Shirataki, la pasta senza carboidrati e senza glutine che non fa ingrassare e può essere consumata anche da celiaci e diabetici

Esiste una pasta senza carboidrati e che può essere consumata anche dai celiaci e da chi soffre di diabete? Certo, si chiama shirataki! Se non li avete mai sentiti nominare, imparerete subito ad amarli: saranno infatti la vostra arma segreta per sopravvivere alla dieta senza rinunciare a un piatto di pasta! Gli shirataki sono infatti degli spaghetti senza glutine, senza carboidrati con un bassissimo apporto calorico ma con un alto contenuto di fibre. Insomma la pasta perfetta per chi è a dieta!

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Caratteristiche degli shirataki

Gli shirataki assomigliano in tutto e per tutto alla pasta occidentale. Hanno però tre caratteristiche fondamentali per tutti coloro che cercano di perdere peso:

  • Contengono pochissime calorie (100 grammi di Shiritaki hanno circa 10 calorie)
  • Danno un senso di sazietà immediato e che dura a lungo: la fibra vegetale che forma questi spaghetti assorbe infatti moltissima acqua e questa sua particolarità consente di aumentare la sua massa.
  • Possono essere tranquillamente consumati anche da chi è celiaco, in quanto non contengono glutine, caratteristica apprezzatissima da molti miei pazienti!

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Gli shirataki si presentano in due modi

Gli shirataki sono secchi o liquidi:

1) Secchi: da reidratare, basterà immergerli in un pentolino con acqua bollente per 7 minuti, non importa ne girare ne controllarli, non scuociono mai; e una volta reidratati sciacquarli sotto acqua calda per togliere i residui di zuccheri presenti sulla pasta per formare le matassine (per 100gr in questo caso avremo circa 20 calorie).

2) Liquidi: pronti per essere risciacquati sotto acqua tiepida e snodati dalla sua matassina e saltarli in padella con il condimento scelto (in questo caso le kcal sono sotto le 10 per 100gr).
Sotto forma di “pasta”, gli shirataki hanno un sapore gradevole. Facili da preparare, senza gusto particolare, si impregnano della salsa o della preparazione che li accompagnano, per un pranzo o cena a basso contenuto calorico ma con un delicato sapore orientale.

Si ottengono dalla radice di Konjac

Gli shirataki sono di origine Giapponese e vengono prodotti dalla radice della pianta di Konjac: questa è ricca di glucomannano, la fibra che consente a questi spaghetti di avere tutte queste proprietà. Al fine di preservare la qualità del prodotto, la pianta viene raccolta e i tuberi, raccolti di fresco, sono puliti e sbucciati. Per prima cosa il Konjac viene cotto. Poi è fatto seccare e macinato a farina. Il Konjac può essere utilizzato per preparare diversi piatti. Nei diversi paesi, il Konjac assume nomi diversi come : Konjacu, Konnyaku, Konjaku.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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La biblioteca pubblica di Cincinnati: la memoria è fatta più o meno nello stesso modo

Provate a ricordare quello che avete fatto questa mattina, da quando vi siete svegliati fino ad ora. Poi provate a ricordarvi cosa avete fatto questo weekend. Ora chiudete gli occhi e sforzatevi di ritornare mentalmente nel luogo dove avete passato le vacanze l’estate scorsa. Infine riportate alla mente un episodio della vostra infanzia, magari di quando andavate alle elementari. Il vostro cervello, con minimo sforzo, vi avrà trasmesso delle informazioni – magari non del tutto collimanti con la realtà, ma assolutamente verosimili – dell’evento che avete vissuto. In pratica, come una piccola ma potente macchina del tempo, vi avrà riportato in un luogo temporale che non esiste più.

La biblioteca

Per come fin da bambino l’ha sempre immaginata il sottoscritto, la nostra memoria funziona come una sorta di enorme biblioteca, dove ogni libro corrisponde ad un evento vissuto nella nostra vita. La grandezza di ogni volume è direttamente proporzionale alla rilevanza che l’evento – in esso narrato e descritto – ha nella nostra esistenza. Alcuni libri sono irrilevanti e sono riposti in stanze anonime, che probabilmente non visiteremo mai più (ma che rimangono li, nel caso in cui l’evento diventasse invece rilevante); altri libri sono posti su piedistalli ed occupano stanze eleganti e ben illuminate – sono i ricordi piacevoli – mentre alcuni testi corrispondono a ricordi sgradevoli e sono riposti nelle stanze buie della nostra grande biblioteca. Gli eventi tragici sono relegati in stanze talmente nascoste della nostra mente e così anguste che ci sforziamo – a volte senza riuscirci, purtroppo – di dimenticarci della loro esistenza.  Infine ci sono libri splendidamente rilegati: sono così belli che meritano di occupare – da soli – intere grandi stanze della nostra mente. Ma le stanze migliori! Le più belle, illuminate tutto il giorno e decorate con splendidi arazzi. Ovviamente questi libri, limitatissimi nella tiratura, corrispondono ai momenti più belli della nostra esistenza. Per i nostri nonni questi volumi potrebbero trattare ad esempio della fine della II guerra mondiale. Per i miei coetanei la narrazione potrebbe comprendere la nascita di un figlio. Per i più giovani magari si parla di “quel favoloso primo bacio dato alla più carina della classe quel giorno in cui c’era la festa a casa di…”.

Scusate questa introduzione, ma volevo trasmettervi l’immagine che ho io della memoria. Però torniamo ora coi piedi per terra e chiediamoci…

Cos’è un ricordo e come e dove il nostro cervello memorizza le informazioni?

Il processo di memorizzazione, per quanto romantico possiamo dipingerlo, è riconducibile a neuroni, sinapsi, chimica e fisica. I neuroni sono le cellule che compongono il nostro cervello; ognuno di noi ne ha più di 100 miliardi. Le sinapsi sono invece le “autostrade” che collegano tra loro i diversi neuroni, creando le cosiddette reti neurali.

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Qui in alto vedete raffigurato un neurone con i propri bottoni sinaptici i quali, insieme allo spazio sinaptico e alle membrane post-sinaptiche, formano appunto le sinapsi che permettono lo scambio di informazioni tra i vari neuroni. Quando un ricordo viene richiamato alla mente, un gruppo di neuroni inizia ad inviare dei segnali elettro-chimici attraverso le sinapsi, secondo una specifica sequenza. Un ricordo dunque non è altro che una rete neurale che si attiva secondo una precisa sequenza. Poco poetico, vero? Importantissimo il fatto che più volte una rete neurale viene attivata nel corso del tempo, più il ricordo associato sarà radicato nella nostra memoria. In pratica quando ci succede qualcosa, più volte ripenseremo a quel dato evento e più è probabile che ce lo ricorderemo a distanza di tempo perché la rete neurale ad esso associata viene attivata più volte. Ciò accade perché il nostro cervello privilegia i fatti con cui abbiamo a che fare varie volte, ritenendoli quelli più importanti per la nostra sopravvivenza. Da questo discorso capiamo quindi il motivo per cui ripetere spesso un argomento prima di un esame, ce lo fa ricordare meglio, inoltre compiere un gesto ripetutamente ce lo fa compiere in modo migliore: la nostra intera memoria è basata su esperienze replicate.

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Studente universitario da trenta e lode

Se sei uno studente universitario – e probabilmente lo sei visto che sei qui – il fatto che un ricordo sia legato all’attivazione di una specifica rete neurale è un’informazione che può davvero fare la differenza nella tua carriera universitaria. Visto che purtroppo non è ancora possibile espandere i propri gigabyte di memoria come faceva Keanu Reeves nel film Johnny Mnemonic, dovremo fare alla vecchia maniera, cioè faticando! Vediamo ora come questi complessi meccanismi biochimici possano effettivamente aiutarti a prendere quel bel 30 e lode che tanto ti farebbe comodo per alzare la media in questa faticosa sessione d’esame!

1) Rileggere vs ripetere: il metodo della prima lettera

Il metodo di studio di molti universitari consiste nel rileggere fino alla nausea il materiale dell’esame. Bene, questo metodo non serve a molto, almeno dal punto di vista scientifico: leggere o rileggere un paragrafo attiva una rete neurale diversa dalla rete neurale associata alla memorizzazione di quello stesso paragrafo. Tradotto in parole povere: se rileggi un testo dieci volte, sarai semplicemente più bravo nella lettura di quel passaggio e avrai migliorato di uno 0,00001% la tua capacità di leggere velocemente, ma non la tua memoria! Se vuoi davvero memorizzare quel testo devi ripeterlo mentalmente, senza aiutarti con la “stampella” della rilettura. Devi sforzarti di ripeterlo. Quello sforzo fortifica la rete neurale come sforzare un bicipite rafforzerà quel muscolo (no pain no gain!).
Ciò significa in pratica che quando studi devi leggere un numero limitato di volte (una o due bastano di solito) con la massima concentrazione e soprattutto CAPENDO quello che state leggendo, e poi iniziare subito a ripetere tutto ciò che riesci a ricordare; e non passivamente, ma sforzandoti di ricordare qualcosa in più. In questo modo, non solo risparmierai un sacco di tempo, ma rafforzerai realmente la rete neurale associata al ricordo e non quella della lettura. Leggere mille volte le stesse righe non solo non ti farà imparare nulla a memoria, in più perderai molto tempo prezioso! Che poi alla decima volta che leggete la stessa riga state sicuri che la vostra corteccia visiva secondaria avrà smesso di fare il suo lavoro interpretativo sul materiale letto, lasciando la corteccia visiva primaria a leggere senza neanche più capire cosa avete davanti! Avete presente quando state leggendo qualcosa ma pensate ad altro, arrivate alla fine della riga e vi chiedete: “ma che cosa ho letto fino ad ora?”; ecco, quello è il tipico segno che le vostre due cortecce visive non vanno d’accordo tra loro (la prima funziona e vi fa leggere, ma la seconda no e non vi fa capire più quello che state leggendo) e leggere mille volte la stessa frase è la maniera migliore per farle litigare! Meglio leggere una/due volte con estrema attenzione e poi sforzarsi a ripetere.

Vediamo ora un applicazione veramente “estrema” di questo principio.

