L’esofagogastroduodenoscopia: cos’è, preparazione, è dolorosa o pericolosa?

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO DIFFERENZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO EME.pngL’esofagogastroduodenoscopia è una procedura che consente al medico che effettua l’esame di guardare direttamente all’interno di esofago, stomaco e duodeno, rilevando eventuali patologie.

Quale strumento si usa per eseguirla?

Si utilizza una sonda, il gastroscopio, di diametro di circa un centimetro, con una telecamera o delle lenti (fibre ottiche) e una luce in punta, che viene introdotta delicatamente attraverso la bocca, fino a raggiungere il duodeno.

Come si svolge l’esame? E’ doloroso?

L’esame non procura dolore ma solo modesto fastidio all’introduzione dello strumento. Per tale motivo può essere somministrata una piccola dose di sedativo liquido o una compressa per l’anestesia locale della gola. Prima dell’inizio dell’esame è opportuno segnalare al medico eventuali allergie a farmaci o trattamenti farmacologici in atto. Durante l’esame, la cui durata è solitamente breve, è importante mantenere un atteggiamento rilassato, respirando lentamente e profondamente; ciò aiuta a controllare l’eventuale sensazione di vomito e a tollerare meglio l’esame, oltre a consentire al medico di portare a termine la procedura più rapidamente. Pochi minuti dopo il termine dell’esame è possibile allontanarsi dall’ospedale, ma a causa dell’effetto sedativo dei farmaci, sia pure blando, è consigliabile non guidare per circa un’ora dal termine dell’esame. È possibile assumere cibi e bevande dopo che sarà scomparso l’effetto di anestesia locale alla gola.

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Perché si esegue? A che serve?

Guardando attraverso il gastroscopio, il medico ha una visione nitida e precisa degli organi e può individuare o escludere la presenza di malattie.
L’esame è utile per definire le cause di sintomi generalmente legati a patologie dell’esofago, dello stomaco e del duodeno. Viene pertanto consigliata dal medico quando vi sono sintomi come dolore, nausea, vomito o difficoltà digestive, che persistono per lungo tempo.
Inoltre, permette di accertare la causa di sanguinamenti del tratto digestivo alto o di alcune anemie (carenza di globuli rossi).
L’esofagogastroduodenoscopia fornisce informazioni più precise di quanto si possa avere con le radiografie dell’apparato digerente. La possibilità di effettuare biopsie (cioè, il prelievo di piccoli frammenti di mucosa), quando il medico lo ritiene utile, migliora ulteriormente le capacità diagnostica dell’esame.
Le biopsie sono del tutto indolori e si effettuano per molti motivi (per esempio, per la ricerca di un germe che spesso si associa all’ulcera e alla gastrite) e non necessariamente solo quando vi è sospetto di tumore.

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E’ rischiosa? Quali possono essere le complicanze?

L’esofagogastroduodenoscopia è una procedura generalmente sicura. Solo occasionalmente dopo l’esame vi può essere un’irritazione o gonfiore della vena del braccio, in cui è stato iniettato il sedativo, che si risolve spontaneamente o con l’aiuto di pomate antinfiammatorie nel giro di qualche giorno. Altri rischi potenziali derivano dall’uso dei sedativi in pazienti anziani oppure con gravi patologie respiratorie o cardiache. Solo eccezionalmente, dove sono state effettuate biopsie, vi può essere un sanguinamento che quasi sempre si arresta spontaneamente.
L’incidenza di complicanze più importanti, come la perforazione, è molto bassa (inferiore a un caso su 10.000) e spesso legata alla presenza di gravi patologie dell’esofago.

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Come ci si prepara all’esame?

L’esofagogastroduodenoscopia richiede il digiuno da almeno 6/8 ore, pertanto, se l’esame viene effettuato al mattino, si raccomanda il digiuno dalla sera prima, se è programmato nel pomeriggio, è consentita una colazione leggera al mattino.
Prima dell’esame è opportuno rimuovere eventuali protesi dentarie mobili.
Nel caso si assumano abitualmente farmaci, questi vanno normalmente continuati anche il giorno dell’esame. Va, però, evitata l’assunzione di soluzioni (antiacidi, sucralfato) che possono rendere difficoltosa l’esecuzione dell’esame, ostacolando la visione.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Ulcera peptica: complicanze, cura, dieta, quando è pericolosa

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITOIl termine “ulcera peptica” indica una erosione più o meno estesa/profonda della parete interna (mucosa) dello stomaco o del duodeno ed in base al sito di comparsa, può essere di due tipi:

  • se l’ulcera peptica è localizzata nel duodeno, prende il nome di ulcera duodenale la quale è molto più frequente e compare in età più giovane rispetto all’ulcera gastrica;
  • se l’ulcera peptica è localizzata nello stomaco, prende il nome di ulcera gastrica o ulcera allo stomaco che è meno frequente e compare in età più avanzata rispetto all’ulcera peptica. Di solito l’ulcera gastrica si associa a un quadro di gastrite cronica atrofica.

