Diabete: che mangiare a colazione per controllare la glicemia

MEDICINA ONLINE DIABETE MELLITO TIPO 1 2 PREDIABETE PRE-DIABETE SANGUE VALORI GLICEMIA EMOGLOBINA GLICATA ZUCCHERI DIETA CARBOIDRATI PASTA PANE INSULINA RESISTENTE DIPENDENTE CIBO MANGIARE VERDURA FRUTTASpesso, chi soffre di iperglicemia o di diabete di tipo 2 (quello legato all’eccesso di alimentazione e purtroppo in vertiginosa crescita nei paesi industrializzati) tende a ridurre la prima colazione e a evitare l’assunzione di alcuni alimenti, percorrendo invece strade che possono portare a effetti negativi nel controllo della propria condizione clinica.

Colazione e diabete, lo studio
Uno studio del 2015 svolto presso la Diabetes Unit dell’Università di Tel Aviv ha confrontato l’impatto di due diversi regimi alimentari sul profilo glicemico, evidenziando come una colazione abbondante porti ad una riduzione fino al 20 per cento della glicemia media giornaliera. Questo studio aveva messo a confronto delle persone diabetiche cui erano stati proposti due regimi alimentari simili per numero di calorie totali ma differenti per la loro distribuzione nella giornata. Il primo gruppo consumava una colazione abbondante ed una cena parca, l’altro una colazione leggera ed una cena più ampia. Nelle persone che facevano una colazione ricca, non solo la glicemia media era minore durante tutta la giornata, ma risultava inferiore anche la misurazione effettuata dopo il pranzo (uguale per i due gruppi), indicando che una colazione abbondante è in grado di indurre uno stimolo metabolico che dura per tutta la giornata. Alla base di questo meccanismo sembra esserci quella che risulta essere una maggiore risposta al mattino delle cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, così come un maggior assorbimento del glucosio, mediato dall’insulina stessa, da parte dei muscoli che lo sfruttano a scopo energetico, ed un ridotto catabolismo dell’insulina (ovvero della sua naturale degradazione) ad opera del fegato”. Ecco, quindi, che l’abitudine a consumare una sana e ricca colazione sembra essere uno strumento molto utile per la regolazione della glicemia e quindi per il controllo del diabete.

Il valore della colazione per il diabetico
Questo conferma che la prima colazione ricca è uno strumento fondamentale anche per la regolazione della glicemia e per il controllo del diabete e che il pasto del mattino è un importante segnale per l’intero organismo. A maggior ragione questo vale per chi ha problemi con gli zuccheri e che potrebbe ottenere un importante beneficio da una maggiore libertà nella prima colazione (con calorie aumentate) e da una cena a minore impatto calorico. Per esperienza diretta sappiamo che si possono sempre mantenere gusto e convivialità anche a cena, usando porzioni più ridotte dei piatti che piacciono.

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Diabete: la colazione
Alla luce di quanto visto, si rivela quindi un’ottima scelta per chi soffre di diabete, quella di rimodellare la propria giornata alimentare e di definire con il proprio medico l’assunzione di carboidrati e proteine bilanciate nella giusta proporzione.  Innanzitutto, se parliamo di colazione e diabete, occorre ovviamente stare attenti a non eccedere con i carboidrati. Come è ben noto, i carboidrati o zuccheri costituiscono il problema principale per i diabetici, che non ne devono abusare, optando per quelli a basso indice glicemico (IG). Per questo è meglio privilegiare i carboidrati complessi, ovvero a lento rilascio, che hanno un minor impatto sulla glicemia, che si trovano nel pane (di frumento, segale o kamut), che deve essere integrale e prodotto con lievito madre, nei fiocchi di cereali grezzi integrali senza zucchero (non soffiati come i cornflackes), nei fiocchi di avena crudi, nelle fette biscottate integrali senza zucchero, nei biscotti secchi integrali senza zucchero o nelle gallette di cereali. Anche il muesli può essere utilizzato, dato che si tratta di una miscela di diversi cereali integrali ai quali si aggiungono noci, nocciole, mandorle e semi vari, tuttavia, anche in questo caso è meglio controllare bene il prodotto che si acquista poiché spesso i muesli contengono riso soffiato e uvetta, ad alto indice glicemico. La dicitura senza zucchero è molto importante poiché, pur trattandosi di alimenti utilizzabili per la colazione di un diabetico, possono contenere zuccheri aggiunti; ecco perché è sempre buona norma leggere attentamente le etichette. Inoltre, gli zuccheri semplici, a rapido assorbimento, andrebbero evitati: si trovano nei dolci, negli snack, nelle barrette, ma anche in diversi frutti.

