Differenza tra appendicite e colite: sintomi comuni e diversi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TRA INTESTINO TENUE E CRASSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneCon il termine “appendicite” (in inglese “appendicitis) ci si riferisce in campo medico all’infiammazione – acuta o cronica – dell’appendice vermiforme (anche chiamata appendice cecale o solo “appendice”) cioè quella formazione tubulare facente parte dell’intestino crasso (più precisamente il suo segmento prossimale, chiamato “cieco“).  Con il termine “colite” (in inglese “colitis”), si intende – parimenti all’appendicite – una infiammazione, ma in questo caso ad essere colpito è il colon, ovvero una parte dell’intestino crasso, a tale proposito leggi anche: Differenza tra intestino tenue e crasso
Il termine “colite” dovrebbe essere limitato alle affezioni specifiche del colon, ma spesso viene usato in maniera generica, oppure per indicare condizioni nelle quali l’eziologia dell’infiammazione non è stata ancora determinata. I vari tipi di colite includono la colite ulcerosa (UC), quella di Crohn, l’ischemica, la colite infettiva, fulminante, chimica, microscopica, linfocitica e atipica.

Diffusione
L’appendicite è una delle cause, in tutto il mondo, più comuni e significativi di un forte e improvviso dolore addominale e – se complicata – può determinare la morte del paziente. La colite è più diffusa, ma non è causa di morte.

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Cause
L’appendicite è causata da un’ostruzione della cavità dell’appendice determinata quasi sempre da:

  • calcificazione di feci;
  • tessuto linfoide infiammato da una infezione virale,
  • parassiti;
  • calcoli biliari;
  • neoplasie.

Tale ostruzione porta ad  proliferazione batterica all’interno che è la causa diretta dell’infiammazione dell’appendice. Le coliti possono essere distinte in coliti primitive e coliti secondarie: nelle prime l’infiammazione si sviluppa nel colon, mentre le secondarie sono dovute a patologie che investono altri organi o apparati e successivamente raggiungono il colon. Le cause della colite non sono ancora ben precisate, molti ritengono che sia collegata a cause alimentari, altre volte questa patologia è strettamente connessa a stress psichici e/o (più raramente) fisici. Tra le cause di insorgenza o di aggravamento, va anche aggiunto un regime alimentare scorretto (scarsa idratazione e scarsa assunzione di fibre), le mestruazioni (l’intestino presenta una certa sensibilità legata alle modificazioni ormonali indotte dal ciclo mestruale), le alterazioni della flora batterica e le infestazioni da parassiti.

Sintomi
I sintomi più comuni dell’appendicite includono dolore addominale al quadrante inferiore destro, nausea, vomito e diminuzione dell’appetito. Tuttavia, circa il 40% dei casi non presenta questi sintomi tipici. Gravi complicazioni che possono accadere nel caso che si rompa l’appendice sono la peritonite e la sepsi. Alcuni sintomi della colite possono essere simili a quelli dell’appendicite, come per esempio dolore addominale, nausea, vomito e diminuzione dell’appetito. Altri segni e sintomi della colite sono:

  • variazione di consistenza delle feci;
  • alitosi;
  • sensazione di bruciore in bocca o in gola;
  • difficoltà nella deglutizione, a tale proposito leggi anche: Le 7 fasi della deglutizione (volontarie ed involontarie);
  • senso di sazietà precoce;
  • mal di stomaco, a tale proposito leggi anche: Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi ;
  • borborigmi intestinali;
  • dolori all’ano e al perineo;
  • urgenza di urinare;
  • nicturia;
  • cefalea;
  • dolori muscolari e tendinei;
  • stanchezza cronica;
  • sonnolenza;
  • vertigini;
  • senso di occlusione della glottide;
  • perdita di peso;
  • ulcere della parete del colon che determinano sangue nelle feci e sanguinamento rettale;
  • neuro-dermatite.

Diagnosi
La diagnosi di appendicite è in gran parte basata sui segni e sintomi del paziente associati a ecografia e tomografia computerizzata (TAC). Le stesse indagini diagnostiche con immagini sono utili per fare diagnosi di colite, associate a ricerca nelle feci di sangue e pus, sigmoidoscopia, colonscopia, colture delle feci, a tal proposito leggi anche: Esame e raccolta delle feci: come si fa nel modo corretto ed a che serve

Cure
Il trattamento tipico per l’appendicite acuta è la rimozione chirurgica della appendice, che può essere eseguita tramite un’incisione aperta nell’addome (laparotomia) o in laparoscopia.
Il trattamento tipico della colite è invece di tipo farmacologico palliativo e può includere la somministrazione di antibiotici e antinfiammatori non steroidei (FANS); steroidi come il prednisolone e il prednisone; uno o alcuni dei numerosi medicinali che alleviano l’infiammazione e il dolore (butilscopolamina).  Alla chirurgia si ricorre soltanto quando il paziente soffre di infiammazioni permanenti, specialmente in caso di colite fulminante.

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Appendicite acuta e cronica: cause, sintomi e terapie

MEDICINA ONLINE TUMORE COLON RETTO INTESTINO SINTOMI INIZIALI TARDIVI DIAGNOSICon il termine “appendicite” (in inglese “appendicitis) ci si riferisce in campo medico all’infiammazione – acuta o cronica – dell’appendice vermiforme (anche chiamata appendice cecale o solo “appendice”, in inglese “appendix“) cioè quella formazione tubulare facente parte dell’intestino crasso (più precisamente il suo segmento prossimale, chiamato “cieco“).

