Prostata: anatomia, dimensioni, posizione e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PROSTATA ANATOMIA POSIZIONE FUNZIONI SIN Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa prostata (in inglese “prostate“) o ghiandola prostatica è una ghiandola che fa parte esclusivamente dell’apparato genitale maschile. Posta al di sotto della vescica ed alla base del pene, la sua funzione principale è quella di produrre ed emettere il liquido prostatico, uno dei costituenti dello sperma, che contiene gli elementi necessari a nutrire e veicolare gli spermatozoi. La prostata differisce considerevolmente tra le varie specie di mammiferi, per le caratteristiche anatomiche, chimiche e fisiologiche. La prostata dell’uomo può essere palpata mediante esame rettale, essendo collocata circa 5 cm anteriormente al retto e all’ano.

Pronuncia corretta
La parola prostata va pronunciata con l’accento sulla “o”: pròstata. E’ quindi sbagliata la pronuncia “prostàta”.

Dimensioni della ghiandola prostatica
La prostata ha un diametro trasversale medio di 4 cm alla base, verticalmente è lunga 3 cm e antero-posteriormente circa 2 cm per un peso di 10-20 g nei soggetti normali, che tuttavia può aumentare di svariate volte in caso di IPB (ipertrofia prostatica benigna).

Uomo e donna
Il sesso femminile è sprovvisto di tale ghiandola, tuttavia le donne possiedono delle microscopiche ghiandole periuretrali, definite ghiandole di Skene, site nell’area prevaginale in prossimità dell’uretra, ghiandole che sono considerate l’omologo della prostata e, se infiammate, possono causare una sintomatologia simile alla prostatite (infiammazione della prostata). A tale proposito leggi anche: Prostatite batterica ed abatterica: cause e cure dell’infiammazione della prostata

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Anatomia della prostata
La prostata dell’uomo è una ghiandola fibromuscolare di forma variabile, nel soggetto normale è piramidale, simile ad una castagna, ma talvolta assume una forma a mezzaluna o in caso di ipertrofia a ciambella. Possiede una base, un apice, una faccia anteriore, una faccia posteriore e due facce infero-laterali. La base è appiattita e superiormente in rapporto con il collo della vescica, mentre l’apice è la porzione inferiore della ghiandola e segna il passaggio dalla porzione prostatica a quella membranosa dell’uretra. La faccia anteriore è convessa e collegata con la sinfisi pubica (che gli è anteriore) dai legamenti puboprostatici, ma la ghiandola ne è separata dal plesso venoso del Santorini, posto all’interno della fascia endopelvica, e da uno strato di tessuto connettivo fibroadiposo lassamente adeso alla ghiandola. Dalla faccia anteriore, antero-superiormente rispetto all’apice, e tra il terzo anteriore e quello intermedio della ghiandola, emerge l’uretra. Nella prostata la porzione anteriore è generalmente povera di tessuto ghiandolare e costituita perlopiù da tessuto fibromuscolare.
La faccia anteriore e le facce infero-laterali sono ricoperte rispettivamente dalla fascia endopelvica e dalla fascia prostatica laterale su entrambi i lati, che ne rappresenta la continuazione laterale e si continua poi posteriormente andando a costituire la fascia rettale laterale che ricopre le porzioni laterali del retto. Le facce infero-laterali sono in rapporto con il muscolo elevatore dell’ano e i muscoli laterali della pelvi, da cui sono separati da un sottile strato di tessuto connettivo.
La faccia posteriore della prostata è trasversalmente piatta o concava e convessa verticalmente ed è separata dal retto dalla fascia del Denonvilliers, anch’essa continua con le fasce prostatiche laterali, che vi aderisce nella porzione centrale mentre racchiude due fasci neurovascolari postero-lateralmente alla ghiandola. Posteriormente alla fascia del Denonvilliers la prostata è comunque separata dal retto dal tessuto adiposo prerettale contenuto nell’omonimo spazio fasciale.
Lo spazio delimitato dalla fascia del Denonvilliers ha come “soffitto” il peritoneo che ricopre la base della vescica. I due condotti eiaculatori entrano postero-medialmente alla faccia posteriore presso due depressioni e poco al di sotto di queste vi è un lieve solco mediano che originariamente divideva la prostata nei lobi laterali destro e sinistro. La prostata è composta anche da tessuto muscolare. Lo sfintere uretrale interno è costituito da fasci circolari di muscolatura liscia posti all’interno della ghiandola, presso la sua base, che si fondono con la muscolatura del collo della vescica. Davanti a questo strato del muscolo scheletrico discende e si fonde con lo sfintere uretrale esterno, posto attorno all’apice della prostata nella loggia perineale profonda.
Questa muscolatura è ancorata tramite fibre collagene agli strati fasciali attorno alla prostata che ne costituiscono la sua “capsula” e allo stesso tessuto fibromuscolare della prostata. Posteriormente alla prostata decorre il muscolo rettouretrale, che origina dalla parete del retto (strato longitudinale esterno) tramite due fasci muscolari che si uniscono per poi andarsi ad inserire nel centro tendineo del perineo. Il tessuto ghiandolare prostatico può essere diviso in tre zone cui si aggiunge, a completare l’organo, lo stroma fibromuscolare anteriore.

  • La zona transizionale è una zona rotondeggiante, costituisce appena il 5% del volume della ghiandola ed avvolge l’uretra preprostatica. È completamente interna alla ghiandola, anteriormente è ricoperta dallo stroma fibromuscolare anteriore, posteriormente è in rapporto con la zona centrale, lateralmente ed inferiormente con la zona periferica ed è appena anteriore ai condotti eiaculatori che si immettono nell’uretra prostatica.
  • La zona centrale è pensabile come un tronco di cono interno alla ghiandola, ne costituisce il 25% del volume. Anteriormente è in rapporto con la zona transizionale, posteriormente e lateralmente con la zona periferica. È attraversata per tutta la sua lunghezza dai condotti eiaculatori (che decorrono solo in questa porzione del tessuto ghiandolare della prostata) e il suo apice determina la sporgenza del verumontanum. In questa zona, appena sopra la zona transizionale e attorno all’uretra preprostatica vi sono ghiandole mucose semplici non assimilabili a quelle prostatiche volte alla produzione di liquido seminale.
  • La zona periferica è la porzione più grande del tessuto ghiandolare, anch’essa a tronco di cono o a coppa, ne costituisce il 70% del volume. Racchiude in parte l’uretra preprostatica e l’uretra prostatica, contiene la zona transizionale, è in rapporto anteriormente e medialmente con la zona centrale e anteriormente con lo stroma fibromuscolare anteriore.
    Lo stroma fibromuscolare anteriore costituisce gran parte della porzione anteriore (e della faccia anteriore) della prostata, racchiude la parete antero-superiore dell’uretra preprostatica (la posteriore è compresa nella zona centrale e transizionale, l’antero-inferiore nella transizionale). La sua forma è assimilabile ad un cuneo o ad un cono rovesciato.

