, il suo asse maggiore congiunge le due ramificazioni portali, il minore si approfonda di poco nel parenchima del lobulo. La zona 2, intermedia, è un’area triangolare che comprende esclusivamente il parenchima del lobulo nella sua porzione media, la zona 3, centrolobulare, è prossima alla vena centrolobulare e ne comprende il margine. L’acino assume così una forma ovalare o romboidale.

Cellule del fegato

Le quattro tipologie cellulari principali che si riscontrano nel fegato sono gli epatociti, le cellule stellate, le cellule endoteliali sinusoidali e le cellule di Kupffer.

  • Gli epatociti sono le cellule più numerose del fegato, ne costituiscono l’80% del volume e circa il 60% per numero. La loro forma è poliedrica, con un numero di superfici variabile da sei a dodici, il loro diametro varia da 20 a 30 µm. Sono spesso polinucleate e tetraploidi, con un numero di nuclei che può arrivare anche a quattro, un grosso nucleolo, reticoli endoplasmatici liscio e rugoso ben sviluppati, numerose cisterne del Golgi, ribosomi, lisosomi, mitocondri, perossisomi, tanto che risultano una delle tipologie cellulari in cui gli organelli sono più sviluppati e rappresentati, a causa delle elevate necessità metaboliche e della grande varietà di compiti cui devono assolvere. In un organismo ben nutrito non è difficile rilevare discrete quantità di glicogeno e di vacuoli lipidici, oppure, in caso di sovradosaggio di ferro, vacuoli o aggregati di emosiderina e ferritina. Il citoplasma è di fondo eosinofilo per il grande numero di mitocondri ma presenta numerose granulazioni basofile dovute al reticolo endoplasmatico rugoso e ai ribosomi. È possibile rinvenirvi granuli di lipofuscina di colore marrone-dorato. Il polo sinusoidale dell’epatocita è provvisto di numerosi ed irregolari microvilli lunghi mediamente 0,5 µm, la loro superficie è da sola pari ai 2/3 dell’intera cellula. Due epatociti adiacenti formano con le loro membrane plasmatiche i canalicoli biliari e sono uniti da giunzioni serrate per impedire la penetrazione della bile negli interstizi, nel resto della cellula sono più diffusi i desmosomi e le giunzioni gap. A livello dei canalicoli biliari si accumulano numerose vescicole di esocitosi, contenenti per l’appunto bile da secernere nei canalicoli.
  • Le cellule stellate o di Ito, di origine mesenchimale e molto meno numerose degli epatociti, sono poste tra le lamine, alla base degli epatociti, ed hanno una forma stellata o irregolare. Il loro citoplasma è ricco di vescicole lipidiche contenenti vitamina A, ed il loro compito è quello di secernere le principali sostanze costituenti della matrice, tra cui collagene di tipo III e reticolina. Sono fondamentali nella rigenerazione del fegato a seguito di lesioni o interventi chirurgici poiché secernono fattori di crescita responsabili della buona capacità di rigenerazione del fegato. In caso di lesione possono sostituire gli epatociti danneggiati e mediante la secrezione di collagene ed altre proteine strutturali, formare del tessuto cicatriziale a partire dalla zona 3 di ciascun acino. Altre sostanze da loro secrete concorrono all’omeostasi dell’organo.
  • Le cellule endoteliali sinusoidali costituiscono l’endotelio dei sinusoidi venosi fenestrati del fegato. Hanno forma appiattita, con un nucleo ovalare in posizione centrale, scarso citoplasma contenente numerose vescicole transcitotiche, sono unite attraverso giunzioni aderenti. Le fenestrature presenti tra le cellule sono molto ampie e riunite in complessi con un diametro medio di 100 µm, così che il sangue può facilmente riversarsi negli spazi di Disse e venire a contatto con i microvilli degli epatociti.
  • Le cellule di Kupffer, i macrofagi del fegato, sono dei derivati dei monociti e si collocano nel lume dei sinusoidi venosi. La loro forma è variabile ed irregolare, presenta numerose estroflessioni tipiche delle cellule della linea dei macrofagi che si estendono nel lume del sinusoide. La loro funzione è quella di rimuovere per fagocitosi eventuali detriti presenti nel sangue in afflusso agli epatociti, ma possono anche stimolare il sistema immunitariomediante la secrezione di numerosi fattori e di citochine. Rimuovono gli eritrociti invecchiati o danneggiati agendo in modo complementare alla milza(che possono sostituire in caso di splenectomia).

 

Funzioni

Le funzioni del fegato sono espletate dalle cellule del fegato, gli epatociti.

  • Il fegato produce e secerne la bile, usata per emulsionare i grassi. Parte della bile viene riversata direttamente nel duodeno, parte viene accumulata nella cistifellea.
  • Il fegato svolge numerose funzioni nel metabolismo dei carboidrati e delle proteine:
    • la gluconeogenesi, ovvero la sintesi del glucosio a partire da alcuni amminoacidi, dall’acido lattico o dal glicerolo;
    • la glicogenolisi, ovvero la formazione del glucosio dal glicogeno (avviene anche all’interno dei muscoli);
    • la glicogenosintesi, ovvero la sintesi del glicogeno a partire dal glucosio;
    • la demolizione dell’insulina e di altri ormoni;
    • il metabolismo delle proteine.
  • Il fegato inoltre interviene nel metabolismo dei lipidi:
    • vi avviene la sintesi del colesterolo;
    • vi avviene la sintesi dei trigliceridi.
  • Il fegato produce i fattori di coagulazione I (fibrinogeno), II (trombina), V, VII, IX, X e XI, nonché la proteina C, la proteina S, l’epcidina e l’antitrombina.
  • Il fegato demolisce l’emoglobina, creando metaboliti che vengono aggiunti alla bile come pigmenti.
  • Il fegato demolisce numerose sostanze tossiche e numerosi farmaci nel processo noto come metabolismo dei farmaci. Il processo può portare ad intossicazione, quando il metabolita è più tossico del suo precursore.
  • Il fegato converte l’ammoniaca in urea.
  • Il fegato funge da deposito per numerose sostanze, tra cui il glucosio (come glicogeno), la vitamina B12, il ferro e il rame.
  • Nel feto fino al terzo mese, il fegato è la sede principale della produzione di globuli rossi; viene rimpiazzato in questo compito dal midollo osseo alla 32ª settimana di gestazione.
  • Il sistema reticoloendoteliale del fegato contiene numerose cellule specializzate del sistema immunitario che agiscono da “filtro” nei confronti degli antigeni trasportati dal sistema della vena porta.