Diffusione

L’appendicite è una delle cause, in tutto il mondo, più comuni e significativi di un forte e improvviso dolore addominale. Attualmente si verificano nel mondo circa 16 milioni di casi all’anno, che provocano circa 70.000 decessi.

Leggi anche: Appendice vermiforme: posizione, anatomia e funzione originaria

Cause e fattori di rischio

L’appendicite è causata da un’ostruzione della cavità dell’appendice che può essere dovuta a coproliti, a infiammazioni di origine virale a carico del tessuto linfoide, a parassiti, calcoli biliari, neoplasie o altre cause. L’appendicite è causata più frequentemente da una calcificazione del feci. Anche del tessuto linfoide infiammato da una infezione virale, dei parassiti, dei calcoli biliari o delle neoplasie possono causare l’ostruzione in un numero elevato di casi. L’ostruzione porta ad un aumento della pressione nell’appendice, ad una diminuzione del flusso di sangue ai tessuti della stessa e ad una proliferazione batterica all’interno che è la causa diretta dell’infiammazione. La combinazione tra l’infiammazione, la riduzione del flusso sanguigno all’appendice e la sua distensione provoca la lesioni dei tessuti e la loro necrosi (morte). Se questo processo non viene trattato, l’appendice può scoppiare rilasciando batteri nella cavità addominale, con conseguente grave dolore addominale e verificarsi delle complicanze.

Leggi anche: Differenza tra appendicite e colite: sintomi comuni e diversi

Sintomi e segni

I sintomi più comuni includono:

  • dolore addominale al quadrante inferiore destro,
  • nausea,
  • vomito,
  • anoressia (diminuzione dell’appetito).

La febbre di solito non è molto elevata con valori intorno ai 38 °C. Può essere presente sia diarrea sia stipsi. Tuttavia, circa il 40% dei casi non presenta questi sintomi tipici. Il dolore è in genere localizzato in sede epigastrica o mesogastrica che successivamente si localizza alla fossa iliaca destra, ma alcune volte il dolore è localizzato in sedi anche molto distanti e può simulare una colica biliare o renale destra (appendice retrocecale ascendente) o una patologia vescicale o ginecologica (appendice pelvica). Gravi complicazioni che possono accadere nel caso che si rompa l’appendice sono la peritonite e la sepsi.

Diagnosi

La diagnosi di appendicite è in gran parte basata sui segni e sintomi del paziente: in molti casi una accurata anmnesi ed un preciso esame obiettivo, bastano al medico per orientarsi verso la diagnosi di infiammazione dell’appendice. Tipicamente riscontra nel paziente un dolore vago in sede epigastrica successivamente localizzato in sede ileo-cecale e accompagnato da anoressia, nausea e vomito depone per un attacco acuto. Esami di laboratorio e tecniche di imaging possono essere utili per confermare la diagnosi, tuttavia in questa sede mi premne sottolineare quanto sia importante la semeiotica nella rapida diagnosi di appendicite. La ricerca della dolorabilità in alcuni punti specifici o la positività di determinate manovre può fornire indicazioni importanti. A tal proposito ricordiamo alcune manovre utili nella diagnosi:

  • Manovra di Blumberg. Questa manovra consiste nel poggiare delicatamente le dita della mano sulla parete addominale del paziente affondandola gradualmente (prima fase) e sollevandola poi di colpo (seconda fase). Si dice positiva se il dolore che il paziente avverte durante la prima fase della manovra è modesto, nella seconda fase aumenta di intensità diventando violento.
  • Manovra di Rovsing. Con le dita e il palmo della mano si esercita una pressione sull’addome a livello della fossa iliaca sinistra. Quindi la mano viene spostata progressivamente verso l’alto a comprimere il colon discendente. Se la manovra evoca dolore nella fossa iliaca destra si dice positiva ed è un segno, incostante, di appendicite acuta.
  • Manovra dello psoas. Il paziente giace in decubito sinistro (o, alternativamente, prono), e si va ad iperestendere la coscia sull’anca, a ginocchio rigido, mettendo in tensione lo psoas (la cui normale funzione interviene nella flessione della coscia). Questa manovra causa dolore se c’è appendicite, e in particolare è indice della localizzazione retrocecale dell’appendice.
  • Punto di McBurney. La pressione in corrispondenza del punto di McBurney è dolorosa in caso di appendicite acuta.

Per approfondire:

Esami di laboratorio

Nell’appendicite si verifica l’alterazione contemporanea di alcuni parametri di laboratorio. In particolare deve essere presente una leucocitosi neutrofila significativa. L’entità dei valori che possono andare da 10-19.000 comunque non rispecchia sempre la gravità del quadro clinico, mentre valori > 20.000 possono essere indicativi di una peritonite conseguenza della perforazione dell’organo.

Diagnostica per immagini

I due test di imaging più comuni per confermare una appendicite, sono l’ecografia addominale e la tomografia computerizzata (TC). Utile anche la radiografia diretta dell’addome o la risonanza magnetica. La TC ha dimostrato di essere più precisa dell’ecogradia nel rilevare l’appendicite acuta, tuttavia, può essere preferita come primo test di imaging nei bambini e nelle donne in gravidanza in quanto non comporta i rischi connessi con l’esposizione alle radiazioni ionizzanti come nel caso della TC. Sono in genere escluse le tecniche endoscopiche e radiografiche con mezzo di contrasto per il rischio di perforazione dell’appendice infiammata (ma anche del cieco).