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Arterie
La prostata è irrorata da rami delle arterie pudenda interna, vescicale inferiore e dall’arteria rettale mediale che sono rami dell’arteria iliaca interna. I rami delle arterie principali della prostata decorrono nel fascio neuromuscolare postero-laterale alla ghiandola e da lì vi si distribuiscono sulla faccia posteriore. L’arteria vescicale inferiore irrora generalmente con due rami il collo della vescica e la base della prostata, inviando anche rami anteriormente alla ghiandola. I vasi posteriori decorrono dietro la prostata emettendo rami che vi entrano perpendicolarmente.

Vene
Le vene si distribuiscono alla prostata mediante un plesso venoso anteriore (plesso del Santorini) e tramite vene che decorrono nel fascio neurovascolare postero-laterale alla ghiandola. Il plesso del Santorini è situato subito all’interno della fascia endopelvica, dietro la sinfisi pubica, e contiene le vene di maggior calibro in cui drena il sangue della prostata, mentre le vene dei fasci posteriori sono più piccole. Le vene prostatiche e vescicali anteriori drenano nel plesso vescicale che ha nella vena pudenda interna, e queste a loro volta nella vena iliaca interna.

Linfa
I vasi linfatici della prostata drenano nei linfonodi iliaci interni (vasi linfatici della faccia anteriore) ed esterni (vasi linfatici della faccia posteriore), sacrali ed otturatori.

Innervazione
La prostata è innervata dal plesso ipogastrico inferiore ed i suoi rami creano un ulteriore plesso arcuato sulla ghiandola. Buona parte dei nervi decorrono lungo i fasci neurovascolari postero-laterali accollati alla ghiandola. Lo sfintere uretrale esterno è molto innervato, così come la capsula, scarse invece le fibre nervose sulla faccia anteriore e ancora di più nella zona periferica. I nervi perforano la capsula e si distribuiscono nella tonaca muscolare, nello stroma e lungo le arterie. Lo sfintere vescicale esterno è innervato dal nervo pudendo che emette due rami che si dirigono postero-medialmente per innervare la giunzione prostatovescicale.

Funzioni della prostata
La prostata ha la principale funzione di produrre e secernere un liquido particolare, detto liquido prostatico, che al momento dell’eiaculazione si riversa nell’uretra, combinandosi ad altri secreti. L’insieme di tutte queste componenti dà origine al liquido seminale (anche chiamato sperma), che fuoriesce dal pene al culmine dell’atto sessuale (eiaculazione). La prostata produce il 70% della parte liquida dello sperma.
Gli spermatozoi, prodotti nei tubuli seminiferi dei testicoli, beneficiano del liquido prostatico, il quale serve per aumentarne sopravivenza e motilità. Lo sperma, o liquido seminale, contiene infatti numerosi componenti con funzione tampone (per neutralizzare l’ambiente acido della vagina), lubrificante e nutriente. Oltre alla prostata, partecipano alla formazione del liquido seminale altre ghiandole accessorie: le bulbo uretrali e le vescicole seminali, che producono il 30% della parte liquida dello sperma. Nel loro insieme le secrezioni prostatiche costituiscono circa il 99% del volume spermatico.
Oltre ad assicurare una maggiore vitalità ai circa 50-200 milioni di spermatozoi immessi nella vagina all’atto dell’eiaculazione, le secrezioni spermatiche proteggono l’apparato riproduttivo maschile dai patogeni. Esse contengono infatti immunoglobuline, lisozima ed altri composti con attività antibatterica.
Un particolare componente dello sperma è lo zinco; dal momento che questo minerale raggiunge concentrazioni importanti nel liquido prostatico, anche se mancano dati certi sul suo ruolo nella riproduzione, viene spesso aggiunto agli integratori dedicati alla salute dell’apparato riproduttivo maschile.

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Surfattante, compliance polmonare, alveoli, composizione e funzioni

MEDICINA ONLINE POLMONI LUNGS APPARATO RESPIRATORIO SISTEMA DIFFERENZA TRACHEA VIE AEREE SUPERIORI INFERIORI TRACHEA BRONCHI BRONCHILI TERMINALI ALVEOLI POLMONARI RAMIFICAZIONI LOBI ANATOMIA FUNZIONI.jpgIl surfattante polmonare è un complesso tensioattivo fosfolipoproteico (cioè composto da lipidi e, in minor misura, da proteine), secreto dalle cellule alveolari (pneumociti) di classe II. Le proteine ed i lipidi che compongono il surfactante presentano sia una regione idrofila che una regione idrofoba. La componente lipidica principale del surfactante è la dipalmitoilfosfatidilcolina(DPPC), una molecola in grado di ridurre la tensione superficiale ponendosi all’interfaccia aria-acqua a livello alveolare, con la componente idrofilica di testa rivolta verso l’acqua e la parte idrofoba della coda rivolta verso l’aria.

Funzioni

Il surfactante impedisce il collasso degli alveoli più piccoli e l’eccessiva espansione di quelli più grandi.

  • Aumenta la compliance polmonare (la capacità del polmone di variare il proprio volume quando viene applicata una determinata pressione).
  • Previene l’atelettasia (il collasso del polmone) alla fine dell’espirazione.
  • Facilita il reclutamento delle vie aeree collassate.

