Differenza tra malattia acuta e cronica con esempi

Cassazione conferma solo il medico può fare il dietologo no nutrizionista distista biologoUna malattia acuta è un processo morboso (di tipo funzionale o organico) a rapida evoluzione, con tipica struttura “a picco”: si nota la comparsa di sintomi e segni violenti in breve tempo (pochi giorni) e di cui in genere si dà un riscontro causale diretto (ad esempio: virus influenzale –> influenza). La guarigione in questo caso è molte volte possibile in modo relativamente rapido anche senza intervento medico (grazie sia ai meccanismi di difesa insiti nel corpo umano) oppure grazie a cure mediche tempestive.

Una malattia cronica è una processo morboso che, al contrario della malattia acuta,  presenta sintomi che non si risolvono nel tempo né generalmente giungono a miglioramento con farmaci né tanto meno senza intervento medico. Sono croniche tutte quelle patologie caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche. In un malato cronico si possono alternare periodi di remissione, nei quali i sintomi diminuiscono o sono maggiormente sopportati, e periodi di riacutizzazione o peggioramento. La lenta e progressiva evoluzione di una malattia cronica è spesso derivante da poli-causalità, cioè da più fattori in concatenazione fra loro nonostante il più delle volte ciascuno di essi, preso singolarmente, non causi di solito direttamente la malattia (ad esempio un’artrosi lombare derivante da microtraumatismi, vizi posturali, obesità, tensioni muscolari anche psicologiche, mal posizioni degli appoggi plantari, eccetera). Pur con marcate differenze fra ciascuna patologia, in genere è possibile trattare i sintomi ma non guarire. Le patologie croniche vanno dalle cardiopatie (ipertensione arteriosa, valvulopatie…), ai tumori, alle patologie gastriche o intestinali (pancreatite cronica), neurologiche (sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, Alzheimer, Parkinson…), muscolo-scheletriche, autoimmunitarie (lupus eritematoso sistemico) e polomonari (polmonite eosinofila cronica).

Una malattia acuta può diventare cronica?
Certamente è possibile. Una malattia acuta in un corpo con scarse difese oppure trascurata, o ancora, mal curata può via via diventare malattia cronica (ad esempio un colpo di frusta cervicale può causare, nel tempo, un’artrosi cervicale).

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Che significa malattia cronica? Esempi di malattia cronica

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia  Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Dieta Sessuologia Sex PSA Pene HD Laser Filler Rughe Botulino CINQUE RIMPIANTI IN PUNTO DI MORTEUna malattia cronica è una processo morboso che presenta sintomi che non si risolvono nel tempo né generalmente giungono a miglioramento con farmaci né tanto meno senza intervento medico. Sono croniche tutte quelle patologie caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche. In un malato cronico si possono alternare periodi di remissione, nei quali i sintomi diminuiscono o sono maggiormente sopportati, e periodi di riacutizzazione o peggioramento. La lenta e progressiva evoluzione di una malattia cronica è spesso derivante da poli-causalità, cioè da più fattori in concatenazione fra loro nonostante il più delle volte ciascuno di essi, preso singolarmente, non causi di solito direttamente la malattia (ad esempio un’artrosi lombare derivante da microtraumatismi, vizi posturali, obesità, tensioni muscolari anche psicologiche, mal posizioni degli appoggi plantari, eccetera). Pur con marcate differenze fra ciascuna patologia, in genere è possibile trattare i sintomi ma non guarire. Le patologie croniche vanno dalle cardiopatie (ipertensione arteriosa, valvulopatie…), ai tumori, alle patologie gastriche o intestinali (pancreatite cronica), neurologiche (sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, Alzheimer, Parkinson…), muscolo-scheletriche, autoimmunitarie (lupus eritematoso sistemico) e polomonari (polmonite eosinofila cronica).

Una malattia cronica può essere il risultato di una malattia acuta?
Certamente è possibile. Una malattia acuta in un corpo con scarse difese oppure trascurata, o ancora, mal curata può via via diventare malattia cronica (ad esempio un colpo di frusta cervicale può causare, nel tempo, un’artrosi cervicale).

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Triade di Virchow: i tre fattori di rischio per la trombosi

MEDICINA ONLINE GLICEMIA INSULINA SANGUE DIFFERENZA CONCENTRAZIONE ORMONE PIASTRINE GLOBULI ROSSI BIANCHI GLUCAGONE TESTOSTERONE ESTROGENI PROGESTERONE CUORELa triade di Virchow (pronuncia: “virciu”) in medicina descrive le tre grandi categorie di fattori di rischio che si ritiene contribuiscano sinergicamente alla trombosi. I tre fattori sono:

  1. Ipercoagulabilità del sangue.
  2. Variazioni emodinamiche (come il rallentamento di flusso, la stasi, le turbolenze).
  3. Lesioni/disfunzioni dell’endotelio della parete del vaso sanguigno.

