Coronarografia: cos’è, come si fa, preparazione all’esame e pericoli

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CORONAROGRAFIA COSE COME FA PREPARAZIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa coronografia è un esame radiologico invasivo che consente di visualizzare immagini dei vasi arteriosi che avvolgono il cuore e che portano il sangue al muscolo cardiaco, chiamati appunto coronarie. E’ una tecnica procedura diagnostica che viene condotta attraverso l’introduzione di un mezzo di contrasto nel circolo sanguigno, utile a rendere visibili le coronarie al macchinario. La coronografia prevede l’introduzione di un catetere, un tubicino sottile e flessibile che viene fatto avanzare nei vasi sanguigni fino al punto in cui deve rilasciare il liquido di contrasto. Grazie all’avvento delle tecnologie digitali, oggi è possibile ottenere immagini della funzionalità circolatoria minimizzando l’uso del mezzo di contrasto.

A cosa serve la coronarografia?
La coronografia è un esame indicato per valutare la funzionalità cardiaca. Consente di stabilire se le coronarie sono libere (pervietà) oppure ostruite da coaguli, restringimenti (stenosi) o placche di colesterolo (ateromi).

Quando è indicata la coronarografia?
È indicata quando il paziente riferisce:

  • angina pectoris (dolore al torace) o dolore anginoso al braccio;
  • un difetto genetico dalla nascita (cardiopatia congenita);
  • difetti a carico di una valvola cardiaca;
  • insufficienza cardiaca;
  • traumi.

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L’angiografia permette di programmare un intervento chirurgico. Ad esempio può precedere o essere associata a un intervento di angioplastica, che prevede l’introduzione di uno stent per ripristinare il flusso in un vaso occluso. A tal proposito leggi anche: Differenza tra coronarografia ed angioplastica
É utile per valutare le possibili complicazioni di un intervento chirurgico.
È anche un metodo diagnostico per monitorare i risultati di un intervento (follow up) come nel caso di un bypass.

Come ci si prepara ad una coronarografia?
La coronarografia non necessita di alcuna preparazione specifica, si esegue a digiuno e viene effettuata in regime di ricovero.

Quali sono i candidati ideali?
Pazienti che non hanno allergie al mezzo di contrasto. Il mezzo di contrasto potrebbe infatti provocare dei fenomeni allergici, ma la percentuale di queste reazioni è molto bassa. In ogni caso i medici forniranno le indicazioni più opportune. Generalmente si pone particolare attenzione allo stato delle donne in età fertile.

La coronografia è dolorosa o pericolosa?
La coronografia è un esame invasivo, tuttavia l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate riduce di gran lunga i rischi. Il dolore legato all’iniezione dei liquidi di contrasto o del catetere è minimizzato dall’anestesia locale. Si avverte solitamente una sensazione di calore in seguito all’introduzione del liquido.

Come si svolge la coronografia?
La coronarografia viene eseguita mediante l’introduzione di un catetere, generalmente dall’arteria femorale oppure da quella radiale (polso) o dalla brachiale (gomito). Nel punto di entrata del catetere nell’arteria si effettua un’anestesia locale. Si predilige come sede di introduzione quella femorale perché è grande e il catetere può passare attraverso un sistema di dilatazione, senza bisogno di isolare l’arteria e quindi di tagliare la cute. Si risale poi fino al cuore e si posiziona il catetere all’imbocco della coronaria, si inietta nel catetere il mezzo di contrasto, così da opacizzare completamente il decorso dell’arteria stessa e permettere la visualizzazione delle eventuali ostruzioni. La visualizzazione della procedura viene seguita su uno schermo.
Una volta tolto il catetere bisogna operare una compressione sull’arteria femorale per fermare il sangue e permettere il formarsi di un coagulo che chiude il piccolo foro di ingresso utilizzando una benda elastica. Non sono necessari punti. Il paziente viene dimesso nel giro di 24 ore.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Insufficienza della valvola mitralica lieve, moderata, severa: sintomi, diagnosi e terapia

schema del cuore con freccia gialla che indica il reflusso di sangue attraverso la valvola mitralica

Insufficienza mitralica: anziché rimaner confinato nel ventricolo sinistro, il sangue refluisce nell’atrio sinistro (freccia gialla)

L’insufficienza mitralica è una patologia caratterizzata da un difetto di chiusura della valvola mitrale (anche chiamata “valvola mitralica”) il quale fa sì che parte del sangue pompato dal ventricolo sinistro refluisca nell’atrio sinistro anziché rimanere nel ventricolo per poi andare in aorta, causando affaticamento e disturbi respiratori. Sinonimi di insufficienza mitralica, sono: insufficienza mitrale, incontinenza mitralica, incontinenza mitrale, incontinenza della valvola mitrale, incontinenza della valvola mitralica, insufficienza della valvola mitrale, insufficienza della valvola mitralica, rigurgico mitralico e insufficienza atrio-ventricolo sinistro.