Attualmente non esiste un organo artificiale capace di emulare tutte le funzioni del fegato. Alcune di esse sono emulate dalla dialisi epatica, trattamento sperimentale per casi di grave insufficienza epatica.

Detossificazione

Una delle principali attività del fegato è la disintossicazione dell’organismo da tossine, scorie ed altri elementi nocivi. La più importante di tali azioni disintossicanti è la trasformazione dell’ammoniaca presente nel sangue (sostanza tossica derivata dalle proteine) in una sostanza tollerabile a concentrazioni più alte, l’urea. L’urea viene poi rimessa nel sangue.

Relazioni con altri organi

Le caratteristiche citologiche degli epatociti rispecchiano la funzione detossificante della ghiandola. Essi infatti presentano un reticolo endoplasmatico liscio molto abbondante. Quest’organulo infatti, oltre a presiedere alla sintesi di alcuni steroidi è intensamente implicato proprio nell’attività di detossificazione di molecole potenzialmente nocive o estranee (alcool, farmaci, etc.)

Patologia

Molte malattie del fegato sono accompagnate dall’itterizia causata dall’incremento dei livelli di bilirubina nell’organismo. La bilirubina è il risultato della decomposizione dell’emoglobina dei globuli rossi morti; normalmente viene rimossa dal fegato e escreta attraverso la bile. Ecco alcune patologie comuni del fegato:

  • insufficienza epatica, compromissione più o meno marcata della funzionalità del fegato dovuta a varie possibili cause.
  • l’epatite, infiammazione del fegato, viene causata da vari virus, ma anche da alcune sostanze tossiche, da malattie autoimmuni e da condizioni ereditarie;
  • la cirrosi epatica è la formazione di tessuto fibroso all’interno del fegato in sostituzione degli epatociti morti. La morte delle cellule epatiche può essere causata da epatite virale, alcolismo o intossicazione da altre sostanze tossiche;
  • l’emocromatosi è un disturbo ereditario che causa l’accumulazione di ferro nel corpo, portando nel lungo periodo ad un danno per il fegato;
  • la steatosi epatica, accumulo di lipidi nel fegato;
  • tumori benigni come l’adenoma, l’angioma, l’iperplasia focale nodulare.
  • encefalopatia epatica, tipo di encefalopatia dovuta a danno epatico;
  • il cancro del fegato; primario come carcinoma epatocellulare o colangiocarcinoma oppure come metastasi di cancro in altre zone dell’apparato digerente;
  • la malattia di Wilson è un disturbo ereditario che causa l’accumulo di rame nel corpo;
  • la colangite sclerosante primitiva, una malattia autoimmune infiammatoria a carico del dotto biliare;
  • la cirrosi biliare primaria, malattia autoimmune dei dotti biliari minori;
  • la sindrome di Budd-Chiari, ovvero l’ostruzione delle vene epatiche;
  • la sindrome di Gilbert, una malattia genetica del metabolismo della bilirubina.

Numerose sono anche le malattie del fegato in età pediatrica.

Le corrette funzionalità del fegato possono essere verificate attraverso numerosi test clinici dedicati, che misurano la presenza o l’assenza di enzimi tipici, metaboliti o sostanze legati ad una regolare attività del fegato.

Chirurgia

Il primo trapianto di fegato, realizzato con successo, avvenne nel 1967. Bisognerà aspettare gli anni ottanta perché diventi un trattamento clinico standard, grazie all’introduzione della ciclosporina ad evitare il rigetto di trapianto. Il trapianto di fegato è consigliabile in tutte le malattie croniche che producano un malfunzionamento irreversibile del fegato, purché il paziente non presenti altre patologie che precludano possibilità di successo al trapianto. La maggior parte dei trapianti vengono effettuati in caso di malattie che portano a lesioni permanenti del fegato o di cirrosi (come le epatiti virali, alcoliche ed autoimmuni e la cirrosi biliare primitiva). Inoltre il fegato può essere oggetto di resezione chirurgica, spesso per il tentativo di eradicare una massa tumorale.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Albumina ed albuminemia alta o bassa: cause, valori e terapie

MEDICINA ONLINE BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEA EMOGLOBINAL’albumina è una proteina del plasma, prodotta dalle cellule epatiche. È contenuta anche nel latte e nell’albume dell’uovo, da cui prende il nome. Ha un elevato peso molecolare e costituisce circa il 60% di tutte le proteine plasmatiche.

Valori normali di albumina

La concentrazione di albumina nel sangue (albuminemia) varia fra 3,5 e 5,0 g/dl e si misura con l’elettroforesi delle proteine.

Funzioni dell’albumina

L’albumina è essenziale per la regolazione e il mantenimento della pressione oncotica, ovvero la pressione che “tiene” il sangue all’interno dei vasi sanguigni. Oltre ad essere la proteina più presente nel sangue, l’albumina è il principale veicolo di altre proteine trasportate attraverso di esso: se viene escreta con le urine (dove in condizioni normali è praticamente zero), il calo di albumina nel plasma lo rende con meno proteine disciolte e meno colloidale, con una pressione oncotica che scende sotto il limite di 20 mmHg, travaso di fluidi ed elettroliti dai vasi ai tessuti con edema generalizzato (di solito a palpebre ed estremità nella fase iniziale, e vistoso nell’addome nei cali di pressione maggiori). Le funzioni dell’albumina, in sintesi, sono le seguenti:

  • mantenimento della pressione oncotica (soglia fisiologica di 20 mmHg);
  • trasporto degli ormoni della tiroide;
  • trasporto degli altri ormoni, in particolare quelli solubili nei grassi (liposolubili);
  • trasporto degli acidi grassi liberi;
  • trasporto della bilirubina non coniugata;
  • trasporto di molti farmaci;
  • legame competitivo con gli ioni calcio (Ca2+);
  • tamponamento del pH.

Alterazioni di albumina

Eventuali valori più bassi di albuminemia sono, nella maggior parte dei casi, da ricondursi a una ridotta produzione di albumina da parte del fegato. La capacità di sintetizzare proteine da parte dell’epatocita risulta compromessa nelle epatopatie gravi, come l’emocromatosi, le epatiti croniche, la cirrosi epatica. In questi casi, la concentrazione di albumina nel siero costituisce un indice importante, sia dal punto di vista diagnostico, che da quello prognostico.