Essa prende il nome dall’eminente medico tedesco Rudolf Virchow (1821-1902). Tuttavia, gli elementi che compongono la triade di Virchow non sono stati né proposti da Virchow né egli ha mai suggeriscono una triade per descrivere la patogenesi della trombosi venosa. In realtà, solo decenni dopo la sua morte si è raggiunto un consenso che ha portato alla formulazione della teoria che la trombosi sia il risultato di alterazioni nel flusso sanguigno, di danno endoteliale vascolare o alterazioni nella costituzione del sangue. Tuttavia, la moderna comprensione dei fattori che determinano l’embolia è simile alla descrizione fornita da Virchow. Nonostante le sue origini, dopo cento anni la triade di Virchow rimane ancora un concetto molto utile per i medici ed i patologi per la comprensione dei fattori alla base della trombosi.

La triade

La triade è composta da tre elementi:

Fenomeno Termine moderno Patologie
Fenomeni di interruzione del flusso sanguigno Stasi sanguigna La prima categoria, alterazioni nel normale flusso sanguigno, si riferisce a diverse situazioni. Questi includono stasi venosa, stenosi mitralica, immobilità prolungata (come un lungo periodo allettato o in auto) e le vene varicose. L’equivalenza della versione di Virchow e la versione moderna è stata contestata.
Fenomeni associati all’irritazione del vaso e delle sue vicinanze Danno endoteliale o danno alla parete del vaso La seconda categoria, lesioni e/o traumi all’endotelio, includono rottura del vaso e danni derivanti da sforzo di taglio o ipertensione. Questa categoria è composta da fenomeni superficiali e contatto con superfici procoagulanti, quali batteri, frammenti di materiali estranei, impianti di biomateriali o dispositivi medici, membrane delle piastrine attivate e membrane di monociti durante una infiammazione cronica
Fenomeno della coagulazione del sangue Ipercoagulabilità L’ultima categoria, alterazioni nella costituzione del sangue, ha numerosi possibili fattori di rischio come iperviscosità, deficit di antitrombina III, deficit di proteina C o S, fattore V di Leiden, sindrome nefrosica, modifiche in seguito a gravi traumi o ustioni, metastasi da tumore, gravidanza tardiva e il parto, razza, età avanzata, fumo di sigaretta, e contraccettivi ormonali e l’obesità. Tutti questi fattori di rischio possono causare una situazione di ipercoagulabilità (coagulazione del sangue troppo facile).

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Nanismo: sintomi, cura, cause, terapia, diagnosi e prevenzione

MEDICINA ONLINE TALL SHORT MAN GIRL WOMAN BOY ALTEZZA STATURA AUMENTARE NANISMO LITTLE PEOPLE ALTEZZA CENTIMETRI LUNGHEZZA MONDO MEDIA ITALIANA ITALIA MONDO MEDIA PER REGIONE OSSA ORMONI GH CRESCITA PUBERTA SALDATURA OSSEA.jpgCon nanismo si intende una situazione patologica caratterizzata dal mancato raggiungimento del livello staturale della media della popolazione. Si distinguono nanismi armonici e nanismi disarmonici. Più precisamente, si parla di nanismo quando l’altezza di un individuo risulta inferiore di tre deviazioni standard sulla curva di accrescimento normale stabilita in funzione dell’età e del sesso. Esistono infatti tabelle di accrescimento, elaborate a partire da ampie popolazioni infantili, che forniscono, per ogni età e sesso, un’altezza media normale ed il valore di una deviazione standard.

Cause

Le cause del nanismo sono multiple, in quanto la statura è determinata da moltissimi fattori: genetici, ormonali e ambientali, tuttavia, la maggior parte dei bambini sottoposti all’attenzione del medico per bassa statura non presentano alcunché di patologico: si tratta in molti casi di una bassa statura costituzionale, con una curva di accrescimento regolare, o di un ritardo di crescita legato ad una pubertà tardiva. Occorre distinguere le forme di nanismo a causa prenatale da quelle che esordiscono (o che si manifestano) dopo la nascita.

Nanismi prenatali

Tra i nanismi prenatali figurano il ritardo di crescita intrauterino, le anomalie ossee costituzionali, la più frequente delle quali è l’acondroplasia (malattia genetica a carico dello scheletro), e alcune anomalie cromosomiche che portano a diverse malformazioni (trisomia 21, sindrome di Turner). Tutte queste patologie possono venire diagnosticate prima della nascita con l’ecografia o l’amniocentesi.