Immagina di dover imparare a memoria, parola per parola, una determinata definizione (magari l’articolo di una legge o una formula di biologia). Come abbiamo visto, continuare a rileggere non serve a granché. In questo caso, possiamo utilizzare il metodo della prima lettera. Questa strategia è molto semplice e consiste nel riscrivere un determinato passaggio, riportando solo la prima lettera di ogni parola e poi studiare la sequenza di lettere ottenuta. Ti faccio un esempio pratico, utilizzando la prima parte dell’Art. 3 della nostra meravigliosa Costituzione Italiana:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge

Applicando il metodo della prima lettera otterremo questa sequenza di lettere:

T i c h p d s e s e d a l

Ottenuta la sequenza di “prime lettere” non devi fare altro che rileggerla 3-4 volte, cercando di ricostruire mentalmente il testo originale. Questo semplice stratagemma costringe il tuo cervello a rafforzare di volta in volta la giusta rete neurale, ovvero quella associata al ricordo e non quella della lettura. Io lo usavo negli esami di anatomia per ricordare, ad esempio, le ossa della mano o del cranio. Con me funzionava! Se per voi questo metodo risulta un po’ troppo estremo, vi rimanga comunque il concetto che, per memorizzare, dovete costruire una rete neurale e per costruirla dovete sforzarvi di ricordare una cosa appena letta (e capìta!), evitando di leggerla mille volte, e riconducendola ad uno schema il più possibile sintetico.

Volendo rendere questo sistema più divertente si può creare un acrostico cioè un componimento poetico o un’altra espressione linguistica in cui le lettere o le sillabe o le parole iniziali di ciascun verso formano un nome o una frase. Nel caso dell’acrostico, l’insieme delle prime lettere forma una parola reale e non il bislacco “T i c h p d s e s e d a l” precedentemente citato. Ad esempio la frase “Sorbirsi continuamente una orribile lezione assurda” può essere memorizzata grazie alla parola… “scuola”!

  • Sorbirsi
  • Continuamente
  • Una
  • Orribile
  • Lezione
  • Assurda

Prima di chiudere questo capitolo, vi chiedo di leggere e cercare di ricordarvi questa sequenza di parole che descrivono concetti importanti nel determinare la presenza di un melanoma: dimensione, evoluzione, colore, asimmetria, bordi. Vi sembra difficile ricordare questa sequenza? Ed invece è facile, basta ricordarsi… ABCDE! Guardate qui sotto:

  • Asimmetria
  • Bordi
  • Colore
  • Dimensione
  • Evoluzione

Il mio prof di dermatologia mi consigliò questo metodo, chiamato regola ABCDE! anche la medicina d’urgenza fa largo uso di acronimi, basta leggere questo mio articolo per capirlo: Regola ABC, ABCD, ABCDE, XABCDE in medicina d’urgenza: cosa deve fare il soccorritore

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2) Memorizzare grazie al tuo stato d’animo

Uno degli elementi essenziali di una memoria strepitosa sono le emozioni. Esistono numerosi studi scientifici sul legame tra ricordi ed emozioni. Ma non servono dimostrazioni scientifiche per convincersi di quanto stati d’animo e memoria siano legati tra loro: scommetto che ricordi esattamente dove ti trovavi o cosa stavi facendo l’11 settembre 2001 o durante la finale dei mondiali del 2006. Più è stata forte l’emozione che abbiamo provato, più il libro nella biblioteca di cui parlavo all’inizio dell’articolo, è voluminoso, cioè maggiormente il ricordo si è radicato nella nostra memoria. Se vogliamo richiamare alla mente un determinato ricordo è dunque di grande aiuto rivivere/ricordare lo stato d’animo che abbiamo provato.

Visto il profondo legame che esiste tra stati d’animo e memoria, è di fondamentale importanza rendere le tue sessioni di studio vive ed emozionanti. Ogni volta che studi, devi farlo con passione, devi scavare dentro di te per trovare quella scintilla che ti ha spinto ad iscriverti alla tua facoltà, devi creare uno stato d’animo positivo che ti aiuti ogni volta a richiamare velocemente quanto studiato. Le emozioni possono essere scatenate da colori, suoni, odori. Ancora oggi ricordo chiaramente la pagina e l’argomento del libro di Immunologia che stavo studiando mentre mia madre cucinava una epica pizza al forno e l’odore si spargeva potente in tutta casa! Associate sempre le emozioni ai vostri sensi e alla cosa che dovete ricordare.

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3) Sfruttare l’effetto Von Restorff

La nostra memoria ha molti punti deboli, conosciuti in psicologia anche come bias. Conoscere queste “debolezze” ci permette di sfruttare efficacemente il nostro cervello. Uno dei più famosi bias di memoria è il cosiddetto effetto Von Restorff. Individuato per la prima volta dal pediatra Hedwig von Restorff, tale effetto consiste nella tendenza del nostro cervello a memorizzare ciò che è inconsueto e si distingue rispetto all’ambiente circostante. Vi faccio un esempio, leggete le prossime righe velocemente:

  • Saltare
  • Tagliare
  • Scrivere
  • Eseguire
  • Volare
  • Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi…
  • Leggere
  • Camminare
  • Cucinare
  • Giocare

Ora ripetete le parole che ricordate. Probabilmente la prima frase che vi viene in mente è quella tratta dalla famosa canzone del grande Lucio Battisti. Perché accade? Per almeno quattro motivi:

  • è una frase di senso compiuto;
  • descrive qualcosa che già abbiamo sentito altre volte;
  • è in corsivo;
  • è in neretto.

Se fosse anche colorata di rosso, i motivi sarebbero cinque! In una parola sola è: DIVERSA dal resto delle parole. La possibilità di ricordare più facilmente ciò che è diverso (cioè risalta) dalla media è appunto l’effetto Von Restorff. Secondo la teoria dei processi organizzativi quando leggiamo una lista tendiamo ad organizzare nella stessa categoria tutti i prodotti simili ma cataloghiamo in una categoria diversa e più importante i prodotti differenti che spiccano rispetto agli altri. Questo li rende più facilmente memorizzabili. Per capirci: qualcuno si ricorda il colore del cappotto della bambina di Schindler’s List? Il film era tutto in bianco e nero e quel colore spiccava talmente tanto che tra trent’anni ancora lo ricorderò! Inoltre domani a quest’ora provate a ricordarvi di questo articolo: vi verrà magari in mente proprio il film Schindler’s List, visto che è già la seconda volta che lo scrivo in neretto ed il vostro cervello lo ha già catalogato come informazione “importante”.

Come possiamo sfruttare l’effetto Von Restorff per preparare al meglio i nostri esami universitari? Come facciamo a differenziare e far spiccare una certa parola? Dai che lo sapete già: con l’evidenziatore! Ma come usarlo nella maniera migliore?

Come usare al meglio gli evidenziatori per memorizzare di più quando studiamo?

Sottolinea utilizzando diversi evidenziatori, con colori e punte diverse. Ai tempi dell’università io avevo almeno dieci diversi evidenziatori e almeno una trentina di pennarelli di colore diverso! Inoltre parliamoci chiaro: se sottolinei tutto è come se non sottolineassi nulla, quindi devi essere molto selettivo nel sottolineare esclusivamente ciò che conta. Io in realtà all’università sottolineavo pochissimo e solo nei primissimi esami, poi ho perso questa abitudine ed i miei libri, dal secondo anno in poi, non hanno neanche mezza parola evidenziata né sottolineata. Tuttavia, quando ancora evidenziavo, usavo un sistema che comprendeva 3 evidenziatori: il verde comprendeva l’argomento principe, il giallo i sotto-argomenti, l’arancione le parole chiave. Importantissimo, lo ripeto: sottolinea il meno possibile! Nota biografica interessante collegata all’effetto Von Restorff: quando nei miei appunti mi capitava di sbagliare a scrivere una parola, la cancellavo e sopra scrivevo la parola esatta, beh, quella parola la ricordavo con estrema facilità. Cosa risalta di più di un errore in una ordinata pagina di appunti? E ovviamente non sto parlando di cancellare gli errori usando il bianchetto, bensì con un vari ed evidenti spessi tratti di penna nera, il che massimizzava l’effetto Von Restorff. La cosa divertente è che, ad un certo punto, facevo degli errori apposta per ricordare meglio una parola! La cosa interessante è invece che quando sbagliavo apposta ricordavo meno di quando sbagliavo per caso: il nostro cervello è difficile da prendere in giro!

Per approfondire, leggi anche: Effetto von Restorff: cos’è e come usarlo a tuo vantaggio

PS Qual è il colore del cappotto della bambina di Schindler’s List? Ovvio: rosso!

4) Scrivere, scrivere, scrivere… Capire, capire, capire…

Prima ho detto che dal secondo anno di Medicina in poi i miei libri erano completamente liberi da sottolineature: qualcuno, guardandoli ora senza alcun segno, potrebbe chiedermi come io studiassi all’università. Semplice, per ogni argomento io scrivevo una sintesi su un quaderno, una sintesi vivace con milioni di colori, evidenziatori, piccoli disegni. Una volta che io avevo sintetizzato l’argomento, il mio quaderno diventava il mio vero libro e da quel punto in poi studiavo solo lì (il libro di testo lo rimettevo in libreria e ci restava). Dal momento che la mia sintesi diventava “bibbia”, il processo di creazione della sintesi mi costringeva a scrivere con molta attenzione le mie parole, capendo bene l’argomento, per evitare di scrivere stupidaggini che poi avrei studiato. Quindi: scrivere sintesi, ma scrivere solo dopo aver capito a fondo. Imparare a memoria e basta è molto più dispendioso rispetto a capire l’argomento nei suoi concetti chiave! Molti mi dicevano che riscrivere interamente il libro (perché alla fine era esattamente questo che succedeva), era un processo troppo lungo e che avrebbe rubato troppo tempo, ma nessuno si rendeva conto che a me bastava scrivere un argomento con attenzione, per imparalo, quindi per me ogni pagina di libro sintetizzata era già memorizzata automaticamente, altro che perdita di tempo!

Dopo aver studiato sulle mie sintesi, il passo successivo era ottenere una serie di personalissime mappe concettuali con i punti chiave che mi servivano per non rimanere mai a bocca aperta di fronte alla domanda dei miei professori. Ma cos’è una mappa concettuale?

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5) Mappe concettuali stimolanti

Una mappa concettuale è uno strumento grafico per rappresentare delle informazioni in modo pratico, sintetico e veloce, in uso fin dagli anni settanta del secolo scorso. Le mappe di questo tipo servono per rappresentare in un grafico le proprie conoscenze intorno a un argomento secondo un principio cognitivo di tipo costruttivista. Se non hai capito stai tranquillo: tra poco vedrai un esempio di mappa concettuale e tutto ti tornerà chiaro!