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale assume un ruolo fondamentale nei casi sospetti di appendicite. Delle appendiciti acute che vanno all’intervento chirurgico soltanto nel 50% circa dei casi si ha un riscontro obiettivo intra-operatorio e la conferma istologica. Negli altri casi il chirurgo trova una appendice bianca (priva cioè di segni di flogosi) e soltanto in una minima parte, calcolata intorno al 10-20%, può risalire alla patologia che ha scatenato il quadro di tipo appendicolare

Rischi

Gravi complicazioni che possono verificarsi in caso di rottura dell’appendice e fuoriuscita di batteri nell’addome, sono la peritonite e la sepsi. Per approfondire, leggi anche:

Cure

Il trattamento tipico per l’appendicite acuta è la rimozione chirurgica della appendice, che può essere eseguita tramite un’incisione aperta nell’addome (laparotomia) o in laparoscopia (meno invasiva, con tempi chirurgici più lunghi ma tempi di recupero post-intervento più brevi). La chirurgia riduce il rischio degli effetti collaterali correlati con la rottura dell’appendice. Gli antibiotici possono essere altrettanto efficaci in alcuni casi di appendicite non rotta. Per approfondire: Appendicectomia durata, tecnica, rischi, postoperatorio, convalescenza

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Si può vivere senza pancreas? Conseguenze della pancreasectomia

MEDICINA ONLINE ANATOMIA ORGANI INTERNI UMANI ITALIANO INGLESE MILZA STOMACO POLMONI INTESTINO CUORE COLON FEGATO PANCREAS CISTIFELLEA ADDOME TORACE SEMEIOTICA QUADRANTI SETTORI RENEIl pancreas assolve principalmente a due funzioni: la produzione di ormoni digestivi e la produzione di insulina. In caso di alcuni tipi di pancreatite o di adenocarcinoma del pancreas, il paziente viene sottoposto a pancreasectomia parziale o totale: in quest’ultimo caso compare il diabete, cioè un aumento della concentrazione degli zuccheri nel sangue. Da allora in poi sarà necessario limitare l’assunzione degli zuccheri con la dieta, e iniziare la somministrazione di insulina attraverso iniezioni sottocutanee. Soprattutto nel primo periodo dopo l’intervento, è necessario controllare frequentemente la glicemia, dato il maggiore rischio di episodi di ipoglicemia in questi pazienti. Inoltre il paziente dovrà assumere capsule di enzimi pancreatici per digerire e assorbire gli alimenti. Ciononostante, in un certo numero di pazienti, persistono alcuni disturbi intestinali (meteorismo, feci poco formate, aumento della frequenza dell’evacuazione), che sono comunque ben tollerati.

Dopo l’intervento
Prima della dimissione il paziente sarà valutato da un diabetologo per impostare la terapia insulinica iniziale, ma è molto importante in questo periodo controllare frequentemente la glicemia e imparare a gestire la terapia insulinica. Oltre a questo, è normale sentirsi piuttosto debole, non avere appetito, avere nausea o anche qualche episodio di vomito. In questo periodo di convalescenza domiciliare è importante riprendere gradualmente l’attività fisica, cercare di fare brevi passeggiate, con l’obiettivo di fare ogni giorno qualcosa di più del giorno precedente. È importante anche fare pasti piccoli e frequenti, seguendo le istruzioni dietetiche ricevute alla dimissione.

In definitiva, si può vivere senza pancreas?
E’ certamente possibile vivere senza pancreas, controllando la dieta ed usando l’insulina.

Se mi viene parzialmente asportato il pancreas, diverrò automaticamente diabetico?
No. Il diabete segue solo se viene asportato dal 60 al 90% del pancreas.

Se sei qui per le recenti dichiarazioni del cantante Fedez, leggi anche: Fedez “Ho un raro tumore neuroendocrino del pancreas”. Ma le prospettive di sopravvivenza non sono così buone…

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Quanto pesa un litro di acqua liquida o ghiacciata? Perché il ghiaccio galleggia?

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma PERDERE PESO ESTATE DIETA GHIACCIO Radiofrequenza Rughe Cavitazione Grasso Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Pancia Sessuologia Filler BotulinoPotrebbe sembrare una domanda banale, ed in teoria lo sarebbe, eppure a tutti noi può venire un dubbio di quelli a cui persino un bambino delle medie, che ha appena studiato il concetto di “densità”, potrebbe rispondere.

Quanto pesa un litro d’acqua?

La risposta è semplice: un litro di acqua pesa un chilogrammo, poiché la densità dell’acqua è uguale a uno. Questa era la risposta facile, ma per essere più precisi ricordiamo che in realtà 1 litro di acqua pesa in realtà leggermente meno di 1 kg, e cioè: 0,9999729 kg, questo alla pressione di 1 atmosfera e ad una temperatura di 3,98°. Una bottiglia da un litro d’acqua pesa comunque di più di 1 kg: non dimenticate infatti il peso della bottiglia che la contiene, che può essere di vetro o di plastica e può far aumentare il peso complessivo fino ad oltre 1 kg. C’è da dire che ovviamente il peso dell’acqua può variare anche in base alla sua purezza: basta la presenza anche di una piccola parte di un elemento disciolto in acqua, per far variare la sua densità e far pesare un litro di acqua, più o meno di un kg, motivo per cui un litro di acqua distillata pesa meno di un litro di acqua minerale o di acqua essenziale.