Diabete: frutta a colazione
La frutta può essere consumata, ma meglio se a giorni alterni e scegliendo i frutti a minor IG quali arancia, mela, melograno, pesca, susina, pompelmo, fragole, frutti di bosco, pera o frutti che pur avendo un IG medio hanno un basso contenuto di glucide (es. kiwi). E’ preferibile consumare la frutta fresca e intera (con la buccia, per cui meglio se biologica) in quanto, rispetto a quella cotta o sbucciata, ha un minor impatto sulla glicemia. Sempre a proposito di zuccheri nella colazione per chi ha il diabete può essere consumata anche la marmellata, ma assolutamente composta al 100% di frutta e prediligendo quella a base di frutti a basso IG. Il problema principale legato a questo prodotto risulta infatti ancora una volta lo zucchero aggiunto che, in alcuni casi, può raggiungere quantità considerevoli (60-65% di prodotto), conferendo un elevato IG, pari anche a 65.

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Diabete: proteine e grassi a colazione
Per quanto riguarda le proteine, si possono utilizzare sia quelle di origine animale che vegetale, quindi possono andare bene yogurt magri o di soia, ma anche alimenti salati come ricotta, latticini, prosciutto di tacchino o di pollo e le uova (preferendo l’albume), oltre alla frutta secca, che costituisce una buona fonte proteica e di grassi buoni”.

Bevande
Si possono bere caffè, meglio se decaffeinato, tè verde o tisane di vario tipo, prestando sempre attenzione agli zuccheri aggiunti. Anche il latte può essere consumato, scremato o parzialmente scremato, meglio se tiepido o freddo. Tuttavia, dato che contiene zucchero, il lattosio, si consiglia di alternarlo regolarmente ad altre bevande. Valide alternative infine, sono rappresentate dai vari tipi di latte vegetale, quali soia, mandorle, nocciole o avena, sempre senza dimenticare che tutte le bevande vanno consumate senza l’aggiunta di zucchero.

Diabete: quali cibi mangiare a colazione
Una colazione corretta sarà ad esempio composta da qualche galletta integrale con un po’ di marmellata 100 per cento frutta, a fianco di un uovo strapazzato (o fatto nel modo che più piace), qualche seme oleoso, un frutto fresco intero e del tè con un velo di latte (non zuccherato). Impostare una colazione di questo tipo, sempre seguendo le indicazioni del proprio medico, porta spesso a benefici inaspettati in termini di controllo di glicemia, umore, attenzione e vivacità durante tutta la giornata. È indispensabile inoltre preferire cereali integrali in quanto più ricchi di fibre, proteine e micronutrienti rispetto alla loro controparte raffinata, e tutti questi sono efficaci strumenti nel ridurre l’impatto glicemico (la capacità del cibo di aumentare la glicemia) del pasto, punto essenziale per chi ha problemi di diabete o iperglicemia. In modo simile ai cereali, anche la frutta fresca e intera (e meglio ancora biologica, per mangiarla con la buccia) risulta superiore a quella lavorata (o cotta, o sbucciata) in termini di capacità di modulazione della glicemia. E’ importante quindi non solo fare una colazione ricca, ma sceglierne con cura gli ingredienti: dai cerali alla marmellata la qualità vince sempre.

Diabete: menù a colazione
Vediamo allora un esempio di colazione corretta per il paziente diabetico:

  1. Mezzo pompelmo, 1 yogurt magro o di soia, 2 fette di pane integrale con marmellata senza zucchero (2-3 cucchiaini), caffè decaffeinato senza zucchero

  2. 1 pesca, tè verde senza zucchero con fiocchi di avena, 2 fette di pane integrale con ricotta

  3. 1 mela, latte scremato o parz. scremato senza zucchero con cereali integrali, 1 yogurt di soia

  4. 1 kiwi, 2 uova bollite, 2 fette di pane integrale, 30 grammi di mandorle

Diabete e movimento
L’attività fisica è parte integrante del programma di salute che ogni persona con diabete mellito di tipo 2 può e deve affrontare in modo adeguato, per migliorare il profilo glicemico, la sensibilità insulinica e il profilo lipidico. I dati scientifici lo dimostrano ormai con certezza. Cibo e movimento, insieme, consentono di riscoprire il piacere di mettersi a tavola in serenità, iniziando proprio dal mattino.