Nanismi postnatali

Le forme di nanismo ad esordio postnatale comprendono alcune anomalie endocrine: ipertiroidismo, deficit dell’ormone della crescita. Alcune malattie metaboliche o viscerali (morbo celiaco, caratterizzato da malassorbimento digestivo, malattie renali, epatiche, neurolo giche o cardiorespiratorie) sono talvolta responsabili di nanismo. Altre possibili cause sono malnutrizione per difetto e carenze affettive (nanismo psicosociale). Infine vi sono casi per i quali non è evidenziabile alcuna causa (nanismo essenziale o idiopatico).

Nanismo essenziale

Esistono forme di nanismo “essenziale”, che non possono essere ricondotte ad alcun meccanismo patogenetico noto. Alcune famiglie per esempio presentano una notevole incidenza di individui di statura decisamente inferiore rispetto alla media; i figli di genitori provenienti da famiglie di questo tipo hanno maggiori probabilità degli altri bambini di non raggiungere mai i livelli staturali medi della popolazione.

Nanismi da endocrinopatie

Molti dei casi di nanismo noti sono dipendenti da una patologia dell’apparato endocrino. I nanismi da endocrinopatie dipendono da una alterata funzione di una o più ghiandole a secrezione interna la cui funzione è essenziale nella normale regolazione dei processi di crescita. Il nanismo ipofisario dipende da una alterata funzione dell’ipofisi, che secerne quantitativi ridotti di ormone della crescita (ormone somatotropo). Si tratta di una tipica forma di nanismo armonico, che si associa spesso a deficit di secrezione di altri ormoni ipofisari. L’ipofisi può essere danneggiata in tenera età da processi patologici di natura diversa, fra i quali importanti sono quelli neoplastici e quelli infiammatori.

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Diagnosi del nanismo

La diagnosi di nanismo si basa innanzitutto su elementi clinici semplici: storia medica del bambino a partire dalla gestaz ione, curva di crescita staturale, tenendo conto dell’altezza dei genitori, eventuale esistenza di dismorfismi (deformità), maturazione sessuale e ossea (radiografia del carpo). Lo studio di tutti questi parametri, eventualmente integrato da alcuni esami biologici, permette di scoprire la causa del nanismo e, all’occorrenza, di pianificare un trattamento. Le carenze ormonali possono essere compensate da trattamenti sostitutivi: l’ipertiroidismo è tenuto sotto controllo con la somministrazione orale di ormone tiroideo, per tutta la vita; la secrezione insufficiente di ormone della crescita, con l’iniezione quotidiana dell’ormone stesso, ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, dal momento della diagnosi sino alla fine della pubertà. Quando possibile (morbo celiaco, malnutrizione) viene messo in atto il trattamento della causa del nanismo.

Nanismo di tipo pseudodiastrofico

Forma ereditaria di displasia ossea, caratterizzata da arti e collo corto, facies tipica, contratture e lussazioni articolari.

Sindrome di Dyggve-Melchior-Clausen

Rara malattia scheletrica a trasmissione autosomica recessiva appartenente al gruppo delle displasie spondilo-epimetaf isarie.
I segni clinici sono bassa statura progressiva con tronco corto, prominenza dello sterno, microcefalia e ritardo mentale moderatograve.
I segni radiologici comprendono platispondilia con doppia prominenza dei piatti vertebrali, displasia epifiso-metaf isaria e aspetto smerlato delle ali iliache.

Nanismo di Laron

Nanismo da resistenza all’ormone della crescita, caratterizzato da normali concentrazioni plasmatiche di GH e deficit della produzione di somatomedina.

Nanismo di Majewski

Rarissima sindrome che causa anomalie congenite multiple, ritardo mentale grave e osteosclerosi.

È caratterizzata da progeria, ritardo della crescita, dilatazione delle vene, fontanella anteriore larga, orecchio grande, sindattilia delle mani e dei piedi, anomalie dello smalto dentale.

Nanismo di Seckel

Forma di nanismo ateliotico, di origine ipofisaria. Poiché la produzione di gonadotropine non è inibita, gli individui colpiti conservano la capacità riproduttiva.

Nanismo di Paltauf

Forma di nanismo causata da una disfunzione nella secrezione dell’ormone della crescita da parte dell’ipofisi, spesso associata a insufficienze surrenalica e tiroidea.

Nanismo di Ellis Van Creveld

Forma di nanismo osteocondrodisplasico a ereditarietà autosomica recessiva, caratterizzato da esadattilia, nanismo con arti corti, anomalie dentarie e cardiopatia congenita. Il gene di questa malattia è stato recentemente localizzato a livello del braccio corto del cromosoma 4.

Sindrome di Silver Russel

Forma di nanismo intrauterino caratterizzato da bassa statura, dita piccole e incurvate, facies tipica, asimmetria scheletrica, sviluppo sessuale precoce. In alcuni casi si riscontrano disturbi renali e urogenitali e ritardo mentale. Può colpire entrambi i sessi. L’eziologia è sconosciuta.