Che cos’è l’insufficienza mitralica?

In condizioni normali la valvola mitrale è formata da due sottili lembi mobili ancorati mediante corde tendinee a due muscoli (i muscoli papillari) che, contraendosi insieme al ventricolo sinistro dove sono collocati impediscono lo sbandieramento (prolasso) dei lembi mitralici nell’atrio sinistro: i margini dei lembi si separano quando la valvola si apre, permettendo al sangue di passare dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro, e si riavvicinano quando la valvola si chiude, impedendo al sangue di tornare indietro. In un cuore sano la valvola mitrale separa ermeticamente l’atrio sinistro dal ventricolo sinistro. Quando, invece, questa valvola non si chiude adeguatamente si ha la cosiddetta insufficienza mitralica, una condizione in cui parte del sangue che dovrebbe essere spinto dal ventricolo sinistro nell’aorta ritorna invece all’interno dell’atrio. Indipendentemente dalla causa, questa situazione può determinare un affaticamento del cuore, con dilatazione del ventricolo sinistro. Le conseguenze possono essere lo scompenso cardiaco e anomalie del ritmo cardiaco, come la fibrillazione atriale, ma anche l’endocardite.

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Quali sono le cause dell’insufficienza mitralica?

Sono diverse le condizioni che portano ad insufficienza della valvola mitralica. In base alle cause, l’insufficienza mitralica può essere primitiva o secondaria:

  • insufficienza mitralica primitiva: sono presenti alterazioni anatomiche dell’apparato valvolare mitralico come alterazioni dei lembi valvolari causati per esempio da un’endocardite o dalla malattia reumatica, allungamento o rottura delle corde tendinee con conseguente prolasso dei lembi valvolari, calcificazioni dell’anello mitralico, rottura traumatica di un muscolo papillare.
  • insufficienza mitralica secondaria: la valvola è anatomicamente normale e il difetto di chiusura è causato da una grave compromissione della funzione contrattile del ventricolo sinistro (insufficienza cardiaca), che spesso è secondaria a una cardiopatia ischemica.

Quali sono i sintomi e segni dell’insufficienza mitralica?

I sintomi dell’insufficienza mitralica dipendono dalla gravità e dalla velocità di insorgenza e progressione; possono includere fiato corto (soprattutto durante l’attività fisica o da sdraiati), facile faticabilità, (soprattutto di notte o da sdraiati), palpitazioni, gonfiore a piedi e caviglie.

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Come prevenire l’insufficienza mitralica?

Per ridurre al minimo il rischio di insufficienza mitralica è importante trattare opportunamente le condizioni che potrebbero scatenarla, come le infezioni alla gola che possono portare alla malattia reumatica (una sindrome autoimmune che può essere scatenata da infezioni streptococciche).

Diagnosi dell’insufficienza mitralica

In presenza di sintomi suggestivi di insufficienza mitralica il medico svolge un’accurato esame obiettivo in cui, in particolare, ausculta il cuore del paziente: ciò può svelare tipicamente la presenza di un soffio cardiaco. Il passo diagnostico successivo sarà eseguire diversi esami diagnostici, tra cui:

  • Misurazione della pressione arteriosa: con uno sfigmomanometro il medico misura la pressione arteriosa del paziente, che preferibilmente dovrebbe essere entro i valori di 130 (massima) e 90 (minima).
  • Elettrocardiogramma (ECG): registra l’attività elettrica del cuore. Può presentare molteplici alterazioni, in particolare segni di dilatazione atriale sinistra, segni di ipertrofia e sovraccarico (“iperlavoro”) del ventricolo sinistro, aritmie quali la fibrillazione atriale.
  • RX torace (radiografia del torace): possono essere presenti segni di dilatazione dell’atrio e del ventricolo sinistro e di congestione polmonare.
  • Ecocardiogramma transtoracico con colordoppler: l’ecografia del cuore è un test di immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio invia un fascio di ultrasuoni al torace, attraverso una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). L’ecografia del cuore, associata ad un indagine con colordoppler, è un esame fondamentale perché permette di valutare il meccanismo e l’entità dell’insufficienza mitralica nonchè le dimensioni dell’atrio e del ventricolo sinistro, la funzione contrattile di quest’ultimo e la presenza di ipertensione polmonare. Il colordoppler identifica chiaramente il sangue che, a causa dell’insufficienza valvolare, refluisce nell’atrio anziché rimanere confinato nell’atrio. Le immagini in tempo reale possono essere raccolte anche durante l’esecuzione di un test da sforzo (eco stress): l’esecuzione di un eco stress è indicata quando c’è discrepanza tra la gravità dei sintomi e l’entità dell’insufficienza mitralica a riposo.
  • Ecocardiogramma transesofageo: la sonda viene in questo caso introdotta dalla bocca e spinta in avanti finché giunge nell’esofago. Permette una visualizzazione migliore delle valvole e delle strutture paravalvolari. È indicato quando l’ecocardiogramma transtoracico non è conclusivo e, in particolare, quando si sospetta un’endocardite.
  • Test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma mentre il paziente compie un esercizio fisico, generalmente camminando su un tapis roulant o pedalando su una cyclette. Può essere fatto per confermare l’assenza di sintomi in presenza di insufficienza mitralica grave e per valutare la tolleranza allo sforzo.
  • Coronarografia: è l’esame che consente di visualizzare le coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale sono rispettate tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati. La coronarografia è indicata quando si sospetta che l’insufficienza mitralica sia secondaria a una cardiopatia ischemica.
  • RM cuore con mdc: produce immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni attraverso la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Permette di valutare la morfologia delle strutture del cuore, la funzione cardiaca ed eventuali alterazioni del movimento di parete (ipocinesie o acinesie). La somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto permette inoltre di distinguere se eventuali alterazioni del movimento di parete sono dovute a fibrosi (=assenza di vitalità miocardica) o a ischemia. Quest’indagine trova quindi la sua applicazione elettiva nell’insufficienza mitralica secondaria a cardiopatia ischemica, come “guida” a eventuali interventi di rivascolarizzazione miocardica.

Per approfondire:

Trattamenti dell’insufficienza mitralica

La terapia dell’insufficienza mitralica dipende da vari fattori:

  • dall’età del paziente;
  • dalla gravità del vizio valvolare (insufficienza lieve, moderata o severa);
  • dai sintomi e segni che lo accompagnano;
  • dalla presenza o meno di segni di disfunzione ventricolare sinistra;
  • dall’associazione con altre patologie (ad esempio ipertensione arteriosa o pregresso infarto);
  • dal fatto che sia primitiva o secondaria.

Terapia dell’insufficienza mitralica primitiva

Se l’insufficienza mitralica è primitiva e di entità lieve o lieve/moderata e asintomatica, in genere non si interviene e ci si limita a periodici controlli clinici ed ecocardiografici. In alcuni casi l’attività sportiva potrebbe essere limitata dalla patologia.
In presenza di un’insufficienza mitralica cronica primitiva grave è indicato l’intervento chirurgico di riparazione (preferibilmente) o di sostituzione della valvola mitralica.

Terapia dell’insufficienza mitralica secondaria

La terapia dell’insufficienza mitralica cronica secondaria consiste nella terapia dell’insufficienza cardiaca che ne è la causa e può servirsi di vari tipi di farmaci e strumenti:

  • beta-bloccani;
  • ACE-inibitori/sartani;
  • anti-aldosteronici;
  • digossina;
  • diuretici in caso di accumulo di liquidi;
  • l’impianto di pacemaker (PM) biventricolari e/o defribrillatori automatici (ICD).

Per approfondire:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Insufficienza mitralica lieve, moderata, severa e sport

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma INSUFFICIENZA MITRALICA LIEVE E SPORT  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLeggi prima: Insufficienza della valvola mitralica lieve, moderata, severa: sintomi, diagnosi e terapia