Albumina nelle urine

La molecola dell’albumina è carica negativamente, come la membrana del glomerulo renale; la repulsione elettrostatica impedisce quindi, normalmente, il passaggio dell’albumina nell’urina. Nelle sindromi nefrosiche questa proprietà viene persa e si nota di conseguenza la comparsa di albumina nelle urine del malato. L’albumina, per questo, è considerata un importante marcatore di disfunzioni renali, che compaiono anche a distanza di anni.

Leggi anche:

Ipoalbuminemia

Si parla di ipoalbuminemia generalmente quando i livelli di albumina nel sangue sono inferiori a 3,5 g/dl. Le cause di diminuita albumina nel sangue, sono varie:

1) ipoalbuminemia da sintesi ridotta di albumina, causata da:
  • cirrosi epatica (è la causa più comune);
  • sindromi da malassorbimento;
  • carenze nutrizionali;
  • malattie infiammatorie croniche con diminuzione della funzionalità epatica;
  • epatiti acute e croniche;
  • anomalie genetiche che portano alla sintesi di albumina difettosa (rare).
2) ipoalbuminemia da aumentata perdita di albumina, causata da:
  • sindrome nefrosica;
  • ustioni estese;
  • enteropatia proteino-disperdente.
 3) ipoalbuminemia da aumentato catabolismo di albumina, causato da neoplasie metastatizzate.

Iperalbuminemia

Si parla di iperalbuminemia generalmente quando i livelli di albumina nel sangue superano i 5,0 g/dl. Le cause dell’albumina alta nel sangue possono essere diverse. Si può avere un problema di disidratazione per varie ragioni, in seguito al vomito o alla diarrea prolungata, di ustioni che interessano una vasta area corporea o a causa del morbo di Addison, un’insufficienza cronica che è da attribuire alle ghiandole surrenali. Altre cause di albumina alta nel sangue possono essere la sarcoidosi (formazione di cellule del sistema immunitario in vari organi del corpo) o il morbo di Burger (infiammazione delle piccole e medie arterie). L’albumina alta nelle urine può essere determinata da una dieta troppo ricca di proteine o da un uso eccessivo di integratori. Altri fattori che influiscono possono essere il diabete, l’ipertensione, l’elevata concentrazione di acido urico nel sangue, il lupus eritematoso sistemico. Possono essere fattori di rischio anche l’età avanzata e il tabagismo. Un’altra causa è costituita dai problemi a livello renale.

Terapia delle alterazioni dell’ambuninemia

E’ impossibile indicare una terapia generale nell’ambito dei rimedi contro l’albumina alta o bassa. A volte la variazione può essere anche non patologico e legato semplicemente a condizioni transitorie dell’organismo, se si tratta invece di vere e proprie patologie, per rimediare occorre individuare e curare la malattia che costituisce la causa a monte del disturbo.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra fegato, pancreas e cistifellea

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma APPARATO DIGERENTE COSE FUNZIONA SERVE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLa fegato è la ghiandola più voluminosa del corpo e pesa circa 1500 gr. E’ collocata a destra sotto la cupola del diaframma ed è coperta dalle ultime costole. Esso è fatto da una quantità enorme di lobuli risultanti da colonne cellulari disposte come tanti raggi. Tra un lobulo e l’altro è il connettivo interstiziale.

Visto in sezione, mostra una ricchissima rete di vasi sanguigni. Infatti riceve una grande quantità di sangue sia dall’arteria epatica (un ramo della aorta) che lo nutre, sia dalla vena porta che conduce sangue refluo dall’intestino, dallo stomaco e dalla milza. Dal fegato, il sangue torna alla circolazione generale attraverso la vena cava inferiore. In una struttura del fegato detta acino, costituita da cellule di forma poliedrica viene fabbricata la bile che si raccoglie nella cistifellea e viene versata nel duodeno. La cistifellea è quindi il serbatoio della bile che, prodotta dal fegato vi affluisce attraverso il dotto epatico e cistico, si concentra e ne defluisce tramite il dotto cistico e coledoco per versarsi quindi nel duodeno. La cistifellea, lunga circa 10 centimetri, ha un diametro massimo di 3,5 centimetri e una capacità di 30÷40 centimetri cubi. E’ dotata di una tunica muscolare che, per azione di stimoli nervosi e umorali, le consente di contrarsi e di spremere la bile quando gli alimenti, ridotti a chimo dallo stomaco, passano poi nel duodeno.

Leggi anche: Dove si trova il fegato ed a che serve?

Le funzioni della bile sono molteplici. Per la maggior parte sono svolte dai sali biliari sintetizzati dal fegato che favoriscono l’emulsione dei grassi nel succo duodenale e rendono solubili in acqua sostanze normalmente insolubili. La bile, inoltre, facilita l’azione di alcuni elementi digestivi, frena la moltiplicazione dei batteri nell’intestino, stimola la peristalsi intestinale e agisce sull’acidità del chimo rendendolo alcalino. Quando ricompare l’acidità del contenuto la neutralizza recando in sé una forte quantità di carbonato sodico. Nella bile sono presenti quantità notevoli di pigmenti biliari (la bilirubina, la biliverdina) che le conferiscono la sua intensa colorazione giallo-oro. Essi derivano dalla demolizione della molecola dell’emoglobina che avviene quasi totalmente nel fegato. L’emoglobina, infatti, giunge al fegato attraverso il sangue della milza che è l’organo principale dell’emocateresi, cioè della distruzione dei globuli rossi invecchiati. I pigmenti biliari e i sali biliari vengono riassorbiti nell’intestino per poi tornare al fegato dove sono nuovamente utilizzati (una delle caratteristiche del fegato è che la corrente biliare e quella sanguigna hanno direzione contraria). Di essi, una minima parte viene eliminata con l’urina sotto forma di urobilina. I sali biliari hanno una funzione precisa perché intervengono intimamente nell’emulsionamento (suddivisione in goccioline ognuna delle quali viene circondata da una membranella che ne impedisce la reciproca fusione), nella digestione e nell’assorbimento dei grassi. La secrezione della bile, importante per la digestione, è però solo una delle tante funzioni del fegato. Il fegato regola il glucosio nel sangue e lo immagazzina sotto forma di glicogeno; trasforma i grassi per renderli accettabili alle cellule; cattura gli aminoacidi con i quali fabbrica proteine semplici, urea e nucleoproteine.

Leggi anche: Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova

Il fegato è il deposito di gran parte del ferro, il metallo che ha importanza essenziale per la fabbricazione dell’emoglobina nel midollo osseo; immagazzina vitamine tra cui la K con la quale produce la protrombina, una sostanza che svolge una funzione essenziale nella coagulazione del sangue. Inoltre regola il ricambio dell’acqua e rende innocue molte sostanze tossiche. E’ la principale fonte di calore per l’organismo a causa degli intensi processi ossidativi di cui è sede. Il fegato, insomma, si può considerare come il più complesso laboratorio chimico dell’organismo.