I cibi e le quantità consigliate in questo articolo, sono solo degli esempi: prima di modificare la vostra dieta è importantissimo consultare sempre il vostro medico diabetologo.

I migliori prodotti per diabetici
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, estremamente utili per aiutare il diabetico ed il pre-diabetico a mantenere i giusti livelli di glicemia, perdere peso e migliorare la propria salute. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Colangiopancreatografia retrograda (ERCP): cos’è, preparazione, è dolorosa o pericolosa?

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO ERCPLa colangiopancreatografia retrograda perendoscopica (o ERCP) è una procedura utilizzata nella diagnosi e nella cura di alcune malattie dei dotti biliari (canali che portano la bile e la secrezione del pancreas nell’intestino per i processi digestivi), della cistifellea e del pancreas.

COME SI ESEGUE?

Questa metodica consiste nell’introduzione di un tubo particolare (endoscopio), del diametro di poco superiore al centimetro, attraverso la bocca e lungo l’esofago e lo stomaco fino a raggiungere l’intestino (duodeno) dove sboccano i dotti che portano le secrezioni dal fegato e dal pancreas.
Per evitare il fastidio e la sensazione di vomito che il passaggio dell’endoscopio attraverso la gola può provocare, prima dell’esame viene spruzzato un anestetico in gola, o è somministrata una compressa anestetica. Viene inoltre somministrato un sedativo o un anestetico, per rendere la procedura meglio tollerata.
Attraverso lo sbocco dei dotti biliari e pancreatico nel duodeno (chiamato papilla di Vater) viene iniettato del mezzo di contrasto per visualizzare le vie biliari e il pancreas. Per tale motivo il paziente viene fatto sdraiare su un tavolo radiologico che consentirà di scattare delle radiografie dei dotti biliari e di quelli pancreatici. Nel caso le radiografie mostrano dei calcoli, il medico può allargare lo sbocco in duodeno della via biliare con un particolare bisturi elettrico senza che questo provochi alcun fastidio o dolore. Il calcolo o i calcoli vengono estratti con un particolare cestello o con un palloncino. Dall’intestino i calcoli verranno eliminati spontaneamente, senza alcun ulteriore fastidio. Qualche volta può essere necessario lasciare all’interno dei dotti biliari un piccolo sondino, poi viene fatto uscire dal naso, che può servire per effettuare lavaggi della via biliare o controlli radiologici, senza ulteriori fastidi. Nel caso la radiografia dimostri un restringimento dei dotti, causa dei disturbi lamentati dal paziente, può essere lasciato all’interno dei dotti biliari un piccolo tubo di plastica o metallico (endoprotesi), che permette un costante passaggio della bile nell’intestino.
Qualche volta questo piccolo tubo deve essere rimosso o sostituito qualche mese più tardi.

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A COSA SERVE?

È una delle procedure più precise per lo studio delle malattie che interessano i dotti biliari e pancreatici, in quanto consente una visualizzazione diretta, attraverso l’introduzione di mezzo di contrasto nella papilla di Vater (sbocco dei dotti nell’intestino). Le immagini radiologiche che si ottengono sono di maggior qualità e più dettagliate di quanto è possibile avere con altre metodiche.
L’ERCP consente di diagnosticare e distinguere le cause dell’ittero (colorazione gialla della pelle e degli occhi), evidenziando eventuali ostruzioni delle vie biliari e pancreatiche che possono richiedere un trattamento diverso (per esempio un intervento chirurgico) rispetto ad altre, come l’epatite, che può essere curata con terapie mediche.
L’ERCP è utile anche in un paziente che non è itterico, ma i cui sintomi o gli esami di laboratorio e radiologici suggeriscano la possibilità di una patologia dei dotti biliari e del pancreas.

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QUALI SONO LE COMPLICANZE?

L’ERCP è una procedura generalmente ben tollerata, ma come per tutte le procedure esistono dei limiti e alcune complicanze. In circa il 5-15% dei casi l’esame può non riuscire per situazioni anatomiche che non consentono all’endoscopio di raggiungere il duodeno, e/o di visualizzare i dotti biliari e pancreatici.
Le complicanze più frequenti sono la pancreatite, l’infezione delle vie biliari, l’emorragia della papilla e la perforazione dell’intestino, rare (meno dell’1%) quando la procedura viene fatta solo per diagnosi, un po’ più frequenti quando l’esame ha anche scopo terapeutico (taglio della papilla con estrazione di calcoli, dilatazione di un restringimento con eventuale posizionamento di un’endoprotesi). Esiste poi un rischio potenziale, anch’esso piuttosto basso, di reazioni avverse alla somministrazione dei sedativi. Questi rischi vengono ovviamente soppesati con i benefici che ci si attende dalla procedura e comunque sono generalmente inferiori, quando si effettui l’ERCP a scopo terapeutico, ai rischi dell’intervento chirurgico.
La maggior parte di queste complicanze non richiedono un intervento chirurgico, a cui si ricorre raramente.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Pesche per dimagrire: proprietà, calorie, benefici e controindicazioni