Il consiglio più importante è quello di creare mappe concettuali graficamente stimolanti. Ho sempre considerato le mappe concettuali un elemento essenziale di qualsiasi metodo di studio; eppure esistono mappe e mappe. Mappe “piatte” con pochi collegamenti e di scarso interesse non ti aiuteranno mai a ricordare efficacemente il tuo materiale di studio. Crea mappe inconsuete, mappe con collegamenti inaspettati tra i diversi nodi, insomma… mappe che siano TUE E SOLO TUE, che ti si stampino in testa! Vediamo ora un esempio di mappa concettuale:

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo COME FUNZIONA LA MEMORIA COME FACCIAMO MIGLIORARLA Dieta Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia Grasso Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Sessuologia Pene Laser Filler Rughe Botox 2Questa mappa ci aiuta a memorizzare informazioni che riguardano la popolazione sulla terra e sulla sua crescita nel corso di alcune epoche. L’ho trovata su internet ed è ben fatta. Notate come si differenzia l’epoca antica (in giallo a sinistra) dal verde che indica le epoche moderne. Io l’avrei fatta in modo un po’ diverso. Avrei colorato le epoche antiche di marroncino perché il marrone per me è il colore della terra e mi richiama epoche antiche quando ancora non esistevano fabbriche (che per me sono rappresentate dal grigio chiaro, come il fumo che emettono) o asfalto (grigio scuro come il loro colore). Inoltre avrei differenziato i quattro blocchi verdi delle epoche moderne:

  1. crescita molto lenta della popolazione: l’avrei colorata di rosso, colore che mi fa venire in mente un rallentamento se non addirittura un blocco. In alternativa l’arancione… Insomma pensate ad un semaforo;
  2. crescita importante della popolazione: l’avrei colorata di grigio chiaro, non certo per il concetto di “crescita importante”, ma per la nozione di sviluppo industriale (che per me è appunto grigio chiaro);
  3. popolazione che cresce sempre di più: qui avrei usato il verde, che per me rappresenta appunto un libero flusso, un movimento, una accelerazione;
  4. inversione di tendenza: non avrei usato alcun colore, però avrei disegnato accanto una freccia che inverte la direzione.

Inoltre avrei usato molti più disegni: nelle epoche antiche, nella casella “nomadi” avrei disegnato un albero (che io lego al concetto di libertà) mentre in quella “sedentari” avrei disegnato una casa (che indica immobilità). Nella casella “clima favorevole” avrei disegnato un bel sole giallo chiaro, in quella “egizi e Nilo” una piramide giallo scuro con due tratti paralleli blu accanto, in quella “laghi” avrei fatto un cerchio blu.
Invece nelle epoche moderne avrei disegnato una “piccola Italia” dove si menziona l’Europa ed avrei disegnato il segno dell’euro dove si parla di paesi catalogati dal punto di vista economico. Avrei anche potuto associare il segno dell’euro dove si parla di Europa e il segno del dollaro dove si parla di economia, tuttavia, almeno nella mia testa, i due simboli si sarebbero potuti confondere (anzi addirittura invertire) visto che appartengono entrambi allo stesso campo. Ovviamente questi sono solo esempi, ognuno deve trovare i propri colori e i propri simboli. Maggiormente “personali” saranno, più facilmente riuscirete a memorizzare. Non serve dire che i disegni devono essere stilizzati e di rapida esecuzione, quindi non serve essere Giotto, anzi, più i disegni saranno “strambi” e più probabilmente li ricorderete grazie all’effetto Von Restorff! Come vedete sottolineo spesso il concetto di personalizzazione che per me era vitale per memorizzare i libri di duemila pagine di Medicina! Non sono mai riuscito a memorizzare nulla guardando appunti o mappe concettuali create da altri per due motivi:

  1. simboli e parole chiave necessari da altri per ricordare, non sono quasi mai gli stessi che servono a me per ricordare la medesima cosa;
  2. non li ho creati io mentre invece per me il memorizzare era soprattutto insito nel processo creativo speso per creare una certa mappa concettuale.

A chi sta pensando “ma quanto tempo ci mettevi per fare una mappa concettuale così piena di colori e disegni e memorizzarla?” io rispondo “molto meno del tempo che avrei impiegato a memorizzare le stesse cose SENZA disegnare la mappa”, anche perché a me bastava disegnarla per memorizzare tutti i concetti: disegnare e memorizzare avvenivano in contemporanea e non in due tempi distinti, come già vi avevo anticipato nel paragrafo precedente. Ovviamente questo vale per me: voi dovete trovare ovviamente il metodo più efficace per VOI STESSI.

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6) Stai attento a lezione

Sembra banale ricordarlo ma, se pensi che lo studio di una materia inizi una volta terminato il corso, stai perdendo tonnellate di tempo. La preparazione di un esame avviene già durante le lezioni in aula, anche perché poi il prof all’esame esige le risposte come le vuole lui. Tante volte (almeno a medicina) studi benissimo il libro di testo ma poi all’esame il prof si lamenta che stai rispondendo male perché non gli dici le cose che sono giuste per lui! Inoltre se il prof passa tre ore a spiegare l’anemia da carenza di ferro e dieci secondi a parlare dell’anemia da aumentata emolisi da Trypanosoma, io passerei più tempo a studiare la prima che la seconda! Prima di studiare il libro, studiate il vostro prof!

Ad ogni modo prendere gli appunti è una fase molto importante: per sfruttare al meglio questo momento devi imparare a prendere appunti nel modo giusto; devono essere sintetici, schematici e devono usare simboli grafici prestabiliti. Ovviamente il più possibili… personali!

Ricordate infine che il prof è umano, quindi se vi vede attenti alle sue lezioni, grazie all’effetto Pigmalione potrebbe farsi una buona idea di voi ed essere più malleabile all’esame! Inoltre se vi vede sempre in un gruppetto di studenti disattenti, a causa dell’effetto alone potrebbe reputarvi studenti meno capaci ed all’esame comportarsi in modo più aggressivo. Quindi state attenti in aula ed accerchiati da altri studenti attenti: farete la parte dei secchioni, ma forse all’esame sarete facilitati!

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7) Costruisci un palazzo della memoria

Da centinaia di anni esiste una tecnica super-collaudata per potenziare le capacità mnemoniche, chiamata “tecnica dei loci” o “tecnica dei loci ciceroniani”, anche detta “palazzo della memoria” o “palazzo romano della memoria” o ancora Journey Method (cioè “metodo del viaggio”). Si tratta di una tecnica mnemonica introdotta in antichi trattati di retorica greci e romani (Rhetorica ad Herennium, De oratore, e Institutio oratoria) e citata in molti film e serie tv tra cui “The mentalist” ed “Elementary”. In questa tecnica mnemonica gli elementi da ricordare vengono associati a specifici luoghi fisici conosciuti. Per approfondire, leggi: Tecnica dei loci o palazzo della memoria esempi ed esercizi per aumentare la capacità di memorizzare informazioni

8) Associazioni assurde

Le associazioni assurde usate nella tecnica del palazzo della memoria, possono essere usate anche al di fuori di tale tecnica. Vi faccio un esempio. Quando ho studiato lo stravaso dei leucociti durante una infiammazione all’esame di fisiologia, dovevo ricordarmi una specifica sequenza di eventi che comprendeva rotolamento, attivazione, adesione e migrazione, associati a vari elementi come recettori mucinici, selettine, integrine e immuno-globuline… ebbene per ricordare tutto io immaginavo che Silvio Muccino (l’attore) rotolava al supermercato, dove selezionava pasta integrale mentre sentiva Radio Globo. Bislacco? Certo, ma se dopo vent’anni ancora mi ricordo lo stravaso leucocitario come se fosse ieri, forse il metodo funziona!

9) Mente sana in corpo sano

Ricordatevi che il vostro cervello è parte del vostro corpo e la maniera per farlo funzionare al meglio è seguire stili di vita sani: smetti di fumare e di assumere droghe ed alcolici; fai attività fisica; alimentati in maniera adeguata con tanta acqua, frutta e verdura e poco sale e grassi; dormi un numero sufficiente di ore. In alcuni casi può aiutarvi una integrazione con integratori alimentari (cliccate qui per avere la lista completa dei migliori o andate al paragrafo 11).

10) Caffè

Il caffè è un ottimo alleato per la memoria (leggi questo articolo a riguardo), ma non esagerate, anche perché, se siete già ansiosi e prima degli esami il cuore vi batte a mille, il caffè può peggiorare la situazione causando tachicardia ed aumento della pressione arteriosa! La domanda che spesso mi fanno pazienti e allievi è quanto caffè posso assumere ogni giorno quando sono sotto esame? La quantità di caffeina che un adulto può assumere normalmente ogni giorno è circa 5mg/kg di peso corporeo, il che significa che una persona che pesa 60 kg può assumere circa 300mg di caffeina al giorno mentre una persona che pesa 80 kg può assumere circa 400mg di caffeina al giorno. Tenendo conto che ogni tazzina di caffè espresso contiene circa 120mg di caffeina, io consiglio di bere non più di tre caffè al giorno (in individui sani); superato questa quantità è da preferire il decaffeinato.

11) Integratori alimentari

Per migliorare nello studio io ero solito usare alcuni integratori alimentari, tra cui il mio preferito era la glutamina. Prodotti ottimi per contrastare la stanchezza e migliorare memoria e concentrazione che vi consiglio, sono:

12) Ultime raccomandazioni prima di… riprendere a studiare!

Ricordatevi sempre che è più utile studiare sei ore facendo ogni tanto qualche sosta piuttosto che studiare otto ore senza fermarti un minuto. Il mio prof di anatomia 3 diceva sempre che ogni 45 minuti di intensa attenzione, il nostro cervello ha bisogno di una pausa di almeno 5-10 minuti. Se la sera prima dell’esame non riuscite davvero a dormire, potrebbe aiutarvi una compressa da 1 mg di melatonina, assunta con un bicchiere d’acqua mezzora prima di andare a letto.

Spero che questi consigli vi siano utili e che… la memoria sia con voi!

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Aumentare il seno senza chirurgia con i cibi ricchi di fitoestrogeni

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PEPE NERO SPEZIE CONDIMENTI POLVERE TRITURATO SAPORE CUCINA CUCINARE (5)Molte donne si lamentano per lo scarso volume del loro seno, ma hanno paura di attuare sistemi invasivi per aumentarne le dimensioni. In questi casi quello che può essere proposto è una sorta di “dieta dell’ingrandimento del seno” che sicuramente non avrà gli stessi straordinari effetti di una mastoplastica additiva, ma che può comunque migliorare la situazione di partenza. Il segreto sta tutto nel prediligere – sotto stretto controllo calorico e nutrizionale – alimenti che contengono fitoestrogeni, sostanze naturali che si trovano nelle piante e che possono imitare la funzione degli estrogeni nel corpo. In dosi più o meno rilevanti, moltissimi cibi riportano quantità di fitoestrogeni: ecco una lista che va tenuta in grande considerazione e osservata in ogni punto. Non soltanto si tratta di cibi comuni e facili da reperire, ma sono anche la base per pasti gustosi e piacevoli: e allora perché non provare questo rimedio a costo zero e che al contempo consente di mangiare soddisfacendo anche il palato?