Il pancreas (parola che vuol dire: tutto carne) è una grossa ghiandola di colore grigio roseo e di forma irregolare, paragonabile a un martello appiattito, situata nella parte superiore della cavità addominale, sul davanti della colonna vertebrale lombare e dietro lo stomaco. Esso ha una struttura che ricorda da vicino quella delle ghiandole salivari, tanto da essere chiamato la ghiandola salivare dell’addome. Il pancreas è costituito da un’estremità destra rigonfia chiamata testa, dal corpo e da un’estremità sinistra assottigliata chiamata coda. Ha un aspetto lobulato e pesa 70÷100 grammi. Le cellule dei tubi terminali e delle dilatazioni degli stessi forniscono gli elementi della secrezione e costituiscono i così detti lobuli. Ai tubi terminali seguono i tubi collettori che confluiscono nei due condotti escretori. Tra i lobuli, qua e là, si notano isolati ammassi epiteliali che sono le isole di Langerhans.

Leggi anche: Dove si trova il pancreas ed a che serve?

Ha una forma a grappolo, e i suoi acini sono forniti di sottili canali dentro i quali versano il prodotto della loro attività che è appunto il succo pancreatico. Tali canalini confluiscono in condotti di calibro sempre maggiore fino ad arrivare alla formazione del dotto pancreatico principale che si estende dall’estremità sinistra all’estremità destra del pancreas, percorrendone l’asse. Questo condotto, insieme ad un altro detto “accessorio”, esce alfine dalla testa del pancreas, si avvicina al coledoco e con esso penetra nel duodeno sboccano nell’ampolla di Vater. La secrezione pancreatica è un atto riflesso che si determina per il contatto della mucosa duodenale con l’acido cloridrico gastrico, attraverso l’azione intermediaria della “secretina”, una sostanza di natura ormonale che eccita la secrezione del pancreas dopo aver attivato quella gastrica. Il succo pancreatico ha l’azione più energica di ogni altra nel processo digestivo e agisce su tutti i princìpi alimentari. Contiene tre importanti enzimi: la tripsina, la steapsina e l’amilopsina. La tripsina completa la trasformazione delle sostanze proteiche già iniziata nello stomaco dalla pepsina; la steapsina attacca con maggiore energia i grassi già preparati dall’azione della lipasi nello stomaco e della bile nel duodeno; l’amilopsina completa la scissione degli amidi cominciata dalla ptialina nella bocca.

Leggi anche: Bile: dove si trova, a che serve e da cosa è composta?

La tripsina è presente nel pancreas sotto forma di “prezimogeno”, inattivo, che viene attivato dalla “enterochinasi”, un fattore elaborato dalla mucosa duodenale. Se la tripsina fosse già attiva all’interno del pancreas, inizierebbe la sua azione digestiva a danno del pancreas medesimo, che andrebbe incontro ad auto digestione (autolisi). Tra gli enzimi che demoliscono i grassi alimentari nello stomaco, nel duodeno e nell’intestino, la steapsina ha l’azione più forte. E ciò avviene anche perché nel duodeno l’acidità del chimo è neutralizzata a opera di sostanze alcaline (bile e succo pancreatico). Infatti solo in ambiente alcalino può avvenire la scissione dei grassi in acidi grassi e glicerina. Nella costituzione del pancreas entrano però altri elementi ghiandolari che, sforniti di dotti escretori versano il loro prodotto direttamente nel sangue. Sono piccoli ammassi di cellule disseminati nella compagine del tessuto ghiandolare acinoso. Si chiamano isole di Langerhans e nel loro complesso formano una ghiandola a secrezione interna la quale produce un ormone detto insulina, che regola il ricambio degli zuccheri, favorendo l’accumulo di glicogeno nel fegato e nei muscoli e la combustione del glucosio a livello delle cellule.

Il pancreas è dunque una ghiandola con doppia funzione: una secrezione esterna, il succo pancreatico, prodotta dagli acini e versata nel duodeno; una secrezione interna, l’insulina, prodotta dalle così dette isole di Langerhans e versata nel sangue. Appare chiaro che nella funzione digestiva l’aspetto chimico prevale su quello meccanico della masticazione e della peristalsi. Infatti la digestione è più che altro una sequenza di reazioni chimiche di progressiva semplificazione delle sostanze alimentari per renderle accettabili alle cellule. E i grandi protagonisti di tale semplificazione sono gli enzimi, ognuno dei quali ha un’azione specifica su una determinata sostanza.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenza tra pressione idrostatica, oncotica ed osmotica

MEDICINA ONLINE CAPILLARE SANGUE PRESSIONE IDROSTATICA ONCOTICA STARLING RENI RENE URINA APPARATO URINARIO AZOTEMIA ALBUMINA SINDROME NEFRITICA NEFROSICA PROTEINURIA POLLACHIURIA UREMIA LABORATORIO INSUFFICIENZA RENALE.jpgLa pressione idrostatica è la forza esercitata da un fluido in quiete sull’unità di superficie con cui è a contatto normalmente a essa. Il valore di questa pressione dipende esclusivamente dalla densità del fluido e dall’affondamento del punto considerato dal pelo libero o, in linea più generale, dal piano dei carichi idrostatici.

La pressione osmotica è una proprietà colligativa associata alle soluzioni. Quando due soluzioni con lo stesso solvente, ma a concentrazioni diverse di soluto, sono separate da una membrana semipermeabile (cioè che lascia passare le molecole di solvente ma non quelle di soluto), le molecole di solvente si spostano dalla soluzione con minore concentrazione di soluto (quindi maggiore concentrazione di solvente) alla soluzione con maggiore concentrazione di soluto (quindi minore concentrazione di solvente), in modo da uguagliare (o meglio, rendere vicine) le concentrazioni delle due soluzioni. La pressione che occorre applicare alla soluzione affinché il passaggio del solvente non avvenga è detta appunto “pressione osmotica”.

Con pressione oncotica si intende una pressione osmotica esercitata da soluzioni colloidali. In medicina e fisiologia il termine si riferisce alla pressione causata dalle proteine (come l’albumina prodotta dal fegato) presenti in soluzione nel plasma sanguigno. In condizioni normali il suo valore è 20 mmHg (28 mmHg a livello sanguigno – 8 mmHg opposta a livello tissutale) ed è in grado di determinare il movimento di liquido attraverso le membrane dei capillari, e in particolare nel glomerulo renale.