MEDICINA ONLINE PESCHE PESCA CALORIE PROPRIETA FRUTTA VITAMINE DIETA MARMELLATA LIGHT ZUCCHERO CARBOIDRATI SCIROPPATA SCIROPPO SALI MINERALI COLTIVAZIONE VARIETA MANGIARE DIMAGRIREFiori rosa, fiori di pesco: i delicati fiorellini che ricoprono completamente i rami degli alberi di pesco sono una delle prime meraviglie che la stagione primaverile regala. Seguiti, nel giro di poche settimane, da quello che invece è uno dei frutti estivi per eccellenza, la pesca. Pesca gialla, bianca, noce, tabacchiera: le varietà sono tante, dalla buccia liscia a quella più vellutata, dalla tipica forma tondeggiante a quella schiacciata, dalla gialla polpa succosa a quella più bianca e dura. E sono tanti anche gli impieghi, poiché le pesche possono essere consumate fresche, in confettura, sciroppate, possono dare origine a dessert straordinari e anche a succhi e liquori.

L’albero di pesco (Prunus Persica) ha una storia antica e affascinante. Originario della Cina, ha influenzato la cultura e l’arte di tutti i luoghi dove è stato progressivamente importato; dallo stesso paese d’origine, in cui rappresentava l’immortalità, all’Egitto, alla Persia, a tutti i paesi del Mediterraneo; è arrivato fin negli Stati Uniti, che attualmente sono i maggiori produttori mondiali di pesche. Ad oggi ne esistono moltissime varietà; rispetto al frutto, la principale suddivisione è tra cultivar da consumo fresco, a polpa gialla o polpa bianca; nettarine; pesche da industria o percoche. L’albero in genere non supera gli otto metri di altezza; la caratteristica per cui è più noto e riconoscibile è la spettacolare fioritura, per cui i rami si riempiono di fiori ancora prima che di foglie.

Tra le varietà di pesca gialla, dalla polpa succosa e la buccia vellutata, più diffuse, le Redhaven, le Royal Glory, le Springbelle. Quelle bianche hanno una polpa di colore più chiaro e di consistenza meno succosa, come Springtime e Iris Rosso; la pescanoce, nocepesca o nettarina, ha la buccia liscia, non vellutata; una delle varietà più note è la siciliana Sbergia. È siciliana anche la pesca di Bivona o montagnola; calabrese la Merendella. La pesca tabacchiera o saturnina è la più facilmente riconoscibile, perché ha una inconfondibile forma schiacciata; celebre la varietà dell’Etna. A seconda della varietà, il frutto può maturare dalla fine di maggio, fino a settembre.

Le pesche in cucina
Le pesche hanno un notevole utilizzo in cucina, sia in tavola, sia nei dessert, sia per le preparazioni industriali. Quando si acquistano pesche fresche, di qualsiasi varietà, devono essere scelte in base al profumo, alla mancanza di ammaccature, grinze e parti molli al tatto. Se si scelgono pesche acerbe è necessario farle maturare a temperatura ambiente; quelle mature vanno conservate in frigorifero dove si mantengono per pochi giorni. Possono essere consumate fresche, in macedonia, ma possono anche essere cotte, in tal caso si sposano benissimo, ad esempio, con gli amaretti, e sono un classico della cucina regionale piemontese.
Sono ingredienti di sciroppi, conserve, gelati, marmellate, e moltissimi dessert. Se tra le preparazioni industriali più diffuse ci sono i succhi di frutta alla pesca e le pesche sciroppate, tra i dolci uno dei più noti è la pesca melba. La storia di questo dessert è affascinante, poiché coniuga musica e cucina: il creatore della pesca melba è Escoffier, uno dei più celebri chef di tutti i tempi, che rivoluzionò l’arte dell’alta cucina e della ristorazione. La sua fonte d’ispirazione fu il soprano australiano Nellie Melba, a cui dedicò questa ricetta, che vanta ormai più di un secolo di tradizione. Le pesche vengono cotte in sciroppo di zucchero, tagliate, sistemate in una coppa su gelato alla vaniglia, ricoperte di purea di lamponi. Viene considerato un dolce inglese, poiché probabilmente Escoffier lo servì per la prima volta a Londra, ma viene eseguito nelle cucine ormai di tutto il mondo. Alcune varianti prevedono l’aggiunta di panna montata e mandorle.