Prima di iniziare la lista dei cibi ricchi di fitoestrogeni, vi ricordiamo che questi ultimi possono essere assunti anche grazie ad un integratore alimentare. Il miglio prodotto, selezionato, usato e raccomandato dal nostro Staff di esperte, lo potete trovare qui: https://amzn.to/3ahKjSx

Cibi ricchi di fitoestrogeni

Di seguito riporto una lista di cibi ricchi di fitoestronegi:

  1. Soia: contiene naturalmente fitoestrogeni e può essere consumata in tutte le sue innumerevoli versioni. I prodotti della soia, soprattutto il tofu, migliorano i livelli di estrogeno. La soia contiene molti isoflavonoidi, un fitoestrogeno. Puoi trovare il latte di soia e i cibi derivati dalla soia nella sezione dei latticini al supermercato. Puoi integrare nella tua dieta anche i seguenti derivati della soia: edemame, miso, noci di soia, tempeh, prodotti preparati con farina di soia; leggi anche: Soia: dose, proprietà e controindicazioni nel tumore al seno
  2. Latte e derivati: un’altra fonte naturale di fitoestrogeni che può essere consumata quotidianamente in ogni pasto. Latte, yogurt, burro e tanti altri prodotti contengono il latte e con esso anche i fitoestrogeni.
  3. Semi: oltre a contenere fitoestrogeni, i semi sono consigliati come coadiuvante generico per la nostra salute date le proprietà benefiche che contengono. Tra questi i più utili per questa specifica situazione sono quelli di lino, di zucca, di anice e di girasole. I semi di lino in particolare sono ricchi di acidi grassi omega-3, e potrebbero ridurre i rischi di malattie cardiache, tumori, infarti e diabete. Inoltre, i semi di lino sono ricchi di lignani (contengono 75-800 volte più ligani degli altre verdure). Consumare 60g al giorno di semi di lino al giorno non aumenterà i tuoi livelli di estrogeno, ma il lino farà da sostituto nel caso il tuo organismo non produca abbastanza estrogeno. Relativamente agli omega-3 prima citati, leggi anche: La classifica dei dieci alimenti che contengono più omega 3
  4. Fagioli e piselli: sono da mangiare con regolarità come contorno per i nostri secondi piatti oppure in minestroni e zuppe. Non vi sono particolari differenze date dalle specifiche tipologie: l’importante è che questi legumi siano utilizzati con frequenza.
  5. Spezie ed erbe: questi preziosi amici della buona tavola, in grado di aggiungere un tocco di sapore ai nostri piatti, possono anche dare una mano alle donne che vogliono migliorare il proprio decollété. Ecco un elenco di spezie ed erbe particolarmente indicate: zenzero, chiodi di garofano, timo, curcuma, origano, peperoncino; per approfondire leggi anche: Aumentare il seno in modo naturale con queste 6 piante
  6. Vitamine: Non mancano mai! Che fanno bene lo sapevate già, quello che ancora non sapevate è che fanno bene al vostro seno: la vitamina C, il carotene, il complesso delle vitamine B, e i cereali integrali possono essere infatti utili per migliorare i livelli di estrogeno. I cibi più ricchi di vitamina C sono kiwi, pomodori, arance, pompelmi, cantalupo, cedri, pesche, banane, asparagi, carciofi, carote, cavolfiore, mais, e fagioli lima. Cibi ricchi di carotene: peperoni, cavolo, spinaci, carote, bietole, foglie di dente di leone, foglie di rapa, cardi, basilico, zucca. Cibi ricchi del complesso di vitamine B: Fegato, manzo, tonno, avena, tacchino, noci brasiliane, banane, patate, avocado, legumi e kefir; per approfondire leggi anche: Ecco come il nostro corpo ci segnala la carenza di vitamine
  7. Cereali: anche i cereali ci rivelano un’interessante e insospettato alleato in questa battaglia. Sono consigliati principalmente avena, riso integrale e orzo, io personalmente vado pazzo per le gallette di farro. Consiglio importante: invece della farina bianca, scegli la farina integrale! Consuma pasta integrale o riso integrale ad esempio, i vantaggi sono moltissimi (tra cui un diminuito rischio di cancro al colon); a tal proposito potrebbe interessarti questa mia buonissima ricetta: Panini integrali morbidi: ricetta facile, gustosa e veloce
  8. Frutta e verdura: sono consigliate perché i loro effetti benefici sono estremamente ampi. Anche però in questa casistica così originale, possono dare una mano. Mele, carote, olive, papaia, zucca, patate, melograno, cetrioli e zucca sono soltanto alcuni degli alimenti che possono tranquillamente essere ingeriti per aumentare la tonicità del seno; leggi anche: Proprietà delle mele: un tesoro di vitamine, fibre e sali minerali
  9. Grassi salutari: non tutti i tipi di grasso hanno gli stessi effetti negativi per il nostro organismo: ovviamente non bisogna esagerare, ma è bene avere sempre presente che alcuni cibi con una concentrazione lipidica molto sostenuta possono ugualmente risultare preziosi e ricchi per la nostra salute. Sono da privilegiare i grassi nobili come quelli derivanti dall’olio d’oliva, avocado ed estratto d’olio d’avocado, olio di semi di lino, frutta secca e sesamo; leggi anche: Differenza tra omega 3, omega 6 ed omega 9
  10. Birra: la birra ed il lievito possono aiutare ad accrescere il seno rendendolo più abbondante e generoso soprattutto in termini di massa.
  11. Caffè: le donne che bevono più di due tazze di caffè al giorno hanno livelli di estrogeni più alti di chi non lo fa (FONTE). Anche se il caffè può migliorare i livelli di estrogeno, purtroppo aumenterà anche il rischio di endometriosi e dolori al seno. Il mio consiglio è quello di bere possibilmente caffè organico: la maggior parte del caffè è prodotto con un intenso uso di agenti chimici, perciò consumando caffè organico limiterai la tua esposizione a erbicidi, pesticidi e fertilizzanti. Inoltre usa filtri non sbiancati: molti filtri per il caffè bianchi contengono candeggina, che potrebbe passare nel prodotto finito. La regola rimane sempre la stessa, non esagerare, specie durante la gravidanza: una donna incinta non dovrebbe consumare più di 200 mg di caffeina al giorno, un consumo più elevato aumenta il rischio di aborti e nascite premature; per approfondire leggi anche: Quanti caffè posso assumere ogni giorno? E se sono iperteso o prendo farmaci? E durante la gravidanza e l’allattamento?
  12. Infusi, tisane e integratori alimentari: per aumentare il tuo seno puoi aiutarti con integratori, infusi e tisane; a tal proposito leggi: Integratori e tisane per aumentare estrogeni e grandezza del seno

Livelli normali di estrogeno ed altri consigli importanti

1) Chiedi aiuto al tuo medico. Determina il tuo livello di estrogeno.
PRIMA di intraprendere una dieta particolarmente ricca di fitoestrogeni, chiedi al tuo medico gli effetti degli estrogeni sull’organismo.

IMPORTANTE: Anche se un’insufficienza di estrogeni può determinare molti problemi, un livello troppo alto può essere correlato a disturbi mestruali, cisti ovariche e CANCRO AL SENO. Insomma: troppi fitoestrogeni potrebbero causare danni al nostro organismo, quindi chiedete SEMPRE – E SENZA ECCEZIONI – consiglio al vostro medico prima di eccedere con fagioli, spezie e cereali!  

Il medico può prescriverti un esame del sangue per assicurarsi del tuo livello di estrogeno. Ricordo che il livello di estrogeno normale per una donna prima della menopausa varia tra 50 pg\ml e 400 pg\ml. Se il tuo livello di estrogeno è sotto i 100 pg\ml, potresti soffrire dei sintomi della menopausa, come le vampate di calore; se i livelli di estrogeno sono elevati consulta il medico prima di iniziare una dieta basata sui cibi prima elencati.

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2) Vita sana.
Il tuo sistemo endocrino (clicca qui per sapere cos’è un sistema endocrino) necessita di un corpo sano per funzionare correttamente e produrre livelli normali di estrogeno. Mangia molti cibi freschi e organici per permettere al tuo organismo di produrlo, mangia con pochissimo sale e pochi grassi, non bere alcolici, non fumare e fai tanta attività sportiva all’aria aperta, ma senza esagerare (vedi il punto successivo).

3) Allenati, ma senza esagerare.
L’allenamento eccessivo è controindicato: è stato infatti collegato a bassi livelli di estrogeno. Il caso tipico è quello delle atlete, esse potrebbero notare una diminuzione dei livelli di estrogeno, ciò accade perché perché le donne con bassi livelli di grasso corporeo hanno problemi nella produzione di estrogeno. Se sei un’atleta o sei molto magra, visita il tuo medico e chiedi se è necessario prendere delle misure per ristabilire i normali livelli di estrogeni.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Osteoporosi: cause, diagnosi, cure, osteopenia, valori Z-score e T-score

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO OSTEOPOROSI MINEROLOMETRIA OSSEA COMPUTERIZZATA MOC DEXA Z SCORE T SCORE FRATTURA DIFFERENZE OSTEOPENIA OSSO OSSAL’osteoporosi è una osteopatia (cioè una malattia ossea) caratterizzata dalla riduzione quantitativa della massa ossea (si riduce il quantitativo minerale osseo, in particolare di calcio) e da alterazioni della microarchitettura dell’osso con conseguente aumentata fragilità ossea ed aumento del rischio di fratture da traumi minimi.

Differenza tra osteoporosi e osteopenia

Si parla di “osteopenia” quando i livelli di densità, quindi di massa ossea, scendono al di sotto della norma, ma ancora non si verificano le condizioni dell’osteoporosi. L’osteopenia è quindi una condizione meno grave dell’osteoporosi, tuttavia – nei pazienti con osteopenia – è importante impostare rapidamente una terapia, per evitare che la situazione si trasformi progressivamente in osteoporosi.

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Quanto è diffusa l’osteoporosi?