Esiste anche l’ulcera esofagea, che colpisce l’esofago (più frequentemente la parte inferiore dell’esofago). Spesso è associata al reflusso gastroesofageo cronico.

Se fino a qualche decennio fa si pensava che le cause di ulcera peptica fossero stress, cibi troppo speziati o uno stile di vita errato, adesso si è concordi nel considerare le infezioni batteriche da Helicobacter Pylori o l’impiego continuativo di determinati tipi di farmaci come le cause più frequenti dell’ulcera peptica. In base alla zona in cui si manifesta, l’ulcera peptica può essere denominata in maniera differente: si tratta di ulcera gastrica quando va a colpire lo stomaco; l’ulcera duodenale è quella che va a colpire la parte superiore dell’intestino tenue; infine, l’ulcera esofagea, che va a colpire la porzione inferiore dell’esofago. In numerose occasioni, quest’ultima condizione è correlato con il reflusso gastroesofageo cronico. L’ulcera peptica, però, non va mai confusa con la gastrite, che invece è un’infiammazione che va a colpire le pareti dello stomaco, ma che con il passare del tempo è in grado di provocare un’ulcerazione.

Quali sono le possibili cause dell’ulcera peptica

Come già prima accennato, diversi anni fa si pensava che l’ulcera peptica fosse causata da stress e da cibi troppo speziati. Al giorno d’oggi, invece, la medicina ha scoperto che il vero motivo che porta all’insorgenza di tale patologia è l’Helicobacter Pylori, ovvero un batterio flagellato. Questo microrganismo ha la particolarità di svilupparsi e riprodursi nella mucosa che funge da copertura e protezione dei vari tessuti che formano le pareti dello stomaco, nonché dell’intestino tenue. Normalmente questo batterio non causa alcun tipo di malattia, ma in certe occasioni, come le carenze immunitarie, può danneggiare la mucosa e causare uno stato di infiammazione delle pareti del duodeno o dello stomaco. Tra le altre possibili cause troviamo anche una rara condizione chiamata sindrome di Zollinger-Ellison. Altra causa frequente è l’impiego frequente e costante di farmaci analgesici, come ad esempio i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che possono provocare un’irritazione, così come uno stato di infiammazione della mucosa all’interno dello stomaco e dell’intestino tenue. Si tratta di farmaci come l’aspirina, l’ibuprofene, il naprossene e il ketoprofene. Per tale ragione, si suggerisce sempre di assumerli con moderazione e nel corso del pasto, in maniera tale da ridurre il rischio di ulcera. Tra le altre cause troviamo indubbiamente il fumo, visto che la nicotina che si trova nel tabacco può comportare un aumento del volume e della quantità di acidi gastrici. Anche un consumo eccessivo di bevande alcoliche può portare all’ulcera peptica, così come lo stress, anche se non direttamente. Infatti, lo stress può favorire un peggioramento dei vari sintomi connessi a tale patologia e, tra l’altro, anche rendere decisamente più lenta la guarigione.

Antinfiammatori

Per capire come i gli antinfiammatori (FANS) siano in grado di causare la formazione di un’ulcera nello stomaco è importante capire il loro meccanismo; si tratta di molecole usate per ridurre e trattare dolore, febbre e l’infiammazione. Nell’organismo umano i meccanismi biochimici alla base di questi sintomi passano attraverso due specifici enzimi che sono l’obiettivo di questi farmaci: bloccando o riducendo l’attività enzimatica si riducono i sintomi. Il problema nasce dal fatto che gli stessi enzimi sono coinvolti anche nella produzione di una sostanza che protegge le pareti dello stomaco dagli acidi gastrici e l’assunzione di antinfiammatori ne riduce fortemente la quantità prodotta, aumentando quindi la probabilità di sviluppo di ulcera peptica. In aggiunta, molti antinfiammatori sono di per sé acidi, l’assunzione per bocca è quindi responsabile anche di un’azione gastrolesiva diretta. Sono soggetti a questo rischio persone di tutte le età che si trovano a dover assumere FANS per lunghi periodi (settimane), ma in generale le sono a maggior rischio pazienti:

  • con 70 anni o più,
  • donne,
  • che assumono due antinfiammatori contemporaneamente,
  • che assumono FANS per lungo tempo senza pause,
  • con precedenti di ulcera,
  • in terapia con cortisone o farmaci per l’osteoporosi,
  • che fumano e/o consumano alcolici.

Helicobacter pylori

L’H. pylori è un batterio a forma di spirale in grado di causare la comparsa di ulcera peptica danneggiando il rivestimento mucoso che protegge la mucosa dello stomaco e del duodeno dall’azione degli acidi gastrici. Si tratta di un’infezione molto diffusa, che si stima colpisca circa un terzo della popolazione; nella maggior parte dei casi tuttavia l’infezione rimane asintomatica (senza sintomi né complicazioni) per anni o per sempre. Raramente i bambini infetti manifestano ulcera, mentre è più comune la comparsa negli adulti.