In generale, la differenza tra pressione oncotica e pressione idrostatica a livello dell’estremità arteriosa dei capillari favorisce il passaggio nello spazio extracellulare di acqua, elettroliti e alcune proteine del plasma. La minore pressione idrostatica che si ha a livello delle estremità venose dei capillari (data tra le altre cose dalla diminuzione della velocità del sangue) e la costante pressione oncotica inducono, invece, un riassorbimento nel circolo sanguigno di acqua, di elettroliti e dei prodotti del catabolismo dei tessuti.

Semplificando: mentre la pressione idrostatica spinge il sangue verso l’esterno del vaso sanguigno, la pressione oncotica tende a trattenerlo all’interno del vaso. Questo è il motivo per cui ad esempio un calo di albuminemia (cioè l’albumina contenuta nel sangue), come quello che si verifica in caso di cirrosi epatica, determina un calo della pressione oncotica del sangue e quindi una patologica fuoriuscita del sangue dal vaso sanguigno con formazione di trasudato (edema non infiammatorio) ed ascite.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Cirrosi epatica e fegato: sintomi, dieta, diagnosi, terapia e prevenzione

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITO.jpgLa cirrosi epatica è una condizione in cui il fegato si deteriora lentamente e non funziona più a causa di lesioni croniche. Il tessuto cicatriziale sostituisce il tessuto epatico sano, bloccando parzialmente il flusso del sangue diretto verso il fegato. Le cicatrici pregiudicano anche la capacità del fegato di:

  • controllare le infezioni,
  • eliminare i batteri e le tossine dal sangue,
  • controllare il processo di elaborazione di nutrienti, di ormoni e dei farmaci,
  • produrre le proteine che regolano la coagulazione del sangue,
  • produrre la bile per aiutare ad assorbire i grassi, tra cui il colesterolo, e le vitamine liposolubili.

Un fegato sano è in grado di rigenerare la maggior parte delle proprie cellule nel momento in cui esse vengono danneggiate; nel caso di cirrosi il fegato non può più efficacemente sostituire le cellule danneggiate. Un fegato sano è necessario per la sopravvivenza.

Cause

La cirrosi epatica ha varie cause, nei paesi industrializzati il consumo di alcol e l’epatite C sono le cause nettamente più comuni. Anche l’obesità sta diventando una causa comune di danni epatici, o come causa unica oppure in combinazione con alcol o con l’epatite C, o entrambi. Molte persone che soffrono di cirrosi presentano più di una causa. La cirrosi non è causata da un trauma al fegato o da altre cause acute o di breve durata, di solito occorrono anni di lesioni croniche per arrivare allo sviluppo di cirrosi.

  • Malattie epatiche legate all’alcol. La maggior parte delle persone che consuma alcolici non subisce danni al fegato, ma il consumo prolungato nel corso degli anni può provocare lesioni croniche. La quantità di alcool che serve per danneggiare il fegato varia notevolmente da persona a persona, per le donne bere due o tre bicchieri di vino o birra al giorno e per gli uomini tre o quattro drink al giorno sono quantità potenzialmente sufficienti a causare negli anni danni responsabili di cirrosi. In passato i casi dovuti all’alcool hanno portato alla morte più dei casi di cirrosi epatica legati ad altre cause. I decessi causati da cirrosi correlate all’obesità sono però in aumento.
  • Epatite cronica C. Il virus dell’epatite C è un’ infezione del fegato che si trasmette attraverso il contatto con il sangue della persona infettata. L’epatite C causa l’infiammazione e danni al fegato nel corso del tempo, che possono portare alla cirrosi.
  • Epatite cronica B e D. Il virus dell’epatite B è causa di una infezione del fegato che si trasmette attraverso il contatto con il sangue della persona infettata, lo sperma o altri fluidi del corpo. L’epatite B, come la C, causa l’infiammazione del fegato e può portare alla cirrosi. Il vaccino anti-epatite B viene fatto a tutti i bambini e a molti adulti per evitare che il virus possa infettarli. L’epatite D è un altro virus che infetta il fegato e può portare a cirrosi epatica, ma si verifica solo nelle persone che già soffrono di epatite B.
  • Epatopatia steatosica non alcolica. In questa patologia il grasso si accumula nel fegato fino a causare cirrosi. Questa malattia, sempre più diffusa, è associata all’obesità, al diabete, alla malnutrizione proteica, alla malattia coronarica, e ai farmaci corticosteroidi.
  • Epatite autoimmune. Questa forma di epatite è causata dal sistema immunitario che attacca le cellule del fegato e causa l’ infiammazione, il danno epatico ed infine cirrosi. I ricercatori ritengono che i fattori genetici possono rendere alcune persone più vulnerabili alle malattie autoimmuni. Circa il 70 per cento delle persone con epatite autoimmune sono di sesso femminile.
  • Malattie che danneggiano o distruggono i dotti biliari. Numerose malattie possono danneggiare o distruggere i dotti che trasportano la bile (una sostanza coinvolta nella digestione) dal fegato, facendo sì che ritorni indietro nel fegato fino a causare cirrosi. Negli adulti la malattia più comune che rientra in questa categoria è la cirrosi biliare primitiva, una condizione in cui i dotti biliari diventano infiammati e danneggiati ed infine scompaiono. La cirrosi biliare secondaria si può verificare se i dotti vengono cuciti erroneamente o feriti durante l’intervento chirurgico alla cistifellea. La colangite sclerosante primaria è un’altra condizione che causa danni e cicatrici ai dotti biliari. Nei neonati i dotti biliari danneggiati sono comunemente causati dalla sindrome di Alagille o da atresia delle vie biliari, che si verifica quando i dotti sono assenti o feriti.
  • Malattie ereditarie. La fibrosi cistica, l’alfa-1 antitripsina, l’emocromatosi, la malattia di Wilson, la galattosemia e le malattie da accumulo di glicogeno sono malattie ereditarie che interferiscono con il modo in cui il fegato funziona ed elabora enzimi, proteine, metalli ed altre sostanze di cui il corpo ha bisogno per poter funzionare correttamente . La cirrosi può derivare da queste condizioni.
  • Farmaci, tossine, e infezioni. Altre cause di cirrosi sono l’abuso di farmaci, l’esposizione prolungata a sostanze chimiche tossiche, le infezioni parassitarie e i ripetuti attacchi di insufficienza cardiaca con congestione del fegato.