Gli alveoli possono essere paragonati a gas in acqua, in quanto umidi e circondati da uno spazio centrale aereo. La tensione superficiale (una particolare tensione meccanica che si sviluppa lungo la superficie di separazione, interfaccia, tra un fluido e l’aria) agisce sull’alveolo all’interfaccia aria-acqua e tende a rendere la bolla più piccola. Grazie alla sua azione il surfactante diminuisce la tensione superficiale all’interno degli alveoli con raggio minore e ne impedisce il collasso durante l’espirazione, in accordo con la relazione di Laplace (dove P è la pressione, T è la tensione superficiale e r è il raggio dell’alveolo. Come si vede dalla relazione al crescere di P cresce la tendenza dell’alveolo a collabire):

                                        P=2T/r

 

Compliance polmonare

La compliance indica la capacità di polmoni e torace di espandersi. La compliance polmonare è definita come la variazione di volume cui è soggetto il polmone per unità di variazione di pressione. Se si effettuano delle misurazioni del volume polmonare durante il gonfiaggio e lo sgonfiaggio controllato di un polmone normale, si può verificare che i volumi ottenuti durante lo sgonfiaggio superano quelli riscontrati in corso di gonfiaggio, per una data pressione. Questa differenza dei volumi di gonfiaggio-sgonfiaggio ad una data pressione è chiamata isteresi ed è dovuta alla tensione superficiale aria-acqua che si verifica all’inizio del gonfiaggio. Il surfactante polmonare diminuisce proprio la tensione superficiale alveolare, come è possibile verificare nei neonati prematuri affetti da sindrome da distress respiratorio infantile. Il valore normale della tensione superficiale dell’acqua è di 70 dine/cm (70 mN/m) e nei polmoni raggiunge il valore di 25 dine/cm (25 mN/m). In ogni caso, al termine dell’espirazione, le molecole di fosfolipidi del surfactante riducono la tensione superficiale a livelli bassissimi, prossimi allo zero. È grazie alla azione del surfactante polmonare, ed all’abbattimento della tensione superficiale da esso causato, che il polmone può essere gonfiato con relativa facilità, riducendosi così il lavoro respiratorio.

Regolazione della dimensione alveolare

Quando gli alveoli aumentano di dimensioni, il surfactante viene a distribuirsi su una superficie maggiore di liquido. Questa diluizione su un’area più vasta comporta un aumento della tensione superficiale che a sua volta determina un rallentamento nell’espansione degli alveoli. Questo meccanismo comporta che tutti gli alveoli polmonari tendano ad espandersi alla stessa velocità, poiché quelli che si espandono più rapidamente sono inevitabilmente sottoposti ad un forte aumento della tensione superficiale rallentando così la loro velocità di espansione. Similmente anche la velocità di contrazione degli alveoli diviene più regolare ed uniforme. Il surfactante riduce la tensione superficiale più facilmente quando il diametro alveolare è minore perché viene ad essere più concentrato.

Prevenzione dell’accumulo di fluidi

Le forze di tensione superficiale tendono ad attrarre fluidi dai capillari verso gli spazi alveolari. Il surfactante riduce l’accumulo di questi liquidi e mantiene le vie aeree asciutte, proprio perché viene a contrastare queste forze.

Immunità innata

La funzione immunitaria del surfactante viene attribuita principalmente a due proteine: SP-A e SP-D. Queste proteine possono legarsi agli zuccheri presenti sulla superficie dei patogeni e quindi causarne l’opsonizzazione facilitandone la fagocitosi. Il surfactante regola anche le risposte infiammatorie e interagisce con la risposta immune adattativa. La degradazione od inattivazione del surfactante può contribuire ad una maggiore suscettibilità alle infezioni ed alla infiammazione polmonare.

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Composizione

  • 40% Dipalmitoilfosfatidilcolina (DPPC);
  • 40% Altri fosfolipidi (PC);
  • 5% Proteine associate al surfactante (SP-A, B, C e D);
  • colesterolo;
  • tracce di altre sostanze.

Dipalmitoilfosfatidilcolina (DPPC)

Si tratta di un fosfolipide con due catene a 16 atomi di carbonio sature, ed un gruppo fosfato con un gruppo amminico quaternario attaccato. Il DPPC è la molecola dotata di più forte azione tensioattiva nella miscela di cui è composto il surfattante polmonare. La molecola si caratterizza anche per una capacità di compattazione superiore rispetto ad altri fosfolipidi, poiché la sua coda apolare è meno curva. Tuttavia, senza le altre sostanze presenti nella miscela del surfattante polmonare, la cinetica di adsorbimento di DPPC è molto lenta. Ciò avviene principalmente perché la temperatura della fase di transizione tra gel e cristalli liquidi di DPPC puro è di 41 °C, una temperatura decisamente superiore a quella del corpo umano.

Altri fosfolipidi

Le molecole di fosfatidilcolina rappresentano circa l’ 85% dei lipidi del surfactante e presentano catene di acidi saturi. Il fosfatidilglicerolo (PG) rappresenta circa l’ 11% dei lipidi del surfactante, ha catene di acidi grassi insaturi che fluidificano il monostrato lipidico all’interfaccia. Sono presenti anche lipidi neutri e colesterolo. I componenti di questi lipidi diffondono dal sangue verso le cellule alveolari di tipo II in cui sono assemblati e preparati per la secrezione in alcuni organelli secretori chiamati corpi lamellari.

Proteine

Le proteine costituiscono il restante 10% del surfactante. La metà circa di questo 10% sono proteine plasmatiche. La quota restante è costituito dalle apolipoproteine SP-A ( SFTPA1 ), B ( SFTPB ), C ( SFTPC ) e D ( SFTPD ) (la sigla SP sta per “proteina associata al surfactante”). Le apolipoproteine sono prodotte dalla secrezione delle cellule alveolari di tipo II. Queste proteine subiscono molte modificazioni e rimaneggiamenti, finendo nei corpi lamellari. Questi ultimi sono anelli concentrici di lipidi e proteine, di circa 1 µm in diametro.

  • SP-A e SP-D conferiscono immunità innata in quanto hanno domini di riconoscimento di carboidrati, i quali consentono loro di rivestire batteri e virus, promuovendone la fagocitosi da parte dei macrofagi. Si ritiene che SP-A sia anche coinvolta in un meccanismo di feedback negativo nel controllo della produzione di tensioattivo.
  • SP-B e SP-C sono proteine di membrana idrofobe che aumentano le proprietà tensioattive del surfactante. SP-B e SP-C sono necessarie per una corretta funzione biofisica del polmone. Gli esseri umani e gli animali che nascono con un deficit congenito di SP-B soffrono di insufficienza respiratoria intrattabile. Coloro che nascono privi di SP-C tendono a sviluppare una polmonite interstiziale progressiva.

Le proteine SP riducono la temperatura critica della fase di transizione della dipalmitoilfosfatidilcolina (DPPC) ad un valore inferiore ai 37 °C,migliorandone l’assorbimento e la velocità di diffusione all’interfaccia.