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Sindrome di Zollinger-Ellison

La sindrome di Zollinger-Ellison è una rara condizione che si verifica quando uno o più tumori si formano nel pancreas e nel duodeno e rilascian grandi quantità di gastrina, un ormone che stimola la produzione gastrica di acidi; questa eccessiva presenza di acidi gastrici alla lunga diventa causa di ulcere peptiche e intestinali. La sindrome colpisce circa un soggetto ogni milione di persone, tendenzialmente tra i 30 e i 50 anni.

Quali sono i principali sintomi dell’ulcera peptica

Il sintomo che compare più di frequente e con la maggiore facilità è sicuramente il bruciore di stomaco. Infatti, il dolore che viene causato dall’ulcera può peggiorare rapidamente quando gli acidi gastrici urtano sempre più spesso contro la zona che ha subito l’ulcera. Si tratta di un dolore che, nella maggior parte dei casi, il paziente può sentire in una parte del corpo compresa tra l’ombelico e lo sterno, mentre la sua durata può variare (si va da pochi minuti fino a qualche ora). Inoltre, tale dolore diventa più intenso a stomaco vuoto, così come insorge spesso nel bel mezzo della notte. Si può rendere un po’ più sopportabile tale dolore consumando dei cibi che possano quantomeno contrastare l’acidità di stomaco o dei farmaci adatti.

Il fastidio tipicamente:

  • aumenta a stomaco vuoto (tra un pasto e l’altro e/o di notte),
  • diminuisce o passa a stomaco pieno (dopo un pasto),
  • diminuisce o passa a seguito di assunzione di antiacidi,
  • ha durata variabile da alcuni minuti a diverse ore,
  • può andare e venire anche per diversi mesi.

Tra i sintomi meno comuni ricordiamo:

  • gonfiore,
  • eruttazione,
  • nausea e vomito,
  • riduzione di appetito e diminuzione di peso

Senza un adeguato trattamento l’ulcera peptica può peggiorare, è quindi indispensabile non trascurare alcun sintomo dubbio, prima che compaiano eventualmente:

  • vomito con tracce di sangue, di colore rosso o nerastro;
  • tracce di sangue di colore scuro nelle feci, oppure feci nere o catramose.

L’ulcera peptica può durare anche solo per pochi giorni, così come può affliggere il paziente per diverse settimane. Nei casi più gravi, tale disturbo può dar luogo anche ad altri sintomi, come ad esempio sensazione di nausea, vomito con sangue, modifica dell’appetito, presenza di sangue più scuro nelle feci, feci di colore nero, perdita di peso senza apparenti motivazioni.

Quali sono le principali complicazioni

Nel caso in cui non venga curata a dovere, l’ulcera peptica potrebbe anche svilupparsi in un’emorragia interna, un’infezione piuttosto che in cicatrici. L’emorragia può insorgere dopo una progressiva, ma lenta perdita di sangue che è in grado di causare l’anemia. L’infezione, invece, può insorgere nel momento in cui l’ulcera peptica va a bucare le pareti che costituiscono lo stomaco oppure quelle dell’intestino tenue, provocando un serio pericolo di infezione della cavità dell’addome. Questo tipo di ulcere, inoltre, sono in grado anche di diventare del vero e proprio tessuto cicatrizzato che va a bloccare il normale percorso dei cibi all’interno del canale digerente. Le cicatrici, quindi, tolgono al paziente l’appetito anche dopo pochissimi bocconi e causano spesso vomito, così come una notevole perdita di peso.

Quando chiamare il medico

L’ulcera non è un disturbo che sia possibile gestire con rimedi da automedicazione ed è quindi necessario rivolgersi al medico in caso di dubbi sulla sua presenza. Contattare urgentemente il medico o il Pronto Soccorso nel caso in cui comparissero:

  • vomito con sangue,
  • feci scure e catramose (potrebbe essere sangue),
  • forte dolore allo stomaco che peggiora continuamente,
  • stanchezza inspiegabile,
  • difficoltà di respirazione,
  • dolore acuto e improvviso allo stomaco che non accenna a migliorare.

Pericoli

Le complicazioni gravi sono relativamente rare, ma potenzialmente molto gravi se il disturbo viene trascurato.

  • Emorragia interna. L’emorragia può verificarsi come lenta perdita di sangue che provoca l’anemia (e sintomi correlati, come stanchezza, palpitazioni, affanno), oppure come intensa perdita di sangue per cui può rivelarsi necessario il ricovero in ospedale o una trasfusione. È la complicazione più comune.
  • Perforazione. Si tratta di un’evenienza fortunatamente rara, che tuttavia può causare peritonite e sepsi a causa del contenuto dello stomaco che viene riversato all’interno dell’addome.
  • Cicatrici. Le ulcere peptiche possono anche trasformarsi in tessuto cicatrizzato in grado di ostruire il passaggio degli alimenti nel canale digerente: le cicatrici vi faranno sentire sazi anche dopo aver mangiato pochi bocconi e provocheranno il vomito e la perdita di peso. I sintomi possono essere ripetuti episodi di vomito, un persistente senso di pienezza, perdita di peso inspiegabile. Viene diagnosticata attraverso la gastroscopia.