Sindrome di Cockayne

Sindrome a trasmissione autosomica recessiva che si sviluppa durante il secondo anno di vita. Le principali manifestazioni cliniche della patologia, annoverata tra le sindromi in cui vi è un difetto di riparazione del DNA, sono nanismo, retinite pigmentosa, cecità, ritardo mentale, sordità neurosensoriale e invecchiamento precoce.

Sindrome di Hanhart I

Nanismo da insufficienza ipofisaria, caratterizzato da carenza dell’ormone della crescita e di gonadotropine. I soggetti che ne sono affetti, pur essendo di costituzione proporzionata, presentano limitato sviluppo staturale, associato a riduzione dell’età ossea. La sindrome si manifesta in forma sporadica, ma sono stati descritti anche casi di trasmissione ereditaria con modalità autosomica recessiva.

Sindrome di Hallermann streiff

Sindrome costituita da un insieme di anomalie congenite che comprendono nanismo armonico, naso appuntito, micrognazia, atrofia cutanea, anomalie dentali, cataratta e ipotricosi. Di eziologia ancora sconosciuta, si manifesta generalmente in forma sporadica.

Microcefalia di Seckel

Forma di nanismo intrauterino caratterizzato da ritardo della crescita, nanismo armonico, microcefalia, naso a becco, orecchie larghe, capigliatura rada, lieve ritardo mentale. La malattia, trasmessa con ereditarietà autosomica recessiva, si manifesta alla nascita e colpisce entrambi i sessi.

Sindrome di Albright Butler Bloomberg

Malattia che si manifesta dopo i primi 6 mesi di vita e comporta severe anomalie della crescita, quali membra corte e nanismo alle estremità inferiori, ossa ingrossate e prominenti, ipoplasia dello smalto, dentizione ritardata e perdita precoce dei denti. Sintomi associati sono atassia e addome protuberante. Si è rivelata resistente alle terapie a base di vitamina D. L’ereditarietà è legata al cromosoma X.

Sindrome di Prader Willi

Forma di nanismo dismorfico le cui principali caratteristiche sono ipotonia muscolare intrauterina e postnatale, ritardo mentale, obesità, iperfagia, ipogonadismo. Nelle femmine si riscontra r itardo o assenza dello sviluppo puberale.

Nanismo mesomelico di Léri-Weil

Forma di discondroplasia caratterizzata da deformazione del radio, dell’ulna e da anomalie dei metacarpi, associate a bassa statura prevalentemente mesomelica. L’esame radiografico evidenzia, in particolare, il sovvertimento dei rapporti articolari dell’articolazione radiocarpica, la lussazione volare dell’epifisi distale dell’ulna e l’agenesia del capitello radiale con assenza dell’articolazione radioulnare prossimale.

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Biopsia del linfonodo sentinella: a che serve, perché è importante

MEDICINA ONLINE PETTO MAMMELLA FORMICOLIO CIRCOLAZIONE CANCRO TUMORE DONNA MORTALITA MORTE PROGNOSI CANCRO TUMORE SENO LINFATICI METASTASI LINFONODO SENTINELLA CARCINOMA DOTTI DUTTALELa biopsia del linfonodo sentinella è un metodo efficace per scoprire se il tumore si è propagato fino ai linfonodi vicini, indicando quindi una prognosi peggiore. Può essere eseguito durante l’intervento chirurgico principale o, in alcuni casi, prima di quest’ultimo. La biopsia del linfonodo sentinella consiste nell’iniettare, alcune ore prima, una piccola quantità di liquido radioattivo o di colorante vitale nella zona del seno vicino al tumore. Il liquido iniettato raggiunge il linfonodo sentinella che è il 1° filtro ad essere eventualmente raggiunto dalle cellule tumorali. Il linfonodo sentinella viene identificato al momento della biopsia mediante una sonda radioguidata. Essa viene passata lentamente in corrispondenza dei linfonodi dell’ascella (in caso di tumore alla mammella), e individua la zona ascellare di maggiore emissione del segnale radioattivo. Il linfonodo (o linfonodi) così identificati sono rimossi ed esaminati.

Esame del linfonodo sentinella durante l’intervento chirurgico

In genere è possibile esaminare il linfonodo/i sentinella durante l’intervento chirurgico. Significa che il chirurgo può scoprire durante l’operazione se i linfonodi contengono cellule tumorali e, se necessario,  asportare anche gli altri linfonodi sotto l’ascella (dissezione ascellare) la stessa anestesia. L’esame istologico intra-operatorio ma soprattutto l’esito istologico definitivo può portare a diverse situazioni:

  1. Se il linfonodo sentinella non contiene cellule tumorali, di solito anche gli altri linfonodi sono indenni e quindi non c’è necessità di asportarne altri.
  2. Se il linfonodo sentinella contiene solo cellule tumorali isolate o piccoli aggregati di cellule tumorali (detti micro-metastasi) di solito gli altri linfonodi sono indenni e quindi non c’è necessità di asportarne altri.
  3. Se il linfonodo sentinella contiene aggregati di cellule tumorali di dimensioni superiori a 2 mm (detti macro-metastasi) le probabilità che anche gli altri linfonodi contengano cellule tumorali aumentano: ciò indica diffusione metastatica e del tumore e prognosi peggiore.