Dall’ultima indagine ISTAT si dichiara ammalato di questa patologia solo il 4,7% della popolazione totale e il 17,5% delle persone con oltre sessantacinque anni. Il dato reale in realtà, è molto più alto: il 23% delle donne di oltre 40 anni e il 14% degli uomini con più di 60 anni è affetto da osteoporosi (studio epidemiologico multicentrico nazionale ESOPO). Solo una donna su due affetta da osteoporosi sa di esserlo. Stessa mancanza di consapevolezza su questa patologia riguarda un uomo su cinque. Il 50% delle persone che pensano di essere ammalate di osteoporosi non lo sono, mentre la metà di quelli realmente affetti dalla malattia non sa di esserlo (studio condotto da Istituto superiore di sanità, Istat, Ars della Toscana e Asl di Firenze).

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Fonte: Maggi S. et al., Quantitative heel ultrasound in a population-based study in Italy and its relationship with fracture history: the ESOPO study, Osteoporos Int (2006)

Cause e fattori di rischio dell’osteoporosi

In base alla causa, l’osteoporosi si divide in due grandi gruppi:

  • osteoporosi primaria: causata principalmente da una diminuzione dell’estrogeno (tipico della post-menopausa e dell’età senile) e favorita da altri fattori come scarso apporto di calcio con la dieta e vita sedentaria;
  • osteoporosi secondaria: causata da malattie non ossee, da farmaci (principalmente corticosteroidei) e sostanze tossiche.

Per capire le cause che primariamente portano ad osteoporosi, è necessario focalizzarsi su un fatto: le donne sono molto più colpite dall’osteoporosi rispetto agli uomini. Il 90% degli statunitensi con osteoporosi è di sesso femminile. La maggiore incidenza della malattia nelle donne (soprattutto con il progredire dell’età) è rapportata alla diminuzione dell’estrogeno, che si ha nella menopausa. Gli estrogeni favoriscono l’assunzione del calcio da parte delle ossa e ne inibiscono la loro distruzione, con conseguente perdita di calcio, quindi una diminuzione estrogenica può essere causa di osteoporosi primaria. L’uomo è più protetto, sia perché ha una certa produzione di estrogeni, sia perché ha un livello di testosterone che dura quasi tutta la vita, che in parte viene convertito in estrogeni. Questo fa sì che dai 50 anni in poi gli uomini perdano lo 0,4% del calcio corporeo all’anno, mentre nelle donne già dai 35 anni la perdita è già il doppio del valore maschile., con un peggioramento netto con la menopausa, perché le ovaie smettono di produrre estrogeni. Gli estrogeni calano di colpo, con minor assorbimento di calcio a livello intestinale, una minore produzione di calcitonina che inibisce la demineralizzazione, con il risultato totale che la menopausa accelera in modo importante l’osteoporosi. Con la menopausa la perdita di calcio accelera al ritmo del 3-6% all’anno nei primi cinque anni, per poi scendere all’1% all’anno. A questo ritmo, una donna perde circa il 15% della massa ossea nei primi dieci anni dall’inizio della menopausa e a 70 anni il calo può arrivare intorno al 30%.

Oltre alla ridotta secrezione di estrogeni, le principali cause e fattori di rischio che possono portare all’osteoporosi, sono:

  • malnutrizione per difetto (in particolare ridotta assunzione di calcio con la dieta);
  • vita sedentaria;
  • ingestione di bevande con ridotto contenuto di calcio (bevande gassate);
  • stress psicofisico prolungato;
  • età femminile superiore di 45 anni;
  • periodo post-menopausale;
  • fumo di sigarette;
  • assenza di gravidanza e di allattamento al seno.

Nella stragrande maggioranza dei casi la causa non è una sola, bensì più fattori di rischio concorrono nell’insorgenza dell’osteoporosi.

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Sintomi e segni di osteoporosi

Nelle fasi iniziali, l’osteoporosi può essere asintomatica, cioè non determinare alcun sintomo. Successivamente possono comparire:

  • mal di schiena;
  • abbassamento progressivo dell’altezza;
  • postura incurvata;
  • facilità a fratture.

L’osteoporosi si manifesta con sintomi solo quando è abbastanza grave da determinare microfratture o schiacciamento dei corpi vertebrali, con comparsa di dolore alla colonna vertebrale. L’osteoporosi aumenta molto il rischio di fratture di tutte le ossa del corpo, in particolare di vertebre, femore e polso. Nei soggetti anziani con osteoporosi, specie di sesso femminile, la frattura del collo del femore può essere provocata semplicemente da una banale caduta o dal sollevamento di un peso.

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Diagnosi di osteoporosi

L’OMS definisce l’osteoporosi utilizzando un parametro chiamato T-score. Questo parametro rappresenta il valore della densità ossea del paziente espresso come numero di deviazioni standard (DS) al di sopra o al di sotto rispetto alla densità ossea di un soggetto donna giovane adulto, che ha quindi raggiunto il picco di densità di minerale osseo. Il picco di densità di minerale osseo è la quantità massima di minerale osseo accumulata nel corso della propria vita, questo raggiunge il suo valore maggiore intorno ai 25/30 anni. Può essere influenzato oltre che da fattori genetici anche da fattori ambientali come: normale apporto di calcio con la dieta, normale e costante attività fisica, normale esposizione alle radiazioni ultraviolette che favoriscono la maturazione della vitamina D. Per giovane adulto ci si riferisce quindi ad un soggetto donna di circa 25/30 anni, di specifica etnia, con un normale stato di salute ed una normale attività fisica. La diminuzione del valore al di sotto di questo parametro ci consente di sapere se siamo in condizioni di osteopenia (modesta riduzione del contenuto minerale osseo) o osteoporosi franca, che può essere più o meno importante e che sottopone a rischio di fratture ossee al minimo trauma.
La tecnica che consente la diagnosi di osteoporosi è la densitometria ossea. La metodica più utilizzata è la densitometria a raggi X a doppia energia, chiamata DEXA, che consente la valutazione della quantità di osso sia trabecolare, che corticale. La DEXA permette la misurazione del contenuto minerale osseo a livello del rachide lombare, del femore prossimale e dell’intero scheletro. Al posto di DEXA talvolta MOC (acronimo di mineralometria ossea computerizzata): i termini DEXA e MOC sono sinonimi.

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T-score

In base al T-score ottenuto da una DEXA (MOC), si possono verificare tre situazioni:

  • un T-score maggiore o uguale a -1 DS indica osso normale;
  • un T-score compreso tra -1 e -2,5 DS indica osteopenia;
  • un T-score minore di -2,5 DS indica osteoporosi.

Un T-score uguale a 0 indica che il soggetto esaminato presenta una densità ossea uguale a quella media di una donna sana di circa 25/30 anni. Più il valore è basso rispetto allo zero, maggiore sarà la gravità dell’osteoporosi. Ad esempio:

  • un T-score di -3 DS indica osteoporosi;
  • un T-score di -3,5 DS indica una osteoporosi più grave;
  • un T-score di -4 DS indica una osteoporosi ancora più grave.

Un T-score superiore a 0 indica che il paziente ha una densità ossea migliore di una donna sana di circa 30 anni.

Z-score

La diagnosi di osteoporosi in alcuni casi si basa sul parametro chiamato Z-score, sempre ottenuto effettuando una DEXA (MOC). Mentre il T-score come abbiamo visto paragona la densità ossea del paziente espresso come numero di deviazioni standard al di sopra o al di sotto rispetto alla densità ossea di un soggetto giovane adulto donna (di circa 25/30 anni) di una specifica etnia, il Z-score paragona la densità ossea con quella media di soggetti di pari età, etnia e sesso del paziente. Il Z-score è quindi più attendibile in un ampia varietà di pazienti, come bambini, adolescenti e giovani adulti maschi, mentre il T-score ha più senso quando il paziente è una donna che ha superato i 30 anni (soprattutto se ha superato la menopausa) o è un uomo che ha superato i 50 anni.

Leggi anche: Menopausa: quali cambiamenti aspettarsi e come gestirli

Quando usare il T-score e quando lo Z-score?

Il T-score andrebbe usato come riferimento per donne oltre i 30 anni, soprattutto se in post menopausa, e uomini oltre i 50 anni. Per tutti gli altri casi andrebbe valutato l’uso dello Z-score, soprattutto per bambini, adolescenti e giovani adulti maschi. In parole semplici:

  • il valore della densità ossea ottenuti da una DEXA in un paziente donna ultratrentenne o donna nel periodo post menopausale o uomo di oltre 50 anni, viene messo a paragone con quello di una donna di circa 30 anni (T-score);
  • il valore della densità ossea ottenuti da una DEXA in un paziente che non rientra nelle precedenti classi, viene messo a paragone con quello di un soggetto di pari età, sesso ed etnia (Z-score).

A titolo di esempio un bambino di 7 anni afroamericano o scandinavo userà i valori di riferimento diversi da quelli di una bambina di 10 anni asiatica o sudamericana. Per capire l’importanza di usare lo Z-score al posto del T-score in questo caso, si pensi al rischio che si avrebbe paragonando il risultato della DEXA (MOC) di un bambino sano di 9 anni a quello di una donna di 30 anni, ovvero quello che accadrebbe usando il T-score: al bimbo verrebbe diagnosticata l’osteoporosi nonostante abbia una normale una densità per la sua età.

Leggi anche: Quali sono le differenze tra MOC e DEXA nella diagnosi di osteoporosi?

Terapia dell’osteoporosi

La terapia si basa sulla somministrazione di calcio che in alcuni soggetti è in grado di rallentare il processo, ma non di curarlo. Altri farmaci usati sono gli estrogeni: nelle donne in menopausa, anche questi con effetti di prevenzione più che di cura della malattia. Usati anche gli androgeni, la calcitonina, i fluoruri. Di recente utilizzazione nella terapia dell’osteoporosi è una nuova classe di farmaci, i bifosfonati, analoghi del pirofosfato, caratterizzati dal legame P-C-P, notevolmente stabile e resistente alla degradazione chimica; la loro azione consiste nella inibizione sia del riassorbimento sia del turn over osseo attraverso l’interazione fisico-chimica con l’idrossiapatite e le modificazioni morfologiche, biochimiche e metaboliche degli osteoclasti (le cellule che degradano il tessuto osseo). Molto importante, come misura di supporto alla terapia farmacologica, sono un’adeguata attività fisica e un’alimentazione equilibrata.

Leggi anche: Classifica dei cibi e bevande con maggior quantità di calcio esistenti

Prodotti consigliati

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere di ossa, legamenti, cartilagini e tendini e la cura dei dolori articolari:

Per approfondire: Cos’è la mineralometria ossea computerizzata (MOC), a cosa serve, come si interpretano i risultati?