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Diagnosi

Per scoprire se i sintomi del paziente sono causati da un’ulcera il primo passo è sempre la visita medica, che permette di ricostruire un’accurata anamnesi (sintomi, fattori di rischi, storia clinica, …) ed evidenziare eventuali segni caratteristici (gonfiore, suoni all’auscultazione, dolore e/o tensione alla pressione).

  • Esame del sangue. Mira a scoprire la presenza degli anticorpi dell’Helicobacter pylori. Uno svantaggio di questo esame è che non consente la distinzione tra l’esposizione al batterio avvenuta in passato e un’infezione in corso.
  • Test del respiro. In quest’esame viene usato un isotopo radioattivo del carbonio per evidenziare la presenza dell’Helicobacter pylori nello stomaco. Prima dell’esame è necessario bere una soluzione trasparente e insapore che contiene una sostanza radioattiva che verrà metabolizzata dal batterio. Dopo meno di un’ora il paziente viene invitato a soffiare in uno uno speciale contenitore che poi verrà sigillato. Se è in corso un’infezione il campione di aria respirata conterrà l’isotopo radioattivo del carbonio sotto forma di anidride carbonica. Il test del respiro presenta il grande vantaggio di permettere in tempo reale di rilevare la presenza dell’infezione, distinguendo quindi tra infezione in corso e passata. L’isotopo NON è pericoloso.
  • Esame delle feci. Questo esame evidenzia la presenza del batterio in un campione di feci. È utile sia per diagnosticare l’infezione da H. pylori, sia per controllare l’efficacia della terapia.
  • Radiografia del tratto gastrointestinale superiore. Questo esame visualizza l’esofago, lo stomaco e il duodeno. Durante la radiografia verrà somministrato un liquido bianco dal sapore metallico (contenente bario), che rivestirà le mucose interne dell’apparato digerente, rendendo visibile un’eventuale ulcera. Le radiografie del tratto gastrointestinale superiore sono in grado di scoprire solo alcune ulcere.
  • Gastroscopia. Questo esame può seguire la radiografia del tratto gastrointestinale superiore, se questa evidenzia che probabilmente è presente un’ulcera. In alternativa il medico può decidere di eseguire per prima l’endoscopia. Si tratta di un esame abbastanza delicato, in cui viene inserito nella gola un tubicino lungo e sottile con una videocamera fissata a un’estremità: il tubicino, poi, viene fatto scendere nell’esofago, nello stomaco e infine nel duodeno. Con questo strumento, il medico è in grado di vedere dall’interno la parte superiore del vostro apparato digerente e di identificare un’eventuale ulcera. Vi dovrete sottoporre a quest’esame se presentate sintomi come difficoltà nella deglutizione, perdita di peso, vomito (soprattutto se vomitate materiale rossastro o nerastro, che assomiglia ai fondi di caffè), feci di colore nerastro o anemia.
  • Biopsia. Se il medico diagnostica un’ulcera, può rimuovere piccoli campioni di tessuto (biopsia) durante la gastroscopia: i campioni, in seguito, vengono esaminati al microscopio per escludere che si tratti di un tumore. La biopsia è anche in grado di identificare la presenza di Helicobacter pylori all’interno della mucosa gastrica. A seconda della posizione dell’ulcera, il medico può consigliare di ripetere l’endoscopia dopo due o tre mesi per confermare che l’ulcera stia effettivamente guarendo.
  • La tomografia computerizzata utilizza una combinazione di raggi X e tecnologie digitali per creare immagini dell’interno dell’organismo, talvolta previa somministrazione di un liquido di contrasto che consente di aumentare il dettaglio della scansione. Non è necessaria alcuna anestesia e l’esame consente la diagnosi di ulcera peptica sia a livello di stomaco che di intestino.

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Cura e terapia

Il trattamento dell’ulcera peptica è strettamente legato alla causa della sua formazione e in alcuni casi le opzioni terapeutiche sono numerose; vediamo le principali.

Ulcera da antinfiammatori

Nel caso in cui siano i farmaci antinfiammatori ad aver provocato la comparsa di ulcera in genere si procede:

  • riducendo, modificando o sospendendo la cura antinfiammatoria,
  • prescrivendo farmaci in grado di ridurre l’acidità gastrica e/o aumentare la protezione delle pareti dello stomaco.

Inibitori della pompa protonica

I farmaci di elezione in caso di problemi di stomaco sono i cosiddetti PPI, inibitori di pompa protonica. Il modo migliore per ridurre l’acidità di stomaco è quello di spegnere le “pompe” che si trovano all’interno delle cellule che secernono gli acidi. Gli inibitori della pompa protonica riducono l’acidità bloccando l’azione di queste minuscole pompe. Tra i farmaci di questa categoria, disponibili in farmacia con o senza ricetta, ricordiamo: l’omeprazolo (Mepral®, Omeprazen®), il lansoprazolo (Lansox®, Limpidex®), il rabeprazolo (Pariet®), l’esomeprazolo (Nexium®) e il pantoprazolo (Peptazol®). I medici spesso prescrivono questi farmaci per accelerare il processo di guarigione dell’ulcera peptica. Si ritiene che gli inibitori della pompa protonica inibiscano anche la proliferazione dell’H. pylori, tuttavia l’uso protratto di questi farmaci, soprattutto ad alti dosaggi, può aumentare il rischio di fratture del femore e altri disturbi a causa di un ridotto assorbimento di calcio, ferro, magnesio e altre sostanze.