Dal 2012 negli Stati Uniti e successivamente anche in Europa è stato commercializzato il primo surfattante polmonare di origine sintetica e non animale.

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Sistema linfatico e linfonodi: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE LABORATORIO LYMPH NODE SYSTEM HUMAN CORPO UMANO SISTEMA LINFATICO LINFONODO LINFA CIRCOLAZIONE BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO.jpgIl sistema linfatico è un complesso sistema di drenaggio a una via che trasporta i fluidi dallo spazio interstiziale dei tessuti al torrente circolatorio presente in tutti i mammiferi. La sua principale funzione è il trasporto di proteine, liquidi e lipidi (specialmente per i vasi drenanti l’intestino) dall’interstizio al sistema circolatorio sanguigno, ma presenta anche ruoli di filtraggio e nella risposta immunitaria favorendo l’arrivo di antigeni agli organi linfoidi periferici per innescare i meccanismi immunitari. Non tutti gli organi sono drenati dal sistema linfatico. Il sistema nervoso centrale, ossa, midollo osseo, parte materna della placenta ed endomisio dei muscoli mancano di vasi linfatici, anche se sono provvisti di condotti prelinfatici in grado di drenare il liquido interstiziale ai linfonodi zonali. Cristallino, cornea, epidermide, cartilagine e tonaca intima delle arterie di grosso calibro mancano oltre che della vascolarizzazione linfatica anche di quella sanguigna.

Struttura del sistema linfatico

Il sistema linfatico è formato da una fitta rete di piccoli canali periferici, i capillari linfatici che, dopo aver raccolto la linfa dagli spazi intercellulari, la drenano in vasi di diametro maggiore, i collettori linfatici. I collettori, analogamente a quanto accade per le vene, confluiscono in vasi di calibro crescente per terminare in due grossi tronchi: il dotto linfatico destro, che raccoglie la linfa della porzione sopra-diaframmatica destra del corpo ed è tributario della vena succlavia destra, e il dotto toracico, cui giunge tutta la linfa delle regioni sotto-diaframmatiche più quella della parte sopra-diaframmatica sinistra, tributario della vena succlavia sinistra. Per il tramite delle succlavie, afferenti alla vena cava superiore, la circolazione linfatica termina immettendosi in quella ematica.

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Linfonodi

Il percorso dei collettori linfatici è interrotto dai linfonodi, strutture specifiche formate da tessuto linfoide aggregato in noduli, che possono essere unici o più spesso raggruppati in vere e proprie stazioni linfonodali o linfocentri. La sequenza di collettori e linfonodi costituisce le catene linfatiche che decorrono affiancate ai vasi sanguigni, cosa che peraltro ne agevola l’identificazione nel corso degli interventi chirurgici, da cui prendono il nome: catena linfatica dell’arteria gastrica, catena linfatica para-aortica, catena linfatica dell’arteria mammaria interna, catena linfatica dell’arteria mesenterica inferiore. I linfonodi, in quanto centri nodali della rete linfatica, rappresentano il punto d’arrivo dei collettori pre-nodali, provenienti anche da zone diverse, e di partenza dei collettori post-nodali, in numero minore rispetto a quelli afferenti, rivolti in varie direzioni. Ciò determina la caratteristica del sistema linfatico per cui un distretto anatomico o un determinato organo, avvolto in una fitta ragnatela di capillari, può drenare verso una o più catene linfatiche e ogni stazione linfonodale, a sua volta, può ricevere linfa anche da più organi o distretti anatomici.

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Funzioni dei linfonodi

La funzione primarie dei linfonodi è quella di filtrare la linfa proveniente dai tessuti per permettere la ricircolazione delle cellule dendritiche che hanno catturato l’antigene e degli antigeni stessi al loro interno. Linfociti, cellule dendritiche e antigeni una volta all’interno del linfonodo vengono indirizzati in specifici luoghi dove danno vita alla risposta immunitaria.

  • Ricircolazione dei linfociti. I linfociti si concentrano nei linfonodi perché attratti da una particolare specie di molecole, le chemochine. Le chemochine sono un particolare tipo di citochine atte ad attirare le cellule responsabili della risposta immunitaria nei giusti settori degli organi linfoidi per il loro sviluppo e attivazione. In particolare i linfociti T esprimono un recettore, il CCR7, capace di legare le chemochine CCL19 e CCL21 che vengono prodotte solo nelle aree T dei linfonodi consentendo solo a quel tipo di linfociti di arrivare in tali zone. Allo stesso modo il recettore CXCR5 dei linfociti B lega CXCL13, una chemochina prodotta solo dalle cellule dendritiche follicolari. La produzione di CXCL13 è attivata da un’altra citochina, che però non è una chemochina, la linfotossina.
  • Trasporto dell’antigene. Come descritto nel paragrafo precedente, la struttura del seno sottocapsulare, entro cui si riversa la linfa proveniente dai vasi afferenti, non consente il libero passaggio di molecole solubili, ma permette alle cellule di entrare in contatto o migrare nella regione sottostante. I virus e gli antigeni ad alto peso molecolare vengono fagocitati dai macrofagi presenti nel seno e presentati ai linfociti B della regione corticale. Gli antigeni a basso peso molecolare, invece, si impegnano nei condotti FRC per essere poi catturati dalle cellule dendritiche presenti nei condotti stessi. Gli antigeni fagocitati dalle cellule dendritiche direttamente nei tessuti raggiungono i linfonodi grazie all’espressione di un recettore per le chemochine, CCR7, che è specifico per le chemochine CCL19 e CCL21 prodotte nelle aree T dei linfonodi stessi.

Drenaggio linfatico della mammella

Un organo che si presta bene alla esemplificazione di questo concetto è la mammella che può drenare, oltre che verso il diaframma e la parete toracica, in particolare nei:

  • linfonodi posti medialmente alla ghiandola e che formano la catena dell’arteria mammaria interna, tributaria del linfocentro sopraclavicolare;
  • linfonodi della mammella contro-laterale;
  • linfonodi della catena linfatica ascellare che partendo dalla ghiandola si porta in alto verso il cavo omonimo. I linfonodi di questo linfocentro sono in media una trentina e sono distribuiti in sottogruppi variamente classificati. Un criterio è quello di identificarli in base alla loro posizione rispetto al muscolo piccolo pettorale (M.P.P.):
    • linfonodi dell’ascella inferiore o di I livello, posti lateralmente al bordo esterno del M.P.P;
    • linfonodi dell’ascella media o di II livello, posti tra il bordo mediale e quello laterale del M.P.P;
    • linfonodi dell’apice dell’ascella o di III livello, posti medialmente al margine interno del muscolo.