Quanto pesa un litro d’acqua ghiacciata?

Anche l’acqua ghiacciata ha lo stesso peso: se metti dell’acqua a ghiacciare nel freezer noterai che aumenta di volume, ma la sua massa, e quindi suo il peso, resta invariato: quello che varia è la sua densità, che diminuisce. In pratica anche un litro di acqua ghiacciata pesa un chilogrammo, ma occupa più spazio a parità di massa, motivo per cui la densità diminuisce e – se mettete una bottiglia di vetro nel frigo con dentro acqua – questa si potrebbe spaccare per la pressione che l’aumentato volume dell’acqua ghiacciata esercita sulle pareti. C’è da dire che di solito, gli oggetti solidi sono più densi dei liquidi, tuttavia il ghiaccio è un’eccezione: al contrario degli altri liquidi (le cui molecole sono chimicamente “ordinate” allo stato liquido e “disordinate” allo stato solido), l’acqua ha la particolarità di avere molecole “disordinate” allo stato liquido ed “ordinate” allo stato solido (ghiaccio). Come visibile dall’immagine in basso, il ghiaccio ha molecole che occupano più spazio e determinano una minore densità.

MEDICINA ONLINE ACQUA CHIMICA GHIACCIO MOLECOLE MAGGIOR MINOR VOLUME ACQUA STATO LIQUIDO.jpg

Diversa disposizione delle molecole dell’acqua (a) allo stato liquido; (b) allo stato solido

Perché il ghiaccio galleggia?

Abbiamo appena detto che il ghiaccio è una eccezione: in che senso? Nella maggior parte dei casi il raffreddamento di un liquido determina un graduale aumento della sua densità fino a quando diventa solido ed a quel punto raggiunge la sua massima densità. L’acqua si comporta in modo diverso rispetto agli altri liquidi: raffreddandolo, la sua densità inizialmente aumenta, tuttavia, invece di raggiungere la massima densità quando il congelamento si blocca, raggiunge la massima densità a 4°. Raffreddare l’acqua oltre i 4 gradi inverte la tendenza e porta ad una diminuzione della sua densità a causa delle sue caratteristiche chimiche. A 0° un litro d’acqua ghiacciata pesa circa 0,9168 kg contro 0,9997 kg di un litro di acqua allo stato liquido; quando l’acqua diventa ghiaccio, ha quindi una densità inferiore all’acqua: l’acqua è 9% meno densa dell’acqua, quindi occupa 9% di spazio in più e, per il principio di Archimede, rimane a galla sull’acqua.

MEDICINA ONLINE ACQUA BICCHIERE LIQUIDO CHIMICA DENSITA MASSA PESO CUBETTO ACQUA GHIACCIO GALLEGGIA SCIOGLIE VOLUME AUMENTA TRABOCCA SETE FABBISOGNO IDRICO BERE ASSETATO.jpg

Curiosità

Se si riempie completamente un bicchiere di acqua con un cubetto di ghiaccio che ci galleggia, quando il ghiaccio si scioglierà l’acqua traboccherà o no dal bicchiere? No: il cubetto di ghiaccio, sciogliendosi, non fa sollevare ulteriormente il livello dell’acqua, che quindi non traboccherà. Un cubo di ghiaccio, immerso nell’acqua, ne aumenta il livello poiché viene spostato un volume di acqua pari a quello della porzione di ghiaccio immersa. Poiché il ghiaccio ha una densità inferiore a quella dell’acqua liquida, non
tutto il blocchetto è immerso ma una parte, pari a meno di un decimo del volume totale, rimane al di fuori della superficie (si pensi per esempio agli iceberg, la cui
parte emersa è decisamente minore di quella sommersa). Man mano che il ghiaccio del
cubetto si scioglie, il volume di acqua spostata diminuisce e conseguentemente, il livello dell’acqua nel bicchiere dovrebbe a sua volta abbassarsi, tuttavia ciò non avviene poiché l’acqua del ghiaccio fuso va gradualmente ad aggiungersi all’acqua del bicchiere, facendo in modo che, nel complesso, il livello dell’acqua non diminuisca e non aumenti con il progressivo scioglimento del cubetto.

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Esofago di Barrett: sintomi iniziali, diagnosi, terapia, dieta e chirurgia

esofago con esofagite visto allL’esofago di Barrett è una metaplasia in cui le pareti dell’esofago, anziché essere costituite da epitelio normale (epitelio squamoso pluristratificato), sono costituite da tessuti simili a quelli delle pareti dell’intestino (cellule mucipare caliciformi) . L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, ma spesso si presenta nei pazienti affetti dal reflusso gastroesofageo. Una piccola percentuale dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett svilupperà una forma rara, ma purtroppo in molti casi mortale, di tumore all’esofago.