Anti H-2

I farmaci antistaminici anti-H2 erano la migliore scelta terapeutica prima della scoperta degli inibitori di pompa, ma ancora oggi rappresentano un’interessante opzione terapeutica alla luce dei possibili effetti collaterali dei PPI. Questi farmaci impediscono all’istamina di raggiungere i recettori preposti e aumentare così la produzione di succhi gastrici; diminuiscono quindi la quantità di acido cloridrico presente nell’apparato digerente, alleviando così il dolore provocato dall’ulcera e accelerandone il processo di guarigione. Gli antiulcera sono disponibili in farmacia, con o senza ricetta medica a seconda del dosaggio; tra di essi ricordiamo: la ranitidina (Zantac®, Ranidil®), la famotidina (Gastridin®) e la cimetidina (Tagamet®).

Agenti citoprotettivi

In alcuni casi si ricorre a farmaci in grado di proteggere le mucose interne dello stomaco e dell’intestino tenue. Tra di essi ricordiamo il sucralfato (Sucralfin®) e il misoprostol (Cytotec®), entrambi disponibili in farmacia con obbligo di ricetta; possono essere associati alle molecole viste in precedenza.

Ulcera da Helicobacter

Per quanto riguarda le ulcere provocate dal batterio Helicobacter Pylori si ricorre a un approccio combinato:

  • uccidere il batterio attraverso la somministrazione di antibiotici,
  • diminuire il livello di acidi nell’apparato digerente per alleviare il dolore e facilitare la guarigione.

Per realizzare questi due obiettivi è necessario usare almeno due (a volte tre o quattro) dei farmaci seguenti:

  • Antibiotici. Per aggirare il problema della resistenza batterica è necessario somministrare una combinazione di antibiotici per debellare l’H. pylori, perché un antibiotico solo non è sempre sufficiente per eliminare il microrganismo. Affinché la terapia sia efficace è necessario seguire attentamente le istruzioni del medico. Tra gli antibiotici usati per eliminare il batterio ricordiamo: l’amoxicillina (Zimox®), la claritromicina (Klacid®, Macladin®, Veclam®) e il metronidazolo (Flagyl®). A seconda dell’approccio scelto può cambiare leggermente la durata della terapia, da 7 a 14 giorni.
  • Antiacidi. Viene in genere associata alla terapia antibiotica una protezione dello stomaco, tipicamente un inibitore di pompa (vedere paragrafo precedente), per creare un ambiente non favorevole alla proliferazione del batterio, ridurre i sintomi da subito e favorire la cicatrizzazione dell’ulcera.

Ulcere che non guariscono e recidive

Le ulcere peptiche che non guariscono dopo la terapia sono dette ulcere refrattarie. Un’ulcera può non guarire o recidivare (cioè guarire e poi comparire nuovamente) per diversi motivi, tra cui ricordiamo:

  • assunzione dei farmaci senza rispettare le indicazioni del medico,
  • presenza di un ceppo di Helicobacter pylori resistente agli antibiotici,
  • utilizzo di farmaci antinfiammatori,
  • stile di vita (fumo, alcolici, alimentazione, …).

In casi più rari, le ulcere refrattarie possono essere provocate da una sovrapproduzione di acidi gastrici, come avviene nelle persone affette dalla sindrome di Zollinger-Ellison. La terapia per l’ulcera refrattaria di solito consiste nell’eliminazione dei fattori che possono interferire con la guarigione e nell’assunzione di farmaci antiulcera a dosaggi maggiori. In alcuni casi, possono essere aggiunti altri farmaci. L’intervento chirurgico è necessario solo se l’ulcera non risponde a una terapia farmacologica aggressiva.

Stile di vita e rimedi fai da te

Prima della comprensione delle reali cause di ulcera peptica si riteneva che una dieta scrupolosa fosse un passo indispensabile alla guarigione, così come la riduzione dello stress; negli ultimi anni tuttavia questi aspetti sono stati rivalutati e, benché ancora importanti, non sembrano essere determinanti nel processo di guarigione. In passato si usava il latte per il trattamento dell’ulcera ma, dopo un iniziale sollievo dai sintomi (il latte è basico e tampona quindi l’acidità gastrica), questi vanno a peggiorare a causa del contenuto in grassi della bevanda. È comunque consigliabile:

  • evitare stress eccessivi,
  • evitare alimenti acidi o speziati che possono essere causa di peggioramento dei sintomi,
  • non fumare (il fumo interferisce con l’azione della mucosa protettiva dello stomaco e aumenta l’acidità di stomaco),
  • limitare l’uso di alcool, o evitarlo completamente. L’alcool, se assunto in quantità eccessive, è in grado di irritare e corrodere la mucosa gastrica, provocando infiammazione e sanguinamento,
  • evitare gli antinfiammatori non steroidei, valutando con il medico alternative adeguate.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenze latte 1 (di inizio) e 2 (di proseguimento): quando cambiare?