Mentre l’elevata prevalenza (fino al 90%) di insufficienze “fisiologiche” delle valvole del cuore destro nell’atleta può essere interpretata come diretta conseguenza del fisiologico sovraccarico di volume delle sezioni destre, il riscontro di insufficienze delle valvole del cuore sinistro in un soggetto giovane deve sempre richiamare l’attenzione su eventuali alterazioni morfologiche magari anche minime. In linea generale, perché un’insufficienza valvolare sinistra possa essere accettata come “fisiologica” deve essere di lieve entità (jet centrale, pochi centimetri sotto la valvola), in assenza di alterazioni strutturali a carico dei lembi valvolari, delle camere cardiache. L’insufficienza mitralica può riconoscere un’eziologia multipla: reumatica (sempre più rara), congenita da cleft del lembo anteriore (vedi canale atrioventricolare),degenerativa da prolasso della valvola mitrale, da calcifica zione dell’anulus e del lembo posteriore (vedi capitolo atleta master), infettiva (endocardite). Nella definizione della gravità dell’insufficienza mitralica ai fini dell’idoneità sportiva il primo elemento di giudizio è rappresentato proprio dall’eziologia essendo ovvio che:

  • nelle forme secondarie (ad es. nella sindrome di Marfan), il giudizio  è condizionato dalla malattia di base;
  • nelle forme primitive (reumatica o da prolasso dei lembi) il giudizio deve essere formulato in relazione all’entità dell’impegno emodinamico, valutato in base alle dimensioni della cavità atriale e ventricolare sinistra (ECG ed ECO), al comportamento della funzione ventricolare sinistra a riposo e sotto sforzo (indagini con ECO-Doppler da sforzo e/o ventricolografia radioisotopica) ed infine alla eventuale presenza di aritmie al TE e all’HOLTER comprendente una seduta di allenamento.

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Ai fini pratici, si considera:

  • lieve: una insufficienza caratterizzata dal solo reperto stetoacustico, confermato da un piccolo jet di rigurgito all’ECO , con normalità dell’ECG e delle dimensioni atriali e ventricolari sinistre all’ECO;
  • moderata: quando ad un jet di rigurgito intermedio corrisponde un lieve ingrandimento ventricolare sinistro (volume indicizzato per la superficie corporea), con funzione ventricolare a riposo e da   forzo conservata (normale incremento della frazione di eiezione durante sforzo di tipo dinamico);
  • severa: negli altri casi.

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PARAMETRO LIEVE  MODERATA   SEVERA
Area del Jet al Color-Doppler (cm2) < 4 < 20% dell’area dell’atrio sinistro 4 – 8 20 – 40 % dell’area dell’atrio sinistro > 8 > 40% dell’area dell’atrio sinistro
Vena Contracta (mm) < 3  3 – 6.9  ≥ 7
Area dell’orifizio regurgitante (cm2) < 0.2 0.2 – 0.39 ≥0.4
Diametro Atriale Sinistro Normale Moderatamente Aumentato Aumentato
Volumi Ventricolari Sinistri Normali Lievemente Aumentati Moderatamente Aumentati
Funzione Contrattile Ventricolare Sinistra Normale Normale Ridotta

Idoneità sportiva

I casi con insufficienza mitralica lieve potranno praticare sport dei gruppi A e B. In casi selezionati, potrà essere presa in considerazione l’idoneità per tutti gli altri gruppi di sport ad impegno più elevato, ma solo assicurando un accurato monitoraggio nel tempo delle dimensioni e della funzione contrattile del ventricolo sinistro (con idoneità semestrale). Nei casi con insufficienza moderata non sarà consentita alcuna attività sportiva agonistica ad eccezione delle attività appartenenti ai gruppi A e B. Nei casi con insufficienza severa non sarà consentita alcuna attività sportiva agonistica. Nei soggetti corretti chirurgicamente mediante plastica valvolare, il giudizio potrà essere riconsiderato sulla base della potenziale evolutività della patologia responsabile dell’alterazione valvolare, della funzionalità della valvola dopo l’intervento, le dimensioni e la funzione del ventricolo sinistro a riposo e durante sforzo, la presenza o meno di aritmie significative al TE e HOLTER comprendente una seduta di allenamento.

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Qual è la differenza tra arteria e vena?

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO DIRETTORE MEDICINA ONLINE DIFFERENZA VENA ARTERIA CAPILLARE SANGUE CIRCOLAZIONE SISTEMICA POLMONARE CUORE OSSIGENO ANIDRIDE CARBONICA DOPPLER TUNICA ENDOTELIO VENULA ARTERIOLAI vasi sanguigni non sono tutti uguali. Molti sanno che esistono arterie e vene, e che sono diverse tra loro, ma non tutti esattamente quali siano queste differenze. Cominciamo illustrando cosa siano le arterie.