Diffusione di esofago di Barrett e del tumore dell’esofago

Negli Stati Uniti l’esofago di Barrett colpisce l’uno per cento circa degli adulti; l’età media alla diagnosi è di 50 anni, ma capire quand’è comparso il problema di solito è difficile. L’esofago di Barrett ha un’incidenza doppia negli uomini, e gli uomini di etnia caucasica sono colpiti più frequentemente rispetto a quelli di altre etnie. L’esofago di Barrett si manifesta raramente nei i bambini.
Il tumore dell’esofago è il sesto tumore più comune nei paesi non industrializzati, mentre è al diciottesimo posto nei paesi industrializzati, e colpisce prevalentemente i maschi (è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne, con 1.500 casi stimati l’anno in Italia contro 600 nel sesso femminile).
Si sviluppa nella maggior parte dei casi dopo la sesta decade di vita. L’incidenza geografica è variabile: i paesi orientali, tra cui la Cina e Singapore, sono quelli dove la mortalità è più elevata e i casi sono circa 20-30 l’anno ogni 100.000 abitanti. In Italia il tasso di incidenza annuo è di circa 4 casi su 100.000.
Poiché si tratta di una forma di cancro molto aggressiva, la mortalità è abbastanza elevata.

Cause di esofago di Barrett

Non si sa con esattezza quali sino le cause dell’esofago di Barrett, tuttavia la malattia da reflusso gastroesofageo cronica (e la relativa esofagite da reflusso cronica) rappresenta sicuramente un fattore di rischio; anche chi non soffre di reflusso può soffrire dell’esofago di Barrett, però il disturbo è da tre a cinque volte più diffuso nei pazienti che soffrono anche di reflusso. Curando o alleviando i sintomi della malattia da reflusso è possibile diminuire il rischio di ammalarsi di esofago di Barrett; a tal proposito leggi anche: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura

Sintomi e segni dell’esofago di Barrett

L’esofago di Barrett non si manifesta con sintomi e proprio per questo può essere presente in modo silenzioso per diversi anni prima dell’effettivo sviluppo del tumore. Purtroppo la diagnosi di adenocarcinoma all’esofago non è sempre precoce, quindi il tumore molte volte viene diagnosticato quando già si trova in stadio avanzato: ciò peggiora la prognosi e rende le terapie meno efficaci.

Leggi anche: Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi

Sintomi e segni del cancro all’esofago

Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell’esofago sono aspecifici: si ha perdita progressiva di peso corporeo preceduta dalla disfagia , cioè dalla difficoltà a deglutire, che di solito compare in modo graduale prima per i cibi solidi e successivamente per quelli liquidi. Questi sintomi sono riferiti dal 90% dei pazienti. Inoltre, la crescita del tumore verso l’esterno dell’esofago può provocare un calo o un’alterazione del tono di voce perché coinvolge i nervi che governano l’emissione dei suoni, oppure indurre una paralisi del diaframma o, ancora, un dolore al torace, appena dietro lo sterno, se coinvolge la zona tra cuore, polmoni, sterno e colonna vertebrale. Negli stadi più avanzati di sviluppo del tumore la capacità di assumere cibo può diventare faticosa. Se il tumore è ulcerato, la deglutizione potrebbe anche diventare dolorosa. Quando la massa del tumore ostacola la discesa del cibo lungo l’esofago si possono verificare episodi di rigurgito. Nelle forme più avanzate possono inoltre ingrossarsi i linfonodi ai lati del collo e sopra la clavicola, oppure può formarsi del liquido nel rivestimento del polmone (versamento pleurico) con comparsa di dispnea (difficoltà a respirare), oppure ancora possono comparire dolori alle ossa o un aumento delle dimensioni del fegato: la causa di questi sintomi è in genere legata alla presenza di metastasi. I dati prodotti dal Registro italiano tumori segnalano una sopravvivenza a 5 anni che in media non supera il 12% se la malattia è stata diagnosticata in fase avanzata, mentre è molto più elevata se scoperta in fase iniziale.

Per approfondire:

Esofago di Barrett e tumore dell’esofago

Chi è affetto dall’esofago di Barrett presenta un rischio minimo di sviluppare un tipo di cancro detto adenocarcinoma dell’esofago, ma ogni anno meno dell’uno per cento dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett sviluppa un adenocarcinoma all’esofago; per approfondire leggi questo articolo: Esofago di Barrett, tumore e reflusso gastroesofageo

Diagnosi di esofago di Barrett

L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, quindi molti medici consigliano agli adulti che hanno superato i 40 anni e che soffrono da diversi anni di reflusso gastroesofageo di sottoporsi all’endoscopia e alla biopsia, come misura precauzionale. L’unico modo per diagnosticare l’esofago di Barrett è la gastroscopia (endoscopia del tratto gastrointestinale superiore) che permette di ottenere campioni bioptici dell’esofago. Durante l’esame, dopo che il paziente è stato sedato, il medico inserisce nell’esofago un tubicino flessibile (endoscopio) dotato di una fonte luminosa e di una telecamera miniaturizzata a un’estremità. Se il tessuto presenta delle anomalie il medico ne rimuove diversi minuscoli campioni, usando una sorta di pinzetta che viene fatta passare nell’endoscopio. Il patologo esaminerà i campioni di tessuto al microscopio ed elaborerà una diagnosi.