Leggi anche:

Sintomi

Molte persone che soffrono di cirrosi non avvertono alcun sintomo nelle fasi iniziali della malattia ma, a seguito dell’inarrestabile progressione, si possono verificare:

  • debolezza,
  • stanchezza
  • perdita di appetito,
  • nausea
  • vomito,
  • perdita di peso,
  • dolore addominale e gonfiore, quando il fluido si accumula nell’addome,
  • prurito,
  • ittero,
  • teleangectasie (capillari e vene visibili sulla pelle).

Pericoli

Con il progressivo peggioramento della cirrosi e delle condizioni del fegato si possono sviluppare una o più complicazioni; in alcune persone queste possono rappresentare i primi segni della malattia.

  • Edema e ascite. Quando il danno epatico progredisce ad uno stadio avanzato, si accumula fluido nelle gambe (edema) e nell’addome (ascite). L’ascite può portare alla peritonite batterica, una grave infezione.
  • Ecchimosi e sanguinamento. Quando il fegato rallenta o smette di produrre le proteine necessarie per la coagulazione del sangue, si sviluppano lividi o si sanguina facilmente.
  • Ipertensione portale. Normalmente, il sangue dall’intestino e dalla milza viene condotto al fegato attraverso la vena porta. La cirrosi epatica rallenta il normale flusso del sangue, il che aumenta la pressione nella vena porta. Questa condizione è chiamata ipertensione portale.
  • Varici esofagee e gastropatia. Quando si verifica l’ipertensione portale, essa potrebbe causare la dilatazione dei vasi sanguigni nell’esofago (le varici) o nello stomaco (gastropatia) o entrambe le cose. I vasi sanguigni dilatati hanno maggiori probabilità di scoppiare a causa dell’assottigliamento delle pareti e dell’aumento della pressione. Se scoppiano, si possono verificare delle emorragie gravi nella parte alta dello stomaco o nell’esofago, che richiedono delle cure mediche immediate.
  • Splenomegalia. Quando si verifica ipertensione portale, la milza tende a dilatarsi e a trattenere globuli bianchi e piastrine, riducendo il numero di queste cellule nel sangue. Un livello basso di piastrine può essere un primo indice che si sta sviluppando la cirrosi.
  • Ittero. L’ittero si verifica quando il fegato malato non riesce a rimuovere la bilirubina dal sangue, causando l’ ingiallimento della pelle e del bianco degli occhi e lo scurimento delle urine. La bilirubina è il pigmento che dà alla bile il colore rossastro-giallo.
  • Calcoli biliari. Se cirrosi impedisce alla bile di fluire liberamente da e per la colecisti, allora la bile si indurisce a formare i calcoli biliari.
  • Sensibilità ai farmaci. La cirrosi rallenta la capacità del fegato di filtrare i farmaci dal sangue. Quando questo si verifica i farmaci agiscono per più tempo del previsto e si accumulano nel corpo. Ciò aumenta la sensibilità ai farmaci e la probabilità di effetti collaterali.
  • Encefalopatia epatica. Un fegato mal funzionante non riesce a rimuovere le tossine dal sangue, che alla fine si accumulano nel cervello. L’accumulo di tossine nel cervello (encefalopatia epatica) può ridurre le funzioni mentali e può causare il coma. Tra i segni della riduzione della funzionalità mentali rientrano: confusione mentale, alterazioni della personalità, perdita della memoria, difficoltà di concentrazione, e un cambiamento nelle abitudini di sonno.
  • L’insulino-resistenza e diabete di tipo 2. La cirrosi provoca resistenza all’insulina, un ormone prodotto dal pancreas che permette al corpo di usare il glucosio come energia. Con l’insulino-resistenza i muscoli del corpo e le cellule del fegato non utilizzano correttamente l’insulina. Il pancreas cerca di soddisfare la richiesta di insulina producendo di più, ma il glucosio in eccesso si accumula nel sangue causando il diabete di tipo 2.
  • Cancro del fegato. Il carcinoma epatocellulare è un tipo di cancro del fegato che può verificarsi nelle persone affette da cirrosi. Il carcinoma epatocellulare ha un alto tasso di mortalità, ma sono disponibili numerose opzioni di trattamento.
  • Altri problemi. La cirrosi può causare delle disfunzioni del sistema immunitario, che portano al rischio di infezione. La cirrosi può anche causare insufficienza renale e polmonare, nota come sindrome epato-renale ed epato-polmonare.

Leggi anche:

Diagnosi

La diagnosi della cirrosi è di solito basata sulla presenza di uno o più fattori di rischio, come l’abuso di alcolici o l’obesità, ed è confermato da un esame fisico, esami del sangue e da esami di imaging. Il medico si informa inizialmente sulla storia medica del paziente e sui sintomi che si sono manifestati, procede poi con un esame fisico per analizzare i sintomi e i segni clinici della malattia. Per esempio, attraverso l’esame addominale il fegato può apparire rigido o dilatato, con segni di ascite. Il medico può anche effettuare degli esami del sangue che possono essere utili per valutare il fegato e aumentare il sospetto di cirrosi. Per poter visualizzare il fegato nel caso in cui sussistano dei segni di allargamento, una riduzione del flusso di sangue, o l’ ascite, il medico può ordinare una tomografia computerizzata (TC), l’ecografia, la risonanza magnetica (MRI), o la scansione del fegato. È inoltre possibile visualizzare direttamente il fegato con l’inserimento di un laparoscopio nell’addome; il laparoscopio è uno strumento munito di telecamera che trasmette immagini sullo schermo di un computer. La biopsia epatica può confermare la diagnosi di cirrosi, ma non è sempre necessaria. La biopsia di solito viene effettuata se il risultato fosse determinante nella scelta del trattamento. La biopsia viene eseguita con un ago inserito tra le costole o in una vena del collo. Vengono prese tutte le precauzioni per ridurre al minimo il disagio. Un piccolo campione di tessuto epatico viene esaminato con un microscopio per cicatrici o altri segni di cirrosi. A volte tramite la biopsia viene riscontrata una causa di danno epatico diverso dalla cirrosi.

Punteggio MELD nella cirrosi epatica

La gravità della cirrosi viene valutata attraverso un modello per la malattia epatica (MELD). Il punteggio MELD è stato sviluppato per predire la sopravvivenza a 90 giorni delle persone con cirrosi avanzata. Il punteggio MELD è basato su tre esami del sangue:

  • rapporto normalizzato internazionale (INR), che esamina la capacità di coagulazione del sangue,
  • bilirubina, che esamina la quantità di pigmenti biliari nel sangue,
  • creatinina, che esamina la funzionalità renale.