Arterie

Le arterie sono i vasi sanguigni che portano il sangue ossigenato dal ventricolo sinistro del cuore verso gli altri organi (ad esempio la grande arteria aorta) e dal ventricolo destro del cuore conducono il sangue poco ossigenato ai polmoni (ad esempio le arterie polmonari); le più grosse arterie si ramificano in arterie sempre più piccole, fino a costituire i piccoli capillari sanguigni (vedi immagine in basso). Rispetto alle vene sono più piccole e biancastre, ma hanno una parete più spessa e sono sottoposte ad una pressione più elevata: questo perché il cuore spinge violentemente il sangue nelle arterie per fargli raggiungere tutto l’organismo. Oltre che resistenti le arterie devono essere anche molto elastiche sia per sopportare la spinta che il cuore imprime al sangue durante la sistole, che per poter redistribuire la stessa spinta al sangue.

Circolazione arteriosa sistemica e polmonare

Vene

Le vene che fanno parte della circolazione sistemica sono vasi sanguigni che trasportano sangue carico di anidride carbonica, dalla periferia dell’organismo all’atrio destro del cuore. Nella circolazione polmonare, invece, sono vasi che portano il sangue ossigenato dai polmoni verso l’atrio sinistro del cuore. Le vene hanno una parete più sottile delle arterie e sono di colore rosso scuro; quando sono vuote si presentano flaccide e appiattite. Esse si suddividono in vene superficiali e vene profonde. Rispetto alle arterie, le vene sono facilmente comprimibili, basta ad esempio osservare il comportamento dei due tipi di vasi con un ecografo: comprimendo una vena, essa tende a collassare, mentre una arteria tende a mantenere la propria forma. Per approfondire il movimento del sangue nel nostro corpo, leggi: Come si muove il sangue all’interno del cuore e nel corpo?

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Avvicinamento ed allontanamento dal cuore

Da quanto detto si può facilmente intuire che la differenza fondamentale tra i due tipi di vaso NON E’, come molti pensano, nel fatto che le arterie portano sangue carico di ossigeno e le vene di anidride carbonica (vero solo nel caso della circolazione sistemica mentre è l’opposto nella circolazione polmonare), bensì nel fatto che:

  • le arterie sono vasi che si allontanano dal cuore;
  • le vene sono vasi in avvicinamento al cuore.

La differenza è quindi nel flusso (allontanamento/avvicinamento dal/al cuore) e non nel contenuto (sangue ossigenato/non ossigenato).

Struttura di vene ed arterie

La struttura delle arterie si modifica con il variare del loro calibro. Si dividono in tre strati chiamati tuniche:

  • l’intima, la più interna, sta a contatto con la membrana basale dell’endotelio su cui scorre il sangue, composta di connettivo con fibrociti e rare fibro-cellule muscolari;
  • la media in cui si trovano fibrocellule muscolari lisce disposte circolarmente;
  • l’avventizia, composta da fibre collagene ed elastiche orientate secondo l’asse del vaso.

Le vene hanno una struttura per lo più simile a quella delle arterie, solo che le arterie hanno pareti più robuste ed elastiche perché devono sopportare una ben più elevata pressione del sangue.

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Valvole a “nido di rondine”

Una grande differenza è che le vene possiedono delle valvole dette “a nido di rondine” che impediscono al sangue di rifluire (tornare indietro) per effetto della forza di gravità; tali valvole non sono necessarie nelle arterie, dove il reflusso è ostacolato dall’alta pressione che il cuore fornisce al sangue stesso.

Decorso di vene ed arterie

Vene ed arterie hanno percorsi quasi sempre appaiati e paralleli. Le vene possono avere la medesima distribuzione delle arterie, decorrendo parallelamente a queste, come negli arti, oppure avere un’arborizzazione propria e differente, come nel fegato e nel cervello.

Per approfondire, continua la lettura con: Differenza tra arterie, vene, capillari, arteriole e venule

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Clearance della creatinina: alta o bassa, valori, calcolo e sintomi

MEDICINA ONLINE RENE RENI ANATOMIA FUNZIONI PATOLOGIE SINTESI SANGUE FILTROLa clearance della creatinina (o creatina clearance, o ClCr) misura la quantità di sangue depurato dalla creatinina a livello glomerulare, per unità di tempo. Si esprime in mL/min. Il presupposto è che la creatinina (un prodotto di degradazione della fosfocreatina, presente nel tessuto muscolare scheletrico) sia interamente escreta con le urine e che pertanto quantità di creatinina eliminata nelle urine nel corso di un minuto sia uguale alla quantità di creatinina passata attraverso i glomeruli renali nello stesso intervallo di tempo. La quantità di creatinina eliminata nelle urine nel corso di un minuto si ottiene moltiplicando la concentrazione della creatinina nelle urine delle 24 ore (espressa in mg/mL) per il flusso urinario temporizzato (espresso in mL/min), ottenendo così i mg/min. Dividendo questo prodotto per la creatinina sierica (espressa in mg/mL) si ottiene la quantità di sangue depurato dalla creatinina a livello glomerulare in un minuto (espresso in mL/min).