MEDICINA ONLINE NEONATO BAMBINO BIMBO FECI VOMITO BOCCA VOMITO FECALOIDE CAUSE COLORE VERDE GIALLO ROSSO MARRONE BILIARE CAFFEANO CIBO ALIMENTARE DIGESTIONE NAUSEA STOMACO MAL DI PANCIA ACQUA NON DIGERITO PEZZI COLITE COLONLe formule di inizio (latte 2)
Le formule di inizio del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 1 (perciò vengono dette di “tipo 1” o starting formula) e sono state studiate proprio per nutrire i neonati da zero fino a quattro mesi di vita.
Ecco le caratteristiche principali di questo tipo di latte:

  • hanno un valore energetico tra 64 e 72 calorie circa per ogni 100 centimetri cubi;
  • il loro contenuto di zuccheri è costituito dal solo lattosio (lo zucchero presente nel latte) o anche da maltodestrine (zuccheri che, oltre a fornire un buon contenuto energetico, vengono assorbiti rapidamente da parte del-l’organismo);
  • contengono nelle giuste proporzioni gli acidi grassi essenziali Omega 6 e Omega 3, molto importanti in quanto l’organismo umano non è in grado di produrli da solo;
  • contengono 1,2-1,9 grammi di proteine ogni 100 millilitri: fino a qualche anno fa questa percentuale era quasi doppia, ma recenti studi hanno dimostrato che, per rispondere ai fabbisogni di un bambino di questa età, non è necessario sovraccaricare il lavoro dei reni.
Le formule di proseguimento (tipo 2)

Le formule di proseguimento del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 2 (perciò vengono dette di “tipo 2”) e possono venire offerte ai bimbi a partire dai 4-5 mesi fino all’anno di vita. Intorno a questa età, infatti, il piccolo ha raggiunto una maggiore maturità dell’apparato digestivo e ha esigenze nutrizionali diverse rispetto a prima: comincia, infatti, anche lo svezzamento, cioè il passaggio graduale dal solo latte a un’alimentazione che comprende anche i primi cibi solidi.

No al latte di mucca

Le formule di proseguimento del latte artificiale rappresentano il miglior sostituto del latte di mucca, la cui introduzione è sconsigliata prima dell’anno, in quanto troppo povero di ferro o molto ricco di proteine. Rispetto al latte vaccino, queste formule hanno, infatti, un maggior contenuto di ferro, zuccheri, vitamine e acido linoleico (un acido grasso essenziale per l’organismo). Il contenuto di proteine è di poco superiore a quello delle formule di inizio, mentre la presenza di grassi è minore.

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In polvere o diluito

In commercio esistono formule in polvere, che vanno diluite prima del consumo, e latti invece già diluiti, quindi pronti per l’uso. I tipi più diffusi in Italia sono comunque quelli in polvere che hanno il vantaggio di durare a lungo e di avere un ingombro limitato. Quelli diluiti, invece, danno più problemi di “scorta”, ma hanno il vantaggio di non lasciare margini di errore durante la diluizione: non si rischia, cioè, di preparare un latte troppo denso o, al contrario, troppo leggero.

Latte per allergia o rigurgito

Esistono alcuni tipi di latte adatti ai bambini che hanno sviluppato un’allergia a questo alimento (che si manifesta con eruzioni cutanee, vomito e diarrea) o che presentano alcuni problemi della prima infanzia, come il rigurgito. In questo caso il pediatra potrà consigliare tipi speciali di latte (i delattosati, gli idrolisati, il latte di soia, gli antirigurgito).

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Il diabetico può mangiare gli asparagi?

MEDICINA ONLINE MANGIARE ASPARAGI FICHI PRUGNE FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA GASSATA OLIGOMINARALE RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBO LONTANO DAI PASTI WALLP.jpgGli asparagi contengono mediamente 20 calorie per 100 grammi e circa 43,9 grammi di carboidrati. Gli asparagi sono un alimento che può essere assunto dal paziente diabetico, ovviamente dopo parere positivo del medico.

Come si può consumare l’asparago? Cotto o anche crudo? E qual è la cottura da preferire per evitare di disperderne le proprietà?
Con la bollitura gli asparagi non perdono una delle componenti più importanti del loro valore nutrizionale, vale a dire l’apporto di proteine e aminoacidi che sono i più alti tra le verdure, dopo i legumi. Purtroppo però si perde parte delle vitamine del gruppo B. La cottura a vapore, inoltre, consente di mantenere quasi invariato l’apporto di sali minerali e in particolare del ferro.

Importante: in caso di dubbio, il paziente diabetico può – sotto controllo medico – monitorare la propria risposta glicemica all’assunzione di certi alimenti, annotando i valori su un taccuino e raffrontando le relative glicemie.