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Emorroidi interne ed esterne: rimedi, pressione alta, gravidanza e chirurgia

MEDICINA ONLINE EMORROIDI INTERNE ESTERNE PROLASSO ANO RETTO FECI CILINDRO FECALE SANGUE ANALE COLON PROCTOLOGO DEFECARE EVACUARE PONZAMENTO DOLORE BRUCIORE CACCA MELENA.Le emorroidi (dal greco haîma , “sangue”, e rhéó, “scorrere”) sono strutture vascolari del canale anale che giocano un importante ruolo nel mantenimento della continenza fecale. Diventano patologiche quando sono gonfie o infiammate, causando una sindrome nota come malattia emorroidaria, alla quale spesso ci si riferisce, nel linguaggio comune e anche nella divulgazione, sempre con il medesimo termine di emorroidi.

Le emorroidi patologiche sono un problema che nella pratica clinica viene facilmente frainteso sia dai medici sia dai pazienti. Questi ultimi tendono a confonderlo facilmente con una varietà di altri problemi della regione anorettale, che vanno dal prurito anale, alle ragadi anali, alle fistole ano-rettali, al cancro del retto, alla presenza di vermi intestinali, alle cisti pilonidali o alle cisti sebacee ascessualizzate perianali. Non va dimenticato che le emorroidi sono una componente anatomica umana assolutamente normale. Queste strutture nel loro stato fisiologico agiscono come cuscini composti da strutture artero-venose anastomizzate e da tessuto connettivo con un alto contenuto di fibre elastiche e collagene.

Circa metà delle persone possono andare incontro a problemi con le emorroidi a un certo punto della loro vita. La prognosi è generalmente buona. Le emorroidi costituiscono la patologia anale più frequente, tanto che si stima colpiscano almeno una volta nella vita circa il 90% della popolazione; si stima colpisca almeno una volta nella vita la quasi totalità della popolazione. Secondo altre fonti oltre 3 milioni di italiani (il 40% della popolazione adulta) soffre di emorroidi. Le emorroidi insorgono prevalentemente tra i 45 ed i 65 anni e tendono ad aggravarsi con il passare del tempo. All’origine della patologia vi sono anche fattori predisponenti come la familiarità, lo stile di vita e le abitudini alimentari. Il problema si manifesta con uguale frequenza nei due sessi anche se nelle donne occorre considerare i possibili rischi legati alla gravidanza.

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Cause e fattori di rischio

La causa esatta delle emorroidi sintomatiche è sconosciuta. Si ritiene che vi siano un certo numero di fattori di rischio che possono favorirne la comparsa, tra cui: mancanza di esercizio fisico, fattori nutrizionali (una dieta povera di fibre), un aumento della pressione intra-addominale (sforzo prolungato, ascite, presenza di una massa intra-addominale o di una gravidanza), la genetica, l’assenza di valvole all’interno delle vene emorroidarie e l’invecchiamento. Altri fattori che si ritiene possano aumentare il rischio sono l’obesità, una prolungata posizione seduta, tosse cronica e disfunzione del pavimento pelvico. Per anni è stato ritenuto che la stipsi associata alla defecazione di feci dure (con conseguente aumento della forza di taglio sui cuscinetti anali) fosse un fattore importante per lo sviluppo di questo disturbo, ma molte osservazioni anche recenti tendono a limitare la validità di questa relazione. Molti studi non hanno provato in modo incontrovertibile un’associazione significativa tra emorroidi e stipsi, mentre sembra che anche altre alterazioni del ritmo intestinale, come per esempio la diarrea, possano essere un fattore di rischio per lo sviluppo di emorroidi. In generale le prove dell’esistenza di queste correlazioni sono piuttosto scarse. Durante la gravidanza, la pressione del feto sul ventre e i cambiamenti ormonali causano l’ingrandimento dei vasi emorroidari. Ciò porta anche a un aumento delle pressioni intra-addominali. Il trattamento chirurgico si rende raramente necessario nelle donne in stato di gravidanza, i sintomi si risolvono solitamente dopo il parto. Un’ulteriore causa possono essere gli sport effettuati in posizione seduta, soprattutto in presenza di vibrazioni o scotimenti, come il ciclismo, il motociclismo e l’equitazione, e altri come il sollevamento pesi in cui vi è una forte pressione endoaddominale.

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Sintomi e segni

Le emorroidi interne ed esterne possono presentarsi in modo diverso. Tuttavia, molte persone possono avere una combinazione delle due. Un sanguinamento abbastanza significativo da causare anemia è raro, un’emorragia tale da mettere in pericolo di vita è ancora più raro. Molte persone si sentono in imbarazzo riguardo alla condizione e, spesso, cercano cure mediche solo quando la situazione è ormai in uno stadio avanzato. Se non trombotiche, le emorroidi esterne possono causare un lieve problema. Tuttavia, quando vi è una trombosi, esse possono essere molto dolorose con risoluzione che si ha in genere in più di 2 o 3 giorni. Il gonfiore può richiedere un paio di settimane per scomparire, e dopo la guarigione un’escrescenza di pelle può rimanere. Se sono di grandi dimensioni e provocano problemi con l’igiene, possono causare irritazione della pelle circostante e prurito intorno all’ano. Le emorroidi interne, solitamente, si presentano indolori, di colore rosso vivo e con sanguinamento rettale che si verifica durante i movimenti intestinali: una condizione nota come ematochezia. Le feci, solitamente, si presentano di un colore normale. Altri sintomi possono includere scarico delle mucose, una massa perianale se vi è prolasso attraverso l’ano, prurito e incontinenza fecale. Le emorroidi interne sono solitamente dolorose solo se diventano trombotiche o necrotiche. I sintomi di emorroidi patologiche dipendono dalla localizzazione. Le emorroidi interne di solito si presentano indolori e con sanguinamento rettale, mentre le emorroidi esterne possono produrre alcuni sintomi e forte dolore se si verifica trombosi e gonfiore nella zona dell’ano. Mentre la causa esatta non è nota, una serie di fattori che aumentano la pressione intra-addominale, in particolare la costipazione, si ritiene rivestano un ruolo nel loro sviluppo.

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Diagnosi

La diagnosi di malattia emorroidaria si formula tipicamente grazie a una visita medica. Un esame visivo dell’ano e della zona circostante può essere in grado di diagnosticare le emorroidi esterne o un prolasso. Un esame rettale può essere effettuato per individuare eventuali tumori del retto, polipi, un’ipertrofia prostatica o la presenza di un ascesso. Questo esame può non essere possibile senza un’adeguata sedazione a causa del dolore, anche se la maggior parte delle emorroidi interne non appaiono dolorose. La conferma visiva delle emorroidi interne può richiedere un anoscopio, uno strumento dotato di un tubo cavo con una luce posta a un’estremità. Vi sono due tipi di emorroidi, interne ed esterne, che si differenziano per via della loro posizione rispetto alla linea pectinea. Alcuni pazienti possono presentare contemporaneamente forme sintomatiche di entrambe. Se il dolore è presente, la condizione più probabile è che vi sia una ragade anale o delle emorroidi esterne piuttosto che emorroidi interne. Le emorroidi interne sono quelle che hanno origine al di sopra della linea dentata.[48] Sono ricoperte da epitelio colonnare che è privo di recettori del dolore. A partire dal 1985, esse vengono classificate in quattro categorie, differenziate in base al grado di prolasso:

  • Grado I: Solo interne, non c’è prolasso. Possono sanguinare ma, generalmente, non provocano dolore.
  • Grado II: Aumento di volume, tendono a prolassare. Si riducono e rientrano spontaneamente.
  • Grado III: Prolasso spontaneo all’esterno. Richiede riduzione manuale.
  • Grado IV: Prolasso stabile all’esterno che non può essere ridotto manualmente.

Le emorroidi esterne sono quelle che si verificano al di sotto della linea dentata. Esse sono coperte prossimalmente da derma dell’ano e distalmente dalla pelle, entrambe le quali, sono sensibili sia al dolore sia alla temperatura.

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Diagnosi differenziale

Molti problemi ano-rettali, tra cui ragadi, fistole, ascessi, cancro del colon-retto, varici rettali e prurito, hanno sintomi simili e possono essere erroneamente scambiati per emorroidi sintomatiche. Il sanguinamento rettale può verificarsi anche a causa della presenza di un cancro del colon-retto, delle coliti tra cui alcune malattie infiammatorie croniche intestinali, della malattia diverticolare e dell’angiodisplasia. Se si riscontra anemia, devono essere considerate altre possibili cause. Altre condizioni che possono portare alla formazione di una massa anale, comprendono: alterazioni della cute, verruche anali, prolasso rettale, polipi e papille anali allargate. Varici anorettali causate da un aumento della pressione del sangue nel sistema venoso portale possono presentarsi simili a emorroidi.

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Complicanze

Se le emorroidi patologiche vengono trascurate e non s’instaura un adeguato trattamento medico, possono dare luogo a conseguenze più gravi fino allo sviluppo di complicanze, come ad esempio la trombosi emorroidaria, l’anemia dovuta alle ripetute emorragie, i processi flebitici e lo sviluppo di ragadi anali. Non esiste un rapporto diretto tra emorroidi sintomatiche e patologia neoplastica.

Trattamento

Il trattamento iniziale per la malattia, da lieve a moderata, consiste nell’aumentare l’assunzione di fibre e di liquidi per mantenere l’idratazione. I FANS possono, temporaneamente, essere utilizzati per lenire il dolore, ma così come il riposo trattano unicamente i sintomi, e la successiva scomparsa dei fastidi non deve essere interpretata come guarigione. Un certo numero di interventi minori possono essere eseguiti se i sintomi sono gravi o non migliorano con il trattamento conservativo. In ogni caso, poiché le emorroidi non trattate possono frequentemente peggiorare, è sempre opportuna una precisa diagnosi da effettuarsi mediante esame visivo. La chirurgia è riservata a coloro che non riescono a migliorare seguendo queste misure.

Trattamento conservativo

Il trattamento conservativo consiste tipicamente nell’aumentare l’assunzione di fibre alimentari e di fluidi per mantenere l’idratazione, di assumere anti-infiammatori non steroidei (FANS) e, in aggiunta, viene consigliato il riposo. L’assunzione maggiore di fibre ha dimostrato di migliorare i risultati e può essere ottenuta con una modifica della dieta o grazie al consumo di integratori alimentari. Mentre molti agenti topici e supposte sono disponibili per il trattamento delle emorroidi, vi sono poche prove per sostenere il loro uso. Preparati contenenti steroidi non devono essere usati per più di due settimane in quanto possono causare assottigliamento della pelle. La maggior parte degli agenti comprendono una combinazione di principi attivi. Questi possono includere una crema come vaselina oppure ossido di zinco, un analgesico come la lidocaina e un vasocostrittore come l’adrenalina. Possibile anche l’impiego di preparazioni contenenti dobesilato o mesalazina. I flavonoidi sono di discutibile beneficio con potenziali effetti collaterali. In caso di gravidanza i sintomi, solitamente, si risolvono dopo il parto e quindi il trattamento viene ritardato fino a quel momento per determinare se è ancora necessario.
Anche la medicina tradizionale cinese propone il ricorso a una varietà di erbe per il trattamento del sanguinamento emorroidale. Tuttavia una recente “review” comprendente 9 studi effettuati su 1.822 pazienti non ha fornito una sufficiente evidenza dell’efficacia di un simile approccio. Alcune di queste erbe (Radix Sanguisorbae, Radix Rehmanniae, Fructus Sophorae, Radix Angelicae Sinensis, Radix Scutellariae e altre) potrebbero avere una qualche efficacia nell’attenuare alcuni sintomi causati dal disturbo.