Numerose ricerche riguardanti la dinamica del drenaggio linfatico della mammella hanno dimostrato che la quasi totalità della linfa proveniente dalla ghiandola segue la via ascellare, mentre una parte minima intorno all’1-3% segue la via mammaria interna.

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Si può vivere senza bere acqua? Per quanto tempo?

Perdiamo una lattina di acqua ogni ora quanta acqua bere d'estate per evitare la disidratazioneL’acqua, insieme al cibo ed all’aria, è il bene più prezioso per l’uomo: il suo corpo, infatti, è composto per gran parte di acqua, che viene assunta durante la giornata tramite l’introduzione di liquidi con bevande e cibi; a tal proposito leggi anche: Quanti litri e percentuale di acqua sono presenti nel nostro corpo?

L’acqua è veramente importante per il corretto funzionamento del corpo, tanto che è importante l’assumerne almeno 1,5/2 litri al giorno, che possono salire fino al doppio o oltre in casi eccezionali, come ad esempio:

  • una sudorazione troppo intensa, tipica in estate e con elevata umidità;
  • una perdita elevata di liquidi a causa di varie condizioni e patologie (ad esempio diarrea/ vomito prolungati; ustioni importanti…)
  • durante attività fisiche intense e prolungate;
  • in individui con elevati % di massa magra e metabolismo basale (ad esempio nei body builder).

Ma quanto può resistere un uomo senza bere?
Una risposta esatta non esiste, perché dipende da una grande quantità di fattori, principalmente:

  • sesso del soggetto;
  • metabolismo basale;
  • età del soggetto;
  • la corporatura del soggetto;
  • stato di salute generale.

Vi fornisco alcuni esempi. A parità di temperatura, umidità e condizioni di salute generali:

  • un bambino appena nato resisterebbe per un terzo del tempo di un uomo adulto;
  • un ottantenne resisterebbe molto meno di un soggetto con la metà degli anni;
  • un body builder resisterebbe meno di un individuo con massa muscolare “normale”, dal momento che il suo metabolismo basale (e quindi il suo fabbisogno idrico giornaliero, valori che sono direttamente proporzionati) è più elevato del normale;
  • una donna ha potenzialmente la possibilità di resistere più a lungo di un maschio, perché ha un metabolismo basale mediamente più basse e tende ad avere maggiori risorse di liquidi a causa della superiore ritenzione idrica;
  • una donna incinta resiste meno senza bere rispetto ad una donna non in gravidanza;
  • un soggetto molto ansioso ha una resistenza alla disidratazione prolungata, minore di un soggetto calmo;
  • un atleta professionista di sport di resistenza (quindi che non possiede elevata massa muscolare, come avviene invece in atleti di sport di potenza) ha una resistenza alla disidratazione maggiore rispetto ad un individuo sedentario e ad un atleta di sport di potenza;
  • un fumatore ha una resistenza alla disidratazione minore rispetto ad un non fumatore;
  • un soggetto in salute resiste di più senza idratazione, piuttosto di uno che soffre di vomito, diarrea, diabete, cardiopatie ed ustioni gravi: la salute generale è importantissima per assicurare la più elevata resistenza possibile.

La resistenza dipende inoltre da vari fattori esterni, come il tipo di ambiente (e quindi temperatura ed umidità) in cui ci si trova: a parità di soggetto, nel deserto servirebbero quattro litri di acqua al giorno per una corretta idratazione, mentre a temperature miti ne basterebbero meno della metà. Il fabbisogno idrico giornaliero dipende anche fortemente dal tipo di attività che si compie: quando si dorme, per esempio, si riduce la perdita di liquidi, mentre quando si svolge un lavoro faticoso – effettuato magari sotto il sole estivo – può ovviamente far perdere una grandissima quantità acqua e minerali.

Leggi anche: Perdiamo una lattina di acqua ogni ora: quanta acqua bere d’estate per evitare la disidratazione?

In linea generale, con una temperatura ambientale attorno ai 15°C e senza sforzi eccessivi, un essere umano adulto di 40 anni in salute può resistere mediamente una settimana intera senza bere, purché si nutra almeno dei liquidi contenuti nei cibi freschi (specie frutta e verdura). A ogni modo, la disidratazione porta conseguenze in poco tempo, spesso anche gravi: senza acqua la volemia (cioè il nostro volume sanguigno circolante) diminuisce gradatamente e quando si passa da un livello normale di circa 5 litri, da un livello inferiore ai 3,5 litri, si assiste alla comparsa dei seguenti sintomi:

  • astenia (debolezza);
  • sete;
  • ansia;
  • malessere generale;
  • aumento della frequenza respiratoria;
  • tachicardia;
  • ipotensione arteriosa;
  • vertigini;
  • allucinazioni visive/uditive;
  • confusione.

Successivamente si può assistere ad una progressiva perdita di coscienza ed infine alla morte del soggetto, in modo simile a quello che avviene in una morte da dissanguamento.

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Di cos’è fatto un osso, a che serve e perché è così resistente?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSTOLA INCRINATA SINTOMI TEMPI DI RECUPERO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari PeneUn osso (in inglese “bone”) è una componente anatomica del corpo umano ed insieme alle altre ossa costituisce lo scheletro umano.

Funzioni delle ossa
Pur essendo strutture anatomiche apparentemente semplici, le funzioni delle ossa -nel loro insieme – sono in realtà molteplici:

  • funzione di strutturale e di sostegno per l’intero corpo;
  • funzione di protezione degli organi interni (come nel caso di gabbia toracica, cranio e bacino);
  • funzione di inserzione dei muscoli;
  • funzione di articolazione;
  • funzione emopoietica (produzione di cellule del sangue: il midollo delle ossa lunghe ed il tessuto spugnoso delle ossa piatte contengono cellule staminali che generano i globuli rossi e i globuli bianchi);
  • funzione di riserva di grassi: il midollo giallo contiene molti acidi grassi che all’occorrenza vengono prelevati dal sangue.
  • funzione di magazzino per i sali minerali in relazione alle necessità dell’organismo, soprattutto sali di calcio e di fosforo;
  • funzione di riserva di fattori di crescita: la matrice ossea mineralizzata contiene quantità importanti di molti fattori di crescita, come il fattore insulinosimile e la proteina morfogenetica delle ossa. Oltre a fungere da riserva e quindi a mantenere costante la concentrazione sanguigna di questi fattori, essi vengono liberati localmente in caso di frattura, innescando e accelerando il processo di guarigione.
  • funzione di detossificazione: la parte inorganica delle ossa può assorbire molti metalli pesanti e altri elementi estranei, togliendoli dal circolo sanguigno e riducendo quindi il loro effetto nocivo sugli altri tessuti. Questi elementi vengono poi rilasciati lentamente per escrezione;
  • funzione di equilibrio acido-base: Grazie al grande contenuto di sali minerali, l’osso funge da tampone ematico, e riequilibra le variazioni di pH del sangue assorbendo o rilasciando sali minerali e ioni;
  • funzione di secrezione endocrina: l’osso controlla il metabolismo del fosforo secernendo FGF-23, il fattore di crescita dei fibroblasti, che riduce il riassorbimento renale degli ioni fosfato. Inoltre, tramite l’osteocalcina, abbassa la glicemia migliorando la sensibilità all’insulina, e riduce la crescita del tessuto adiposo;
  • funzione sensoriale: i tre ossicini dell’orecchio medico (martello incudine e staffa) trasmettono il suono agli organi interni dell’orecchio;
  • funzione di sistema di leve, sulle quali i muscoli esercitano la loro azione di movimento tramite le contrazioni muscolari.

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Di cosa sono fatte le ossa?
Le ossa sono costituite da tessuto osseo, un tipo di tessuto connettivo caratterizzato dalla mineralizzazione della sostanza fondamentale che presenta due tipi di struttura:

  • non lamellare (propria delle ossa in formazione nel feto e di quelle riparate in seguito a fratture);
  • lamellare.

La particolare composizione del tessuto osseo conferisce all’osso le sue caratteristiche di durezza e flessibilità (entro certi limiti fisiologici): ossa sottoposte a trattamenti proteolitici finalizzati ad eliminare la componente proteica dell’osso hanno prodotto ossa molto dure ma fragili, in seguito a decalcificazione le ossa invece divenivano molto elastiche e flessibili ma poco dure. Alla luce di ciò appare chiaro che:

  • la componente proteica garantisce all’osso una buona resistenza alle sollecitazioni meccaniche;
  • la componente mineralizzata conferisce all’osso la caratteristica durezza.

La componente organica dell’osso (circa il 30% di esso) è costituita da:

  • collagene I;
  • osseina;
  • osteomucoide (una glicoproteina).

La componente mineralizzata – che nell’adulto costituisce circa il 70% dell’intero osso – è composta da:

  • fosfato di calcio in forma di cristalli di idrossiapatite (86% della componente mineralizzata) ;
  • carbonato di calcio (12%);
  • fosfato di magnesio (1,5%);
  • fluoruro di magnesio (0,5%);
  • ossido di ferro (0,1%).

Le cellule delle ossa
Nonostante siano in parte costituite da minerali, le ossa sono organi a tutti gli effetti: la loro parte minerale viene costantemente rinnovata da due tipi di cellule al loro interno, gli osteoclasti e gli osteoblasti. Grazie ad esse negli esseri umani, un osso normale viene distrutto e ricostruito completamente ogni due mesi circa. Per approfondire leggi anche: Differenza tra osteoblasti, osteoclasti ed osteociti

Periostio
Tutte le ossa sono ricoperte da una membrana fibrosa di colore biancastro molto vascolarizzata chiamata periostio da cui partono fasci di fibre connettive (fibre di Sharpey) che si estendono in profondità ancorando il periostio all’osso. Nei punti in cui l’osso si articola con altre ossa le fibre del periostio si intrecciano con quelle della capsula sinoviale, o nelle vertebre con quelle dei dischi intervertebrali. Il periostio si interrompe anche nei punti di inserzione della muscolatura lasciando il posto ai tendini. Le cavità interne dell’osso sono ricoperte da una membrana simile al periostio chiamata endostio e contengono il midollo osseo preposto all’emopoiesi, ossia la creazione di eritrociti, leucociti e piastrine.

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Osso omero: anatomia e funzioni in sintesi

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Omero destro (sulla sinistra: vista anteriore; sulla destra: vista posteriore)

L’omero (in inglese “humerus”) un osso lungo pari e simmetrico degli arti superiori, e costituisce lo parte scheletrica del braccio, la porzione anatomica del corpo compresa tra la spalla, superiormente, e l’avambraccio, inferiormente. L’omero corrisponde – nell’arto inferiore – al femore è l’osso pari che compone lo scheletro di ciascuna coscia.

Omèro o òmero?

Domanda apparentemente banale: quando si parla dell’osso omero, dove va l’accento? Quando si parla dell’osso omero, l’accento va sulla prima o (òmero). L’accento va sulla e (Omèro) solo in riferimento al noto poeta greco autore dell’Iliade e dell’Odissea.

Funzioni dell’osso omero

L’omero è situato tra scapola (principale osso della spalla) e ossa dell’avambraccio (radio e ulna); costituisce lo scheletro del braccio, fornisce inserzione a diversi muscoli e partecipa alla formazione di due importanti articolazioni dell’arto superiore: l’articolazione della spalla e l’articolazione del gomito.

Leggi anche: Differenza tra omero, ulna e radio

Anatomia

L’omero è l’unico osso del braccio (mentre lo scheletro dell’avambraccio, che è la parte dell’arto superiore compresa tra gomito e polso, è costituita da ulna e radio). L’omero è costituito da:

  • diafisi (anche chiamato “corpo”);
  • due estremità dette epifisi (epifisi prossimale ed epifisi distale).

L’epifisi prossimale si articola con la scapola costituendo l’articolazione scapolo-omerale (del tipo delle enartrosi), mentre l’epifisi distale si articola con le due ossa dell’avambraccio appena citate: radio e ulna.