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Proprietà salutari
La medicina tradizionale, sia quella cinese sia quella antica occidentale, ha sempre riconosciuto molte proprietà alle pesche, che fossero depurative, digestive, vermifughe o addirittura utili per la circolazione o contro il mal di testa. Quel che è certo è che sono ricche di acqua e fibre, poco caloriche, prive di grassi: le pesche sono frutti indicati nelle diete ipocaloriche, sia per i valori nutrizionali sia per la capacità di saziare. Posseggono inoltre proprietà antiossidanti, blandamente lassative grazie alla pectina, ma soprattutto diuretiche. Attenzione al nocciolo, che è tossico.

Valori nutrizionali

100 grammi di pesche contengono:
Calorie 39
Grassi 0,3 g
Acidi grassi saturi 0 g
Acidi grassi polinsaturi 0,1 g
Acidi grassi monoinsaturi 0,1 g
Colesterolo 0 mg
Sodio 0 mg
Potassio 190 mg
Carboidrati 10 g
Fibra alimentare 1,5 g
Zucchero 8 g
Proteine 0,9 g
Vitamina A 326 IU Vitamina C 6,6 mg
Calcio 6 mg Ferro 0,3 mg
Vitamina D 0 IU Vitamina B6 0 mg
Vitamina B12 0 µg Magnesio 9 mg

Controindicazioni
La pesca non presenta particolari controindicazioni, l’unica attenzione che può essere menzionata è quella di non esagerare con il consumo. Essendo le pesche molto ricche di acqua tendono a gonfiare lo stomaco. E’ quindi sconsigliabile bere molta acqua dopo il loro consumo poiché si potrebbe andare incontro ad una indigestione.

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Abbassare colesterolo LDL e trigliceridi in modo naturale

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COME VIENE TRASPORTATO COLESTEROLO SANGUE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari PeneUna dieta corretta, da sola, può non bastare ad abbassare i valori di colesterolo “cattivo” nel sangue, e diventa allora necessario affiancare a quella alimentare altre strategie, partendo da un’integrazione mirata e da un aumento dell’attività fisica. State molto attenti a quello che mangiate, limitando i grassi e privilegiando i cibi più sani, come frutta, verdura e cereali, ma nonostante tutto avete il colesterolo alto? Non si tratta di un’evenienza rara, perché in effetti il colesterolo in eccesso nel sangue deriva solo in minima parte (circa 20%) dall’alimentazione e dal relativo assorbimento intestinale, mentre il resto viene sintetizzato autonomamente dall’organismo, principalmente dal fegato.
Insieme a sintesi e assorbimento, un terzo fattore di grande importanza nelle alterazioni lipidiche è poi rappresentato dall’ossidazione del colesterolo cattivo LDL, il vero “killer” delle nostre arterie.
In realtà parlare di colesterolo buono o cattivo è una semplificazione, perché quello che cambia non è il colesterolo in sé, ma le molecole che lo trasportano in circolo, chiamate lipoproteine. Le LDL (lipoproteine a bassa densità) sono appunto le più insidiose, e i loro valori superiori alla norma sono quelli da tenere sotto controllo. Al contrario le HDL elevate (lipoproteine ad alta densità, o colesterolo buono) sono un fattore positivo, perché in grado di raccogliere il colesterolo in eccesso e riportarlo al fegato, per la sua eliminazione. L’azione ossidante dei radicali liberi sulle LDL rappresenta un rischio perché favorisce l’infiltrazione del colesterolo nelle pareti arteriose e la formazione di cellule dette schiumose, alla base dello sviluppo della placca aterosclerotica.

Come abbassare il colesterolo LDL
La strategia di intervento per abbassare il colesterolo cattivo LDL, a vantaggio di quello buono HDL dovrà essere focalizzata su più fronti: quello alimentare resta in ogni caso importante (limitare l’assunzione di grassi saturi e idrogenati) ma deve essere sempre affiancato da uno stile di vita più attivo (la sedentarietà è spesso causa di ipercolesterolemia) e quando opportuna da una corretta integrazione. Per quanto riguarda la dieta, è noto che diversi alimenti contribuiscono ad abbassare il colesterolo LDL grazie al loro contenuto di grassi insaturi e antiossidanti: noci e olio d’oliva, ma anche avocado, cioccolato e vino rosso. Naturalmente non bisogna sopravvalutare l’azione di questi “superfood”, perché le quantità assunte spesso sono troppo limitate per determinare effetti realmente positivi. Meglio semmai puntare su una integrazione alimentare specifica, come indicato anche dalle Linee Guida Europee (ESC-EAS), che agisca allo stesso tempo sui tre meccanismi ricordati sopra (sintesi, assorbimento e ossidazione).