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Procedure ambulatoriali

Un certo numero di procedure ambulatoriali possono essere praticate. Generalmente sono considerate sicure, ma molto raramente possono verificarsi effetti collaterali gravi, come sepsi perianale.

  • La legatura elastica è generalmente il trattamento di prima linea raccomandato nei pazienti che presentano un grado tra 1º e 3º della malattia. Si tratta di una procedura in cui vengono applicati elastici sulle emorroidi interne, almeno 1 cm al di sopra della linea pectinea, con lo scopo di interrompere la perfusione sanguigna. Entro 5-7 giorni, le emorroidi cadono. Se la banda è posizionata troppo vicino alla linea pectinea, si ha un forte dolore subito dopo l’applicazione. Il tasso di successo dell’intervento è stimato intorno all’87% mentre le complicanze avvengono nel 3% dei casi.
  • La scleroterapia comporta l’iniezione nelle emorroidi di un agente sclerosante, come il fenolo. Ciò comporta che le pareti delle vene collassino e che le emorroidi raggrinziscano. Il tasso di successo, a quattro anni dopo il trattamento, è di circa il 70%.
  • La crioterapia selettiva è una metodica ambulatoriale che coniuga la legatura elastica del nodulo emorroidario con la crioterapia. In questo modo, utilizzando una adeguata apparecchiatura a controllo digitale delle temperature, alla punta dello strumento si induce una necrosi guidata e circoscritta che nell’arco di circa 10 giorni porta alla colliquazione del nodulo trattato e alla guarigione del nodulo stesso, senza il rischio di ledere la parete del retto, provocando cicatrici stenosanti o lesioni al muscolo dello sfintere.
  • Alcune tecniche di cauterizzazione hanno dimostrato di essere efficaci per le emorroidi, ma sono generalmente utilizzate solo quando altri metodi falliscono. Questa procedura può essere effettuata utilizzando l’elettrocauterizzazione, la radiazione infrarossa, la chirurgia laser. La cauterizzazione all’infrarosso può essere un’opzione per il grado 1º o 2º della malattia. Nei pazienti con grado 3º o 4º della malattia, i tassi di recidiva sono piuttosto importanti.

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Trattamento chirurgico

Vi sono diverse tecniche chirurgiche che possono essere utilizzate quando la gestione conservativa e le procedure ambulatoriali non sortiscono effetti. Tutte sono associate a un certo grado di complicanze, tra cui: sanguinamento, infezione, stenosi anale e ritenzione urinaria causata dalla vicinanza al retto dei nervi che servono la vescica. Vi può essere anche un leggero rischio di creare incontinenza fecale, con tassi riportati che variano tra lo 0 e il 28%.

  • L’emorroidectomia escissionale è l’asportazione chirurgica delle emorroidi, ed è utilizzata principalmente solo nei casi più gravi. È associata a un significativo dolore post-operatorio e solitamente richiede da 2 a 4 settimane per il recupero. Tuttavia, vi è un maggior beneficio a lungo termine rispetto alla legatura elastica nei pazienti con emorroidi di grado 3º. È il trattamento consigliato nei pazienti con emorroidi esterne trombotiche, se effettuato entro 24-72 ore.
  • Dearterializzazione emorroidaria transanale (metodo THD, acronimo derivante dall’inglese transanal hemorrhoidal dearterialization) Doppler guidata: è un trattamento minimamente invasivo che si avvale dell’ausilio di una sonda Doppler per individuare con precisione l’afflusso di sangue arterioso ai cuscinetti emorroidari. I rami terminali delle arterie emorroidarie vengono quindi legati e il tessuto prolassato viene ricollocato nella sua posizione naturale. Studi scientifici dimostrano che il metodo THD Doppler ha la stessa efficacia dell’emorroidectomia tradizionale anche per i gradi più avanzati, un tasso di recidive simile e una percentuale di complicanze postoperatorie inferiori rispetto a quest’ultima.
  • Prolassectomia con emorroidopessi (stapled hemorrhoidopexy), nota anche come emorroidopessi con suturatrice meccanica, è una procedura chirurgica utilizzata in particolare per il trattamento di emorroidi di 2º o 3º grado. L’intervento non comporta la rimozione di tessuto emorroidario, ma piuttosto del tessuto di sostegno lasso, allentato e anormalmente espanso che ha permesso alle emorroidi di prolassare verso il basso. Asportato il tessuto in eccesso i cuscinetti emorroidari e il tessuto rimanente sono tirati indietro fino nella loro corretta posizione all’interno del canale anale. Una suturatrice circolare fissa la posizione. L’intervento è generalmente meno doloroso ed è associato a una guarigione più rapida rispetto alla completa rimozione delle emorroidi. Tuttavia, la possibilità di recidiva di emorroidi sintomatiche è maggiore rispetto ad altri interventi ed è per questo motivo che non è consigliata per il grado 4º della malattia. L’intervento di resezione può essere eseguito per via transanale e non richiede incisioni esterne, pertanto non lascia cicatrici visibili. In caso di emorroidi di grado 3º avanzato o grado 4º è necessario ricorrere alla procedura di Longo, descritta per la prima volta nel 1993 dal chirurgo italiano Antonio Longo e rapidamente adottata in tutta Europa. Evitando l’insulto chirurgico sulla zona perianale sensibile, si ha l’indiscutibile vantaggio di ridurre notevolmente il dolore post operatorio del paziente.
  • Dearterializzazione emorroidaria Doppler-guidata con laser (tecnica HeLP – Hemorrhoidal Laser Procedure): l’intervento viene eseguito senza alcun tipo di anestesia (solo lieve sedazione) e consiste nella chiusura, attraverso l’utilizzo di un laser a diodi da 980 nm di lunghezza d’onda, delle arteriole che irrorano direttamente il plesso venoso emorroidario, che va quindi incontro a una progressiva riduzione di volume delle vene emorroidarie responsabili della malattia con loro successiva chiusura. La completa obliterazione delle vene emorroidarie avviene in un arco di tempo variabile dai 30 ai 45 giorni. Vengono chiusi tutti e 12 i rami responsabili dell’afflusso ematico alle emorroidi senza rischi per la parete dell’intestino in quanto la loro funzione è solo quella di trasportare il sangue ai plessi venosi emorroidari.

Trattamento post-chirurgico

Gli interventi chirurgici per patologie ano-rettali sono spesso gravati da un’alta incidenza di effetti collaterali e pertanto risulta di fondamentale importanza assicurare ai pazienti operati un adeguato follow-up al fine di prevenire probabili complicanze, quali la mancata riparazione dei tessuti e le sovrainfezioni. L’utilizzo di una soluzione salsobromoiodica (fertomcidina U) nel post-operatorio proctologico si è dimostrata efficace e sicura nella riduzione del dolore postoperatorio, nella più rapida cicatrizzazione delle ferite chirurgiche e nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti.

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Prevenzione

Un certo numero di misure preventive vengono raccomandate, tra cui evitare la stitichezza e diarrea attraverso una dieta ricca di fibre, l’assunzione di molti fluidi e l’esercizio fisico. Inoltre viene consigliato di evitare sforzi nel tentativo di defecare, di diminuire il peso in coloro che sono in sovrappeso e di evitare il sollevamento di carichi pesanti.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Colesterolo alto: come abbassarlo con i “cibi SI”e tenerlo sotto controllo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO HAMBURGER PATATINE FRITTE PATATE PANINO FAST FOOD JUNK FOOD FRITTI DIETA DIMAGRIRE GRASSI (4)Molti sono i fattori che possono incidere sulla quantità di colesterolo nel sangue: l’età, il sesso, la mancanza di attività fisica, il fumo, lo stato di salute generale e per le donne la menopausa. Gli alimenti hanno un ruolo molto importante per mantenere sano il cuore, si parla di quelli da consumare con parsimonia, dal burro alla carne rossa, ma poco si sa degli alimenti da inserire nella dieta di tutti i giorni per prevenire l’innalzamento dei valori del colesterolo. Vediamo qui di seguito le virtù e i difetti dei principali alimenti.

I “Cibi Sì”

I legumi

Sono l’alimento vegetale più ricco di proteine, anche se il loro apporto proteico non è paragonabile a quello della carne o del pesce. Tuttavia il loro abbinamento con i cereali (grano, orzo, avena e riso…) ne valorizza e completa il quadro proteico, come dimostra la tradizione dei popoli del mondo: in oriente riso e soia o azuki, mais e fagioli rossi in Messico, pasta e fagioli in Italia.

Come consumarli

Sia allo stato fresco che allo stato secco. Ovviamente i legumi freschi, rispetto a quelli secchi, hanno una percentuale di acqua molto superiore (dal 60 al 90% contro il 10-13%) e quindi a parità di peso hanno un contenuto inferiore a livello proteico, glucidico e calorico. Quando sono freschi dunque non si differenziano di molto dalle verdure fresche. Molto più interessanti per il loro valore nutrizionale si rivelano invece i legumi secchi, ricchi di proteine, carboidrati e sali minerali (calcio, fosforo) ma anche di ferro, zinco, magnesio e piccole quantità di vitamine B1,B2, PP, A, E. Oltre ad essere un alimento con molte proprietà nutrizionali, i legumi sono sempre più presi in considerazione dai nutrizionisti per le qualità extranutrizionali. Grazie alla presenza di particolari fibre (come le pectine) sono sicuramente uno dei migliori alleati naturali per diminuire i livelli di colesterolo nel sangue. Inoltre, questi preziosi semi contengono particolari sostanze come le saponine, che legano il colesterolo e ne facilitano l’eliminazione, impedendone in questo modo l’assorbimento.