Leggi anche: Bruciore di stomaco: cosa mangiare, come dormire e rimedi naturali

Diagnosi del cancro all’esofago

Nei pazienti che presentano sintomi la diagnosi di cancro all’esofago richiede una radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto e un’endoscopia esofagea (l’esofagogastroscopia) che consente di vedere l’eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame delle cellule. L’associazione delle due procedure aumenta la sensibilità diagnostica al 99%: la radiografia serve a escludere la presenza di malattie associate, ma l’esofagogastroscopia è l’esame a maggiore valore diagnostico, in quanto permette di visualizzare direttamente le strutture e di eseguire prelievi per la biopsia.
L’ecoendoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l’infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi interessati da metastasi.
Una volta individuato il tumore, a completamento degli esami diagnostici è opportuno fare una radiografia del torace e una tomografia computerizzata (TC) del torace e dell’addome per escludere la presenza di metastasi a distanza.

Leggi anche:

Chi è a rischio

Tra i pazienti con esofago di Barrett, quelli con maggior rischio di sviluppare cancro esofageo, sono quelli che presentano questi fattori di rischio:

  • Fattori genetici: il tumore dell’esofago, nella forma squamocellulare, compare in quasi tutti i pazienti affetti da tilosi palmare e plantare, una rara malattia ereditaria contraddistinta da ispessimento della pelle delle palme delle mani e delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell’esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
  • Alcol e tabacco: sono tra i fattori di rischio più rilevanti, dato che in Europa e Stati Uniti l’80-90% dei tumori esofagei è provocato dal consumo di alcol e tabacco, fumato o masticato. I fumatori hanno probabilità di ammalarsi 5-10 volte maggiori rispetto ai non fumatori, a seconda del numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo, i cui effetti vengono moltiplicati dall’alcol. Quest’ultimo, infatti, oltre ad agire come causa tumorale diretta, potenzia l’azione cancerogena del fumo, e le persone che consumano sigarette e alcol insieme hanno un rischio di ammalarsi di cancro esofageo aumentato fino a 100 volte.
  • Dieta: una dieta povera di frutta e verdura e un ridotto apporto di vitamina A e di alcuni metalli come zinco e molibdeno possono aumentare il rischio di tumore dell’esofago. Una dieta ricca di grassi, e il conseguente aumento del grasso corporeo, influisce direttamente sul livello di molti ormoni che creano l’ambiente favorevole per l’insorgenza dei tumori (carcinogenesi). Il sovrappeso e l’obesità si associano spesso a reflusso gastroesofageo con un conseguente rischio di sviluppare la patologia dell’esofago di Barrett (che si riscontra nell’8-20% dei portatori di malattia da reflusso gastroesofageo).
  • Fattori infiammatori:l’infiammazione cronica della mucosa che riveste l’esofago aumenta il rischio. La forma più frequente è l’esofagite peptica, cioè l’infiammazione cronica della parte terminale dell’esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dovuta a una tenuta difettosa della giunzione che separa l’esofago dallo stomaco. L’irritazione cronica fa sì che, a lungo andare, l’epitelio dell’esofago (ovvero il tessuto di rivestimento interno dell’organo) venga sostituito da uno simile a quello dello stomaco, sul quale poi si può sviluppare il tumore. Questa situazione prende il nome di “esofago di Barrett” ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia al fine di evitare la completa trasformazione dell’epitelio in maligno.

Cura e dieta

Per quanto riguarda la dieta si può fare riferimento a questi articoli:

In generale i pazienti affetti dall’esofago di Barrett dovrebbero sottoporsi periodicamente all’endoscopia e alle biopsie per escludere precocemente i sintomi del tumore: questo approccio diagnostico è detto attesa vigile. Di solito, prima che si sviluppi il tumore all’esofago, compaiono cellule precancerose nei tessuti di Barrett. Questo disturbo è detto displasia e può essere diagnosticato solo tramite la biopsia. Può essere necessario sottoporsi a varie biopsie, perché una potrebbe non essere sufficiente a individuare le cellule displastiche. Diagnosticare e curare le displasie può essere fondamentale per la prevenzione del tumore. Per curare l’esofago di Barrett con displasia grave o tumore possono essere usati l’endoscopia o l’intervento chirurgico. Il medico vi illustrerà le possibilità a vostra disposizione e vi aiuterà a decidere qual è la terapia che fa al caso vostro.

Terapie endoscopiche

Per curare le displasie gravi ed il tumore all’esofago esistono diversi tipi di terapia endoscopica, nel corso di queste terapie i tessuti di Barrett vengono distrutti, oppure viene rimossa la parte di mucosa displastica o contenente il tumore. Lo scopo della terapia è quello di permettere alle cellule normali dell’esofago di prendere il posto di quelle distrutte o rimosse. Le terapie endoscopiche vengono eseguite in centri specializzati, da medici esperti.

Terapia fotodinamica

La terapia fotodinamica usa un agente fotosensibilizzante, la fotofrina, e un raggio laser per uccidere le cellule precancerose e cancerose. La fotofrina viene iniettata in vena e il paziente ritorna in ospedale dopo 48 ore. Il raggio laser è fatto passare nell’endoscopio e attiva la fotofrina che distrugge i tessuti di Barrett nell’esofago. Tra gli effetti collaterali della terapia fotodinamica ricordiamo:

  • il dolore al torace,
  • la nausea,
  • la fotosensibilità per diverse settimane,
  • la stenosi esofagea.