No al fumo, sì allo sport
Colesterolo cattivo e sedentarietà sono ottimi “amici”: indipendentemente dall’alimentazione, infatti, l’attività sportiva regolare da sola favorisce l’aumento del colesterolo buono grazie all’attivazione del processo energetico aerobico, senza contare che l’esercizio fisico è buon modo di controllare l’obesità, problema oggi in aumento e correlato a profili lipidici alterati. Pare infatti che una perdita di peso di 10 kg determini un abbassamento dei valori di colesterolo LDL pari al 15%.
Aumentare i livelli di colesterolo buono potrebbe infine essere un’ulteriore valida ragione per smettere di fumare (o non cominciare!); i composti tossici sprigionati dalla sigaretta sarebbero infatti responsabili dell’abbassamento dei livelli di HDL fino a 2,4 mg/dl.

I migliori prodotti per abbassare il colesterolo e dimagrire
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, che sono estremamente utili per abbassare il colesterolo e dimagrire, fattori che diminuiscono il rischio di ipertensione, ictus cerebrale ed infarto del miocardio. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Differenza tra zuccheri di riserva e di struttura

MEDICINA ONLINE AMIDO DI MAIS AMILOSIO AMILOPECTINA ZUCCHERI ALDOSI CHETOSI  PENTOSI ESOSI CARBOIDRATI ZUCCHERI MONOSACCARIDI POLI MONO OLIGO GLUCIDI EGG PASTO DIETA LIGHT CALORIE MANGIARE INGRASSARE WALLPAPER PIC PHOTO.jpgI polisaccaridi sono macromolecole formate dall’unione di numerose molecole di monosi (uguali o diversi) uniti da legame covalente ed hanno peso molecolare variabile in base al numero di costituenti. Sono poco solubili o insolubili in acqua (dato l’elevato numero di legami che contemporaneamente dovrebbero spezzarsi), privi di sapore dolce e vengono scomposti nei rispettivi monomeri mediante idrolisi in soluzione acida ed in presenza di enzimi. I polisaccaridi sono i glucidi più rappresentati in natura, in particolare nei vegetali, dove svolgono funzioni di riserva, di sostegno e di protezione.

Polisaccaridi di riserva
Caratteristiche: immagazzinati come granuli permettono ai vegetali ed agli animali di accumulare riserva di glucosio da utilizzare per esigenze energetiche Esempi: amido (mondo vegetale), glicogeno (mondo animale).

Poilsaccaridi di struttura

Caratteristiche: costituiscono la struttura dei tessuti animali e, soprattutto, vegetali Esempi: cellulosa, emicellulosa, pectina, agar.

Polisaccaridi complessi
Caratteristiche: molecole altamente specializzate. Esempi: glicoproteine.

Tipi di polisaccaridi

Tra i polisaccaridi più importanti vanno ricordati l’amido, il glicogeno, la cellulosa.

Amido

L’amido è un polimero dell’α-glucosio presente in due forme diverse: amilosio e amilopectina. L’amilosio rappresenta circa il 20% in peso concentrato nel centro del granulo di amido, ha una molecola costituita da 50-300 molecole di glucosio unite con legame 1→ 4 a formare una lunga catena lineare avvolta a spirale. La molecola dell’amilopectina, costituita da 1000-6000 molecole di glucosio, ha invece una struttura ramificata per l’instaurarsi a intervelli regolari di legami 1 → 6 tra le singole catene lineari caratterizzate da legame 1 → 4; costituisce una struttura globulare, finemente spugnosa, che la rende insolubile in acqua e che è responsabile del rigonfiamento dei granuli. L’amido rappresenta la riserva energetica delle piante che attuano la fotosintesi clorofilliana e che lo immagazzinano nei semi, nei tuberi, nelle radici in granuli. L’amido viene parzialmente idrolizzato a maltosio e destrine dall’azione delle amilasi, presenti nella saliva (in bocca) e nel succo pancreatico (nell’intestino). Tuttavia le amilasi non sono in grado di spezzare i legami 1→ 6 (le destrine sono appunto frammenti di amilopectina caratterizzati da legami 1 → 6 ancora intatti, che si formano per idrolisi parziale o per riscaldamento dell’amido: la crosta del pane deve il suo colore giallo proprio alle destrine)  e dunque la digestione termina sulle membrane delle cellule della mucosa intestinale ove l’ α-1,6-glicosidasi e le disaccaridasi permettono la scissione in glucosio semplice.