Come evitare alcuni possibili inconvenienti

Come è stato già detto, è importante abituare l’intestino ai legumi gradatamente, in modo tale da far crescere i nuovi enzimi in grado di compiere il delicato lavoro di digestione. Si possono inizialmente usare legumi decorticati, come le lenticchie rosse, che non hanno la fibra esterna ricca di zuccheri indigesti. Queste si possono usare per preparare delle zuppe a base di verdure e patate che hanno una funzione addensante. Successivamente e gradatamente si possono aggiungere i legumi con il rivestimento esterno, come ceci o fagioli in una minestra oppure ad un’insalata di riso o di verdure, per poi passare a veri e propri secondi piatti.

La cottura dei legumi secchi

Regola di fondamentale importanza per ottenere un buon risultato è quella di mettere i legumi a bagno in acqua fredda per qualche ora o addirittura tutta la notte (vedi tabella) perché questi semi, oltre che di proteine, sono ricchi anche di amidi, che se non hanno assorbito acqua a sufficienza, rischiano di compromettere la buona cottura dei legumi che rimarranno duri. Durante l’ammollo è meglio cambiare spesso l’acqua perché in acqua si perdono delle sostanze che ostacolano l’assorbimento di alcuni sali minerali come il ferro. Un buon risultato è garantito oltre che da un adeguato tempo di ammollo, anche da una cottura lenta e graduale. È consigliabile poi aggiungere all’acqua fredda di cottura, erbe aromatiche come salvia, rosmarino, timo, alloro, che oltre ad apportare sostanze antiossidanti e sali minerali, aiutano a digerire meglio i legumi ed a ridurre la comparsa di fastidiosi gas intestinali. Per rendere i legumi morbidi aggiungere il sale verso la fine della cottura. Attenzione poi all’età dei legumi: se troppo vecchi non arriveranno mai a reidratarsi nel modo giusto per quanto bicarbonato si aggiunga in cottura o in ammollo.

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Gli omega-3, amici del cuore e non solo

Non tutti i grassi sono nemici della salute, quelli contenuti nel pesce ne sono un chiaro esempio. Il pesce contiene grassi di qualità superiore (omega-3) e anche in minor quantità rispetto agli altri prodotti di origine animale. Basta pensare che i grassi contenuti in 100 g di mozzarella, sono uguali a quelli di 6,50 Kg di merluzzo. Numerosi studi confermano il ruolo positivo del pesce nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, e nel controllo del livello di colesterolo e trigliceridi nel sangue. Infatti i grassi contenuti nel pesce hanno un alto potere antinfiammatorio, favoriscono la fluidificazione del sangue, abbassano il tasso dei trigliceridi nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica e sono dei buoni antiaritmici. Il pesce più ricco di omega-3 è quello azzurro, quello che vive nei paesi freddi e quello selvatico (es. alici, sarde, sgombri). Gli acidi grassi omega-3 sono presenti solo in pochi organismi vegetali: oltre che nelle alghe si trovano anche nei semi di lino, nella soia, nelle noci e in diverse erbe selvatiche. Il pesce si è rilevato, inoltre, un valido alleato per chi ha difficoltà a mantenere il peso forma: è un alimento poco calorico rispetto alle altre fonti proteiche, come evidenziato da questi esempi:

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Contrariamente a quello che si crede, il pesce (soprattutto quello di mare) ha lo stesso valore proteico della carne bovina, in quanto contiene le stesse quantità di aminoacidi essenziali, quelli che il nostro organismo non riesce a sintetizzare, ma ricava solo attraverso la dieta. Le fibre del pesce contengono più acqua e meno tessuto connettivo rispetto alla carne, rendendolo così un alimento molto digeribile, adatto a tutti, dagli anziani ai bambini.

Come cucinare il pesce

Per i motivi appena spiegati, il pesce dovrebbe avere un posto di primo piano nella nostra dieta ed essere presente da due a tre pasti ogni settimana. La scarsa informazione sul valore nutrizionale e l’idea molto diffusa, a torto, che il pesce sia difficile da cucinare fanno sì che questo alimento sia poco consumato dagli italiani. Per valorizzare al meglio le proprietà dietetiche del pesce e soprattutto la sua digeribilità, è meglio utilizzare tecniche di cottura leggere e condimenti con pochi grassi. Con il caldo estivo è da preferire la cottura alla griglia, veloce, pratica e nello stesso tempo leggera. Altrettanto sane e gustose sono le cotture al cartoccio, al forno ed alla crosta di sale, che sfruttano il normale contenuto di grassi del pesce e che sono poco impegnative e rapide. La bollitura, altra tecnica di cottura usata per preparare il pesce, è da preferire per le zuppe, perché diversamente si rischia di perdere in acqua importanti nutrienti. La frittura, senza dubbio saporita, rende il pesce molto più calorico e poco digeribile, ed è consigliabile solo occasionalmente.

I Cibi “No”

Burro e Margarina

Burro e margarina sono due prodotti che spesso vengono messi sotto accusa, soprattutto quando si parla di patologie del cuore. Per mantenere il cuore sano, tutti i nutrizionisti sono d’accordo nel dire che è meglio cucinare e condire con l’olio extravergine d’oliva, piuttosto che con i grassi solidi. Bisogna essere morigerati e usarne il meno possibile, ma questo non significa rinunciare ad una fetta di dolce natalizio, ad una cena al ristorante o ancora ad un momento di festa. In piccole quantità, soprattutto a crudo, il burro può completare un piatto e renderlo molto saporito. Questo condimento, che nasce dalla panna, contiene meno calorie dell’olio a parità di peso, ma al contrario di questo è ricco di grassi animali e di colesterolo. La margarina, considerata un’alternativa al burro, può essere a base di grassi idrogenati, ottenuti da oli liquidi che con l’aggiunta di atomi di idrogeno si trasformano in sostanze solide, o non idrogenati, ottenuti separando la parte satura (più dannosa) da quella insatura (parte buona) di una sostanza grassa. È consigliabile evitare quanto più possibile gli alimenti che contengono grassi idrogenati e non idrogenati, accertandone la presenza in biscotti, dolci, merendine, prodotti da forno confezionati, gelati. Tra la margarina ed il burro, è meglio scegliere il burro, da utilizzare comunque in piccole quantità.

Grassi vegetali

Con il termine grassi si identificano quelle sostanze che a temperatura ambiente si trovano allo stato solido e che sono ricchi di acidi grassi saturi (dannosi). Questi ultimi sono anche noti come grassi animali (contenuti in carne, latte, formaggio…), purtroppo non si trovano solo in questi cibi, ma anche in prodotti da forno confezionati quali merendine, biscotti, snack salati, etc. Sulle etichette di molti prodotti si trova spesso riportata la scritta “grassi vegetali” (in genere olio di cocco e di palma). La scritta “vegetale” può trarre in inganno, perché ci fa pensare a qualcosa di leggero. Questi, soprattutto l’olio di cocco, contengono una quantità di grassi saturi superiore a qualsiasi altro grasso animale, in grado anch’essi di contribuire ad innalzare il colesterolo pur essendo d’origine vegetale. Quindi non sempre ciò che è vegetale è sano e non tutto ciò che è animale è sempre dannoso (es. pesce).

Il sale

Il consumo quotidiano consigliato si aggira intorno ai 2-3 grammi, mentre nella pratica comune si arriva a consumarne anche 6 grammi; basti pensare non solo al sale che aggiungiamo al cibo, ma anche e soprattutto a quello che si trova negli alimenti conservati, nei formaggi soprattutto se salati e negli insaccati. Oltre che alla quantità bisogna anche considerare la qualità: non tutto il sale è uguale. C’è una grande differenza tra quello che può essere il sale marino integrale rispetto al comune sale da cucina raffinato. Il sale che compare più spesso sulle nostre tavole è quello raffinato, cioè privato del magnesio, dello iodio e dei moltissimi oligoelementi necessari al nostro organismo. In questo caso ci troviamo di fronte a percentuali altissime di cloruro di sodio (anche il 96%), come il Salgemma, a cui vengono poi aggiunte sostanze contro l’umidità e la formazione di grumi. Anche il processo di essiccazione riveste la sua importanza. Per abbreviare i tempi di lavorazione molti produttori di sale marino integrale, essiccano i loro prodotti in forni speciali, dove il sale può essere sottoposto fino a temperature di 1200°C; in questo caso il cloro evapora e si crea un disequilibrio tra i vari elementi. Per garantire tutte le sue proprietà il sale dovrebbe essere essiccato per alcuni mesi in ambienti areati, dal clima caldo e secco. Un buon sale marino integrale, che presenta tutte queste caratteristiche lo si può tranquillamente trovare nei negozi di alimenti naturali. Anche se usiamo del sale di buona qualità, la regola non cambia: bisogna cercare di usarne poco, in quanto un consumo eccessivo di sale può favorire l’insorgenza di diversi disturbi come l’ipertensione arteriosa, disturbi renali, perdita di calcio (osteoporosi) e maggior rischio di tumore allo stomaco.

Come fare per usarne poco

Occorre ricordare che l’uso del sale può essere sostituito dalla presenza di spezie ed erbe aromatiche, che apportano sapore e gusto pur essendo meno pericolose per l’organismo. In commercio si possono trovare sotto diverse forme e preparati: intere: sono le migliori perché mantengono sicuramente il loro aroma per molto tempo, a patto naturalmente che vengano ben conservate; in polvere: possono essere interessanti dal punto di vista della praticità, ma purtroppo il loro aroma tende ad essere disperso più facilmente; estratti: si rischia però di trovare in questi preparati aromi di sintesi e non estratti naturali. Se tenute con cura non irrancidiscono facilmente e non perdono rapidamente né il loro aroma nè tanto meno il sapore. Questi tipi di aromi non sono da confondersi con l’uso di preparati per gli arrosti o per il pesce, in cui è stata aggiunta una certa quantità di sale nella loro composizione. Inoltre, è da ricordare che, riducendo il sale, gradatamente ci si abituerà a consumarne meno. Attenzione anche al dado da cucina, sicuramente molto pratico, ma spesso ricco di sale e grassi. Naturalmente occorre accostare ad ogni alimento la sua spezia o erba aromatica, ma in questo non esistono regole precise, perché molto dipende dal gusto personale. Qui di seguito vengono dati alcuni esempi di accostamento.

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FONTE DI QUESTO ARTICOLO: https://www.fondazioneserono.org/oncologia/consigli-alimentazione-malati-tumore/alimenti-anti-tumore/come-tenere-sotto-controllo-il-colesterolo/

I migliori prodotti per abbassare il colesterolo e dimagrire

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, che sono estremamente utili per abbassare il colesterolo e dimagrire, fattori che diminuiscono il rischio di ipertensione, ictus cerebrale ed infarto del miocardio:

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