A che serve la clearance della creatinina?
Il calcolo della clearance della creatinina è indicato nella valutazione del filtrato glomerulare e della funzionalità renale.

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Come ci si prepara all’esame?
Il paziente deve raccogliere le urine delle 24 ore e si deve sottoporre ad un prelievo di sangue. È necessario evitare un intenso esercizio fisico nelle 8-12 ore che precedono il prelievo. Questa norma deve essere assolutamente osservata in caso di analisi delle urine per la determinazione della clearance della creatinina.

Valori di riferimento della clearance della creatinina:

Femmine: 70-120 mL/min
Maschi: 70-120 mL/min

Importante
Il paziente deve essere adeguatamente idratato prima e durante il test per garantire un flusso urinario di almeno 2 ml/min. Occorre correggere il risultato sulla base della superficie corporea del paziente. Evitare te e caffé durante il test. Prima del test occorre sospendere trattamenti con ACTH, cortisonici o tiroxina. Evitare esercizi fisici vigorosi durante il test. Occorre ricordare che, nelle insufficienze renali croniche, la creatinina è eliminata anche attraverso il tubulo renale ed il conseguente aumento della creatinina urinaria porta a sovrastimare il filtrato glomerulare per mezzo della clearance della creatinina. Per questo si preferisce stimare il filtrato glomerulare direttamente a partire dalla creatinina sierica (vedi alla voce Filtrato Glomerulare, stima).

Leggi anche: Azotemia alta e reni: cibi da evitare per abbassarla

Alterazioni del valore della clearance della creatinina (valore più basso), possono indicare insufficienza renale, che determina vari sintomi tra cui:

  • Gonfiore: diffuso poiché i reni non funzionano bene e il corpo tende ad accumulare acqua.
  • Anemia: causata dal deficit di eritropoietina, un ormone che stimola la produzione di globuli rossi che viene prodotto a livello renale.
  • Tossine: accumulo di tossine con comparsa di nausea, vomito, debolezza, prurito e astenia.
  • Urina: nelle prime fasi si assiste ad una maggiore produzione di urina (poliuria) che però in breve tempo diminuisce drasticamente (oliguria).

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Azotemia alta e reni: cibi da evitare per abbassarla

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma AZOTEMIA UREA ALTA I CIBI DA EVITARE  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’azotemia è un parametro che indica la quantità di azoto non proteico nel sangue ed è di tutta evidenza che se si hanno valori di azotemia oltre i limiti consigliati, vi è qualcosa che non va. Solitamente si tratta di un problema  alimentare, ma potrebbe anche trattarsi di una ridotta funzione renale o del fatto che si beve molto meno di quanto si dovrebbe nell’arco della giornata. Ad ogni modo, per comprendere meglio il problema, è necessario innanzi tutto capire in che modo e perché l’azoto non proteico va a finire nel sangue.
Il principale prodotto delle proteine, che vengono trattate a livello epatico,  è l’urea e in essa è presente anche l’azoto, o meglio le scorie azotate, prodotte dal catabolismo epatico. L’urea, come è noto, viene eliminata dal sangue attraverso il filtraggio dello stesso da parte dei reni, ma in questa operazione, una parte delle scorie azotate non vengono eliminate del tutto e il conseguente loro accumulo nel sangue determina il livello di azotemia. Di norma questo accade in presenza di una ridotta funzionalità renale, ma potrebbe essere anche l’effetto di una dieta iperproteica, che produce quindi un alto numero di scorie azotate.
Altra causa di una azotemia oltre la norma potrebbe essere anche una ridotta assunzione di acqua durante la giornata e di norma basta bere un po’ di più per normalizzare il livello di azotemia.
In un soggetto sano  che adotta una dieta equilibrata l’azotemia è compresa tra i valori di 22-46 mg/dl. Alcuni laboratori utilizzano un diverso metodo di valutazione dell’azotemia e in quel caso i valori sono compresi nel range che va da 10,3 a 21,4 mg/dl.