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Glicogeno

Il glicogeno è un polimero dell’α-glucosio con struttura simile all’amilopectina (legami 1→ 4 e 1 → 6) ma ramificazioni più frequenti. Costituisce il polisaccaride di riserva del tessuto animale e viene depositato sotto forma di granuli nel fegato (1/3) e nei muscoli (2/3). Le finalità dei due depositi sono diverse: il glicogeno epatico serve a mantenere costante la glicemia, mentre quello muscolare ha funzione energetica. Il tutto è reso possibile da continui passaggi dalla forma monomerica (glucosio) a quella polimerica (glicogeno) e viceversa. La quantità di glicogeno presente negli alimenti è irrilevante in quanto, dopo la morte dell’animale, viene rapidamente idrolizzato liberando le singole molecole di glucosio che vengono poi ossidate ad acido lattico. Questa trasformazione è indispensabile per la frollatura ed una migliore conservazione della carne.

Cellulosa

La cellulosa è un polimero del ß-glucosio (300-15000 unità), con legami 1 → 4, le cui molecole lineari di cellulosa si dispongono parallelamente tra loro unite da legami a H a formare fibrille e infine, grazie a sostanze cementanti polisaccaridiche come le emicellulose, le pectine e l’estensina (glicoproteina), le fibre vegetali dalle notevoli caratteristiche di resistenza longitudinale ed insolubilità. È il più importante polisaccaride di sostegno: si trova nelle pareti cellulari dei vegetali a cui conferisce rigidità e resistenza. Si ricava dal legno, dalla paglia e, allo stato quasi puro, dalle fibre tessili, in particolare il cotone. Si trova oltre che nelle piante superiori, nelle alghe, nei muschi, nei funghi ed anche nel regno animale (Tunicati). L’uomo e la maggior parte degli animali non possiedono gli enzimi necessari all’idrolisi dei legami ß-glicosidici e non possono quindi utilizzarla come alimento. Viene invece scissa da numerosi microrganismi tra cui batteri del rumine e quelli intestinali che producono la cellulasi, l’enzima che la idrolizza a glucosio.

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Ho voglia di dolce ma sono a dieta: come far passare la fame?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Dietologo Roma Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Linfodrenante Cellulite Dieta Amore Felicità Sessuologia Sesso Pene Vagina Ecografie Senologia NOIA RABBIA DELUSIONI AMOROSE MANGIARE DI PIUEccola li. Hai appena finito di pranzare, o cenare, e lei arriva. La fame? No, non lei, peggio: è la voglia di dolce! Come fare per placarla in modo indolore per la bilancia? Ecco alcuni pratici consigli.

Se la tentazione si chiama cioccolato
Come soddisfare il palato senza rischiare di mettere su chili per colpa della vostra principale passione, il cioccolato? Vi suggeriamo due trucchi.

  1.  Tagliate a piccoli pezzi qualunque tipo di frutta (fragole, banane, ananas o melone) e intingeteli in una tazza in cui avrete sciolto del cioccolato fondente in modo che siano ricoperti da una sottile pellicola di cioccolato. Come risultato, otterrete il gusto del cioccolato e il valore nutrizionale della frutta, senza aggiungere troppe calorie alla vostra dieta.
  2. Concedetevi un quadratino o due di cioccolato fondente morbido (evitate quello al latte, con nocciole o bianco) e otterrete due risultati: appagherete il gusto e farete anche scorta di antiossidanti.

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Quattro modi per trasformare la frutta in dessert
Se la frutta evoca solo immagini di cibo salutare, ma non sfizioso, vi proponiamo qualche ricetta che potrebbe farvi ricredere:

  1. Tagliate un frutto in piccoli pezzi e mescolateli con una tazzina di yogurt magro.
  2. Versate un po’ di miele su qualche pallina di melone.
  3. Mescolate insieme banana e fragole, riempite i cubetti del ghiaccio con questo mix e poneteli nel freezer. Quando sono surgelati, estraeteli e consumateli come se fossero un gelato.
  4. Arrostite o saltate in padella mezza banana e cospargetela di noccioline sminuzzate.
  5. Scegliete tre qualità diverse di frutti di bosco. Mettetene a cuocere la metà con un po’ di acqua per evitare che brucino. Fate freddare e aggiungete l’altra metà. Ora, riempite mezza tazza con il composto che avrete preparato e aggiungeteci un cucchiaio di gelato alla vaniglia.