Il MELD assegna un punteggio che di solito varia tra 6 e 40, un punteggio pari a 6 indica una maggiore probabilità di sopravvivenza a 90 giorni.

Leggi anche;

Cura e terapia

Il trattamento per la cirrosi epatica dipende dalla causa della malattia e dall’eventuale presenza di complicazioni. Gli obiettivi del trattamento sono:

  • rallentare la progressione di tessuto cicatriziale nel fegato,
  • prevenire o trattare le complicanze della malattia.

Può essere necessario il ricovero in ospedale in caso di complicanze. Innanzi tutto si consiglia:

  • Una dieta nutriente. Poiché la malnutrizione è comune nelle persone affette da cirrosi, una dieta sana è importante in tutte le fasi della malattia. Gli operatori sanitari raccomandano un piano alimentare che sia ben equilibrato. Se si sviluppa l’ascite è raccomandata una dieta povera di sodio. Una persona affetta da cirrosi non dovrebbe mangiare molluschi e crostacei crudi, che possono contenere batteri in grado di causare infezioni gravi. Per migliorare la nutrizione il medico può aggiungere un supplemento di liquido assunto per bocca o attraverso un sondino nasogastrico, un tubicino inserito attraverso il naso e la gola che raggiunge lo stomaco.
  • Evitare alcolici e altre sostanze d’abuso. Le persone con cirrosi non dovrebbero consumare alcolici o sostanze illecite, per non peggiorare i danni al fegato. Poiché molte vitamine e farmaci, sia quelli soggetti a prescrizione che quelli da banco, possono influire sulla funzionalità del fegato, si dovrebbe consultare un medico prima dell’assunzione.

Il trattamento per la cirrosi affronta anche delle complicanze specifiche. Per l’edema e l’ascite, il medico può consigliare dei diuretici e dei farmaci per rimuovere il liquido dal corpo. Grandi quantità di liquido ascitico possono essere rimosse dall’addome e controllare la peritonite batterica. Possono essere prescritti degli antibiotici orali per prevenire l’infezione. Le infezioni più gravi con ascite richiedono degli antibiotici assunti per via endovenosa (IV).

Il medico può poi prescrivere un beta-bloccante o dei nitrati per l’ipertensione portale. I beta-bloccanti possono ridurre la pressione nelle varici e ridurre il rischio di sanguinamento. Il sanguinamento gastrointestinale richiede un’immediata gastroscopia alla ricerca di varici esofagee. Il medico può effettuare una legatura con bande mediante un dispositivo speciale per comprimere le varici e fermare l’emorragia. Le persone che hanno avuto varici in passato possono aver bisogno di medicine per prevenire episodi futuri. L’encefalopatia epatica viene trattata mediante la pulizia dell’intestino con il lattulosio (Laevolac®), un lassativo somministrato per via orale, farmaci lassativi osmotici diversi o tramite clisteri. Possono essere aggiunti degli antibiotici, se necessario. Ai pazienti può essere chiesto poi di ridurre l’assunzione di proteine nella dieta. L’encefalopatia epatica può migliorare, nel momento in cui vengono tenute sotto controllo le altre complicanze della cirrosi.

Alcune persone affette da cirrosi che sviluppano insufficienza epato-renale devono essere sottoposte a dialisi, che si basa sull’utilizzo di una macchina per pulire i rifiuti dal sangue. Vengono inoltre assunti dei farmaci per migliorare il flusso di sangue attraverso i reni. vIl trattamento per cirrosi causata da epatite dipende dal tipo specifico di epatite, ad esempio l’interferone ed altri farmaci antivirali vengono prescritti per l’epatite virale, mentre l’epatite autoimmune richiede corticosteroidi e altri farmaci che sopprimono il sistema immunitario. Vengono indicati farmaci specifici per il trattamento di vari sintomi di cirrosi, come il prurito e il dolore addominale.

Leggi anche:

Quando è indicato un trapianto di fegato per cirrosi?

Il trapianto di fegato viene preso in considerazione quando le complicazioni non possono essere controllate dal trattamento. Il trapianto di fegato è un’operazione delicata in cui l’organo malato viene rimosso e sostituito con uno sano da un donatore di organi. Un team di medici determina i rischi ed i benefici della procedura per ciascun paziente. I tassi di sopravvivenza sono migliorati nel corso degli ultimi anni grazie a dei farmaci che sopprimono il sistema immunitario, evitando che il nuovo fegato venga danneggiato.

Il numero di persone che ha bisogno di un trapianto di fegato supera di gran lunga il numero di organi disponibili. Chi necessita di un trapianto deve passare attraverso un complicato processo di valutazione prima di essere aggiunto a una lunga lista d’attesa per il trapianto. In generale gli organi vengono resi disponibili per le persone con le migliori possibilità di vivere più a lungo dopo un trapianto. La sopravvivenza dopo un trapianto necessita di terapie intensive post-operazione e della collaborazione del paziente e del personale medico.

Prevenzione

Si può ridurre il rischio di cirrosi prendendosi cura del proprio fegato, ad esempio:

  • Eliminare qualsiasi alcolico o – almeno – bere alcolici con estrema moderazione, specie se sono presenti altri casi di cirrosi in famigliari. Per gli uomini è bene bere non più di due bicchieri al giorno, mentre per le donne o chiunque abbia 65 anni o più è preferibile non bere più di un bicchiere al giorno.
  • Seguire una dieta sana. È consigliabile scegliere una dieta ricca di frutta e verdura, prediligere cereali e le fonti di proteine magre, ridurre la quantità di cibi grassi e fritti.
  • Mantenere un peso sano. Un eccesso di grasso corporeo può danneggiare il fegato, è bene perdere qualche chilo se si è obesi o in sovrappeso.
  • Utilizzare sostanze chimiche domestiche con parsimonia e attenzione, seguire le indicazioni sui detersivi e gli spray per gli insetti. Se si lavora a contatto con vari prodotti chimici, è bene seguire tutte le precauzioni di sicurezza. Il fegato elimina le tossine dal corpo, per cui sarebbe bene concedergli regolarmente una pausa, limitando la quantità di tossine da filtrare.
  • Ridurre il rischio di epatite. Evitare lo scambio di siringhe ed i rapporti sessuali non protetti che possono aumentare il rischio di epatite C e B. E’ quindi opportuno usare il preservativo durante i rapporti sessuali.
  • Valutare con il vostro medico l’eventuale vaccinazione contro l’epatite B.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Reddit, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenza tra emoglobina, ferro, ferritina e transferrina

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEA EPer prima cosa chiariamo che l’emoglobina è una proteina con struttura di quattro subunità, presente nei globuli rossi, responsabile del trasporto dell’ossigeno molecolare da un compartimento ad alta concentrazione di O2 ai tessuti che ne hanno bisogno. Ognuno dei suoi 4 globuli proteici, detto globina, ha al suo interno una molecola di protoporfirina che coordina uno ione ferro Fe2+, posto leggermente al di fuori del piano della molecola, nell’insieme chiamata gruppo Eme. L’emoglobina è inoltre una proteina allosterica.