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Giovane ragazza bodybuilder muore per aver mangiato troppe proteine

MEDICINA ONLINE MEEGAN HEFFORD RECORD DOPING PROTEINE MORTE INTEGRATORE BODY BUILDING 14 FARMACI ILLEGALI PROIBITI ANFETAMINE TREMBOLONE OBESO MUSCOLI FOTO PICTURE death-blamed-on-protein-shakes.jpgUna bodybuilder australiana di 25 anni, Meegan Hefford, è morta per aver consumato troppe proteine. Stava seguendo una dieta rigida con cibi ricchi di proteine per partecipare ad una competizione di bodibuilding a settembre, ma non sapeva, come hanno scoperto i medici dopo il suo decesso, di soffrire di una malattia rara che non permette al corpo di scomporre le proteine. Ciò significa, è bene sottolinearlo, che non è stato l’integratore proteico in sé a causare la morte, bensì la patologia preesistente della sportiva; come è bene sottolineare per l’ennesima volta che assumere proteine (o creatina, o amminoacidi) NON EQUIVALE  ASSOLUTAMENTE a doparsi. A riportare l’episodio è il quotidiano inglese The Independent.

La giovane donna, madre di due figli ed istruttrice paramedico, è stata trovata incosciente nel suo appartamento e poi trasportata in ospedale, dove è morta due giorni più tardi. La dieta che stava seguendo era ad alto dosaggio proteico, con frullati, integratori e cibi ricchi di proteine. La sua malattia genetica, il disturbo del ciclo dell’urea, colpisce circa una persona su 8.000, ma molti non sanno di averla. E’ causata da errori congeniti nel sistema di eliminazione dell’ammoniaca, che finisce per accumularsi nel sangue, così come si accumula fluido nel cervello, causando danni cerebrali e anche la morte.

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La famiglia di Meegan chiede ora maggiori restrizioni sui supplementi e le polveri proteiche. “La vendita di questi prodotti deve essere maggiormente regolamentata. Mia figlia andava in palestra due volte al giorno per prepararsi a questa gara, ma da giugno aveva iniziato a sentirsi letargica e ‘strana’”, racconta Michelle White, madre della ragazza, che non aveva idea che la figlia stesse assumendo questo tipo di integratori.

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Differenza tra dolore acuto, cronico, persistente ed episodico con esempi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MAL DI SCHIENA LOMBALGIA ESERCIZI DOLORE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari An PeneEsistono diversi modi per classificare il dolore. Uno di questi consiste nel differenziarlo base alla sua durata e alla sua ripetibilità. Prendiamo ad esempio un tipico dolore molto diffuso e conosciuto nella popolazione generale: la lombalgia.

La lombagia può essere definita:

  • acuta quando dura da meno di sette giorni;
  • subacuta nel periodo che va da sette giorni a sette settimane dopo l’insorgenza;
  • sub-cronica nel periodo che va da sette settimane a tre mesi dopo l’insorgenza;
  • cronica quando dura da più di tre mesi.

Ecco alcune caratteristiche ed esempi di alcuni tipi di dolore:

  • Dolore acuto – Il dolore acuto solitamente si presenta all’improvviso ed ha una durata limitata. Spesso è causato da un danno tissutale a carico di ossa, muscoli od organi, e l’insorgenza è spesso accompagnata da ansia o stress emotivo.  E’ acuto il dolore nocicettivo, di breve durata, nel quale, di solito, è ben evidente il rapporto di causa/effetto. Questo dolore si esaurisce quando cessa l’applicazione dello stimolo o ripara il danno che l’ha prodotto. Esempi sono il dolore post-operatorio, le coliche viscerali (renale, biliare, eccetera) ed il dolore traumatico. Una caratteristica fondamentale del dolore acuto è quello di rispondere ad adeguate misure antinocicettive: questa caratteristica è condivisa dal dolore persistente ma non dal dolore cronico. Qualunque sia l’origine, il dolore acuto produce frequentemente reazioni di difesa e di protezione che comprendono:
    • alterazioni dell’umore (depressione, ansia, paura)
    • modifiche del sistema nervoso autonomo (alterazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, nausea, vomito, sudorazione)
    • atteggiamenti di modifica della postura.
  • Dolore cronico – Il dolore cronico ha una durata maggiore rispetto al dolore acuto ed è generalmente alquanto resistente al trattamento medico. Di solito è associato ad una malattia a lungo termine, come l’osteoartrite. In alcuni casi, come per esempio in presenza di fibromialgia, rappresenta uno degli aspetti che caratterizzano la malattia. Il dolore cronico può essere una conseguenza di un danno tessutale, ma molto spesso è attribuibile a un danno nervoso. Circa il 70% delle persone che soffrono di dolore cronico trattato mediante l’assunzione di antidolorifici sperimenta episodi di ciò che viene definito dolore episodico intenso. Le cause più comuni di dolore cronico sono: lombalgia cronica, mal di testa, fibromialgia e neuropatia (malattia che coinvolge i nervi periferici). Il dolore cronico è molto comune e si ritrova in circa l’11% della popolazione adulta.
  • Dolore persistente. E’ persistente il dolore dovuto alla permanenza dello stimolo nocicettivo o della disnocicezione. Questo tipo di dolore è stato definito anche come “ongoing acute pain”, a sottolineare che conserva le caratteristiche del dolore acuto e va distinto dal dolore cronico. Un esempio è il dolore da coxartrosi, dove la persistenza della lesione anatomica giustifica il ripresentarsi del dolore ad ogni movimento dell’articolazione dell’anca. Un altro esempio è il dolore associato alle malattie neoplastiche, dove la causa del dolore continua ad essere operante. Anche in questi casi, come nel dolore acuto, si ha di solito una buona risposta agli analgesici ed alle misure antinocicettive come i blocchi anestetici e gli interventi neurolesivi.
  • Il dolore episodico intenso si riferisce a episodi di dolore che si verificano quando l’antidolorifico, ad esempio un FANS (antinfiammatorio non steroideo) viene impiegato regolarmente. A volte può essere spontaneo o insorgere dopo un evento apparentemente insignificante, come cadere dal letto. Talvolta può insorgere in concomitanza con la fine dell’effetto antidolorifico del farmaco prima dell’orario previsto per assumere la dose successiva.

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Dolore e psiche
Sia il dolore acuto che il dolore cronico possono essere debilitanti ed entrambi possono influenzare ed essere influenzati dallo stato mentale dell’individuo. Ma la natura del dolore cronico, ovvero il fatto che in alcuni casi sembra essere costante, rende il soggetto che lo sperimenta più suscettibile a conseguenze di stampo psicologico, come depressione e ansia. Al tempo stesso, lo stress psicologico può amplificare il dolore.

Un dolore acuto può diventare cronico?
Certamente è possibile. Un dolore acuto in un corpo con scarse difese oppure trascurato, o ancora, mal curato, può via via diventare dolore cronico (ad esempio un colpo di frusta cervicale che determina dolore acuto, può causare se non curato, un’artrosi cervicale e relativo dolore cronico).

Il comportamento del malato
Per spiegare il procedimento che può trasformare un dolore acuto in dolore cronico, in medicina si è formulato il modello concettuale del dolore, “pain behaviour” (comportamento dovuto al dolore) e il modello clinico  della malattia, “illness behaviour” (comportamento da malato).  Vediamo un esempio di questi modelli applicati ad uno dei dolori più diffusi in assoluto: il mal di schiena.
Quando il soggetto in fase acuta gestisce il dolore con un atteggiamento positivo, il mal di schiena, anche se è forte, diminuisce in fretta e non restano quasi mai conseguenze negative. Se, invece, il soggetto in fase acuta subisce il dolore, si scoraggia, ha paura che provochi ulteriori danni, si affida solo a terapie passive e assume un atteggiamento da malato, soffre di più, soffre più a lungo,  si indebolisce, è soggetto a continue ricadute, rischia di avere una lombalgia cronica e diventare disabile a causa del mal di schiena.
Pertanto, il dolore cronico può essere la conseguenza di un comportamento inadeguato in fase acuta. Di conseguenza, se il comportamento dovuto al dolore (pain behaviour) non è adeguato, può provocare un comportamento da malato (illness behaviour) e un dolore cronico.

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Rene: anatomia, funzioni e patologie in sintesi

MEDICINA ONLINE RENE RENI ANATOMIA FUNZIONI PATOLOGIE SINTESI SANGUE FILTRO.jpgI reni sono due organi di colore rosso scuro che, insieme alle vie urinarie, costituiscono l’apparato urinario, che filtra dal sangue i prodotti di scarto del metabolismo e li espelle tramite l’urina. I reni inoltre gestiscono l’equilibrio idro-salino nel corpo umano. I reni si trovano ai lati della colonna vertebrale e sono tenuti in sede dalla pressione addominale e da uno spesso tessuto connettivo detto fascia renale. Seppur mantengano la loro posizione, si abbassano e si alzano a seconda delle fasi del respiro. Organi escretori per antonomasia, filtrano ogni minuto 1200 ml di sangue ovvero 1700 litri in un giorno. Entrambi i reni hanno una superficie liscia, una faccia anteriore convessa e una posteriore piana e un po’ incurvata, un polo superiore arrotondato e uno inferiore più appuntito, un margine laterale convesso e uno mediale incavato.