Leggi anche: Clearance della creatinina: alta o bassa, valori, calcolo e sintomi

Livelli alti di azotemia non sono necessariamente indice di ridotta funzionalità renale, in quanto ci si potrebbe trovare alla presenza di una dieta alimentare particolarmente sbilanciata in favore degli alimenti ricchi di proteine, ed è quanto accade in tutte quelle diete iperproteiche che  stanno vivendo un periodo di grande popolarità. Questo è uno di motivi per cui è  necessario sempre valutare bene se è il caso di adottare certe diete sbilanciate che, in sostanza, nel lungo periodo non si sa che problemi potrebbero arrecare all’organismo.
Se invece l’azotemia alta è dovuta ad una semplice abitudine alimentare errata, quindi non sostenuta da una dieta  particolarmente rigida, basta evitare o ridurre alcuni alimenti, bere di più, e la situazione si normalizzerà.
Ma cosa bisogna evitare di mettere in tavola, o quanto meno ridurre, per evitare di incorrere in una situazione del genere.

Leggi anche: Azotemia (Urea) alta o bassa: valori, cause, sintomi e cosa fare

Innanzi  tutto bisogna distinguere le proteine in base alla loro qualità, e in questo ci vengono in aiuto tre parametri e, per la precisione il CUD, coefficiente di utilizzazione digestiva,  parametro che sarà alto in caso di proteine di origini animali e basso per quelle vegetaliPER, coefficiente di efficacia proteica, che indica l’accrescimento di peso corporeo per ogni grammo di proteina che viene assunto con l’alimentazione;  NPU, utilizzazione proteica netta,  che esprime la digeribilità delle proteine.
L’apporto consigliato di proteine nell’alimentazione è in stretta relazione all’età, per cui  nel neonato, che ovviamente deve crescere, il valore corretto è di 2 g/kg/die;  nei bambini di 5 e più anni il valore corretto è di 1.5 g/kg/die; negli adolescenti e negli adulti questo valore continua a ridursi e quindi è di 1-1.2 g/kg/die.

E’ ormai dimostrato che un eccessivo apporto di proteine animali, in particolare in associazione a grassi saturi, è uno dei fattori di rischio di cancro al colon, per cui, tornando alle diete di cui si parlava precedentemente, è una valutazioneda fare con molta attenzione.
Gli alimenti quindi da evitare o da assumere con moderazione, in caso di azotemia alta, sono prosciutto crudo, salame, bresaola, grana,  carne rossa, merluzzo o nasello, tonno fresco, petto di pollo, pinoli, soia secca. Quest’ultimo è l’alimento che in assoluto detiene il maggior contenuto di proteine.

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Perché la pressione venosa è inferiore a quella arteriosa?

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONEIl cuore è una vera e propria “pompa” che – grazie all’azione del miocardio – spinge il sangue in tutto il corpo, imprimendogli una certa pressione. Quest’ultima dipende quindi dalla forza di eiezione del sangue in uscita dai ventricoli, ma anche dal diametro del vaso attraversato dal sangue e dalla natura della parete che costituisce il vaso.
Allontanandosi dal cuore, la pressione tende a diminuire ma le arterie, costituite di tessuto connettivo denso, all’arrivo dell’onda sfigmica si dilatano e restituiscono – in virtù delle proprietà elastiche della parete – la maggior parte dell’energia al sangue stesso, contribuendo, anche grazie alla diminuzione progressiva del diametro vasale, a mantenere alta la pressione e quindi permettere al sangue arterioso di giungere in tutto il corpo, anche in zone distanti dal cuore.
Nelle vene, le pareti sono diverse rispetto alle arterie: si “deformano” di più e restituiscono meno energia al sangue, ciò determina una pressione meno elevata rispetto alle arterie, anche in virtù del fatto che la pressione impressa da cuore in sistole, a livello venoso, è ovviamente molto più bassa in virtù delle resistenze periferiche.