Il ferro è invece un elemento chimico diffuso sia negli organismi animali sia vegetali, entra nella costituzione dell’emoglobina ed è fondamentale per il processo di formazione della clorofilla. È indispensabile per la vita di tutti gli esseri viventi che inglobano il ferro nel complesso ’eme’, componente essenziale delle proteine. Quando si parla di ferro, si parla anche di ossidoriduzione. Per questo motivo, nel nostro organismo, il ferro è legato ad alcune proteine che regolano il suo stato di ossidazione evitando un aumento dei radicali liberi . È parte integrante dell’emoglobina, una proteina contenuta nei globuli rossi.

La funzione principale del ferro è di legare l’ossigeno e cederlo ai tessuti e agli organi per costruire la loro struttura, ed alle singole cellule per la loro moltiplicazione. Ma, come ogni elemento, presenta i suoi contro. Difatti, se il ferro è in eccesso propende alla tossicità, ragion per cui, il nostro organismo tende ad attirarlo e a depositarlo in forma non dannosa, nel fegato. Il ferro viene assorbito dal duodeno grazie alla proteina transferrina. In seguito viene trasportato fino al midollo, per produrre globuli rossi, oppure fino agli organi di deposito come il fegato. In caso di carenza di ferro nel sangue, il fegato restituisce il ferro alla transferrina, che si occupa del suo trasporto nel sangue. La sideremia esprime la quantità del ‘ferro circolante’ nell’organismo. Tale definizione ci aiuta a stabilire che differenza c’è tra ferro e ferritina. Il ferro è un preziosissimo metallo presente nel nostro organismo, la ferritina è la proteina che deposita il ferro nel fegato. È costituita da un guscio proteico all’interno del quale vengono immagazzinati atomi di ferro. Può essere in grado di stoccare fino a 4500 unità di ferro. Essa è presente in tutti i tessuti, ma in particolare nelle cellule del fegato, della milza e del midollo osseo. La sua concentrazione nel sangue determina le riserve di ferro presenti nell’organismo e stabilisce la presenza di eventuali patologie legate alla carenza o alla sovrabbondanza di ferro. Il dosaggio si calcola con un prelievo venoso e i valori devono essere 20-120 nanogrammi/mL per le donne e 20-200 nanogrammi/mL per gli uomini.

Per approfondire:

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Angioma epatico, una massa all’interno del fegato: è un cancro?

MEDICINA ONLINE VENA PORTA SISTEMA PORTALE CIRCOLAZIONE EPATICA FEGATO INTESTINOL’angioma epatico è una massa non cancerosa che si può formare all’interno del fegato e che in molti casi non scatena sintomi e non ha bisogno di alcun trattamento. A volte all’interno del fegato può formarsi un groviglio di vasi sanguigni che prende il nome di angioma (o emangioma) epatico. Non si tratta di un cancro, ma di una massa benigna che nella maggior parte dei casi non causa disturbi e che viene individuata durante controlli prescritti per indagare altre problematiche. La probabilità di avere a che fare con questo disturbo è maggiore fra i 30 e i 50 anni e la maggior parte delle diagnosi riguarda donne. In particolare, a essere più soggette all’angioma epatico sono le donne che hanno affrontato una gravidanza e quelle che hanno alleviato i sintomi della menopausa affidandosi alla terapia ormonale sostitutiva. In questi ultimi due casi a giocare un ruolo fondamentale sarebbero gli ormoni. Per questo stesso motivo donne affette da emangioma potrebbero andare incontro a delle complicazioni sia nel caso in cui rimanessero incinte, sia nel caso assumessero farmaci che influenzano i livelli di ormoni, come la pillola anticoncezionale.

Leggi anche:

Quali sono le cause dell’angioma epatico?

Le cause della formazione dell’angioma epatico non sono state del tutto chiarite. Alcuni esperti ritengono che si tratti di un problema congenito e che gli estrogeni, ormoni femminili i cui livelli aumentano durante la gravidanza, potrebbero favorirne la crescita.

Quali sono i sintomi dell’angioma epatico?

Nella maggior parte dei casi la presenza di un angioma epatico non scatena nessun sintomo. Nel caso in cui dovessero insorgere dei disturbi potrebbe includere dolore nella parte alta a destra dell’addome, un senso di pienezza dopo aver mangiato piccole quantità di cibo, mancanza di appetito, nausea e vomito.

Come prevenire l’angioma epatico?

Non sono note strategie per prevenire l’angioma epatico.

Diagnosi

La diagnosi di angioma epatico può richiedere i seguenti esami:

  • Ecografia
  • TC
  • RN
  • SPECT

A seconda della situazione clinica specifica del paziente potrebbero poi essere prescritti altri test e analisi.

Trattamenti

Nella maggior parte dei casi la presenza di un angioma epatico non richiede alcun trattamento. Anche se l’idea di convivere con una massa, seppur benigna, all’interno del fegato potrebbe generare qualche paura, l’esperienza dei medici tranquillizza i pazienti: non c’è nessuna prova che un emangioma al fegato non trattato possa portare allo sviluppo di un cancro. Tuttavia anche quando la massa è piccola e non scatena sintomi il medico potrebbe ritenere opportuno monitorarlo con controlli regolari. In alcuni rari casi l’angioma epatico può iniziare a crescere e potrebbero comparire delle complicazioni. In questi casi e quando la presenza della massa scatena dei disturbi potrebbe essere consigliato un intervento chirurgico per rimuoverla o per asportare parte del fegato. In altri casi potrebbe invece essere consigliato di sottoporsi a procedure per bloccare il flusso di sangue all’emangioma, in modo da promuoverne il blocco della crescita o addirittura la riduzione. Il trapianto di fegato è necessario solo in casi molto rari in cui l’angioma è molto grande o ne sono presenti più di uno che non possono essere trattati in altro modo. In rari casi i medici decidono di distruggere le cellule dell’angioma con una radioterapia.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!