Resezione mucosa esofagea

Questa terapia solleva l’epitelio di Barrett, inietta una soluzione sopra di esso o la risucchia via, e infine lo rimuove chirurgicamente per via endoscopica. Se questo approccio viene usato per curare il tumore, per prima cosa deve essere effettuata un’ecografia endoscopica per accertarsi che il tumore coinvolga solo la parete esterna delle cellule dell’esofago. L’ecografia usa onde sonore che fanno eco sulle pareti dell’esofago per creare un’immagine su un monitor. Tra gli effetti collaterali ricordiamo il sanguinamento o le lesioni dell’esofago. Spesso la resezione mucosa esofagea viene associata alla terapia fotodinamica.

Intervento chirurgico

L’asportazione chirurgica della maggior parte dell’esofago è consigliabile per pazienti affetti dall’esofago di Barrett con displasia grave o tumore in grado di tollerare l’intervento chirurgico. Molte persone affette dall’esofago di Barrett sono anziane e hanno altri problemi di salute che rappresentano una controindicazione all’intervento. In questi pazienti è consigliabile ricorrere alle terapie endoscopiche meno invasive. Effettuare l’intervento entro breve tempo dalla diagnosi di displasia grave o di tumore, è la soluzione ottimale per il paziente. Esistono diversi tipi di intervento, che di norma comportano la rimozione della maggior parte dell’esofago, la dislocazione di parte dello stomaco nella cavità toracica e l’unione dello stomaco con la parte dell’esofago conservata.

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Chirurgia e chemioterapia nel cancro all’esofago

L’intervento vero e proprio di solito consiste nell’asportazione del tratto di esofago interessato dal tumore, di un pezzetto dello stomaco e dei linfonodi regionali, procedura chiamata in gergo medico “esofagogastrectomia parziale con linfoadenectomia regionale”. Nei pazienti non operabili la chemioterapia accompagnata da radioterapia è il trattamento di scelta, dato che la combinazione delle due cure aumenta la sopravvivenza rispetto alle singole opzioni. Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) I farmaci più usati sono il cisplatino e il 5-fluorouracile, talvolta con l’aggiunta di epirubicina. Il 60-80% dei tumori esofagei presenta una sovraespressione di EGFR (recettore del fattore di crescita dell’epidermide), che può essere bersaglio di farmaci biologici. Sono in corso alcune sperimentazioni con cetuximab e anche con farmaci che inibiscono l’angiogenesi come il bevacizumab. Nei tumori che presentano una sovraespressione del gene HER2 è possibile ricorrere al trastuzumab.

Pazienti in fase terminale

I pazienti in fase avanzata con difficoltà a deglutire e dolore, nei quali non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, possono trarre beneficio da cure palliative che permettano un adeguato supporto alimentare. Queste possono consistere nel posizionamento per via endoscopica di un tubo rigido in plastica, silicone o anche in metallo attraverso l’esofago che consenta il passaggio del cibo oppure la laser-terapia, che consiste nell’uso di un raggio laser diretto sul tumore per ricreare il passaggio.

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Prevenzione di esofago di Barrett e tumore all’esofago

Dieta adeguata e l’evitare alcol e fumo sono le principali precauzioni per prevenire la forma squamocellulare di tumore dell’esofago. Per quanto riguarda invece l’adenocarcinoma, nella maggioranza dei casi si sviluppa da un’esofago di Barrett, e quindi la maniera più efficace di prevenirlo è quella di ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo che provoca l’esofagite cronica: ciò si ottiene riducendo il consumo di caffè, di alcol e di sigarette, ma anche il sovrappeso e l’obesità.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett. Pur non essendo disponibili esami di screening nei pazienti sani, la diagnosi precoce diventa estremamente importante una volta che l’esofago di Barrett si è sviluppato, per cogliere in tempo la sua eventuale trasformazione maligna.
Nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è semplicemente trasformata in mucosa gastrica è consigliata un’endoscopia ogni due o tre anni. Viceversa, nei pazienti in cui le cellule trasformate mostrino segni di anormalità (displasia) si raccomanda di ripetere l’endoscopia almeno due volte a distanza di sei mesi e poi una volta l’anno.
Infine, se il grado di displasia è elevato (cioè se le cellule sono molto trasformate), è consigliabile l’asportazione endoscopica o addirittura l’intervento chirurgico, dato che si tratta di condizione precancerosa a elevato rischio di trasformazione maligna.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Diabete: lista di alimenti vietati e moderatamente ammessi

MEDICINA ONLINE MANGIARE VERRDURA LEGUMI MAGRA DIABETE CALORIE SEMI GLICEMIA GASSATA OLIGOMINARALE RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETAPrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consiglio di leggere questo articolo: Cosa può e non può mangiare il diabetico: cibi per controllare la glicemia

Il diabetico, per evitare ripercussioni sulla propria salute, deve prestare particolarmente attenzione alla propria dieta, in particolare ci sono alcuni cibi che gli sono vietati, ed altri che può assumere moderatamente. Ecco una lista di questi cibi:

Vini vietati al diabetico

  • Vino dolce (ad esempio il moscato), vini liquorosi (ad esempio il vinsanto ed il porto) e liquori dolci.
  • Bevande gassate artificiali.
  • Mascarpone e Pecorino stagionato.
  • Parti grassi o semi-grasse di tutte le carni e del pollame.
  • Coppa, mortadella, pancetta di maiale, capocollo, prosciutto grasso, salami suini, salsiccia.
  • Frutta candita e/o sciroppata, mostarda di frutta, miele, marmellata, gelatina di frutta, melassa, frutta secca ed oleosa (noci, nocciole, arachidi), castagne, fichi, cachi, uva, banane.
  • Zucchero da cucina, caramelle, cioccolato, creme e budini, dolciumi in genere (torte, pasticcini), gelati.