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Epifisi prossimale

L’estremità prossimale dell’omero è la porzione ossea più vicina alla spalla e che, unendosi a un osso di quest’ultima (nella fattispecie la scapola), forma la sopraccitata articolazione gleno-omerale.
Gli elementi anatomici rilevanti dell’estremità prossimale sono:

  • La testa. È la parte più prossimale dell’omero. Proiettata in direzione mediale, è una protuberanza ossea che ha la forma di una semi-sfera. Possiede una superficie liscia di natura cartilaginea e ricopre l’importante funzione di articolarsi con la cavità glenoidea (o fossa glenoidea) della scapola e formare l’articolazione della spalla.
  • Il collo anatomico. È una regione di confine tra la testa e le altre strutture dell’epifisi prossimale. È breve e più stretto rispetto alla testa.
  • Il tubercolo maggiore. È un processo osseo di discreta grandezza, che si sviluppa in direzione laterale, subito dopo il collo anatomico. Possiede due facce, una anteriore e una posteriore.
    La sua funzione è ancorare i capi terminali di tre muscoli dei 4 totali che formano la cosiddetta cuffia dei rotatori: il muscolo sovraspinato, il muscolo sottospinato (o infraspinato) e il muscolo piccolo rotondo (o teres minore).
  • Il tubercolo minore. È un processo osseo di dimensioni ridotte, in posizione mediale rispetto al grande tubercolo. Ha soltanto una faccia, quella anteriore, e funge da punto d’inserzione per il capo terminale del 4° muscolo della cuffia dei rotatori: il muscolo sottoscapolare.
  • Il solco intertubercolare. È una profonda depressione, situata tra i due tubercoli e percorsa dal tendine della lunga testa del muscolo brachiale. Sul margine superficiale, il solco intertubercolare presenta delle creste, che prendono il nome di labbra. Alle labbra, si ancorano i tendini di tre importanti muscoli: il muscolo pettorale maggiore, il muscolo grande rotondo e il muscolo grande dorsale.
  • Il collo chirurgico. È la regione di confine, che separa i tubercoli (situati superiormente) dal corpo dell’omero (inferiormente).

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Diafisi

Il corpo è la porzione centrale dell’omero, compresa tra l’estremità prossimale e l’estremità distale.
Sede d’inserzione di diversi muscoli, ha un aspetto cilindrico, superiormente, e una forma prismatica, inferiormente.
Le strutture anatomiche rilevanti del corpo dell’omero sono, di fatto, tre: la tuberosità deltoidea, il foro nutritizio e la scanalatura radiale.
La tuberosità deltoidea è una prominenza ossea, situata poco più in alto della metà, in posizione antero-laterale. La sua funzione è accogliere il capo terminale del muscolo deltoide.
Il foro nutritizio è il canale che permette l’ingresso, nell’omero, dei vasi sanguigni deputati all’ossigenazione e nutrizione dell’omero stesso.
Infine, la scanalatura radiale è una lieve depressione, che percorre in diagonale e con orientamento laterale la sezione posteriore del corpo. Al suo interno, ospita il nervo radiale e l’arteria brachiale profonda. Lateralmente, termina in corrispondenza della tuberosità deltoidea.
Per quanto concerne i muscoli che hanno rapporto con il corpo dell’omero, questi sono: il muscolo coracobrachiale, il muscolo brachiale e il muscolo brachioradiale, sulla sezione ossea anteriore, e la testa mediale e la testa laterale del tricipite brachiale, sulla sezione ossea posteriore.

Epifisi distale

L’estremità distale presenta una zona articolare e una zona non articolare: quella articolare è definita lateralmente dal condilo e medialmente dalla troclea dell’omero, che ha la forma di una puleggia. Il condilo si articola con la testa del radio, mentre la troclea con l’incisura trocleare o semilunare dell’olecrano dell’ulna. La porzione non articolare dell’estremità distale è data dall’epicondilo laterale (poco sviluppato) e dall’epicondilo mediale, o epitroclea (molto più sviluppato), al di sotto del quale si trova un solco che accoglie il nervo ulnare. Dai due epicondili si originano verso la diafisi la cresta sopracondiloidea mediale e la cresta sopracondiloidea laterale. Anteriormente, al di sopra del condilo, c’è la fossetta radiale che accoglie la testa del radio durante la flessione dell’avambraccio sul braccio, sopra la troclea c’è la fossetta coronoidea che accoglie il processo coronoideo dell’ulna sempre nella flessione dell’avambraccio sul braccio e posteriormente, al di sopra della troclea, è presente la fossa olecranica per accogliere l’olecrano dell’ulna nell’estensione dell’avambraccio.

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Polmoni: anatomia e funzioni in sintesi

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-ventilazione-polmonare-alveolare-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenzaI polmoni destro e sinistro si trovano nella cavità toracica ai lati del mediastino. Ciascuno di essi è avvolto da una membrana sierosa a doppia parete, la pleura, che costituisce i sacchi pleurici, completamente chiusi. Nel sottile spazio tra i due foglietti pleurici di ciascun sacco vi è una pressione negativa che permette al polmone di espandersi nell’inspirazione e ricevere l’aria atmosferica. Il polmone destro è più voluminoso del sinistro La superficie esterna dei polmoni è percorsa da profonde scissure interlobari, che dividono il polmone destro in tre lobi e quello sinistro in due.  L’ambiente del polmone è molto umido e quindi facilmente attaccabile da batteri. Molte malattie respiratorie sono proprio dovute ad un’infezione virale o batterica.

Leggi anche: Apparato respiratorio: anatomia in sintesi, struttura e funzioni

Funzioni dei polmoni

La principale (ma non esclusiva) funzione dei polmoni è quella di trasportare l’ossigeno atmosferico ai fluidi corporei come sangue o emolinfa, e di espellere anidride carbonica da essi all’atmosfera. Questo scambio di gas è compiuto in un mosaico di cellule specializzate che formano delle piccole sacche d’aria chiamate alveoli. Il 70% della respirazione è guidata dal diaframma il quale si trova in fondo al torace. La contrazione del diaframma espande verticalmente la cavità dove il polmone è semichiuso. Il rilassamento del muscolo ha l’effetto opposto. L’aria entra attraverso le cavità nasali o orali; essa passa attraverso la laringe e successivamente per la trachea, arrivando ai bronchi. I bronchi dividono i polmoni in parti sempre più piccole, chiamati bronchioli. I polmoni terminano con le sacche alveolari. Gli alveoli sono piccole sacche a contatto con il sangue capillare. Qui l’ossigeno viene diffuso nel sangue, trasportato dall’emoglobina fino al cuore attraverso le vene polmonari. Il sangue senza ossigeno dal cuore parte arrivando attraverso l’arteria polmonare fino ai polmoni per avviare il processo di ossigenazione.

Leggi anche: A che serve l’osso ioide e dove si trova? Cos’è il pomo d’Adamo?