Se la voglia si chiama “gelato”?
Anziché comprare la vaschetta “formato famiglia” da 1 kg e mangiare gelato a volontà, comprate una confezione con vari gelati incartati singolarmente. Preferite inoltre gelati al gusto frutta, piuttosto che quelli al gusto crema. A tale proposito leggi: Quante calorie ha il gelato? Come mangiarlo senza ingrassare

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Se ho la pressione bassa, può essere utile lo zucchero? Cosa fare?

MEDICINA ONLINE HEAD PAIN DOLORE FASTIDIO MAL DI TESTA GLICEMIA, CALO ZUCCHERI PRESSIONE ARTERIOSA IPOTENSIONE DONNA TEMPIE STANCHEZZA TIRED WALLPAPER PIC PICTURE HI RES EMICRANIA AURA DLa pressione bassa (ipotensione arteriosa) e l’ipoglicemia possono dare gli stessi sintomi, come ad esempio:

  • sensazione di “testa vuota”;
  • capogiri;
  • senso di instabilità;
  • vertigini;
  • annebbiamento della vista;
  • debolezza;
  • sudorazione profusa;
  • pallore;
  • nausea;
  • perdita di coscienza.

Tuttavia, anche se i sintomi di un calo di pressione assomigliano in qualche modo alle condizioni di ipoglicemia, mangiare un po’ zucchero non serve a nulla se si ha un calo di pressione. Al posto dello zucchero, in caso di ipotensione, può essere utile un po’ di acqua e sale che aumentano ritenzione idrica e volemia (volume di sangue circolante) e quindi tendono a rialzare la pressione arteriosa.

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Quasi sempre non serve trattamento

Non riuscire a scendere dal letto al mattino e reagire prontamente al ritmo serrato delle attività giornaliere è esperienza comune tra chi soffre di ipotensione essenziale (o costituzionale), ma di solito il fastidio svanisce nel giro di pochi minuti. Qualche problema in più si può avere durante le giornate estive molto calde, quando vasodilatazione e sudorazione remano contro. In assenza di altri sintomi, anche una pressione costantemente inferiore ai valori normali (120/70 mmg Hg in età adulta), purché non scenda sotto i 90/60 mm Hg, non richiede alcun trattamento. I fisiologici aggiustamenti messi in atto dal sistema nervoso autonomo riescono in genere a compensare efficacemente la situazione, assicurando un adeguato apporto di sangue agli organi vitali.

Cosa fare se ho la pressione bassa?

A tale proposito, leggi: Cosa fare se ho la pressione bassa? Consigli e rimedi

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Da cosa viene causata l’ulcera allo stomaco?

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITOCon ulcera gastrica si intende una soluzione di continuità della parete dello stomaco. Questo tipo di lesione variare da una semplice erosione della mucosa fino alla completa perforazione della parete e può interessare non solo lo stomaco, ma anche il duodeno, cioè la prima parte dell’intestino tenue.

Patogenesi

L’ulcera allo stomaco è considerata la risultante di uno squilibrio a livello della mucosa gastrica tra:

  • fattori “aggressivi” (acido, pepsina);
  • fattori difensivi (secrezione di muco, prostaglandine, flusso ematico e turnover cellulare).

L’ipersecrezione di acido cloridrico e gli ioni H+ sono considerati un fattore aggressivo primitivo, che può cioè provocare direttamente danni cellulari. Quando l’eccessiva acidità del lume gastrico supera le capacità di difesa, interviene un altro meccanismo, rappresentato dalla circolazione sanguigna sottomucosa che rimuove gli ioni H+.

Eziologia

Un fattore di primaria importanza nella genesi dell’ulcera gastrica, ma anche di quella duodenale, risiede nell’infezione gastrica da Helicobacter pylori, un batterio in grado di provocare infiammazione e ulcera sia a livello dello stomaco sia, tramite il suo effetto sulla secrezione acida, nel duodeno.

Un tipo particolare di ulcera, prevalentemente ma non esclusivamente localizzata allo stomaco, può essere provocata dall’impiego cronico di aspirina o di altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), che inibiscono la produzione dei fattori protettivi normalmente in grado di difendere lo stomaco dall’azione dell’acido.

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