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Funzioni dei reni

I reni non hanno solo il compito, tramite i nefroni, di eliminare i prodotti di scarto del catabolismo azotato e i prodotti tossici che vi giungono, ma anche quello di regolare il volume del liquido extracellulare e quindi il contenuto idrico dell’organismo e poi di regolare il pH ematico tramite riassorbimento ed eliminazione di bicarbonato HCO3-; hanno anche importanti funzioni endocrine, secernendo diversi ormoni ad azione sistemica (quali renina ed eritropoietina) ed attivando il calcitriolo. Il rene è principalmente un organo escretore, ma svolge anche altre funzioni:

  • regola l’equilibrio idrico ed elettrolitico nei liquidi corporei regolando la concentrazione di Na+, K+, Cl-, HCO3-, PO43-, Ca2+, glucosio, aminoacidi, acido urico, urea, mediante integrazione tra processi di filtrazione, riassorbimento, secrezione ed escrezione a livello del nefrone;
  • partecipa al mantenimento dell’equilibrio acido base (controllo del pH ematico) agendo sul riassorbimento di HCO3- e sulla secrezione di H+;
  • partecipa alla regolazione del volume dei liquidi corporei – e quindi della pressione sanguigna – mediante meccanismi che permettono il recupero e l’eliminazione di acqua (clearance dell’acqua libera) con conseguente escrezione di un’urina che, a seconda delle esigenze dell’equilibrio idrico ed elettrolitico, può essere ipertonica, isotonica o ipotonica (cioè avente una concentrazione di soluti maggiore, uguale o minore rispetto a quella del sangue);
  • svolge importanti funzioni endocrine mediante la secrezione di renina, eritropoietina, prostaglandine e la sintesi, a partire dalla vitamina D, di 1,25-diidrossicolecalciferolo, necessario per la regolazione ed il trasporto del calcio. La renina svolge un importante ruolo nel controllo della pressione sanguigna agendo nel Sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’eritropoietina è un ormone indispensabile per la formazione e la maturazione dei globuli rossi nel processo detto eritropoiesi, mentre gli effetti fisiologici delle prostaglandine sono molti e svariati e si esercitano a diversi livelli;
  • partecipa al metabolismo dei carboidrati poiché è una sede della gluconeogenesi.

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Anatomia

I reni sono due organi retroperitoneali simili a due grossi fagioli di colore bruno-rossastro, posti subito a lato della colonna vertebrale tra T12 e L3. Ogni rene da un polo all’altro misura circa 13 cm di lunghezza, 8 cm di larghezza e 3 cm antero-posteriormente, con il rene sinistro tendenzialmente più lungo del destro di 1-1,5 cm, anche se i due reni possono risultare di dimensioni molto simili. Il loro peso è variabile, mediamente circa 150 g negli uomini e 135 g nelle donne. Normalmente non sono palpabili. Il rene destro è posto leggermente più in basso del sinistro a causa dell’ingombro del fegato nell’ipocondrio destro, ed è leggermente più corto e tozzo, il sinistro più allungato e leggermente più piatto. L’asse longitudinale di un rene è infero-laterale, mentre quello trasversale è postero-laterale, così che si distinguono due facce, una antero-laterale e una postero-mediale. Ciascun rene presenta due poli, uno superiore, arrotondato e in rapporto con la ghiandola surrenale, da cui è separato da un sottile strato capsulare fibroso, ed uno inferiore arrotondato immerso nel tessuto adiposo perirenale. In ogni rene si distinguono due margini.

Il margine laterale è uniformemente convesso mentre quello mediale è convesso in prossimità dei poli superiore e inferiore ma concavo al centro, presso l’ilo. Nell’ilo dei reni, localizzato presso il suo margine mediale, penetrano i vasi di maggior calibro diretti a quest’organo, l’arteria renale e la vena renale, rispettivamente, ramo dell’aorta e affluente della vena cava inferiore, vasi linfatici e nervi. Nell’ilo, lungo 3–4 cm, entrano, dalla più superficiale (anteriore) alla più profonda (posteriore) le seguenti strutture: la vena renale e i tronchi linfatici che la affiancano, l’arteria renale e la pelvi renale. Il rene è ricoperto da una sottile capsula fibrosa costituita da collagene in cui sono immerse anche fibre elastiche e cellule muscolari lisce. Una volta sezionato è possibile distinguere due parti, una esterna di colore più cupo, la corticale e una interna, chiara, la midollare.