Funzioni non respiratorie dei polmoni

Oltre alle funzioni di respirazione come lo scambio di gas e la regolazione dell’idrogeno, i polmoni:

  • insieme al rene e ai tamponi ematici, sono i principali regolatori dell’equilibrio acido-base;
  • secernono sostanze quali l’ACE, fattore necessario per la conversione dell’angiotensina I (blando vaso costrittore) in angiotensina II, potentissimo vaso costrittore;
  • influenzano la concentrazione di sostanze attive e di farmaci nel sangue arterioso;
  • filtrano i piccoli grumi di sangue che si formano nelle vene;
  • fungono da protezione fisica per il cuore.

Leggi anche: Differenza tra inspirazione e espirazione: l’atto respiratorio

Organizzazione strutturale

All’ingresso nei polmoni, i bronchi principali si ramificano dando origine all’albero bronchiale. Il bronco principale destro dà origine a tre bronchi lobari, che si portano ai tre lobi del P. destro, il sinistro ne forma invece due. Il parenchima polmonare è formato dall’insieme dei lobuli polmonari. Ogni lobulo ha forma poliedrica e riceve un bronco lobulare accompagnato da un ramo dell’arteria polmonare. Il bronco lobulare emette una serie di ulteriori ramificazioni, i bronchi intralobulari che, ramificandosi ulteriormente, danno origine a 10-15 rami più piccoli, i bronchioli terminali. Ciascun bronchiolo terminale si biforca in due bronchioli respiratori la cui parete presenta, a intervalli, estroflessioni sacciformi che vengono circondate da una rete di capillari originati dai rami dell’arteria polmonare. Sono gli alveoli polmonari, sede degli scambi gassosi e strettamente contigui gli uni agli altri. L’unità elementare del parenchima polmonare è rappresentata dall’acino polmonare, definito come l’insieme delle ramificazioni, provviste di alveoli polmonari, che originano da un bronchiolo terminale. In ogni acino sono presenti da 500 a 2.000 alveoli polmonari.

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Stomaco: come fa a digerire il cibo che mangi ed a dirti che sei “pieno”

MEDICINA ONLINE MANGIARE DOLCI VERDURA FAMIGLIA MAMMA FIGLI BAMBINI DIETA FIBRA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DIGESTIONE STOMACO CALORIE METABOLISMOLo stomaco può essere considerato come una dilatazione del tubo digerente, della cui porzione sottodiaframmatica rappresenta la prima parte. Situato nella parte alta dell’addome, ha forma a pera o a cornamusa. L’estremità più grossa è rivolta in alto a sinistra, quella più piccola in basso a destra. Possiede due margini, detti curvature, e due orifizi, il cardias e il piloro. Il cardias mette in comunicazione lo stomaco con l’esofago, mentre il piloro collega lo stomaco con la prima parte dell’intestino, il duodeno.
Lo stomaco è rivestito esternamente dal peritoneo, ed è unito a fegato, colon traverso e milza per mezzo di legamenti. La mucosa che riveste la superficie interna dello stomaco presenta numerose pieghe, che delimitano aree gastriche, nelle quali si aprono le ghiandole gastriche. Queste sono stimate in 35 milioni e secernono il succo gastrico.

A cosa serve lo stomaco?
Il cardias, aprendosi, lascia passare nello stomaco il cibo proveniente dall’esofago. Gli alimenti si accumulano poco a poco nello stomaco, che ha il duplice compito di immagazzinare gli alimenti ingeriti, evitando che abbiano luogo processi putrefattivi, e di compiere le trasformazioni chimiche che caratterizzano il processo digestivo. Nello stomaco gli alimenti subiscono l’azione digestiva del succo gastrico. I movimenti dello stomaco cooperano a questo processo e determinano lo svuotamento dell’organo.
Il succo gastrico è un liquido limpido e incolore, molto acido a causa della presenza di acido cloridrico. Nel succo gastrico sono inoltre contenuti alcuni fermenti: la pepsina, che scompone le proteine, la chimosina che determina la coagulazione del latte e la lipasi gastrica, che serve alla digestione delle sostanze grasse. È infine presente la mucina, che regola l’acidità dello stomaco e protegge la mucosa gastrica.
L’acidità del succo gastrico è molto importante come mezzo per inibire la moltiplicazione dei microbi contenuti nei cibi.

Senso di sazietà
Quando il cibo è presente nello stomaco in quantità eccessiva, le sue pareti sono messe in tensione e questo dato è interpretato dal cervello come segnale di sazietà: immettere ulteriore cibo sarebbe pericoloso per l’organismo.

Come funziona lo stomaco?
L’azione digestiva del succo gastrico si svolge prevalentemente sulle proteine. L’acido cloridrico funziona come stimolante della pepsina. Le proteine, per effetto della pepsina, vengono trasformate in prodotti più semplici, i peptoni.
La chimosina impedisce che il latte liquido passi troppo rapidamente attraverso lo stomaco. Coagulandolo, permette alla pepsina di svolgere la sua azione digestiva sulle proteine contenute in esso. Questo processo è molto importante per l’alimentazione dei neonati. Nello stomaco ha inizio anche la digestione delle sostanze grasse in stato di fine emulsione. La lipasi gastrica le scinde in glicerina e acidi grassi.
La secrezione del succo gastrico è fondamentalmente legata a un meccanismo nervoso di natura riflessa. Hanno massima importanza certe influenze psichiche e le sensazioni gustative, olfattive e visive, che provocano l’insorgere dell’appetito. L’appetibilità e il sapore degli alimenti eccitano la secrezione gastrica, mentre sostanze nauseanti, ansia e paura la inibiscono. La secrezione del succo gastrico è inoltre tanto più rapida e intensa quanto è maggiore il digiuno.

Peristalsi
Oltre al succo gastrico, per la digestione sono molto importanti i movimenti dello stomaco, che favoriscono l’azione dell’acido e lo svuotamento dello stomaco. I movimenti dello stomaco avvengono sotto forma di onde contrattili, che mescolano gli alimenti e li spingono verso il piloro. Nella misura nella quale procede la digestione, il cibo si trasforma in una poltiglia chiamata chimo e le onde peristaltiche si fanno più frequenti. Quando un’onda arriva al piloro, questo si apre e il chimo viene espulso nel duodeno. Normalmente lo stomaco si svuota in 3/4 ore dopo i pasti.
Appena lo stomaco si è nuovamente svuotato, iniziano nuove contrazioni, che aumentano d’intensità con il tempo, generando in noi la sensazione della fame.

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