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Differenza tra caffè al vetro ed in tazza: qual è il più buono?

MEDICINA ONLINE CAFFE CAFFEINA THE TE TEINA ECCITANTE ASTINENZA GINSENG LUNGO CORTO ORZO MACCHIATO CALDO FREDDO TAZZA GRANDE VETRO DIFFERENZE COFFE ESPRESSO AMERICANO WALLPAPER PIC PICTURE HI RES PHOTOIl caffè nella tazzina può essere considerato un simbolo del classico espresso, quello che si beve al bar e che tutto il mondo invidia all’Italia. Eppure c’è chi rinuncia alla tradizionale tazzina in favore del bicchierino di vetro, una nuova moda che si sta facendo largo nel nostro Paese introdotta dalle parole “Caffè al vetro, grazie”. Sono sempre di più le persone che chiedono il caffè nel bicchierino invece che nella tazzina.

Quanto cambia, nella sostanza? La forma dei due contenitori non è poi molto diversa: il bicchierino è conico e può essere dotato di un piccolo manico per facilitare la presa. La grande differenza rispetto alla tazzina sta nel corpo centrale, che è trasparente; questo aspetto consente, in un certo senso, di iniziare a “gustare” prima il caffè, già a livello estetico, osservando il suo colore scuro e la consistenza densa con la schiuma lievemente più chiara, tendente al nocciola, che si forma sulla superficie. Un vero piacere per gli occhi degli amanti del caffè.

La tazzina classica non permette di apprezzare il caffè a livello visivo in maniera così approfondita e completa. Attraverso la densità, il colore e la consistenza della schiuma visibili tramite il vetro, è anche possibile avere un’idea della qualità del caffè, ecco perché molti esperti potrebbero preferire il bicchierino alla tradizionale tazzina. La schiuma che persiste con una certa densità indica che la qualità del caffè è elevata. Tuttavia quelli che si considerano “puristi” non ammettono eccezioni, per quanto possano essere stimolanti e suscitare un certo interesse: il caffè si beve nella tazzina in ceramica o in porcellana, è così da sempre e così sempre sarà.

Questo tipo di tazzine sono state pensate appositamente per il caffè, dunque per esaltarne al meglio il sapore e l’aroma; bevuto all’interno di altri contenitori, il caffè non sarebbe la stessa cosa. Rispetto al bicchierino in vetro, le tazzine sono più spesse e quindi trattengono meglio il calore del caffè, consentendo così di sorseggiarlo più a lungo mantenendo inalterato il piacere. Ma chi preferisce il vetro, non lo fa solo per ragioni estetiche: la forma più allungata del bicchierino, infatti, agevola una maggiore persistenza della schiuma sulla superficie.

In tal modo essa funziona come una sorta di “tappo” in grado di preservare per più tempo le proprietà organolettiche del caffè, permettendo di gustarlo al meglio. Di contro, però, il caffè in vetro si raffredda prima e quindi non ci si può soffermare troppo a lungo a sorseggiare come invece avviene con la tazzina. Insomma, meglio il caffè in vetro o in tazza? Una risposta risolutiva non c’è, perché dipende dai gusti personali e dalle preferenze; chi è attaccato alle tradizioni, opterà per la tazzina, chi invece è più aperto alle sperimentazioni, chiederà il caffè in vetro: l’unica cosa davvero importante è che il caffè sia buono!

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Se hai il diabete puoi andare in pensione anticipata

MEDICINA ONLINE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETA MELLITO TIPO 1 2 CURA TERAPIA FARMACI STUDIO NUOVE TENOLOGIE TERAPIEHai il diabete? C’è la possibilità che tu possa andare prima in pensione. Ebbene sì, anche se i lavoratori affetti da diabete non possono avvalersi della pensione anticipata, esiste la possibilità di lasciare prima il lavoro nel caso in cui la patologia porti all’insorgenza di problemi fisici che compromettano l’abilità al lavoro.

Solo se il diabete determina una riduzione della capacità lavorativa – si legge sul sito di informazione giuridica studiocataldi.it – sarà infatti possibile avanzare la richiesta. Insomma, il ricorso alla pensione anticipata non è una possibilità riconosciuta in base alla mera insorgenza di una malattia, ma è necessario che questa determini una percentuale di invalidità medicalmente accertata.

La valutazione di uno specialista in medicina legale – si legge – potrà infatti verificare se la patologia influenzi l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Per fare richiesta bisognerà, dopo aver ottenuto il certificato medico introduttivo da parte del proprio medico curante (che questi provvederà a trasmettere telematicamente all’INPS), inoltrare domanda di invalidità all’INPS che designerà apposita commissione medica per la valutazione correlata al riconoscimento della percentuale di invalidità.

Se dal diabete diagnosticato derivi una percentuale di invalidità, si potranno ottenere diverse misure se sussistano i necessari requisiti contributivi: è riconosciuta la pensione di vecchiaia anticipata, a 55 anni e 7 mesi di età per le donne e 60 anni e 7 mesi per gli uomini, con almeno 20 anni di contributi e se l’invalidità è almeno pari all’80% (ad esclusione dei dipendenti del pubblico impiego).