  • La corticale, che si trova alla periferia dell’organo, sotto la capsula, forma le colonne renali (del Bertin), che si interpongono tra una piramide e l’altra dirigendosi verso il seno renale e gli archi che sovrastano la base di ciascuna piramide, dette piramidi di Malpighi. Gli archi corticali sono attraversati dai raggi midollari, delle striature di colore più chiaro che si assottigliano procedendo dalle piramidi da cui hanno origine verso la capsula renale. La stessa sostanza corticale è divisibile in una zona esterna ed in una interna. La zona esterna è quella sottocapsulare, mentre quella interna dove si dispongono i vasi tangenziali alla base delle piramidi ed è appena soprastante la base delle piramidi; tale zona è detta anche sostanza corticale iuxtamidollare. Nella corticale troviamo due porzioni, una è la parte radiata, a contatto con la base delle piramidi e l’altra è la parte convoluta, più superficiale, sede dei corpuscoli renali di Malpighi e dei tubuli contorti.
  • La midollare, posta in profondità nell’organo e presso il suo ilo, è costituita dalle piramidi renali, delle formazioni triangolari striate e pallide con la base rivolta verso la corticale e la capsula e l’apice disposto verso il seno renale. All’apice delle papille renali sboccano i dotti collettori che riversano l’urina in uno o più calici minori, delle cavità a forma di imbuto. La capsula renale penetra nell’ilo e va a fondersi con la tonaca avventizia dei calici minori. Un calice minore si unisce agli adiacenti per formare cavità più ampie, i calici maggiori, che drenano negli infundiboli renali, generalmente due per rene, nel superiore drenano tre paia di calici maggiori, nell’inferiore quattro paia. I due infundiboli costituiscono presso l’ilo la pelvi renale, un grosso imbuto biancastro che medialmente si restringe formando un unico dotto che prosegue inferiormente, l’uretere.

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Vasi e nervi

I reni necessitano di un grande apporto ematico e pertanto presentano una ricca vascolarizzazione che si sviluppa nel suo complesso per circa 160 chilometri di lunghezza. Per ogni gettata cardiaca, circa il 20% del sangue fluisce attraverso questi organi; da ciò risulta che nei reni circolano in media 1.100 ml di sangue al minuto. I principali vasi arteriosi del rene sono le due arterie renali, sinistra e destra, due vasi di grosso calibro (5–7 mm) che si distaccano quasi ad angolo retto dall’aorta addominale, poco sotto l’arteria mesenterica superiore e decorrono dietro le vene renali. L’arteria renale destra è più lunga della sinistra, dato che l’aorta è spostata a sinistra rispetto alla linea mediana e si trova leggermente più in alto.

I capillari venosi che si formano da quelli arteriosi a livello della papilla renale si uniscono a formare le venule rette ascendenti, che risalgono lungo i raggi midollari seguendo le arteriole a cui sono accoppiate fino a drenare a livello della base delle piramidi renali nelle vene arcuate o nelle vene interlobulari. Le arteriole discendenti e le venule ascendenti sono perciò molto vicine tra loro e questo facilita fenomeni di scambio. Le venule ascendenti drenano direttamente nelle vene arcuate ma più spesso nel plesso venoso peritubulare che a sua volta drena nella vena interlobulare, così come fanno le vene stellate della capsula renale. Le vene interlobulari decorrono verso la corticale interna dove drenano nelle vene arcuate, le vene arcuate procedono trasversalmente e drenano nelle vene interlobari, che discendono lungo le colonne renali per formare infine le due vene renali che escono dall’ilo del rene. Le vene renali sono anteriori alle arterie renali, si portano medialmente verso la vena cava inferiore che drena il loro sangue. La vena renale sinistra è più lunga della destra (il triplo, circa 7,5 cm) che invece è molto corta data la stretta vicinanza con la vena cava inferiore. La vena renale sinistra è appena posteriore all’arteria mesenterica superiore che la scavalca e drena il sangue della vena gonadica sinistra che vi affluisce inferiormente, così come quello della vena surrenale sinistra che vi affluisce superiormente. La vena renale sinistra drena nella vena cava inferiore poco al di sopra della destra. Le vene renali possono essere doppie.

L’innervazione simpatica del rene è fornita da rami del plesso celiaco, aorticorenale, dal nervo splancnico minimo e dal I nervo splancnico lombare che seguono il decorso dell’arteria renale costituendo poi il plesso renale. Presso l’origine dell’arteria renale è presente almeno un ganglio nervoso. I nervi successivamente proseguono seguendo il decorso delle arterie e distribuendosi a tutto il rene.

Le principali patologie renali sono:

  • sindrome nefrosica;
  • glomerulonefrite;
  • stenosi, trombosi ed embolia dell’arteria renale;
  • insufficienza renale acuta;
  • insufficienza renale cronica.

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