Alcuni alimenti concessi al diabetico, in quantità limitata variabile

  • Acqua minerale, caffè, thè, moderate dosi di birra.
  • Succo di limone, aceto, aglio, cipolla, sedano, basilico, origano e spezie in genere.
  • Mozzarella, caciotta, ricotta di mucca, groviera e stracchino in dosi moderate.
  • Nasello, sogliola, tonno fresco, trota, pesce azzurro, moderate dosi di crostacei.
  • Insalata verde, carote e finocchi crudi, pomodori, spinaci, carciofi, piccole porzioni di patate.
  • Ciliegie, fragole, arance, mele e pere.

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Prediabete:

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Diabete: il diabetico può mangiare cioccolato? Quale preferire?

MEDICINA ONLINE CIOCCOLATO CACAO CIBO DIABETE INSULINA DOLCI DOLCE GRASSI ZUCCHERO CARBOIDRATI CUORE PANCREAS DIGESTIONEPrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consiglio di leggere questo articolo: Cosa può e non può mangiare il diabetico: cibi per controllare la glicemia

Il cioccolato, se di qualità, fa sicuramente bene alla salute perché – secondo molte recenti ricerche – migliora il metabolismo degli zuccheri, riduce la pressione, riduce il rischio cardiovascolare e aterosclerotico, ha un grande effetto antiossidante grazie alla presenza dei flavonoli. E’ pertanto importante scegliere cioccolato di qualità ad alto contenuto di cacao e quindi di flavonoli, per essere certi di assumere un alimento salutare e non solo grassi e calorie.
Però non tutto il cioccolato è ammesso: solo quello fondente ad alte percentuale di cacao. In ogni caso, dato l’elevato apporto di grassi e di calorie, chi introduce il cioccolato nella dieta dovrà fare qualche rinuncia sottraendo una quantità di calorie pari a quelle introdotte con una barretta di cioccolato dalla dieta abituale oppure incrementare l’esercizio fisico o più verosimilmente combinare entrambe le cose.
Ricapitolando:

  1. si al cioccolato, ma solo fondente al alta percentuale di cacao;
  2. si a cioccolato di qualità e quindi ricco di flavonoidi;
  3. no a cioccolato al latte o bianco;
  4. no agli eccessi di cioccolato; diabetico o no io consiglio comunque al paziente di moderarne l’assunzione: uno o due dei tipici quadretti piccoli al giorno sono sufficienti per toglierci lo “sfizio” volendo bene alla nostra salute;
  5. evitare di superare i 15 grammi giornalieri di fondente.

I migliori prodotti per diabetici

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, estremamente utili per aiutare il diabetico ed il pre-diabetico a mantenere i giusti livelli di glicemia, perdere peso e migliorare la propria salute. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

I migliori glucometri per misurare la glicemia

I migliori apparecchi di ultima generazione per l’automonitoraggio della glicemia, selezionati, consigliati ed usati dal nostro Staff sanitario, sono i seguenti:

Sono strumenti abbastanza economici, tuttavia ottimamente costruiti, affidabili e professionali, prodotti da aziende che da anni sono leader mondiali nella produzione di tecnologie sanitarie.

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Diabete: zucchero o dolcificanti per il diabetico?

MEDICINA ONLINE MANGIARE TIPI DI ZUCCHERO INTEGRALE CANNA FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBPrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consiglio di leggere questo articolo: Cosa può e non può mangiare il diabetico: cibi per controllare la glicemia

Per la pianificazione della dieta in caso di diabete è essenziale eliminare completamente lo zucchero da cucina (saccarosio); al suo posto è possibile utilizzare (in piccole dosi e dopo parere medico positivo):

  • Saccarina.
  • Ciclamato.
  • Miele: in quantità moderate il diabetico può utilizzarlo ma deve controllare la glicemia.
  • Stevia: indicato per coloro che soffrono di ipertensione, diabete di tipo 2 e/o insulino-resistenza in quanto sembrerebbe favorire il trasporto dello zucchero dentro le cellule con una riduzione dell’insulino-resistenza e un effetto ipoglicemico.
  • Fruttosio: è consigliabile ai diabetici ma, se si supera la dose massima giornaliera consigliata, che è pari a 30 grammi, si può avere un aumento della trigliceridemia.
  • Sorbitolo: non innalza la glicemia, infatti, una volta arrivato nell’intestino il sorbitolo è convertito in fruttosio, da cui la possibilità per i diabetici di utilizzare questo zucchero. Va consumato saltuariamente ed in piccole dosi (l’uso cronico è sconsigliato).
  • Aspartame: non è adatto in gravidanza, a tal proposito leggi anche: L’aspartame fa bene o fa male alla salute? ed anche: Nuovo studio italiano assolve l’aspartame: non è cancerogeno

I migliori prodotti per diabetici
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