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Diabete ed emoglobina glicata alta: valori normali ed IFCC

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MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST ESAME SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEL’emoglobina glicata (emoglobina A1c, HbA1c, A1C, o Hb1c; a volte anche HbA1c) è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito dell’esposizione dell’emoglobina normale al glucosio plasmatico. La glicazione alta dell’emoglobina è stata associata con le malattie cardiovascolari, le nefropatie e la retinopatia del diabete mellito. Il monitoraggio dell’HbA1c nei pazienti con diabete di tipo 1 può migliorare il trattamento. L’emoglobina A1c fu separata dalle altre forme di emoglobina da Huisman e Meyering nel 1958 mediante una colonna cromatografica. Venne caratterizzata per la prima volta come glicoproteina da Bookchin e Gallop nel 1968. Il suo aumento nel diabete fu descritto per la prima volta nel 1969 da Samuel Rahbar e collaboratori La reazione che porta alla sua formazione fu caratterizzata da Bunn e i suoi collaboratori nel 1975. L’uso dell’emoglobina A1c per il monitoraggio del grado di controllo del metabolismo glucidico in pazienti diabetici fu proposto nel 1976 da Anthony Cerami, Ronald Koenig e collaboratori.

Emoglobina glicosilata

L’emoglobina glicata a volte viene chiamata “emoglobina glicosilata“: le due espressioni sono sinonimi, quindi indicano la stessa cosa.

Principio

Nel normale arco di vita di 120 giorni dei globuli rossi, le molecole di glucosio reagiscono con l’emoglobina formando emoglobina glicata. In individui diabetici che hanno scarso controllo della glicemia, la quantità della emoglobina glicata che si forma è molto più elevata che nei soggetti sani o nei soggetti diabetici con un buon controllo glicemico ottenuto dalla terapia. Un aumento di emoglobina glicata all’interno dei globuli rossi, pertanto, riflette il livello medio di glucosio al quale l’emazia è stata esposta durante il suo ciclo vitale. Il dosaggio della emoglobina glicata fornisce valori indicativi dell’efficacia della terapia, monitorando la regolazione a lungo termine del glucosio sierico. Il livello di HbA1c è proporzionale alla concentrazione media del glucosio durante le quattro settimane – tre mesi precedenti. Alcuni ricercatori affermano che la porzione più grande del suo valore sia da attribuire a un periodo di tempo relativamente più breve, da due a quattro settimane. Nel 2010 l’American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes ha aggiunto l’A1c ≥ 6,5% come ulteriore criterio per la diagnosi clinica di diabete mellito, tuttavia l’argomento è controverso e questo criterio non è stato adottato universalmente.

Leggi anche: Differenza tra glicemia ed emoglobina glicata

Misurazione dell’emoglobina glicata

Esistono diversi metodi di misura dell’HbA1c. I laboratori di analisi usano:

  • high-performance liquid chromatography (HPLC);
  • immunoassay.

Gli strumenti presenti nei “point of care” (come gli ambulatori medici e le farmacie) usano:

  • immunoassay;
  • boronate affinity chromatography.

Negli Stati Uniti, i test utilizzati nei “point of care” sono certificati dal National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP) per standardizzarli nei confronti dei risultati ottenuti dal Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) del 1993.

Il passaggio alle unità dell’IFCC

Nell’agosto del 2008 l’American Diabetes Association (ADA), la European Association for the Study of Diabetes (EASD) e l’International Diabetes Federation (IDF) hanno stabilito che, in futuro, l’HbA1c dovrà essere refertata con le unità dell’IFCC (International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine). La refertazione in unità IFCC è stata introdotta in Europa, fatta eccezione per il Regno Unito, nel 2003; nel Regno Unito, il 1º giugno del 2009 è stata introdotta la doppia refertazione, che rimarrà in vigore fino al 1º giugno 2011.

La conversione tra le due unità di misura può esser calcolata mediante la seguente formula: IFCC-HbA1c (mmol/mol) = [DCCT-HbA1c (%) – 2.15] × 10.929

DCCT- HbA1c IFCC-HbA1c
(%) (mmol/mol)
4.0 20
5.0 31
6.0 42
6.5 48
7.0 53
7.5 59
8.0 64
9.0 75
10.0 86

Interpretazione dei risultati

A partire dalla comparazione dei valori di emoglobina glicata coi valori medi di glucosio plasmatico nell’uomo, è stato possibile costruire la seguente tabella:

HbA1c (%) Glicemia media (mmol/L) Glicemia media (mg/dL)
5 4.5 90
6 6.7 120
7 8.3 150
8 10.0 180
9 11.6 210
10 13.3 240
11 15.0 270
12 16.7 300

Una riduzione dell’1% dei livelli di HbA1c riduce del 21% il rischio di complicanze complessive e del 21% la mortalità dovuta alle complicanze del diabete.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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