E ancora. I lavoratori con invalidità superiore al 74% potranno richiedere, per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, una maggiorazione annua di 2 mesi di contributi figurativi in più. Inoltre – spiegano gli esperti di studiocataldi.it – se il soggetto è impossibilitato a svolgere alcuna attività lavorativa potrà ottenere la c.d. pensione di inabilità. La sua condizione di infermità dovrà essere tale da determinare un’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa (100% di invalidità); il beneficiario deve vantare almeno 5 anni di anzianità assicurativa e tre anni di contributi dovranno essere versati nell’ultimo quinquennio.

Ai dipendenti pubblici, infine, è riconosciuta la pensione per inabilità (assoluta e permanente) alla mansione (cioè correlata al tipo di attività espletata dal dipendente) o a proficuo lavoro.

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Quanti litri e percentuale di acqua sono presenti nel nostro corpo?

Dimmi che acqua bevi e ti dirò chi seiLa percentuale di acqua contenuta nel nostro corpo, calcolabile tramite una bioimpedenziometria, è estremamente variabile in base a vari fattori:
  • Sesso;
  • età;
  • peso corporeo;
  • salute generale;
  • variabilità individuale.
Mediamente queste sono le percentuali di acqua presente nel nostro corpo:
  • bambini: 75-80% del peso corporeo;
  • uomini adulti: 65-75%;
  • donne adulte: 55-65%;
  • anziani: 45-60%.

La quantità di litri di acqua presenti nel corpo umano in un dato momento dipende da molti fattori, come la temperatura, l’umidità, l’aver appena svolto una attività fisica intensa, ma in media l’acqua costituisce il 65% del nostro peso corporeo. Quindi ad esempio:

  • una persona che pesa 60 kg, avrà circa 39 kg rappresentati dall’acqua;
  • una persona che pesa 70 kg, avrà circa 45,5 kg rappresentati dall’acqua;
  • una persona che pesa 80 kg, avrà circa 52 kg rappresentati dall’acqua;
  • una persona che pesa 90 kg, avrà circa 58,5 kg rappresentati dall’acqua.

L’acqua presente nel nostro corpo è rappresentata per il 40% circa di liquidi intracellulari; e per il 60% di liquidi extracellulari.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Bere acqua e limone fa dimagrire? Tutti i benefici

MEDICINA ONLINE MANGIARE LIMONE ACQUA LEMON WATER ROSSE FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBO LONTANO DAI PASTI WALLPAPER.jpgÈ vero che bere acqua e limone fa dimagrire o è solo un sogno? Sarete molto felici di sapere che sì, è tutto vero e che no, non è solo un sogno! Ma rimanete con i piedi ben piantati a terra, perché non è certo miracolante: non dovete pensare, quindi, di poter mangiare di tutto e di più e che acqua e limone vi salverà, perché è sempre e comunque importante fare una sana dieta e muoversi, muoversi, muoversi! Effettuando delle ricerche sul web, comunque, abbiamo scoperto che molti medici consigliano di bere un bicchiere di acqua tiepida e limone al mattino per facilitare la perdita di peso, ma soprattutto è un metodo che abbiamo sperimentato in prima persona e possiamo testimoniare l’effettivo aiuto che giunge da questo metodo per dimagrire.

C’è una domanda importante a cui trovare risposta, però: perché e in che modo ciò accade? Si tratta di una scoperta che viene dall’India, che prova il fatto che bere acqua e limone ha un sacco di benefici: depura, aumenta le difese immunitarie, idrata, purifica, rinfresca l’alito e infine ha un effetto dimagrante. Come mai? Il limone, che è molto usato anche contro i brufoli, aiuta la rimozione di tossine digestive e contiene fibre di pectina, che aiuta la regolarizzazione delle funzioni intestinali ed è in grado di favorire il rapido assorbimento degli zuccheri. Inoltre, riduce gli attacchi di fame ed ecco perché fa dimagrire.

Inoltre, una seconda spiegazione riguarda la vitamina C contenuta nel frutto – utile anche per una maschera viso naturale -: è stato provato da uno studio pubblicato sul Journal of American College of Nutrition che il consumo di questa vitamina aiuta a perdere peso; chi ha consumato grandi quantità di vitamina C, infatti, ha bruciato più grassi durante gli allenamenti di chi ne ha invece consumato meno. Infine, bere acqua e limone non solo fa dimagrire ma stimola la diuresi e combatte il gonfiore.

È consigliabile, quindi, bere un bicchiere di acqua tiepida o calda con mezzo limone spremuto, tutto questo rigorosamente a digiuno e lasciate passare almeno venti minuti prima di fare colazione; potete anche sostituire l’acqua con un tè verde. Intanto, lavate bene i denti perché il limone potrebbe danneggiarne lo smalto. Da evitare in caso di gastrite e non usate l’acqua fredda, perché potrebbe essere uno shock per l’intestino. Potete anche bere un bicchiere di acqua tiepida e limone due o tre volte al giorno, per stimolare il metabolismo.

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